Sentenza n. 50 del 2008

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SENTENZA N. 50

ANNO 2008

 

Commento alla decisione di

 

Francesca Biondi Dal Monte

 

La Corte costituzionale torna sui fondi statali vincolati, con alcune novità in materia di immigrazione

 

(per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco               BILE                                        Presidente

-  Giovanni Maria   FLICK                                       Giudice

-  Francesco          AMIRANTE                                   

-  Ugo                   DE SIERVO                                   

-  Alfio                  FINOCCHIARO                             

-  Alfonso              QUARANTA                                  

-  Luigi                  MAZZELLA                                   

-  Gaetano             SILVESTRI                                    

-  Sabino               CASSESE                                      

-  Maria Rita          SAULLE                                        

-  Giuseppe            TESAURO                                      

-  Paolo Maria       NAPOLITANO                               

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 389, 635, 1250, 1251, 1252, 1261, 1267 e 1290 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), promossi con ricorsi delle Regioni Veneto e Lombardia notificati il 23 e il 26 febbraio 2007, depositati in cancelleria il 1° e il 7 marzo successivi ed iscritti ai nn. 10 e 14 del registro ricorsi 2007.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 12 febbraio 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

 uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione Veneto, Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Lombardia e l’avvocato dello Stato Massimo Salvatorelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.— la Regione Veneto, con ricorso (iscritto al n. 10 del reg. ric. 2007) notificato il 23 febbraio 2007 e depositato il successivo 1° marzo, ha promosso, tra l’altro, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 389, 635, 1250, 1251, 1252, 1261, 1267 e 1290, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), per violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, come desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, secondo comma, Cost., nonché dall’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

La ricorrente ha prospettato specifiche censure in ordine a ciascuno dei commi impugnati.

2.— L’art. 1, comma 389, della legge n. 296 del 2006 istituisce un Fondo, con una dotazione di 5 milioni di euro, «destinato all’erogazione di contributi ai gestori di attività commerciali per le spese documentate e documentabili sostenute entro il 31 dicembre 2007 per l’eliminazione delle barriere architettoniche nei locali aperti al pubblico» (detto termine è stato poi spostato al 31 dicembre 2008 dall’art. 4 del decreto-legge 31 dicembre 2007 n. 248, che reca «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria»).

La Regione Veneto assume che il contenuto della predetta norma attiene alla materia servizi sociali, nonché, per alcuni versi, alla materia commercio.

Poiché entrambi i suddetti ambiti materiali rientrano nella potestà legislativa residuale delle Regioni, lo Stato non potrebbe istituire e disciplinare, in questi settori, finanziamenti a destinazione vincolata, come la Corte costituzionale, più volte, ha avuto modo di affermare.

Né il Fondo in esame potrebbe essere qualificato come perequativo, senza vincoli di destinazione, o quale risorsa aggiuntiva o intervento speciale, ai sensi dell’art. 119, terzo e quinto comma, Cost.

La Regione ritiene, altresì, che la disposizione non potrebbe essere ricondotta alla materia determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., rimessa alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.

A sostegno di tale deduzione, la difesa regionale richiama la sentenza n. 423 del 2004, con la quale la Corte ha ritenuto che l’art. 3, comma 116, lettera b), della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004) – nel disporre che l’incremento della dotazione del Fondo nazionale per le politiche sociali doveva essere utilizzato anche per la finalità dell’abbattimento delle barriere architettoniche, di cui alla legge 9 gennaio 1989, n. 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati), – violasse la competenza regionale in materia di servizi sociali.

La norma impugnata, nel porre precisi vincoli di destinazione a risorse economiche in materie di competenza regionale, darebbe, quindi, luogo ad una lesione dell’autonomia finanziaria di spesa delle Regioni, e non sarebbe, dunque, conforme al nuovo modello di finanza regionale delineato dall’art. 119 della Costituzione.

A ciò conseguirebbe, secondo la Regione, anche la violazione dell’autonomia amministrativa regionale, come costituzionalmente garantita dall’art. 118 Cost.

3.— È stato, inoltre, oggetto di impugnazione il comma 635 del citato art. 1, il quale prevede che «al fine di dare il necessario sostegno alla funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell’ambito del sistema nazionale di istruzione, a decorrere dall’anno 2007, gli stanziamenti, iscritti nelle unità previsionale di base "Scuole non statali” dello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione, sono incrementati complessivamente di 100 milioni di euro, da destinare prioritariamente alle scuole dell’infanzia».

Secondo la ricorrente la norma in esame, per il suo contenuto dettagliato, inciderebbe, ledendola, sulla competenza regionale concorrente in materia di istruzione.

La stessa, nel contemplare un finanziamento a destinazione vincolata in una materia, come si è detto, concorrente, violerebbe anche l’art. 118 Cost. (si cita la sentenza n. 423 del 2004 della Corte costituzionale che, ad avviso della Regione, avrebbe dichiarato l’illegittimità costituzionale di una «norma analoga»).

In subordine, la Regione assume che il comma impugnato sarebbe lesivo del principio di leale collaborazione, come desumibile, in particolare, dagli artt. 5, 120, secondo comma, Cost. e dall’art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001.

4.— I commi 1250, 1251, 1252, 1261 e 1290 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006 sono esaminati e censurati unitariamente dalla Regione Veneto.

I commi 1250, 1251 e 1252 prevedono l’incremento del Fondo per le politiche della famiglia, e stabiliscono l’utilizzazione dello stesso per determinate finalità, demandando al Ministro delle politiche per la famiglia di ripartire, con proprio decreto, gli stanziamenti tra i diversi interventi previsti.

A sua volta, il comma 1261 del citato art. 1 dispone l’incremento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, con la previsione della destinazione di una quota al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere. Spetta al Ministro per i diritti e le pari opportunità, di concerto con i Ministri della solidarietà sociale, del lavoro e della previdenza sociale, della salute e delle politiche per la famiglia, stabilire i criteri di ripartizione del Fondo medesimo; quest’ultimo dovrà prevedere una quota da destinare all’istituzione di un Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere e una quota da destinare al piano d’azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere.

Il comma 1290 stabilisce che l’autorizzazione di spesa di cui al comma 2 dell’articolo 19 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, relativo al Fondo per le politiche giovanili, è integrata di 120 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009.

La Regione ricorda come il suddetto art. 19 ha costituito oggetto di impugnazione dinanzi alla Corte e richiama, altresì, a sostegno della lesività dei commi sopra citati, senza tuttavia esplicitarle nuovamente, le censure svolte in quella sede.

La ricorrente assume, infine, che i commi 1251, 1252, 1261 e 1290 devono essere riferiti alla materia politiche sociali, attribuita alla potestà legislativa residuale delle Regioni e che, pertanto, sarebbero violate, oltre la suddetta potestà legislativa, anche le relative autonomia amministrativa (art. 118 Cost.) e autonomia finanziaria (art. 119 Cost.) della Regione.

5.— Il comma 1267 dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, anch’esso impugnato, dispone l’istituzione presso il Ministero della solidarietà sociale del Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati, per il quale è stanziata la somma di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009.

Il Fondo è, altresì, finalizzato alla realizzazione di un piano per l’accoglienza degli alunni stranieri, anche per favorire il rapporto scuola-famiglia, mediante l’utilizzo, per fini non didattici, di apposite figure professionali madrelingua quali mediatori culturali. Anche in questo caso, ad avviso della difesa regionale, si verte nella materia politiche sociali, con la conseguente violazione degli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost.

In subordine, comunque, la Regione osserva che, tenuto conto delle possibili interferenze tra la suddetta materia e le materie diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea (art. 117, secondo comma, lettera a) e immigrazione (art. 117, secondo comma, lettera b), attribuite alla potestà esclusiva dello Stato, vi sarebbe in ogni caso la lesione del principio di leale collaborazione, come desumibile dagli artt. 5 e 120, secondo comma, Cost., nonché dall’art. 11 della legge cost. n. 3 del 2001.

6.— Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso sia dichiarato non fondato.

In primo luogo, la difesa dello Stato osserva che la previsione di cui all’art. 1, comma 389, della legge n. 296 del 2006 non è ascrivibile alle materie servizi sociali o commercio, quanto alla materia della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.), e ai diritti inviolabili fondamentali, quali quelli di estrinsecazione della personalità, di solidarietà sociale, di eguaglianza sostanziale, di libertà personale e di circolazione, garantiti dagli artt. 2, 3, 13 e 16 Cost.

Sempre ai diritti fondamentali della persona, di cui agli artt. 2 e 3 Cost, con la conseguente competenza legislativa anche statale ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), Cost., dovrebbero essere ricondotti i commi 1250, 1251, 1252, 1261 e 1290.

L’Avvocatura dello Stato, con specifico riguardo al Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, rileva come lo stesso serva ad ottemperare agli impegni assunti in sede internazionale alla luce della piattaforma di azione adottata dalla IV Conferenza mondiale delle Nazioni Unite tenutasi a Pechino nel settembre 1995, nonché all’adeguamento dell’ordinamento nazionale all’ordinamento comunitario.

Ad avviso del resistente, quindi, si è in presenza di competenze trasversali e di una concorrenza di competenze, alcune esclusive dello Stato, che, dunque, legittimerebbero l’emanazione delle norme impugnate.

In ordine al Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce l’estraneità dello stesso alla materia delle politiche sociali, trattandosi, invece, di disposizione che deve essere riferita in via esclusiva, o comunque prevalente, alla materia immigrazione, di competenza dello Stato.

7.— Con ricorso (iscritto al n. 14 del reg. ric. 2007) notificato il 26 febbraio 2007 e depositato il successivo 7 marzo, la Regione Lombardia ha, anch’essa, promosso, tra l’altro, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 389, 1252, 1261 e 1267, della legge n. 296 del 2006, assumendo la violazione degli artt. 117, 118, 119 Cost., nonché dei principio di leale collaborazione (art. 120 Cost), di buon andamento (art. 97 Cost) e di ragionevolezza (art. 3 Cost.).

La Regione premette come tutte le norme impugnate evidenzino l’inesistenza o il carattere del tutto marginale di un coinvolgimento della Regione medesima in materie di propria competenza, concorrente o residuale, con la conseguente violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost, oltre che dei principi di buon andamento dell’amministrazione e di ragionevolezza.

Ciò, in particolare modo, ove si consideri che la riforma del Titolo V della Costituzione ha determinato una stretta correlazione tra gli artt. 117 e 119  Cost, per cui le funzioni pubbliche relative a materie di competenza regionale debbono essere finanziate con le risorse alle quali fa riferimento l’art. 119, quarto comma, Cost.

Anche in ragione delle diverse pronunce della Corte costituzionale intervenute in materia, è del tutto evidente, sottolinea la ricorrente, che non risponde al novellato quadro costituzionale l’istituzione di Fondi statali in materie di competenza regionale.

8.— Con specifico riguardo all’art. 1, comma 389, della suddetta legge finanziaria, si rileva la mancanza di qualsivoglia coinvolgimento delle Regioni e comunque, da un lato l’operatività della norma nell’ambito dell’assistenza e dei servizi sociali, ricadente tra le materie di competenza residuale delle Regioni; dall’altro, l’impossibilità di considerare il Fondo come un intervento speciale di solidarietà.

9.— In ordine all’art. 1, comma 1252, la Regione osserva che, pur vertendosi nella materia politiche sociali, attribuita alla competenza legislativa della Regione, non sono previsti meccanismi di partecipazione di quest’ultima. La ricorrente ritiene che, in attesa dell’attuazione dell’art. 119 Cost., «non vi è alternativa – se non quella della dichiarazione di illegittimità "secca” del finanziamento – al coinvolgimento delle Regioni nella gestione del Fondo tramite un meccanismo di "intesa forte”».

10.— La lesione del principio di leale collaborazione, tenuto conto dell’ambito materiale in cui operano le norme impugnate, è prospettata anche in ordine all’art. 1, comma 1261, là dove si consideri il ruolo delle Regioni nella promozione delle pari opportunità, anche in ragione dei compiti alle stesse assegnati dal decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246), che rendono necessarie procedure concertative e di coordinamento delle politiche adottate a livello centrale con i soggetti regionali.

11.— Anche l’art. 1, comma 1267, secondo la prospettazione della Regione Lombardia, non riserverebbe nessuno spazio a forme di partecipazione e collaborazione nella determinazione degli interventi in un settore in cui le Regioni hanno indubbia competenza.

Quanto previsto dall’art. 117, secondo comma, lettera b), che attribuisce allo Stato la potestà legislativa esclusiva nella materia dell’immigrazione, infatti, non può non tenere conto delle competenze regionali che si possono desumere dal decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) e, in particolare, dall’art. 2-bis e dall’art. 42. Il primo articolo richiamato prevede che faccia parte del Comitato per il coordinamento ed il monitoraggio anche il Presidente di una Regione o di una Provincia autonoma, designato dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome. L’art. 42, a sua volta, stabilisce che lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni, nell’ambito delle proprie competenze, favoriscano una serie di attività volte, tra l’altro, alla diffusione di ogni informazione utile al positivo inserimento degli stranieri nella società italiana.

12.— Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto del ricorso e prospettando argomentazioni difensive analoghe a quelle prospettate in ordine all’impugnazione dei medesimi commi dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, promossa dalla Regione Veneto con il ricorso n. 10 del 2007.

13.— In data 29 gennaio 2008, la Regione Veneto ha depositato memoria con la quale, nel ribadire le difese svolte, ha osservato quanto di seguito, in sintesi, riportato.

La ricorrente prospetta alcune osservazioni in ordine alla sentenza n. 453 del 2007 − che ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 del decreto-legge n. 223 del 2006 − e rileva che la stessa, in uno con la sentenza n. 141 del 2007, avrebbe innovato la giurisprudenza della Corte costituzionale in ordine alla impugnazione delle norme che istituiscono Fondi a destinazione vincolata in materie rimesse alla potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, o residuale delle Regioni.

Secondo la citata pronuncia, deduce la Regione, le disposizioni normative statali che istituiscono Fondi vincolati, limitandosi ad indicare mere finalità di intervento nei settori di rispettiva competenza, non ledono le competenze regionali, poiché la lesione può «derivare non già dall’enunciazione del proposito di destinare risorse per finalità indicate in modo così ampio e generico, bensì (eventualmente) dalle norme nelle quali quel proposito si concretizza, sia per entità delle risorse sia per modalità di intervento sia, ancora, per le materie direttamente e indirettamente implicate da tali interventi».

Ad avviso della difesa regionale, tale orientamento contrasterebbe con la precedente giurisprudenza costituzionale in materia di Fondi vincolati, già richiamata nel ricorso introduttivo.

Sul punto si osserva, altresì, che il termine di cui all’art. 127 Cost., necessariamente, determina l’impugnazione di una norma anche prima che la stessa abbia avuto attuazione.

Passando all’esame delle singole disposizioni censurate, nel controdedurre alle prospettazioni difensive dell’Avvocatura generale dello Stato, la Regione espone alcune osservazioni in relazione a ciascuna di esse.

L’art. 1, comma 389, non determinerebbe alcun livello essenziale di prestazione, ma si limiterebbe a prevedere somme a destinazione vincolata.

L’art. 1, comma 635, a sua volta, non potrebbe essere ricondotto nell’ambito delle norme generali dell’istruzione.

In ordine ai commi 1250, 1251 e 1252, 1261, 1290 del medesimo art. 1, in considerazione della relazione degli stessi con l’art. 19 del decreto-legge n. 223 del 2006, la Regione basa la propria difesa sul contenuto della sentenza n. 453 del 2007, osservando come detta decisione dovrebbe determinare una pronuncia di illegittimità costituzionale delle norme impugnate.

Il comma 1267 dell’art. 1, infine, atterrebbe all’ambito delle politiche sociali e non alla materia immigrazione.

14.— Anche la Regione Lombardia, in data 30 gennaio 2008, ha depositato memoria con la quale ha dedotto quanto segue.

La ricorrente, con riguardo al Fondo di cui all’art. 1, comma 389, della legge 296 del 2006, deduce, in particolare, come non sia stato ancora adottato il decreto per l’attribuzione dei contributi, ed anzi, che il termine previsto dalla norma sia slittato al 31 dicembre 2008 per effetto del decreto-legge n. 248 del 2007.

In merito al Fondo di cui al comma 1252 dell’art. 1, la ricorrente deduce che alla ripartizione del Fondo si è provveduto con il decreto del Ministro delle politiche per la famiglia 2 luglio 2007 (Ripartizione degli stanziamenti del Fondo delle politiche per la famiglia, ai sensi dell’articolo 1, comma 1252, della legge 27 dicembre 2006, n. 296), vista l’intesa sancita in sede di Conferenza unificata.

Tuttavia, ciò non priverebbe di fondamento la questione di costituzionalità, in quanto la norma in questione, affidando ad un provvedimento unilaterale del Ministro delle politiche per la famiglia la ripartizione degli stanziamenti del Fondo, nulla dispone in ordine alla necessità di assicurare, attraverso un meccanismo di «intesa forte», il necessario coinvolgimento delle Regioni.

Esaminando il comma 1261, la Regione rileva che, analogamente, non è previsto alcun coinvolgimento delle Regioni nella gestione degli stanziamenti, con grave lesione del generale principio di leale collaborazione. E’ richiamato, altresì, l’art. 117, settimo comma, Cost., che attribuisce alle leggi regionali il compito di rimuovere ogni ostacolo alla piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica, nonché di promuovere la parità di accesso alle cariche elettive.

Infine, rispetto all’art. 1, comma 1267, la difesa regionale rileva come l’art. 2, comma 536, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), ha incrementato il Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati in misura di 50 milioni di euro per l’anno 2008.

La norma impugnata, come già dedotto nel ricorso introduttivo del giudizio di costituzionalità, appare illegittima in quanto, benché si verta in materia di competenza regionale, non prevede alcuna forma di partecipazione delle Regioni.

Da ultimo la Regione richiama la sentenza n. 156 del 2006, con la quale la Corte costituzionale ha affermato che misure di sostegno per i minori stranieri non accompagnati, avendo ad oggetto un’attività di assistenza, rientrano nelle attribuzioni regionali.

Considerato in diritto

1.— Con ricorso notificato il 23 febbraio 2007 e depositato il successivo 1° marzo, la Regione Veneto ha promosso, insieme con altre, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 389, 635, 1250, 1251, 1252, 1261, 1267 e 1290, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2007), per violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni come desumibile, in particolare, dagli artt. 5 e 120, secondo comma, Cost. e dall’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione).

La Regione Lombardia, con ricorso notificato il 26 febbraio 2007 e depositato il successivo 7 marzo, ha, invece, impugnato soltanto i commi 389, 1252, 1261 e 1267 dello stesso art. 1, deducendo la violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost., nonché dei principi di leale collaborazione (art. 120 Cost.), di buon andamento (art. 97 Cost.) e di ragionevolezza (art. 3 Cost.).

1.1.— Preliminarmente, riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse con gli indicati ricorsi, aventi ad oggetto distinte norme contenute in altri commi del medesimo art. 1 della citata legge finanziaria, si deve disporre la riunione, ai fini di un’unica trattazione e di un’unica pronuncia, dei due giudizi, in ragione della analogia esistente tra le censure formulate.

2.— Le disposizioni impugnate prevedono l’erogazione di risorse finanziarie per l’espletamento di compiti che le ricorrenti considerano afferenti ad ambiti materiali di pertinenza regionale.

2.1.— Ai fini della disamina delle questioni prospettate, appare opportuno illustrare, in via preliminare, il contenuto delle singole norme censurate.

Il comma 389 del citato art. 1, allo scopo di «incentivare l’abbattimento delle barriere architettoniche negli esercizi commerciali», prevede la istituzione presso il Ministero dello sviluppo economico di un Fondo con una dotazione di 5 milioni di euro «destinato all’erogazione di contributi ai gestori di attività commerciali per le spese documentate e documentabili sostenute entro il 31 dicembre 2007 per l’eliminazione delle barriere architettoniche nei locali aperti al pubblico». Tale scadenza è stata prorogata al 31 dicembre 2008 dall’art. 4 del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e disposizioni urgenti in materia finanziaria).

La norma stabilisce, inoltre, che entro settanta giorni dalla data di entrata in vigore della stessa legge «il Ministro dell’economia e delle finanze, con proprio decreto, adottato d’intesa con i Ministri dello sviluppo economico e della solidarietà sociale, definisce modalità, limiti e criteri per l’attribuzione dei contributi di cui al presente comma».

Il successivo comma 635 prevede, a sua volta, che, «al fine di dare il necessario sostegno alla funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell’ambito del sistema nazionale di istruzione, a decorrere dall’anno 2007, gli stanziamenti, iscritti nelle unità previsionali di base "Scuole non statali” dello stato di previsione del Ministero della pubblica istruzione, sono incrementati complessivamente di 100 milioni di euro, da destinare prioritariamente alle scuole dell’infanzia».

I commi 1250, 1251 e 1252, da un lato, incrementano il Fondo per le politiche della famiglia di cui all’art. 19, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248; dall’altro, stabiliscono le finalità e le modalità di ripartizione delle somme stanziate.

Il comma 1261 prevede che il Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, di cui all’articolo 19, comma 3, del citato decreto-legge n. 223 del 2006 «è incrementato di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, di cui una quota per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, da destinare al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere». La medesima disposizione stabilisce, inoltre, che «il Ministro per i diritti e le pari opportunità, con decreto emanato di concerto con i Ministri della solidarietà sociale, del lavoro e della previdenza sociale, della salute e delle politiche per la famiglia, stabilisce i criteri di ripartizione del Fondo, che dovrà prevedere una quota parte da destinare all’istituzione di un Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere e una quota parte da destinare al piano d’azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere».

Il comma 1267 istituisce, poi, presso il Ministero della solidarietà sociale, un Fondo, a cui è assegnata la somma di 50 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, finalizzato a «favorire l’inclusione sociale dei migranti e dei loro familiari». Tale Fondo persegue, altresì, lo scopo di realizzare «un piano per l’accoglienza degli alunni stranieri, anche per favorire il rapporto scuola-famiglia, mediante l’utilizzo per fini non didattici di apposite figure professionali madrelingua quali mediatori culturali».

Infine, il comma 1290 dispone l’integrazione di 120 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, dell’autorizzazione di spesa di cui al comma 2 dell’articolo 19 del decreto-legge n. 223 del 2006.

3.— Come emerge dalla lettura delle disposizioni censurate, questa Corte è chiamata nuovamente a pronunciarsi su questioni di legittimità costituzionale relative all’istituzione di Fondi statali e ai vincoli di destinazione di risorse finanziarie.

Al riguardo, deve essere ricordato che la giurisprudenza costituzionale ha più volte sottolineato come, nella perdurante mancata attuazione dell’art. 119 della Costituzione, tale disposizione pone comunque precisi limiti al legislatore statale nella disciplina delle modalità di finanziamento delle funzioni spettanti al sistema delle autonomie. Non sono, infatti, consentiti finanziamenti a destinazione vincolata in materie di competenza regionale residuale ovvero concorrente, in quanto ciò si risolverebbe in uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell’esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza (sentenza n. 423 del 2004; nello stesso senso, tra le altre, sentenze nn. 77 e 51 del 2005). La Corte ha, inoltre, puntualizzato che le funzioni attribuite alle Regioni «ricomprendono pure la possibilità di erogazione di contributi finanziari a soggetti privati, dal momento che in numerose materie di competenza regionale le politiche pubbliche consistono appunto nella determinazione di incentivi economici ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalità per la loro erogazione» (sentenza n. 423 del 2004, punto 7.6. del Considerato in diritto).

È necessario, inoltre, aggiungere che la disciplina di Fondi vincolati, che ha normalmente anche un contenuto dettagliato, in ambiti materiali di pertinenza regionale si pone pure in contrasto con il sistema di riparto delle competenze normative delineato dall’art. 117 della Costituzione.

4.— Chiarito ciò, prima di analizzare le specifiche censure formulate dalle Regioni ricorrenti, devono essere prese in esame le argomentazioni addotte dalla Avvocatura generale dello Stato a sostegno della competenza statale alla adozione delle norme impugnate.

Innanzitutto, non può ritenersi fondato il rilievo secondo cui le suddette norme rinverrebbero un autonomo titolo di legittimazione nella competenza statale in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.). Questa Corte ha, infatti, più volte avuto modo di affermare che l’attribuzione allo Stato della competenza esclusiva e trasversale di cui alla citata disposizione costituzionale si riferisce alla determinazione degli standard strutturali e qualitativi di prestazioni che, concernendo il soddisfacimento di diritti civili e sociali, devono essere garantiti, con carattere di genericità, a tutti gli aventi diritto (tra le tante, le sentenze n. 387 del 2007 e n. 248 del 2006). Le norme in esame, invece, non determinando alcun livello di prestazione, ma prevedendo soltanto meri finanziamenti di spesa, non potrebbero giammai rinvenire la propria legittimazione nel titolo di competenza in esame (sentenza n. 423 del 2004, punto 7.3.1. del Considerato in diritto).

Allo stesso modo, non può ritenersi pertinente il rilievo della difesa dello Stato secondo cui le disposizioni censurate, contemplando diritti fondamentali ex artt. 2, 3, 13 e 16 Cost., sarebbero, per ciò stesso, riconducibili ad ambiti materiali di spettanza statale. I suddetti diritti, di natura costituzionale, non rappresentano, infatti, una materia in senso tecnico, come tale riconducibile ad una specifica competenza dello Stato o delle Regioni, ma costituiscono situazioni soggettive le quali possono eventualmente inerire ad ambiti materiali contemplati dall’art. 117, nei commi secondo, terzo e quarto, della Costituzione.

Infine, privo di pregio è l’assunto dell’Avvocatura generale dello Stato secondo cui sussisterebbero obblighi internazionali e comunitari che imporrebbero una diretta attuazione degli stessi soltanto da parte del legislatore statale. A prescindere dalla effettiva esistenza di siffatti obblighi, sul punto è agevole osservare come le Regioni abbiano comunque il potere/dovere di dare attuazione, nell’ambito delle proprie competenze legislative, siano esse di natura concorrente o residuale, a disposizioni di natura internazionale o a norme dell’ordinamento comunitario (art. 117, quinto comma, Cost.). Né, d’altra parte, la prospettata esigenza di uniformità della disciplina sull’intero territorio nazionale può essere richiamata come esclusiva fonte di legittimazione statale al di fuori dei meccanismi della sussidiarietà, che nella specie non sono stati neppure invocati.

4.1.— Così individuato l’ambito delle questioni sottoposte all’esame di questa Corte, devono essere preliminarmente dichiarate inammissibili le censure di violazione degli artt. 3 e 97 Cost., proposte da entrambe le ricorrenti. Sul punto, infatti, i ricorsi non soltanto presentano un contenuto generico, ma prospettano la violazione di parametri costituzionali che non afferiscono al riparto delle competenze tra Stato e Regioni, né ridondano nella lesione di competenze di queste ultime (tra le altre, sentenze n. 116 del 2006; n. 383 del 2005; nn. 287

, 196, e 4 del 2004; n. 274 del 2003).

Altresì inammissibile è la prospettata violazione del principio di leale collaborazione, con riferimento al parametro di cui all’art. 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.

Tale norma, al secondo comma, demanda ai regolamenti parlamentari di prevedere la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle Province e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali, affinché la stessa esprima un parere su progetti di leggi riguardanti materie «di cui al terzo comma dell’articolo 117 e all’articolo 119 della Costituzione».

Il metodo collaborativo, prefigurato da detta norma, da un lato, non è allo stato utilizzabile in mancanza dell’emanazione della suindicata fonte regolativa (sentenza n. 6 del 2004), dall’altro, avrebbe comunque uno spazio di applicazione limitato, non riguardando tutti gli ambiti materiali di pertinenza regionale.

5.— Passando al merito delle censure proposte dalle ricorrenti, con riferimento ai parametri costituzionali di cui agli artt. 117 e 119 Cost., deve essere, innanzi tutto, esaminata quella concernente il comma 389.

La questione è fondata.

Tale norma prevede, come si è già sottolineato, la istituzione di un Fondo, con una dotazione di 5 milioni di euro, «destinato all’erogazione di contributi ai gestori di attività commerciali» per l’eliminazione delle barriere architettoniche nei locali aperti al pubblico.

Questione analoga a quella oggetto del presente giudizio è stata già esaminata con la sentenza n. 423 del 2004, che ha scrutinato, tra l’altro, l’art. 3, comma 116, lettera b), della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004).

Detta disposizione stabiliva che il disposto incremento della dotazione del Fondo nazionale per le politiche sociali dovesse essere utilizzato per la finalità dell’abbattimento delle barriere architettoniche di cui alla legge 9 gennaio 1989, n. 13 (Disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati).

In tale occasione la Corte ha ritenuto che la citata disposizione, ponendo precisi vincoli di destinazione nella materia dei servizi sociali, violasse gli artt. 117 e 119 della Costituzione. Tale materia identifica, infatti, tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonché quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia (art. 128, comma 2, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59»; sentenza n. 287 del 2004).

Le suddette conclusioni devono essere ribadite con riguardo al comma oggetto della impugnazione ora in esame.

Poiché anche in questo caso il legislatore ha perseguito la finalità di tutelare le persone diversamente abili che si trovino, in quanto tali, in una situazione di «bisogno e di difficoltà», il contenuto della norma impugnata deve essere ricondotto alla materia dei servizi sociali.

Da ciò consegue che il comma in questione, prevedendo un finanziamento vincolato in una materia di spettanza residuale delle Regioni, viola l’autonomia finanziaria e legislativa regionale. Né è idonea ad escludere il suddetto contrasto la circostanza che le somme stanziate (per le relative spese sostenute entro il 31 dicembre 2008) sono attribuite direttamente a soggetti privati, in quanto, come questa Corte ha già chiarito, le funzioni attribuite alle Regioni «ricomprendono pure la possibilità di erogazione di contributi finanziari a soggetti privati» (citata sentenza n. 423 del 2004, punto 7.6. del Considerato in diritto).

Pertanto, la disposizione censurata si pone in contrasto con il riparto delle competenze legislative, nonché con il sistema di autonomia finanziaria delle Regioni, quali configurati dalla riforma del Titolo V.

6.— Le ricorrenti hanno, altresì, impugnato il comma 635 della medesima legge n. 296 del 2006, il quale dispone un incremento degli stanziamenti iscritti nelle unità previsionali di base «Scuole non statali» del Ministero della pubblica istruzione, «al fine di dare il necessario sostegno alla funzione pubblica svolta dalle scuole paritarie nell’ambito del sistema nazionale di istruzione».

Anche tale questione è fondata.

Sul punto, questa Corte ha già avuto modo di sottolineare che il settore dei contributi relativi alle scuole paritarie «incide sulla materia della "istruzione” attribuita alla competenza legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, della Costituzione)» (sentenza n. 423 del 2004, punto 8.2. del Considerato in diritto). Con la sentenza citata si è, inoltre, sottolineato come, già prima della riforma del Titolo V, l’art. 138, comma 1, lettera e), del d.lgs. n. 112 del 1998 avesse conferito alle Regioni le funzioni amministrative relative ai «contributi alle scuole non statali», nel cui ambito devono essere ricomprese anche le scuole paritarie. Consegue da ciò che sarebbe «implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita» nella forma della competenza delegata dal citato art. 138 (stessa sentenza n. 423 del 2004, che richiama, sul punto, la sentenza n. 13 del 2004).

Da quanto esposto discende che la norma, nella parte in cui prevede un finanziamento vincolato in un ambito materiale di spettanza regionale, si pone in contrasto con gli artt. 117, quarto comma, e 119 della Costituzione. La natura delle prestazioni contemplate dalla norma censurata, le quali ineriscono a diritti fondamentali dei destinatari, impone, però, che si garantisca continuità nella erogazione delle risorse finanziarie. Ne consegue che devono rimanere «salvi gli eventuali procedimenti di spesa in corso, anche se non esauriti» (così anche la citata sentenza n. 423 del 2004).

7.— I commi 1250, 1251 e 1252 del medesimo art. 1 – la cui analisi deve essere svolta congiuntamente – disciplinano le finalità di impiego degli stanziamenti del Fondo per le politiche della famiglia, prevedendo, altresì, un incremento dello stesso.

Tale Fondo è stato istituito con l’art. 19, comma 1, del decreto-legge n. 223 del 2006, il quale ha previsto che esso è volto «a promuovere e realizzare interventi per la tutela della famiglia, in tutte le sue componenti e le sue problematiche generazionali, nonché per supportare l’Osservatorio nazionale sulla famiglia».

Questa Corte, con la sentenza n. 453 del 2007, ha escluso che il citato art. 19 sia in contrasto con l’art. 119 della Costituzione, atteso che le disposizioni in esso contenute, limitandosi «ad indicare mere finalità di intervento nei settori di rispettiva competenza», non possono ritenersi idonee a ledere sfere di spettanza regionale, «potendo la lesione derivare non già dall’enunciazione del proposito di destinare risorse per finalità indicate in modo così ampio e generico, bensì (eventualmente) dalle norme nelle quali quel proposito si concretizza, sia per entità delle risorse sia per modalità di intervento sia, ancora, per le materie direttamente e indirettamente implicate da tali interventi» (citata sentenza n. 453 del 2007 che richiama, sul punto, la sentenza n. 141 del 2007).

Orbene, questo postulato non può essere utilizzato de plano per la risoluzione della questione che ha investito i commi ora in esame, in quanto con essi il legislatore ha inteso proprio concretizzare il generico proposito enunciato nelle norme istitutive del Fondo.

Innanzitutto, deve rilevarsi come la finalità complessiva e unitaria che si è inteso perseguire con i commi qui esaminati si sostanzia nella previsione di interventi di politica sociale volti a rimuovere o superare le situazioni di bisogno o di difficoltà che la persona incontra nel corso della sua vita. Ne consegue che le norme impugnate, sotto questo aspetto, sono riconducibili all’ambito materiale dei servizi sociali di spettanza regionale.

Tuttavia, deve rilevarsi come nelle norme stesse siano presenti ulteriori specifiche finalità, che possono essere ricondotte anche ad ambiti materiali di competenza esclusiva dello Stato.

Sotto tale profilo, viene in rilievo, innanzitutto, il riferimento contenuto nelle suindicate disposizioni all’istituzione e al finanziamento dell’Osservatorio nazionale, la cui disciplina, attenendo alle modalità organizzative della struttura in esame, rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost.

Sono, invece, riconducili sia alla materia dell’ordinamento civile che a quella dell’organizzazione amministrativa dello Stato (art. 117, secondo comma, lettere l e g, Cost.), le disposizioni che prevedono la finalizzazione dei finanziamenti al sostegno delle adozioni internazionali e a garanzia del pieno funzionamento della relativa Commissione.

Per quanto attiene, infine, alla previsione volta a sostenere l’attività dell’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile di cui all’art. 17 della legge 3 agosto 1998, n. 269 (Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù), deve ritenersi che – trattandosi di misure finalizzate a prevenire la commissione di gravi fatti di reato – esse rinvengano una specifica legittimazione nella competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia dell’ordine pubblico e sicurezza, nonché in quella dell’ordinamento penale (art. 117, secondo comma, lettere h e l, Cost.).

7.1.— Dall’analisi del contenuto complessivo delle disposizioni censurate risulta, pertanto, come la relativa normativa si trovi all’incrocio di materie attribuite dalla Costituzione alla potestà legislativa statale e regionale, senza che sia individuabile un ambito materiale che possa considerarsi nettamente prevalente sugli altri. E in ipotesi di tal genere, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, la concorrenza di competenze, in assenza di criteri contemplati in Costituzione e avendo riguardo alla natura unitaria e indivisa del Fondo in esame, giustifica l’applicazione del principio di leale collaborazione (sentenze nn. 201, 24 del 2007; nn. 234 e 50 del 2005), che deve, in ogni caso, permeare di sé i rapporti tra lo Stato e il sistema delle autonomie.

La natura degli interessi implicati impone, nella specie, che tale principio si concretizzi nella previsione dello strumento dell’intesa con la Conferenza unificata, che, peraltro, è stata prevista dal legislatore con la legge ora in esame solo per l’attuazione, comprensiva anche della fase di ripartizione delle suddette risorse, delle finalità contemplate dal comma 1251; mentre il meccanismo dell’intesa deve operare con riferimento anche a quanto disposto dal comma 1250.

Né appare sufficiente, per escludere la lesività delle norme impugnate, che, di fatto, il Ministro delle politiche per la famiglia abbia disposto, con decreto del 2 luglio 2007 (Ripartizione degli stanziamenti del Fondo delle politiche per la famiglia, ai sensi dell’articolo 1, comma 1252, della legge 27 dicembre 2006, n. 296), la ripartizione degli stanziamenti del Fondo in esame d’intesa con la Conferenza unificata, per un duplice, concorrente, ordine di motivi: innanzitutto, il fatto che il suddetto decreto ministeriale sia stato adottato previa intesa con la richiamata Conferenza unificata, non incide in alcun modo sul contenuto precettivo delle disposizioni censurate, che tale meccanismo non prevedono; in secondo luogo, lo stesso decreto ha una valenza temporalmente limitata al solo anno 2007, mentre le norme impugnate proiettano la loro efficacia sul triennio 2007-2009.

Ne consegue che il comma 1252, il quale detta le modalità di distribuzione degli stanziamenti di cui ai due commi che lo precedono, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non contiene, dopo le parole «con proprio decreto», le parole «da adottare d’intesa con la Conferenza unificata» di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali).

8.— Il comma 1261 prevede, da un lato, l’incremento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità di cui all’art. 19, comma 3, del decreto-legge n. 223 del 2006, dall’altro, stabilisce che una quota debba essere destinata al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere. Nel prosieguo, tale norma demanda al Ministro per i diritti e le pari opportunità di stabilire con decreto le modalità di ripartizione delle relative risorse finanziarie, «che dovrà prevedere una quota parte da destinare all’istituzione di un Osservatorio nazionale contro la violenza sessuale e di genere e una quota parte da destinare al piano d’azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere».

In via preliminare, appare opportuno sottolineare che il comma 3 del citato art. 19 – istitutivo del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità – è stato anch’esso scrutinato da questa Corte e che, con la sentenza n. 453 del 2007, è stata ritenuta la insussistenza, in ragione del generico contenuto precettivo della norma, ivi censurata, della lesione della sfera di autonomia regionale.

Allo stesso modo, la disposizione ora in esame, prevedendo soltanto un incremento del Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità, si sottrae alle censure delle ricorrenti, in quanto non è, allo stato, idonea a incidere in alcun modo sull’autonomia finanziaria delle Regioni (sentenza n. 423 del 2004, punto 9. del Considerato in diritto).

Nella parte in cui la norma, invece, destina risorse al Fondo nazionale contro la violenza sessuale e di genere, essa, essendo finalizzata ad assicurare la prevenzione e repressione di reati, è riconducile sia all’ambito materiale dell’ordine pubblico e sicurezza, sia a quello dell’ordinamento penale, attribuiti entrambi alla competenza legislativa esclusiva statale (art. 117, secondo comma, lettere h e l, Cost.). Nondimeno, perseguendo il legislatore anche l’obiettivo di proteggere le vittime dei predetti fatti delittuosi, attraverso apposite misure di carattere sociale contenute, in particolare, nel «piano d’azione nazionale contro la violenza sessuale e di genere», deve ritenersi sussistente anche la competenza delle Regioni in materia di servizi sociali.

Non potendo comporsi il concorso di competenze statali e regionali mediante l’applicazione del principio di prevalenza, ne consegue la necessità che debbano essere previste forme di leale collaborazione che, nelle specie, avendo riguardo agli interessi implicati e alla peculiare rilevanza di quelli connessi agli ambiti materiali rimessi alla potestà legislativa esclusiva dello Stato, possono dirsi adeguatamente attuate mediante la previa acquisizione del parere della Conferenza unificata in sede di adozione del decreto di fissazione dei criteri di ripartizione del Fondo. Da ciò consegue che il comma in esame deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che il suddetto decreto sia emanato previa acquisizione del parere della Conferenza unificata.

9.— Il comma 1267 istituisce un Fondo per l’inclusione sociale degli immigrati, e finalizza lo stesso alla realizzazione di un piano per l’accoglienza degli alunni stranieri, anche per favorire il rapporto scuola‑famiglia, attraverso «l’utilizzo per fini non didattici di apposite figure professionali madrelingua quali mediatori culturali».

La questione è fondata.

Il legislatore ha inteso perseguire, come risulta anche dalla stessa denominazione del Fondo, una chiara finalità di politica sociale, prevedendo uno stanziamento di risorse finanziarie al fine di assicurare l’adozione delle suddette misure di assistenza.

Ne consegue che la norma in esame, non prevedendo un intervento pubblico connesso alla programmazione dei flussi di ingresso ovvero al soggiorno degli stranieri nel territorio nazionale, non rientra nella competenza legislativa esclusiva statale in materia di immigrazione, ma inerisce ad ambiti materiali regionali, quali quelli dei servizi sociali e dell’istruzione (sentenza n. 300 del 2005, nonché, sia pure con riferimento ad una fattispecie diversa, sentenza n. 156 del 2006). Del resto, lo stesso legislatore statale ha attribuito alle Regioni il compito di adottare misure di «integrazione sociale» nell’ambito «delle proprie competenze» secondo quanto previsto dall’art. 42 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante «Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero».

D’altronde, non è senza significato che la direttiva emanata in data 9 agosto 2007 dal Ministro della solidarietà sociale, di concerto con il Ministro per i diritti e le pari opportunità, individui, «in ordine alle modalità di utilizzo del suddetto Fondo», gli obiettivi e le linee guida generali, nonché le priorità finanziabili, in aree di intervento di specifica attinenza ai servizi sociali.

Deve, pertanto, essere dichiarata la illegittimità costituzionale della norma impugnata per violazione degli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost.

Anche in questo caso, così come si è già rilevato a proposito dei finanziamenti a favore delle scuole paritarie (punto 6), deve ritenersi che la natura sociale delle provvidenze erogate, le quali ineriscono a diritti fondamentali, richiede che si garantisca, in ossequio ai principi di solidarietà sociale, continuità di erogazione, con conseguente salvezza degli eventuali procedimenti di spesa in corso, anche se non esauriti (sentenze n. 423 del 2004 e n. 370 del 2003).

10.— Infine, il comma 1290 prevede che l’autorizzazione di spesa di cui al comma 2 dell’art. 19 del decreto-legge n. 223 del 2006 è integrata di 120 milioni di euro per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009.

La questione è inammissibile.

La Corte, con la più volte citata sentenza n. 453 del 2007, ha ritenuto che il suddetto art. 19, comma 2 – istitutivo del Fondo per le politiche giovanili – per il suo contenuto precettivo, del tutto generico, non sia idoneo a ledere gli evocati parametri costituzionali.

Alla stessa conclusione deve pervenirsi per quanto attiene alla norma ora censurata, atteso che essa, limitandosi a disporre un mero incremento del Fondo, nella misura ivi stabilita, non è suscettibile di violare, allo stato, l’autonomia normativa e finanziaria delle Regioni.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONE

riservata a separate pronunce la decisione delle ulteriori questioni di legittimità costituzionale della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007) promosse dalla Regione Veneto e dalla Regione Lombardia con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 389, della legge n. 296 del 2006;

b) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 635, della legge n. 296 del 2006;

c) dichiara l’illegittimità costituzionale del comma 1252 (in riferimento ai commi 1250 e 1251) dell’art. 1 della legge n. 296 del 2006, nella parte in cui non contiene, dopo le parole «con proprio decreto», le parole «da adottare d’intesa con la Conferenza unificata»;

d) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1261, della legge n. 296 del 2006, nella parte in cui non contiene, dopo le parole «il Ministro per i diritti e le pari opportunità» le parole «previa acquisizione del parere della Conferenza unificata»;

e) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1267, della legge n. 296 del 2006;

f) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1290, della legge n. 296 del 2006, promossa dalla Regione Veneto, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

g) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 389, 635, 1250, 1251, 1252, 1261, 1267 e 1290, della legge n. 296 del 2006, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, nonché all’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), dalla Regione Veneto, con il ricorso di cui in epigrafe;

h) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 389, 1252, 1261 e 1267, della legge n. 296 del 2006, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Regione Lombardia, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 febbraio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 marzo 2008.