Sentenza n. 423 del 2004

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SENTENZA N. 423

ANNO 2004

 

Commento alla decisione di

Elena Vivaldi

Il Fondo nazionale per le politiche sociali alla prova della Corte costituzionale

(per gentile concessione del Forum di Quaderni costituzionali)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio       ONIDA                                                    Presidente               

- Carlo          MEZZANOTTE                                       Giudice

- Fernanda    CONTRI                                                           

- Guido         NEPPI MODONA                                            

- Piero Alberto CAPOTOSTI                                                 

- Annibale     MARINI                                                           

- Franco        BILE                                                                  

- Giovanni Maria    FLICK                                                     

- Francesco   AMIRANTE                                                     

- Ugo            DE SIERVO                                                     

- Romano      VACCARELLA                                               

- Paolo          MADDALENA                                                

- Alfonso      QUARANTA                                                    

ha pronunciato la seguente                                            

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 46, commi 2, 3, 4, 5, 6, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003); dell’art. 21, comma 6 e parte del comma 7, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326; dell’art. 3, commi 101, 116 e 117 e dell’art. 4, comma 159, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), promossi con un ricorso della Regione Umbria, notificato il 28 febbraio 2003, depositato in cancelleria il successivo 7 marzo ed iscritto al n. 22 del registro ricorsi 2003, con tre ricorsi della Regione Emilia-Romagna, rispettivamente notificati il 1° marzo 2003, il 23 gennaio e il 24 febbraio 2004, depositati in cancelleria il 7 marzo 2003, il 29 gennaio e il 4 marzo 2004 ed iscritti al n. 25 del registro ricorsi 2003 ed ai nn. 13 e 33 del registro ricorsi 2004.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 6 luglio 2004 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi l’avvocato Giovanni Tarantini per la Regione Umbria, l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna e l’avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.¾ Con ricorso (r. ric. n. 22 del 2003) notificato il 28 febbraio 2003 e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 7 marzo, la Regione Umbria ha proposto questione di legittimità costituzionale, in via principale, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria  2003), impugnando – tra le altre – le disposizioni contenute nei commi 2 e 4 dell’art. 46, per violazione dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione.

L’art. 46, comma 2, attribuisce al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e d’intesa con la Conferenza unificata, il compito di disporre annualmente con propri decreti la ripartizione delle risorse del Fondo di cui all’art. 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), disponendo che sia assicurato prioritariamente l’integrale finanziamento degli interventi che costituiscono diritti soggettivi, nonché che sia destinato almeno il 10 per cento delle risorse a sostegno delle politiche in favore delle famiglie di nuova costituzione, in particolare per l’acquisto della prima casa di abitazione e per il sostegno alla natalità.

La Regione Umbria rileva la difficoltà di «comprendere come giuridicamente l’intervento possa essere di per sé costitutivo di una posizione di diritto soggettivo», se non ritenendo che la disposizione impugnata intenda «fare riferimento a prestazioni a carico dell’Istituto nazionale per la previdenza sociale (INPS)», ciò che, però, equivarrebbe a «sottrarre indebitamente a stanziamenti destinati a politiche sociali quote per interventi di altra natura». Analogamente, la denunciata violazione del quarto comma dell’art. 117 della Costituzione, sarebbe, altresì, evidenziata dalla circostanza che «la disposizione in esame non si limita ad indicare degli obiettivi generali di politica sociale, ma fissa delle priorità ben determinate, sovrapponendosi alla competenza in tale materia del legislatore regionale».

La norma, infine, contenuta nel comma 4 dell’impugnato art. 46, relativa al «monitoraggio sull’utilizzo dei fondi», essendo «consequenziale alla fissazione delle priorità sopra evidenziate»  sarebbe, per gli aspetti prima sottolineati, invasiva della potestà legislativa regionale.

2.¾ Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la declaratoria di inammissibilità, o comunque il rigetto, del ricorso suddetto.

In particolare, la questione proposta sarebbe infondata, atteso che lo Stato avrebbe legittimamente esercitato la potestà che gli deriva dalla lettera m) dell’art. 117, secondo comma, della Costituzione, limitandosi a fissare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali, al fine di garantirne la uniformità su tutto il territorio nazionale.

Ciò premesso, l’Avvocatura generale dello Stato conclude evidenziando come la «fissazione delle priorità» non esulerebbe, pertanto, dalle competenze dello Stato.

3.¾ Con ricorso (r. ric. n. 25 del 2003) notificato il 1° marzo e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 7 marzo, la Regione Emilia-Romagna ha proposto questione di legittimità costituzionale, in via principale, della medesima legge n. 289 del 2002, censurando – unitamente a numerose altre disposizioni che non vengono qui in rilievo – i commi 2, 3, 4, 5 e 6 dell’art. 46, che disciplinano «la gestione del Fondo nazionale per le politiche sociali».

Sul presupposto che – dopo l’intervenuta riforma del Titolo V della Costituzione – l’oggetto delle norme censurate rientra nell’ambito della competenza legislativa residuale delle Regioni, tranne per ciò che riguarda la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, la ricorrente sottolinea che, contrariamente a quanto previsto dal comma 2 dell’articolo impugnato, spetta alle Regioni assicurare l’integrale finanziamento degli interventi che costituiscono diritti soggettivi. Per il medesimo motivo, inoltre, risulterebbe privo di base costituzionale l’ulteriore vincolo rappresentato dalla destinazione di almeno il 10 per cento delle risorse del Fondo a sostegno delle politiche in favore delle famiglie di nuova costituzione, con preferenza per finanziamenti relativi all’acquisto della prima casa di abitazione e al sostegno della natalità, giacché si tratta – secondo la ricorrente – «di concrete scelte di politica sociale, la cui priorità può variare nelle diverse Regioni, secondo criteri di decisione ormai regionali».

Né ad escludere la denunciata violazione del nuovo criterio di distribuzione della competenza legislativa in materia di "politica sociale” potrebbe invocarsi la previsione secondo cui «la ripartizione del Fondo tra i diversi usi avverrebbe "d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281”», giacché, in particolare, la previsione di un sistema siffatto equivarrebbe a perpetuare «un meccanismo centralizzato, sia pure comprendente la partecipazione delle Regioni», non più in linea con l’attuale assetto costituzionale.

La ricorrente, inoltre, censura la previsione di cui al comma 3 dell’art. 46 relativo alla fissazione, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, dei livelli essenziali delle prestazioni. Essa precisa, in proposito, che la propria contestazione non investe tale meccanismo in sé considerato, ma riguarda «invece la parte in cui si prevede che la determinazione di tali livelli avvenga "nei limiti delle risorse ripartibili del Fondo nazionale per le politiche sociali”», e ciò in quanto dovrebbe essere «la stessa misura complessiva del Fondo» a formare «oggetto di una determinazione concordata tra Stato e Regioni, al fine di assicurarne una dimensione che permetta un livello delle prestazioni adeguato, anche se non ottimale».

Le censure della Regione Emilia-Romagna investono, infine, anche le previsioni dei commi 5 e 6 dell’art. 46 della legge n. 289 del 2002. 

In relazione al primo di tali commi – che, per l’ipotesi di «mancato utilizzo delle risorse da parte degli enti destinatari entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui sono state assegnate», sancisce la revoca dei finanziamenti stanziati – la ricorrente evidenzia che, mentre il persistere di un vincolo di destinazione «può essere accettato in quanto inevitabile, nel presente stato di inattuazione dell’art. 119» della Costituzione, la previsione, invece, di un gravoso termine di decadenza, potendo frustrare la programmazione e la gestione di fondi da parte della singola Regione, rappresenterebbe una violazione dell’autonomia finanziaria della Regione stessa.

Censurata è, da ultimo, la previsione del comma 6 dell’articolo in questione, giacché il conferimento, per il triennio 2003-2005, alla Federazione dei maestri del lavoro d’Italia di un contributo annuo di 260.000 euro integrerebbe «una destinazione legislativa arbitraria ed irrazionale, compiuta al di fuori di una competenza statale all’intervento». Né, d’altra parte, la sua illegittimità costituzionale verrebbe meno per il fatto che all’onere relativo si provveda con risorse prelevate dal Fondo per l’occupazione di cui all’art. 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell’occupazione), convertito, con modificazioni, nella legge 19 luglio 1993, n. 236, ove si consideri – da un lato – che «anche la tutela del lavoro è egualmente materia assegnata alle Regioni dall’art. 117, comma 3», della Costituzione, nonché – dall’altro – che «se il legislatore intende destinare i fondi a fini assistenziali, come sono quelli in questione, la relativa gestione non può che seguire le regole proprie del settore».

4.¾ Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto della questione.

Premesso che il Fondo nazionale per le politiche sociali è costituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri ed è alimentato con risorse statali, la difesa erariale assume che «non è certo invasiva della sfera di competenza regionale la previsione che al riparto delle sue risorse si provveda d’intesa con la Conferenza unificata, con prioritaria assicurazione degli interventi costituenti diritti soggettivi e destinazione di una percentuale minima a sostegno di politiche in favore di famiglie di nuova costituzione».

Con specifico riferimento, poi, ai singoli rilievi formulati dalla ricorrente, l’Avvocatura generale dello Stato deduce la genericità della censura relativa alla mancanza di una determinazione concordata tra Stato e Regioni della «stessa misura complessiva del Fondo».

Nessuna doglianza, rileva la difesa erariale, sarebbe formulata in ordine al comma 4. Sarebbe, inoltre, «coerente e logica […] la contestata disposizione di cui al comma 5, mirando la stessa ad assicurare il sollecito utilizzo delle risorse da parte degli enti destinatari». Non sarebbe, infine, «arbitraria ed irrazionale» la previsione del comma 6, stabilendo un contributo, di limitato importo, a favore della Federazione dei maestri del lavoro d’Italia e ciò in relazione alle finalità «di rilievo sociale» dalla stessa perseguite.

5.¾ Con ricorso (r. ric. n. 33 del 2004) notificato il 24 febbraio 2004 e depositato presso la cancelleria della Corte il 4 marzo successivo, la Regione Emilia-Romagna ha proposto questione di legittimità costituzionale, in via principale, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), censurando, in particolare, l’art. 3, commi 101, 116 e 117, nonché l’art. 4, comma 159.  

5.1.— L’ art. 3, comma 101, prevede, espone la ricorrente, che lo Stato – «nei limiti delle risorse preordinate allo scopo dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali nell’ambito del Fondo nazionale per le politiche sociali […], e detratte una quota fino a 20 milioni di euro per l’anno 2004 e fino a 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006 da destinare all’ulteriore finanziamento delle finalità previste dall’art. 2, comma 7, della legge 27 dicembre 2002 n. 289, nonché una quota di 15 milioni di euro  per ciascuno degli anni 2004, 2005 e 2006 da destinare al potenziamento dell’attività di ricerca scientifica e tecnologica» – concorra «al finanziamento delle Regioni che istituiscono il reddito di ultima istanza quale strumento di accompagnamento economico ai programmi di reinserimento sociale, destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale ed i cui componenti non siano beneficiari di ammortizzatori sociali destinati a soggetti privi di lavoro».

La norma impugnata – secondo la Regione Emilia-Romagna – sarebbe lesiva delle attribuzioni regionali per diversi profili, giacché, innanzitutto, «dispone unilateralmente del Fondo nazionale per le politiche sociali», atteso che, tramite essa, «si scorporano dal Fondo […] alcuni cospicui stanziamenti destinati a sostenere specifiche linee d’intervento, genericamente riferibili alle politiche sociali, disposte unilateralmente dal Governo», con conseguente palese violazione dell’autonomia finanziaria regionale, garantita dall’art. 119 Cost., e del principio di leale collaborazione.

La disposizione de qua – nella misura in cui «distoglie dal Fondo nazionale per le politiche sociali uno stanziamento cospicuo (20 milioni di euro per il 2004, il doppio per ciascuno degli anni successivi) per aumentare consistentemente lo stanziamento entro il quale possono essere concessi contributi finalizzati alla riduzione degli oneri effettivamente rimasti a carico per l’attività educativa di altri componenti del medesimo nucleo familiare presso scuole paritarie» – riduce, infatti, «le risorse trasferite alle Regioni, per sostenere viceversa interventi diretti dello Stato».

Ciò premesso, risulterebbe evidente – secondo la ricorrente – la lesione sia delle attribuzioni legislative e amministrative della Regione, sia della sua autonomia finanziaria, giacché l’«ulteriore finanziamento di un fondo settoriale in materia regionale, gestito dal centro, costituisce violazione dell’art. 117, comma 4, 118 e 119 Cost.».

Il comma censurato, inoltre, presenterebbe un terzo profilo d’illegittimità costituzionale, giacché detrarrebbe dal Fondo stesso risorse per interventi genericamente destinati al potenziamento dell’attività di ricerca scientifica e tecnologica, così incidendo su una materia rientrante nell’ambito delle competenze concorrenti, ciò che precluderebbe «allo Stato d’intervenire con misure unilaterali e per di più indefinite, anziché con norme di principio e con il pieno coinvolgimento delle Regioni».

Infine, rileva la ricorrente che l’art. 3, comma 101, nell’introdurre «il "reddito di ultima istanza” destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione e privi di altri ammortizzatori sociali» e, dunque, intervenendo, senza coinvolgimento delle Regioni, «nella materia delle politiche sociali», di competenza regionale, con una misura che «non può essere ricondotta ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali», violerebbe il riparto delle attribuzioni e il principio di leale collaborazione, nonché la stessa autonomia finanziaria regionale.

Con specifico riferimento a tale ultimo profilo, la ricorrente evidenzia come l’attuale testo dell’art. 119 della Costituzione consenta allo Stato – secondo quanto chiarito dalla stessa giurisprudenza costituzionale (si richiamano sul punto le sentenze di questa Corte numeri 49 e 16 del 2004 e 370 del 2003) – di «disporre interventi specifici in materie che non appartengono alla sua potestà esclusiva, ma riguardano ambiti di competenza regionale, solo con risorse aggiuntive e per finalità perequative», le une come le altre non essendo, però, ravvisabili nell’ipotesi in esame.

Ricorrerebbe, dunque, nel caso di specie «un finanziamento "speciale” alle Regioni, condizionato ad una loro iniziativa di politica sociale», disciplinata, però, dalla stessa legge statale, di talché, «in una materia di competenza regionale, lo Stato prevede un finanziamento vincolato ad una specifica destinazione a favore non di determinate Regioni (come richiede l’art. 119, quinto comma, della Costituzione) ma della generalità delle Regioni, violando la loro autonomia finanziaria». Sarebbe, infine, lesa la stessa autonomia legislativa regionale, dato che, in materia rientrante nell’art. 117, quarto comma, lo Stato «interviene attraverso la disciplina dell’attività che la Regione dovrebbe compiere per usufruire del concorso statale alla spesa».

5.2.¾ La ricorrente censura, inoltre, le previsioni contenute nei commi 116 e 117 del medesimo art. 3 della legge n. 350 del 2003.

Il comma 116, in particolare, stabilisce che l’incremento della dotazione del Fondo nazionale per le politiche sociali – disposto per l’anno 2004 dall’art. 21, comma 6, del d.l. n. 269 del 2003 – debba essere utilizzato nel medesimo anno 2004 per le seguenti finalità: a) politiche per la famiglia e in particolare per anziani e disabili, per un importo pari a 70 milioni di euro; b) abbattimento delle barriere architettoniche di cui alla legge 9 gennaio 1989, n. 13, per un importo pari a 20 milioni di euro; c) servizi per l’integrazione scolastica degli alunni portatori di handicap, per un importo pari a 40 milioni di euro; d) servizi per la prima infanzia e scuole dell’infanzia, per un importo pari a 67 milioni di euro.

Il comma 117, invece, stabilisce che «gli interventi di cui alle lettere c) e d) del comma 116, limitatamente alle scuole dell’infanzia, devono essere adottati previo accordo tra i Ministeri dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del lavoro e delle politiche sociali e le Regioni».

Orbene, il summenzionato comma 116 sarebbe – secondo la ricorrente – lesivo delle attribuzioni regionali, giacché, al pari del già esaminato comma 101 del medesimo art. 3, «dispone unilateralmente del Fondo nazionale per le politiche sociali», posto che dallo stesso «si scorporano […] alcune specifiche linee di finanziamento, vincolandone la destinazione ad obiettivi scelti unilateralmente dal Governo», con palese «violazione dell’autonomia legislativa (non trattandosi di materia concorrente, e in ogni caso non di principio fondamentale di materia) e finanziaria regionale, garantita dall’art. 119 Cost., nonché del principio di leale collaborazione».

Quanto, invece, al successivo comma 117, la censura prospettata si fonda sulla constatazione che la disposizione ivi contenuta – nello stabilire «che i servizi per l’integrazione scolastica degli alunni portatori di handicap e per la scuola d’infanzia "devono essere adottati previo accordo” tra ministri competenti e le Regioni» – parrebbe «voler imporre alle Regioni di esercitare le proprie attribuzioni, non con la garanzia di una definizione di prestazioni essenziali […] compiuta dal legislatore nazionale, ma attraverso il condizionamento da parte degli organi politici o addirittura burocratici dello Stato», con ciò «mortificando l’autonomia legislativa e amministrativa regionale», in violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione.

5.3.¾ La Regione Emilia-Romagna ha impugnato, infine, anche la previsione contenuta nell’art. 4, comma 159, della medesima legge n. 350 del 2003.

Pone in luce la ricorrente come la disposizione de qua – nello stabilire «l’erogazione di contributi in conto capitale per "il sostegno e l’ulteriore potenziamento dell’attività di ricerca scientifica e tecnologica”, rinviando la determinazione delle misure dei contributi, della tipologia degli interventi ammessi e dei destinatari ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri» – violerebbe l’autonomia finanziaria regionale garantita dall’art. 119 della Costituzione. La norma censurata, infatti, in una materia – qual è la "ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi” – assegnata dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione alla potestà concorrente, prevede interventi diretti statali, i quali sarebbero, invece, ammessi soltanto nelle materie di competenza esclusiva dello Stato.

6.¾ Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto delle questioni, ovvero la declaratoria d’inammissibilità, con riserva di argomentare con successiva memoria.

7.¾ Con ordinanza del 10 giugno 2004, emanata all’esito dell’udienza pubblica 8 giugno 2004, è stato rinviato alla successiva udienza già fissata per il 6 luglio (in ragione degli evidenti profili di connessione con le questioni relative all’art. 3, commi 116 e 117, della legge n. 350 del 2003), l’esame di taluni profili del ricorso n. 13 del 2004; pertanto, la Corte risulta investita anche di tale impugnativa, proposta sempre dalla Regione Emilia-Romagna.

Quest’ultima, infatti, con ricorso notificato il 23 gennaio 2004 e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo giorno 29, ha sollevato questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326.

Rilevano, in questa sede, le questioni aventi ad oggetto esclusivamente il comma 6 e parte del comma 7 dell’art. 21 del suddetto d.l. n. 269 del 2003.

Il comma 6 stabilisce che per il finanziamento delle politiche in favore delle famiglie il Fondo nazionale per le politiche sociali è incrementato di 232 milioni di euro per l’anno 2004.

Il comma 7 prevede i mezzi di copertura della relativa spesa.

La ricorrente precisa, infine, che la disposizione in esame è stata "integrata” dall’art. 3, comma 116, della legge n. 350 del 2003 (con cui sono stati specificati gli interventi per i quali il Fondo nazionale per le politiche sociali può essere utilizzato nell’anno 2004, con indicazione del relativo riparto delle risorse), disposizione oggetto di separata impugnazione, sempre proposta dalla Regione Emilia-Romagna (r. ric. n. 33 del 2004).

Deduce, in particolare, la ricorrente la violazione dell’art. 119 della Costituzione.

Sul punto la Regione Emilia-Romagna – richiamato, in particolare, il contenuto della sentenza n. 370 del 2003 – evidenzia come, alla stregua del citato parametro costituzionale, sia espressamente stabilito che le funzioni pubbliche regionali e locali debbano essere "integralmente” finanziate tramite i proventi delle entrate proprie e la compartecipazione al gettito dei tributi erariali riferibili al territorio dell’ente interessato, nonché con quote del fondo perequativo senza vincoli di destinazione.

Nel caso di specie, sussisterebbe, invece, la violazione dell’autonomia finanziaria sia di entrata che di spesa delle Regioni e degli enti locali «dal momento che l’attività dello speciale servizio pubblico costituito dagli interventi a favore della famiglia rientra palesemente nella sfera delle funzioni proprie» delle stesse Regioni e degli enti locali e non potrebbe, in quanto tale, che essere finanziata secondo le modalità sopra indicate.

Da qui, dunque, la illegittimità non solo del singolo atto di disposizione del Fondo, ma della stessa previsione di un Fondo nazionale per le politiche sociali «che non appare più compatibile con il novellato art. 119 della Costituzione».

Né, d’altra parte, potrebbe essere invocata, ad avviso della ricorrente, la perdurante inattuazione dell’art. 119 della Costituzione, in quanto lo Stato può e deve fin d’ora agire in conformità al nuovo riparto di competenze e alle nuove regole, disponendo i trasferimenti senza vincoli di destinazione, o, se del caso, passando attraverso il filtro dei programmi regionali, coinvolgendo dunque le Regioni interessate nei processi decisionali concernenti il riparto e la destinazione dei fondi, e rispettando, altresì, l’autonomia di spesa degli enti locali (si richiama la sentenza n. 16 del 2004).

8.— Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso venga rigettato.

La difesa erariale – riservandosi di argomentare con una successiva memoria, dopo aver acquisito documentazione inerente l’attività svolta dal Fondo negli anni dal 1998 al 2003 – sottolinea che nel ricorso, pur non sostenendosi che il citato articolo sia in contrasto con la legge costituzionale n. 3 del 2001, se ne «sollecita», però, «la soppressione», ritenendo esso non più compatibile con il nuovo art. 119 della Costituzione.

Successivamente l’Avvocatura generale dello Stato ha depositato, in data 4 maggio 2004, una relazione dell’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, sugli interventi effettuati dal Fondo nazionale per le politiche sociali negli anni dal 1998 al 2003, sulle risorse finanziarie amministrate in tali anni e sui programmi ai quali veniva dedicato lo stanziamento di 232 milioni di euro, previsto dalla norma in esame.

La difesa dello Stato ha, altresì, con memoria del 21 maggio 2004, dedotto, per quanto interessa, l’inammissibilità del ricorso per genericità.

9.— In prossimità dell’udienza pubblica, l’Avvocatura generale dello Stato ha svolto con memorie del 14 giugno 2004, ulteriori considerazioni sulle censure proposte dalla ricorrente Regione Emilia-Romagna nei confronti dell’art. 46, commi 2, 3, 4, 5 e 6, della legge n. 289 del 2002 (r. ric. n. 25 del 2003).

Innanzitutto, l’Avvocatura generale dello Stato ha ribadito, in relazione al contenuto di cui al comma 2 dell’art. 46, che lo stesso sarebbe chiaramente riconducibile alla competenza esclusiva statale prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.

Con riferimento, invece, alle censure che investono il comma 3 dell’articolo 46, la difesa erariale ha osservato – in relazione alla doglianza della ricorrente, secondo cui è la stessa misura complessiva del Fondo che «dovrebbe essere oggetto di una determinazione concordata tra Stato e Regioni» – come non sia dato comprendere «quale sia il fondamento costituzionale di siffatta affermazione», specie ove si consideri che «l’alimentazione (e quindi la "dimensione legale”) del Fondo stesso, con gli ivi previsti stanziamenti, è puntualmente regolata nel comma 1, peraltro non impugnato, del medesimo articolo».

Nega, inoltre, l’Avvocatura generale dello Stato – quanto alle censure che investono il comma 5 dell’articolo de quo – che il potere statale di revoca dei finanziamenti incida «sull’autonomia della Regione accertata "inadempiente”». Reputa, anzi, la «previsione di un termine massimo […] per l’effettivo utilizzo» delle risorse erogate proprio «coessenziale al "meccanismo del Fondo”», posto che le finalità di quest’ultimo sarebbero «chiaramente messe in crisi», ove si consentisse all’ente destinatario delle risorse suddette di «conservare sine die risorse non impiegate».

Immune dal denunciato vizio di incostituzionalità sarebbe, infine, il comma 6 del summenzionato art. 46 della legge n. 289 del 2002.

Non integrerebbe, difatti, alcuna violazione della potestà legislativa della Regione (in materia di tutela del lavoro), né comprometterebbe la sua autonomia finanziaria di spesa, la previsione dell’erogazione di una («del resto modesta») somma, a carico del Fondo per l’occupazione di cui all’art. 7 del decreto-legge n. 148 del 1993 in favore della Federazione dei maestri del lavoro d’Italia. 

10.¾ Con memoria del 17 giugno 2004, la Regione Emilia-Romagna ha specificato le censure – proposte con il ricorso n. 25 del 2003 – aventi ad oggetto le previsioni contenute nell’art. 46, commi 2, 3, 4, 5 e 6, della legge n. 289 del 2002.

Prendendo posizione sulle diverse argomentazioni difensive sviluppate dall’Avvocatura generale dallo Stato, la ricorrente, in particolare, esclude, che «il riferimento ai "diritti soggettivi”» possa «fondare la competenza statale», giacché non si tratta, nel caso di specie, «di garantire i livelli essenziali di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione».

11.¾ Con memoria del 19 giugno 2004, l’Avvocatura generale dello Stato ha approfondito le difese svolte in relazione al ricorso n. 22 del 2003, proposto dalla Regione Umbria, avente ad oggetto sempre le previsioni contenute nell’art. 46, commi 2 e 4, della legge n. 289 del 2002.

Secondo la difesa erariale le «doglianze proposte appaiono infondate», atteso che l’art. 117, secondo comma, della Costituzione «affida alla legislazione esclusiva dello Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali di cui alla lettera m)», nonché «le norme in materia di previdenza sociale (lettera o)», ed ancora «la "perequazione delle risorse finanziarie” (lettera e), perequazione da realizzare con ogni strumento legislativo e non soltanto attraverso la costituzione del Fondo perequativo di cui all’art. 119, terzo comma, della Costituzione».

12.¾ La Regione Umbria, con memoria del 22 giugno 2004, ha sviluppato le censure mosse nei confronti dell’art. 46, commi 2 e 4, della legge n. 289 del 2002.

In particolare, la ricorrente rileva che il contenuto della norma in esame non sarebbe riconducibile alla materia di cui all’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.

Detta norma, infatti, «non fissa standards relativi a prestazioni da assicurare», ma indica al più (e segnatamente allorché vincola il 10 per cento del Fondo all’acquisto della prima casa di abitazione e al sostegno della natalità) «soltanto delle finalità» da conseguire, come confermerebbe, in particolare, la previsione del successivo comma 3, il quale – quanto all’effettiva determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni contemplate dal comma precedente – rinvia allo «specifico procedimento ivi previsto».

La Regione Umbria, inoltre, svolge argomentazioni a sostegno della censura formulata nei confronti dell’art. 46, comma 4.

13.¾ Con la seconda memoria, anch’essa del 14 giugno 2004, l’Avvocatura generale dello Stato ha svolto ulteriori considerazioni in ordine al ricorso n. 33 del 2004, proposto dalla medesima Regione Emilia-Romagna.

La difesa erariale, in particolare, si sofferma sulle doglianze relative alla previsione contenuta nell’art. 4, comma 159, della legge n. 350 del 2003, evidenziando come la ricorrente sembra muovere da una lettura in base alla quale «allo Stato sarebbe impedito intervenire direttamente e con proprie risorse finanziarie a sostegno della ricerca», e ciò perché la ricerca scientifica e tecnologica rientrerebbe nell’ambito della competenza concorrente.

Sul presupposto, però, che la ricerca sia, «per sua natura, a dimensione mondiale» e che si svolga «in un continuo dialogo tra centri di eccellenza», la difesa erariale osserva che la ricerca scientifica e tecnologica «è dunque attività per la quale l’ "esercizio unitario” (art. 118, comma primo, della Costituzione) costituisce, per così dire, la dimensione minima», di talché «sarebbe incongruo dimensionare la ricerca e le istituzioni che la coltivano sulla misura di ciascun territorio regionale e del relativo ente territoriale».

La conclusione dell’Avvocatura generale dello Stato è, pertanto, nel senso che la competenza legislativa nella materia in esame sia concorrente «in una accezione che non preclude totalmente ai legislatori regionali qualsiasi iniziativa a "sostegno”» (specie quando essa sia indirizzata ai settori produttivi dell’economia locale), consentendo al tempo stesso «al Parlamento nazionale di assumere proprie iniziative di diretto "sostegno” quando vi è duplice inerenza alle (o contiguità con le) materie o funzioni di cui all’art. 117, primo e secondo comma, della Costituzione, oppure quando sussistono esigenze di "esercizio unitario”».

14.¾ Con memoria del 19 giugno 2004, l’Avvocatura generale dello Stato ha ulteriormente svolto le proprie difese in relazione al ricorso n. 33 del 2004, proposto dalla Regione Emilia-Romagna, avente ad oggetto le previsioni contenute nell’art. 3, commi 101, 116 e 117, della legge n. 350 del 2003.

Rileva la difesa erariale che il primo dei commi sopra menzionati, non lederebbe le autonomie regionali, in quanto lascerebbe le Regioni libere di istituire o meno il "reddito di ultima istanza”, devolvendo a quelle che lo istituiscano parte del Fondo nazionale per le politiche sociali, dando così vita – nel settore dei servizi sociali – ad un sistema di «cofinanziamento».

15.¾ Con memoria del 18 giugno 2004, la Regione Emilia-Romagna – replicando alle osservazioni svolte dall’Avvocatura generale dello Stato con memoria del 21 maggio 2004 – insiste per la declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 21, commi 6 e parte del comma  7, del decreto legge n. 269 del 2003 (r. ric. n. 13 del 2004).

La ricorrente contesta l’eccezione d’inammissibilità del ricorso – per genericità delle censure ivi contenute – sollevata dalla difesa erariale; assume, infatti, la Regione Emilia-Romagna, replicando ai rilievi sollevati dall’Avvocatura generale dello Stato, di avere, nel proprio ricorso, «espressamente lamentato la violazione dell’art. 119 della Costituzione» (e ciò «argomentando e invocando» la sentenza di questa Corte n. 370 del 2003).

Considerato in diritto

1.― Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, con quattro distinti ricorsi, hanno proposto questioni di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, di numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, e della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004).

1.1.― In particolare, la Regione Umbria (r. ric. n. 22 del 2003) ha impugnato l’art. 46, commi 2 e 4, della legge n. 289 del 2002, mentre la Regione Emilia-Romagna (r. ric. n. 25 del 2003) ha impugnato lo stesso art. 46 nei commi 2, 3, 4, 5 e 6. Entrambe le impugnazioni censurano le disposizioni concernenti il Fondo nazionale per le politiche sociali, istituito dall’art. 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), osservando che la materia trattata, rientrando nell’ambito della competenza residuale delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione, non potrebbe formare oggetto di disciplina da parte della legge statale. Questa, pertanto, avrebbe invaso sfere di competenza riservate dalla Costituzione all’autonomia regionale, nonché violato, secondo la sola Regione Emilia-Romagna, anche l’art. 119 della Costituzione.

1.2.― Inoltre, la Regione Emilia-Romagna (r. ric. n. 13 del 2004) ha impugnato le disposizioni dell’art. 21, comma 6 e parte del comma 7, del decreto-legge n. 269 del 2003, là dove prevedono l’incremento del Fondo nazionale per le politiche sociali e la relativa copertura, per il finanziamento delle politiche in favore delle famiglie. Tali disposizioni vengono censurate sotto il profilo della violazione dell’autonomia finanziaria delle Regioni.

1.3.― Infine, la stessa Regione Emilia-Romagna (r. ric. n. 33 del 2004) ha impugnato le disposizioni contenute nell’art. 3, commi 101, 116 e 117, nonché quelle contenute nell’art. 4, comma 159, della legge n. 350 del 2003, censurandole sotto il profilo della violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione, in base al rilievo che illegittimamente la legge dello Stato avrebbe invaso sfere di competenza regionale con norme disciplinanti la utilizzazione del Fondo in questione, anche in palese violazione dell’autonomia finanziaria propria delle Regioni.

Le impugnazioni di cui innanzi vengono trattate separatamente rispetto alle altre questioni proposte e, per ragioni di omogeneità di materia, devono essere decise, previa riunione in parte qua dei ricorsi, con la medesima sentenza.

2.― Considerato che tutti gli atti di impugnazione, sia pure sotto diversi angoli prospettici, censurano l’attuale sistema di disciplina e finanziamento della spesa sociale e, in particolare, le modalità di "gestione” delle risorse finanziarie del Fondo nazionale delle politiche sociali, in quanto ritenute lesive dell’autonomia finanziaria delle Regioni, è opportuno, prima di procedere all’analisi specifica delle singole censure, richiamare i nuovi principî fissati dall’art. 119 della Costituzione successivamente alla riforma del Titolo V, di cui alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), nonché ripercorrere le linee fondamentali di evoluzione della normativa relativa alla istituzione e al funzionamento del suddetto Fondo.

3.― La giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di riconoscere in più occasioni (sentenze numeri 320, 49, 37, 16 del 2004 e 370 del 2003) che, sul piano finanziario, in base al nuovo testo dell’articolo 119, le Regioni – come gli enti locali – sono dotate di «autonomia finanziaria di entrata e di spesa» (primo comma) e godono di «risorse autonome» rappresentate da tributi ed entrate propri, nonché dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al proprio territorio (secondo comma). E per i territori con minore capacità fiscale per abitante, la legge dello Stato istituisce un fondo perequativo «senza vincoli di destinazione» (terzo comma). Nel loro complesso tali risorse devono consentire alle Regioni ed agli altri enti locali «di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite» (quarto comma). Non di meno, al fine di promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, di rimuovere gli squilibri economici e sociali, di favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona o di provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato può destinare «risorse aggiuntive» ed effettuare «interventi speciali» in favore «di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni» (quinto comma).

3.1.― L’attuazione di questo disegno costituzionale richiede, però, «come necessaria premessa, l’intervento del legislatore statale, il quale, al fine di coordinare l’insieme della finanza pubblica, dovrà non solo fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma anche determinare le grandi linee dell’intero sistema tributario, e definire gli spazi e i limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni ed enti locali» (sentenza n. 37 del 2004). Ed è evidente come ciò presupponga la definizione di una disciplina transitoria in grado di consentire l’ordinato passaggio dall’attuale  sistema – caratterizzato dalla permanenza di una finanza regionale ancora in non piccola parte "derivata”, cioè dipendente dal bilancio statale, e da una disciplina statale unitaria di tutti i tributi, con limitate possibilità delle Regioni e degli enti locali di effettuare autonome scelte – ad un nuovo sistema (sentenze numeri 320 e 37 del 2004).

3.2.― Tuttavia, deve ritenersi che l’art. 119 della Costituzione ponga, sin da ora, precisi limiti al legislatore statale nella disciplina delle modalità di finanziamento delle funzioni spettanti al sistema delle autonomie.

Innanzitutto, non sono consentiti finanziamenti a destinazione vincolata, in materie e funzioni la cui disciplina spetti alla legge regionale, siano esse rientranti nella competenza esclusiva delle Regioni ovvero in quella concorrente, pur nel rispetto, per quest’ultima, dei principi fondamentali fissati con legge statale (sentenze numeri 16 del 2004 e 370 del 2003). D’altronde, come precisato con la sentenza n. 16 del 2004, ove non fossero osservati tali limiti e criteri, il ricorso a finanziamenti ad hoc rischierebbe di divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, di ingerenza dello Stato nell’esercizio delle funzioni delle Regioni e degli enti locali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza.

In applicazione dei suindicati principi, questa Corte ha dichiarato la illegittimità costituzionale delle norme con le quali, successivamente all’entrata in vigore della legge costituzionale n. 3 del 2001, sono stati istituiti nuovi Fondi vincolati e in particolare il Fondo nazionale per il sostegno alla progettazione delle opere pubbliche delle Regioni e degli enti locali, nonché il Fondo nazionale per la realizzazione di infrastrutture di interesse locale (sentenza n. 49 del 2004); il Fondo per la riqualificazione urbana dei comuni (sentenza n. 16 del 2004); il Fondo per gli asili nido (sentenza n. 370 del 2003).

La Corte ha, inoltre, dichiarato l’illegittimità costituzionale ― per violazione del riparto delle competenze legislative, ex art. 117 della Costituzione ― del Fondo di rotazione per il finanziamento dei datori di lavoro che realizzano servizi di asilo nido o micro-nidi (sentenza n. 320 del 2004), nonché del Fondo finalizzato alla costituzione di garanzie sul rimborso di prestiti fiduciari in favore degli studenti capaci e meritevoli (sentenza n. 308 del 2004).

3.3.― La giurisprudenza di questa Corte ha, inoltre, chiarito che opera, fino all’attuazione dell’art. 119 della Costituzione, un ulteriore limite per il legislatore statale, rappresentato dal divieto imposto di procedere in senso inverso a quanto oggi prescritto dall’art. 119 della Costituzione, e così di sopprimere semplicemente, senza sostituirli, gli spazi di autonomia già riconosciuti dalle leggi statali in vigore, alle Regioni e agli enti locali, o di procedere a configurare un sistema finanziario complessivo che contraddica i principi del medesimo art. 119 (sentenze numeri 320, 241 e 37 del 2004).

4.― Il Fondo per le politiche sociali è stato istituito dall’art. 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, con lo scopo, fissato dal successivo comma 45, in attesa dell’entrata in vigore della legge generale di riforma dell’assistenza, di provvedere: a) alla promozione di interventi per la realizzazione di standard essenziali ed uniformi di prestazioni sociali su tutto il territorio dello Stato concernenti i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, la condizione degli anziani, l’integrazione e l’autonomia dei portatori di handicap, il sostegno alle famiglie, la prevenzione ed il trattamento delle tossicodipendenze, l’inserimento e l’integrazione dei cittadini stranieri; b) al sostegno a progetti sperimentali attivati dalle Regioni e dagli enti locali; c) alla promozione di azioni concertate ai livelli nazionale, regionale e locale per la realizzazione di interventi finanziati dal Fondo sociale europeo; d) alla sperimentazione di misure di contrasto delle povertà; e) alla promozione di azioni per lo sviluppo delle politiche sociali da parte di enti, associazioni ed organismi operanti nell’ambito del volontariato e del terzo settore.

Nella sua originaria configurazione, il Fondo era alimentato da una dotazione generale disposta dalla stessa legge istitutiva, nonché dalla confluenza degli stanziamenti previsti per gli interventi disciplinati da una serie di leggi di settore elencate dal comma 46 dello stesso art. 59.

Tali risorse venivano poi ripartite annualmente con decreto del Ministro per la solidarietà sociale, sentiti i Ministri interessati (art. 59, comma 46), ed erano, in mancanza di una legge di sistema sull’assistenza, sostanzialmente destinate al soddisfacimento delle specifiche esigenze perseguite dalle singole leggi di settore.

4.1.— La disciplina sin qui richiamata è stata modificata, anche al fine di garantire un coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali, dall’art. 133 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), il quale – dopo aver denominato il Fondo istituito dalla legge n. 449 del 1997 «Fondo nazionale per le politiche sociali» (comma 1) – ha stabilito che la ripartizione delle risorse debba avvenire «sentiti» non solo i Ministri interessati, ma anche la Conferenza unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (comma 4). Con la stessa disposizione si è, inoltre, stabilito che le risorse affluenti al Fondo siano «destinate ad interventi in materia di "servizi sociali”, secondo la definizione di cui all’art. 128» del medesimo decreto legislativo e, dunque, in generale a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita (art. 128, comma 2).

4.2.— Con la riforma organica della materia dei servizi sociali attuata con la legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), il sistema di finanziamento delle politiche sociali ha subito ulteriori modifiche, consistenti, innanzitutto, nella previsione della regola generale secondo cui la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali si avvale di un finanziamento plurimo al quale concorrono, secondo competenze differenziate e con dotazioni finanziarie afferenti ai rispettivi bilanci, lo Stato, le Regioni e gli enti locali (art. 4, comma 1). Lo Stato concorre al suddetto finanziamento della spesa sociale mediante, appunto, le risorse del Fondo nazionale, il cui stanziamento complessivo è determinato a decorrere dall’anno 2002 «dalla legge finanziaria» (art. 20, comma 8), con possibilità di affluenza al Fondo stesso anche di «somme derivanti da contributi e donazioni eventualmente disposti da privati, enti, fondazioni, organizzazioni, anche internazionali, da organismi dell’Unione europea» (art. 20, comma 10). Dette risorse sono, in particolare, assegnate — per la promozione e il raggiungimento degli obiettivi di politica sociale — alle Regioni e agli enti locali (artt. 4 e 20), nonché destinate al finanziamento di prestazioni previdenziali connesse alla erogazione (tramite l’Istituto nazionale per la previdenza sociale – INPS) di assegni per l’invalidità civile, la cecità e il sordomutismo  e ripartite osservando modalità e procedure che dovranno essere determinate con regolamento governativo da emanarsi ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (art. 20, comma 5). La concreta ripartizione delle somme dovrà poi avvenire annualmente con decreto del Ministro per la solidarietà sociale, sentiti i Ministri interessati, d’intesa con la Conferenza unificata (art. 20, comma 7), sulla base delle linee contenute nel Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali e dei parametri – indicati dall’art. 18, comma 3, lettera n) della stessa legge n. 328 del 2000 – «basati sulla struttura demografica, sui livelli di reddito e sulle condizioni occupazionali della popolazione».

Le linee tracciate dal suddetto Piano nazionale – approvato per il triennio 2001-2003 con d.P.R. 3 maggio 2001 – sono consistite, in relazione alle metodologie di allocazione delle risorse, nella indicazione di criteri di riparto per «aree di intervento» e «aree territoriali» (parte terza, punti 3.1 e 3.2). La ripartizione per «aree di intervento» (es. responsabilità familiari, diritti dei minori, ecc.) comporta una articolazione degli interventi stessi «in base ai bisogni da soddisfare». La ripartizione per «aree territoriali» richiede, invece, di avere riguardo alla «popolazione destinataria delle politiche sociali, di volta in volta definita con riguardo alle caratteristiche demografiche, economiche e occupazionali verosimilmente correlate al fabbisogno finanziario delle singole realtà regionali (o locali)» (parte terza, punto 3.2).

5.— Dalla descrizione delle caratteristiche che connotano l’attuale struttura e funzione del Fondo nazionale per le politiche sociali si desume che lo stesso non è riconducibile a nessuno degli strumenti di finanziamento previsti dal nuovo art. 119 della Costituzione. In particolare, la "generalità” dei destinatari delle risorse – essendo le stesse ripartite, per quanto interessa, tra "tutti” gli enti regionali – nonché le finalità perseguite consistenti nel finanziamento, tra l’altro, delle funzioni pubbliche regionali, determinano una deviazione sia dal modello del Fondo perequativo da istituire senza vincoli di destinazione – che deve essere indirizzato ai soli «territori con minore capacità fiscale per abitante» (art. 119, terzo comma) – sia dalla sfera degli «interventi speciali» e delle «risorse aggiuntive», che lo Stato destina esclusivamente a "determinate” Regioni (o a determinati Comuni, Province e Città metropolitane) per  finalità enunciate nella norma costituzionale o comunque per «scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni» (art. 119, comma quinto). Da ciò non consegue, però, come ritenuto dalla Regione Emilia-Romagna, la soppressione del Fondo nazionale per le politiche sociali, sia perché lo stesso è destinato a finanziare anche funzioni statali, sia perché la sua perdurante operatività per gli aspetti di incidenza sul sistema dell’autonomia finanziaria regionale si giustifica in via transitoria, nei limiti che saranno illustrati, fino all’attuazione del nuovo modello delineato dall’art. 119 della Costituzione. Una volta attuato tale modello, dovranno essere riformati i vigenti meccanismi di finanziamento della spesa sociale attraverso la riconduzione degli interventi statali – al di fuori ovviamente dei casi in cui gli stessi riguardino funzioni e compiti dello Stato – ai soli strumenti consentiti dal nuovo art. 119 della Costituzione.

In questa fase "transitoria” – è bene ribadire – non sono comunque ammesse, per le ragioni già illustrate, nuove prescrizioni che incidano in senso peggiorativo sugli spazi di autonomia già riconosciuti dalle leggi statali in vigore ovvero che contraddicano i principi fissati dallo stesso art. 119.

6.— Posta questa premessa di carattere generale, si può ora passare ad analizzare nel dettaglio il contenuto delle disposizioni impugnate e delle relative censure.

7.― Viene, innanzitutto, all’esame la questione di legittimità costituzionale, sollevata da entrambe le Regioni ricorrenti, dell’art. 46, commi 2, 3, 4, 5 e 6, della legge n. 289 del 2002 (la Regione Umbria ha impugnato i soli commi 2 e 4).

Il citato art. 46 – dopo aver stabilito al comma 1 (escluso dalla contestazione) che il Fondo nazionale per le politiche sociali è determinato tanto dagli stanziamenti previsti per gli interventi disciplinati dalle disposizioni legislative indicate dall’articolo 80, comma 17, della legge n. 388 del 2000, e successive modificazioni, quanto da quelli contemplati per gli interventi, comunque finanziati a carico del Fondo medesimo, disciplinati da altre disposizioni (precisando, altresì,  che  detti stanziamenti  affluiscono al Fondo senza vincoli di destinazione) – ha disposto, al comma 2, che il Ministro  del  lavoro  e  delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle  finanze e d’intesa con  la Conferenza  unificata di  cui all’articolo  8 del d.lgs. n. 281 del 1997, provvede  annualmente, con  propri decreti, alla ripartizione delle risorse del Fondo di cui  al comma 1  per le finalità  legislativamente poste a carico del Fondo medesimo, assicurando prioritariamente l’integrale finanziamento degli interventi che costituiscono diritti soggettivi e destinando almeno il 10 per cento di tali risorse a sostengo delle politiche in favore delle famiglie di nuova costituzione, in particolare per l’acquisto della prima casa di abitazione e per il sostegno della natalità.

In stretta connessione con il comma 2, il successivo comma 3 dispone che – nei limiti delle risorse ripartibili del Fondo in questione, tenendo conto di quelle ordinarie destinate alla spesa sociale dalle Regioni e dagli enti locali e nel rispetto delle compatibilità finanziarie definite per l’intero sistema di finanza pubblica dal Documento di programmazione economico-finanziaria – con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del d.lgs. n. 281 del 1997, sono determinati i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale.

Il comma 4 dispone, a sua volta, che le modalità di esercizio del monitoraggio, della verifica e della valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dei livelli essenziali delle prestazioni di cui al comma 3 sono definite, secondo criteri di semplificazione ed efficacia, con regolamento da emanare ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, sentita la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del d.lgs. n. 281 del 1997.

Il comma 5 prevede che, in caso di mancato utilizzo delle risorse da parte degli enti destinatari entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui sono state assegnate, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali provvede alla revoca dei finanziamenti, i quali sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per la successiva assegnazione al Fondo.

Infine, il comma 6 dispone che per far fronte alle spese derivanti dalle attività statutarie della Federazione dei maestri del lavoro d’Italia, consistenti nell’assistenza ai giovani al fine di facilitarne l’inserimento nel mondo del lavoro e nella collaborazione volontaristica con gli enti preposti alla difesa civile, alla protezione delle opere d’arte, all’azione ecologica, all’assistenza ai portatori di handicap ed agli anziani non autosufficienti, è conferito alla Federazione medesima, per il triennio 2003-2005, un contributo annuo di 260.000 euro. Lo stesso comma dispone, inoltre, che il relativo onere è posto a carico del Fondo per l’occupazione di cui all’articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti a sostegno dell'occupazione), convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236.

7.1.― In via preliminare, deve essere dichiarata inammissibile la censura relativa al comma 4 dell’art. 46, impugnato da entrambe le Regioni ricorrenti, per mancanza dei requisiti argomentativi minimi che l’atto introduttivo del giudizio sulle leggi in via principale deve contenere (ex multis, sentenza n. 176 del 2004). Nei due ricorsi manca, infatti, la prospettazione di specifiche censure che abbiano ad oggetto le disposizioni inserite nel comma stesso. Né rileva che soltanto nella memoria la ricorrente Regione Umbria abbia, per la prima volta, specificato i motivi di censura, atteso che la questione, in sede di impugnazione di norme legislative statali ad opera delle Regioni, e viceversa, deve essere individuata sulla base dell’atto introduttivo del giudizio di costituzionalità.

7.2.― Vanno quindi esaminate le ulteriori censure formulate nei confronti degli altri commi dell’articolo in esame.

Con riferimento al comma 2, le ricorrenti lamentano che spetterebbe soltanto alle Regioni «assicurare l’integrale finanziamento degli interventi che costituiscono diritti soggettivi» e che risulterebbe privo di base costituzionale il vincolo del 10 per cento delle risorse, rappresentato dalla destinazione – tra i diversi obiettivi di politica sociale possibili – al sostegno delle famiglie di nuova costituzione, in particolare per l’acquisto della prima casa di abitazione e per il sostegno alla natalità. A nulla rileverebbe poi che la ripartizione del Fondo tra i diversi usi dovrebbe avvenire «d’intesa con la Conferenza unificata», giacché secondo l’attuale assetto costituzionale le scelte di politica sociale spetterebbero a ciascuna Regione e non dovrebbero essere assunte attraverso un meccanismo centralizzato, sia pure comprendente la partecipazione delle Regioni.

7.3.― La questione è parzialmente fondata.

Innanzitutto, la previsione concernente l’integrale e prioritario finanziamento degli interventi  relativi a diritti soggettivi deve interpretarsi nel senso che la stessa si riferisca esclusivamente al settore delle prestazioni previdenziali e, dunque, ad ambiti di competenza non regionale, in quanto riconducibili alla materia «previdenza sociale» di competenza statale ex art. 117, secondo comma, lettera o), della Costituzione.

Pertanto, in relazione a questo specifico profilo, la questione non è fondata.

7.3.1.— Deve, invece, ritenersi fondata la questione relativa alla prevista destinazione di almeno il 10 per cento delle risorse del Fondo «a sostegno delle politiche in favore delle famiglie di nuova costituzione, in particolare per l’acquisto della prima casa di abitazione e per il sostegno alla natalità». Tale disposizione, come emerge chiaramente dalla sua formulazione, pone un preciso vincolo di destinazione nell’utilizzo delle risorse da assegnare alle Regioni secondo le modalità già illustrate (punto 4.2). Ciò si pone in contrasto con i criteri e limiti che presiedono all’attuale sistema di autonomia finanziaria regionale, delineato dal nuovo art. 119 della Costituzione, che non consentono finanziamenti di scopo per finalità non riconducibili a funzioni di spettanza statale. Né può essere condivisa la tesi difensiva dell’Avvocatura generale dello Stato secondo cui l’oggetto della disciplina sarebbe espressione della potestà statale di determinare, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, i «livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»: la norma censurata, infatti, non determina alcun livello di prestazione, ma si limita a prevedere somme a destinazione vincolata (cfr. sentenze numeri 370, 88 del 2003 e 282 del 2002).

Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 46, comma 2, limitatamente alle parole in esso contenute: «destinando almeno il 10 per cento di tali risorse a sostegno delle politiche in favore delle famiglie di nuova costituzione, in particolare per l’acquisto della prima casa di abitazione e per il sostegno alla natalità». E quanto alla eventuale utilizzazione, che potrebbe essere già avvenuta, ad opera delle Regioni nei limiti delle somme loro assegnate per le suddette finalità, essa costituirebbe comunque l’espressione di una scelta di politica sociale del tutto legittima, sicché non viene in rilievo un problema di salvaguardia di effetti, in ipotesi, già prodottisi.

7.4.— La ricorrente Regione Emilia-Romagna censura, inoltre, il comma 3 dello stesso art. 46, nella parte in cui non ha previsto che la «misura complessiva» del Fondo sia determinata con il coinvolgimento delle Regioni, necessario per assicurare «una dimensione che permetta un livello delle prestazioni adeguato, anche se non ottimale». Si contesta, in altri termini, che la quantità di risorse da destinare alla spesa sociale non sia stata «concordata tra Stato e Regioni».

La questione non è fondata.

Al riguardo, tenuto anche conto della tipologia dei flussi finanziari destinati a confluire nel Fondo in questione, secondo quanto disposto dall’art. 20 della legge n. 328 del 2000, deve escludersi che nella fase di determinazione, ad opera del legislatore nazionale, dell’ammontare delle risorse da allocare nel Fondo stesso per il finanziamento della spesa sociale, sia configurabile – «nella perdurante assenza di una trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi» anche solo «nei limiti di quanto previsto dall’art. 11 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3» (sentenza n. 6 del 2004) – un diretto coinvolgimento delle Regioni. Spetta, infatti, in via esclusiva allo Stato, nell’esercizio dei poteri di regolazione finanziaria, stabilire quanta parte delle risorse debba essere destinata alla copertura della spesa sociale. Né, d’altra parte, in sede di predisposizione e di approvazione dell’annuale legge finanziaria o di altri atti legislativi incidenti sulla formazione o sull’assestamento del bilancio dello Stato, è configurabile il formale coinvolgimento delle Regioni. Tale coinvolgimento – in ossequio al principio di leale collaborazione – deve, invece, essere assicurato nella fase di concreta ripartizione delle risorse finanziarie alle Regioni, anche attraverso l’intesa in sede di Conferenza unificata, così come previsto dall’art. 20, comma 7, della citata legge n. 328 del 2000.

7.5.― Il comma 5 dello stesso art. 46 è censurato dalla sola Regione Emilia-Romagna, nella parte in cui fissa un termine per l’utilizzo delle risorse da parte degli enti destinatari, ritenuto eccessivamente gravoso per le Regioni e dunque in violazione dell’autonomia finanziaria di esse.

Detto comma, come si è sopra precisato, stabilisce che «in caso di mancato utilizzo delle risorse da parte degli enti destinatari entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui sono state assegnate, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali provvede alla revoca dei finanziamenti, i quali sono versati all’entrata del bilancio dello Stato per la successiva assegnazione al Fondo di cui al comma 1».

La ricorrente lamenta che il termine del 30 giugno dell’anno successivo a quello dell’assegnazione delle risorse sia tale da frustrare la programmazione e la gestione dei fondi da parte delle singole Regioni.

La questione non è fondata.

Il termine in esame, scadente il 30 giugno dell’anno successivo all’assegnazione delle risorse, appare congruo per consentire le attività programmatorie e gestionali delle Regioni e non si traduce, pertanto, in una violazione dell’autonomia finanziaria di ciascuna di esse. Il termine risponde, tra l’altro, all’esigenza di assicurare che le risorse non tempestivamente utilizzate siano rese nuovamente disponibili per gli scopi che la normativa si propone di raggiungere.

Nel termine predetto, al fine di evitare la revoca dei finanziamenti, è sufficiente che intervenga l’atto di impegno della spesa, sicché è a tale momento che deve essere riferito il mancato utilizzo delle risorse.

7.6.― Il comma 6 dell’articolo 46 è censurato dalla ricorrente Regione Emilia-Romagna sotto il profilo della illegittima sottrazione di risorse, comunque destinate ad attività assistenziali che sarebbero, per loro natura, di competenza regionale.

Detto comma assegna alla Federazione dei maestri del lavoro d’Italia un contributo annuo di 260.000 euro per il triennio 2003-2005, per far fronte alle spese derivanti dalle attività statutarie consistenti nell’assistenza ai giovani al fine di facilitarne l’inserimento nel mondo del lavoro e nella collaborazione volontaristica con gli enti preposti alla difesa civile, alla protezione delle opere d’arte, all’azione ecologica, all’assistenza ai portatori di handicap e agli anziani non autosufficienti.

Per il relativo onere il comma in questione dispone che si provveda a carico del Fondo per l’occupazione di cui all’art. 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148.

Secondo la ricorrente, l’illegittimità è duplice, in quanto, da un lato, anche la tutela del lavoro è materia assegnata alle Regioni dall’art. 117, terzo comma, della Costituzione nei limiti dei principi della legislazione statale; dall’altro, ciò che conta, prosegue la ricorrente, è che, «se il legislatore intende destinare i fondi a fini assistenziali, come sono quelli in questione, la relativa gestione non può che seguire le regole proprie del settore».

La questione è fondata.

La Federazione dei maestri del lavoro d’Italia è un ente privato che, come emerge dallo stesso contenuto della disposizione censurata, svolge attività incidente, per profili diversi, su materie e funzioni di competenza regionale. Non è, pertanto, consentito al legislatore statale dettare specifiche disposizioni con le quali si conferiscono a tali enti contributi finanziari che possono incidere su politiche pubbliche regionali. Questa Corte ha, infatti, già avuto modo di affermare che «le funzioni attribuite alle Regioni ricomprendono pure la possibilità di erogazione di contributi finanziari a soggetti privati, dal momento che in numerose materie di competenza regionale le politiche pubbliche consistono appunto nella determinazione di incentivi economici ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalità per loro erogazione». Il tipo di ripartizione  delle  materie  fra Stato e Regioni di cui all’art. 117 Cost., «vieta comunque che in una materia di competenza legislativa regionale, in linea generale, si prevedano interventi finanziari statali seppur destinati a soggetti privati, poiché ciò equivarrebbe a riconoscere allo Stato potestà legislative e amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle rispettive competenze» (sentenza n. 320 del 2004).

8.― Con il ricorso n. 33 del 2004 la Regione Emilia-Romagna ha impugnato, tra le altre disposizioni della legge n. 350 del 2003, l’art. 3, comma 101, per violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.

Il predetto comma 101 dispone che «nei limiti delle risorse preordinate allo scopo dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali nell’ambito del Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all’articolo 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, e successive modificazioni, e detratte una quota fino a 20 milioni di euro per l’anno 2004 e fino a 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006 da destinare all’ulteriore finanziamento delle finalità previste dall’articolo 2, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nonché una quota di 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2004, 2005 e 2006 da destinare al potenziamento dell’attività di ricerca scientifica e tecnologica, lo Stato concorre al finanziamento delle Regioni che istituiscono il reddito di ultima istanza quale strumento di accompagnamento economico ai programmi di reinserimento sociale, destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale ed i cui componenti non siano beneficiari di ammortizzatori sociali destinati a soggetti privi di lavoro».

La ricorrente censura la citata disposizione sotto diversi profili.

Innanzi tutto, essa lamenta che, in violazione dell’articolo 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione, lo Stato disponga unilateralmente del Fondo, scorporando alcuni cospicui finanziamenti, con conseguente riduzione delle risorse disponibili per le Regioni.

In secondo luogo, la disposizione censurata, con il richiamo alle finalità previste dell’art. 2, comma 7, della legge n. 289 del 2002, distoglie dal Fondo per le politiche sociali uno stanziamento cospicuo (20 milioni di euro per il 2004, fino al doppio per ciascuno dei due anni successivi) per aumentare consistentemente quello stanziamento entro il quale possono essere concessi contributi finalizzati alla riduzione degli oneri effettivamente rimasti a carico per l’attività educativa di altri componenti del medesimo nucleo familiare presso scuole paritarie. In tal modo, la norma impugnata riduce l’entità delle risorse suscettibili di essere trasferite alle Regioni per sostenere, invece, interventi diretti dello Stato in una materia che è in parte di competenza residuale delle Regioni ("diritto allo studio”), salva la definizione con legge dello Stato di «livelli essenziali», in parte di competenza concorrente ("istruzione”). Di qui la dedotta violazione degli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.

In terzo luogo, la norma impugnata, a giudizio della ricorrente, è incostituzionale, in quanto distoglie dal Fondo 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2004-2006 per interventi genericamente destinati al «potenziamento dell’attività di ricerca scientifica e tecnologica», materia rientrante nella competenza concorrente, in relazione alla quale non sono ammissibili misure unilaterali dello Stato.

Infine, la norma stessa, intervenendo nella materia delle politiche sociali di competenza residuale delle Regioni e fuori dall’ipotesi di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, introduce il «reddito di ultima istanza», destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale e privi di altri ammortizzatori sociali, sostituendo le precedenti misure sperimentali previste dal Fondo per il reddito minimo di inserimento. In tal modo, la norma in questione violerebbe le attribuzioni costituzionali delle Regioni in materia finanziaria e si porrebbe in contrasto anche con il principio di leale collaborazione. Il vulnus alla autonomia finanziaria regionale sarebbe attuato, secondo la ricorrente, per il tramite di finanziamenti speciali, in materie di stretta competenza delle Regioni, vincolati a specifiche destinazioni.

8.1.― Le questioni sono parzialmente fondate.

Innanzitutto, la ricorrente lamenta che, in violazione dell’art. 119 della Costituzione e del principio di leale collaborazione, lo Stato disponga unilateralmente del Fondo, scorporando alcuni cospicui finanziamenti, con conseguente riduzione delle risorse disponibili per le Regioni.

Per quanto attiene alla lamentata "gestione” unilaterale del Fondo si è già sottolineato (punto 7.4) che ciò rientra nell’ambito della competenza legislativa dello Stato.

Allo stesso modo, non è fondata la questione con cui la ricorrente fa valere la violazione dell’autonomia finanziaria regionale derivante dallo "scorporo” dal Fondo – che «di conseguenza viene corrispondentemente ridotto» – di somme «genericamente riferibili alle politiche sociali».

Nulla vieta, infatti, che lo Stato nella stessa legge finanziaria moduli gli stanziamenti attraverso una pluralità di disposizioni in cui l’una integri l’altra, senza con ciò incidere in senso peggiorativo sull’autonomia finanziaria delle Regioni, quale disciplinata in attesa dell’attuazione dell’art. 119 della Costituzione (sentenze numeri 320 e 37 del 2004).

8.2.― Chiarito ciò, occorre verificare se le previste modalità di ridistribuzione delle risorse stesse a seguito della disposta "rimodulazione” concretizzi egualmente una lesione dell’art. 119 della Costituzione.

Sotto questo profilo viene in rilievo, innanzitutto, la censura con la quale la ricorrente lamenta che la "destinazione” di somme pari «a 20 milioni di euro per l’anno 2004» e «40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006» per l’attribuzione «alle persone fisiche di un contributo, finalizzato alla riduzione degli oneri effettivamente rimasti a carico per l’attività educativa di altri componenti del medesimo nucleo familiare presso scuole paritarie» (art. 2, comma 7, della legge n. 289 del 2002), incidendo  su materie di  competenza  delle Regioni, si porrebbe in  contrasto  con l’attuale  sistema  di  riparto  di  competenze  legislative  e  amministrative  di   cui   agli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonché con il nuovo sistema della finanza regionale.

La questione è fondata.

Deve, innanzitutto, precisarsi che la disposizione impugnata – essendo relativa a contributi per la iscrizione a scuole paritarie – incide sulla materia dell’ "istruzione” attribuita alla competenza legislativa concorrente (art. 117, terzo comma, della Costituzione). Già prima della riforma del Titolo V l’art. 138, comma 1, lettera e), del decreto legislativo n. 112 del 1998  aveva conferito alle Regioni le funzioni amministrative relative a «i contributi alle scuole non statali», nel cui ambito devono essere ricomprese anche le scuole paritarie (sentenza n. 177 del 2004). Di talché appare «implausibile che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita nella forma della competenza delegata dall’art. 138 del decreto legislativo n. 112 del 1998» (sentenza n. 13 del 2004). Vertendosi, dunque, in ambiti in cui le funzioni in esame non spettano allo Stato, deve ribadirsi che non sono ammessi finanziamenti caratterizzati da vincoli di destinazione. Da qui la illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 101, nella parte in cui prevede la erogazione delle somme ivi indicate per le finalità previste dall’art. 2, comma 7, della legge n. 289 del 2002.

La particolare rilevanza della misura in questione – che richiede continuità di erogazione, in relazione ai diritti costituzionali implicati – giustifica «che restino salvi gli eventuali procedimenti di spesa in corso, anche se non esauriti» (sentenza n. 370 del 2003).

8.2.1.― Per quanto concerne, invece, lo stanziamento previsto dal comma 101 in esame per interventi destinati al potenziamento dell’attività di ricerca scientifica e tecnologica, la relativa questione sarà esaminata in prosieguo, per connessione, congiuntamente a quella relativa all’art. 4, comma 159, della legge n. 350 del 2003, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso n. 33 del 2004.

8.3.― E’, altresì, fondata la censura relativa alla previsione, contenuta nello stesso comma 101 dell’art. 3, con cui è stato disposto un intervento finanziario a favore delle Regioni che si determinino ad istituire il reddito di ultima istanza, quale strumento di accompagnamento economico ai programmi di reinserimento sociale destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale.

Il «reddito di ultima istanza» cui fa riferimento la norma in esame – essendo destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale e dunque a favore di soggetti che si trovano in situazione di estremo bisogno – costituisce una misura assistenziale riconducibile alla materia "servizi sociali” (cfr. sentenza n. 287 del 2004) di competenza legislativa delle Regioni. Né può ritenersi che l’oggetto della disciplina in esame attenga alla potestà legislativa esclusiva statale di «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» ex art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. Ciò in quanto, a prescindere dal rispetto delle procedure di determinazione e di finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni, il legislatore non ha posto «norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite […] senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle» (sentenza n. 282 del 2002), ma, al contrario, ha rimesso all’iniziativa legislativa delle singole Regioni l’istituzione della misura in esame ponendo talune condizioni di accesso alla prestazione che le Regioni stesse dovrebbero osservare nel disciplinare l’istituto.

Trattandosi, pertanto, di norma dettata in ambiti in cui le funzioni sono di spettanza regionale, deve ritenersi costituzionalmente illegittima, per violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione, la previsione di un cofinanziamento vincolato alla specifica finalità di erogare la misura assistenziale in esame.

9.― Con il ricorso n. 13 del 2004 la Regione Emilia-Romagna  ha impugnato l’art. 21,  commi  6  e  in  parte 7, del decreto-legge n. 269 del 2003, là dove ha previsto per l’anno 2004 l’incremento del Fondo nazionale per le politiche sociali, in misura pari a 232 milioni di euro, per il finanziamento delle politiche in favore delle famiglie (comma 6) e i mezzi di copertura della relativa spesa (comma 7). La ricorrente, richiamando la sentenza di questa Corte n. 370 del 2003, assume che tali disposizioni si pongono in contrasto con l’art. 119 della Costituzione, in quanto le funzioni regionali dovrebbero essere integralmente finanziate tramite i proventi delle entrate proprie e la compartecipazione al gettito dei tributi erariali, nonché con quote del fondo perequativo senza vincoli di destinazione.

La questione è parzialmente fondata.

La norma non contrasta con il parametro costituzionale invocato dalla ricorrente, nella parte in cui si limita a disporre un «incremento del Fondo di 232 milioni di euro per l’anno 2004» e a prevedere la relativa copertura di spesa, in quanto tale previsione non incide in alcun modo sull’autonomia finanziaria delle Regioni.

Deve, invece, ritenersi costituzionalmente illegittima la previsione di una finalità specificamente vincolata di impiego delle somme così stanziate.

Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 21, comma 6, limitatamente all’inciso «per il finanziamento delle politiche in favore della famiglie».

10.― Con  il  ricorso  n.  33  del  2004, la Regione Emilia-Romagna ha impugnato  anche l’art. 3, commi 116 e 117, della legge n. 350 del 2003 che ha integrato quanto previsto dal citato art. 21, commi 6 e 7, disponendo (comma 116) che «l’incremento della dotazione del Fondo nazionale per le politiche sociali di cui all’art. 59, comma 44, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, disposta per l’anno 2004 dall’art. 21, comma 6, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, come modificato dalla presente legge, deve essere utilizzato nel medesimo anno 2004 per le seguenti finalità: a) politiche per la famiglia ed in particolare per anziani e disabili, per un importo pari a 70 milioni di euro; b) abbattimento delle barriere architettoniche di cui alla legge 9 gennaio 1989, n. 13, per un importo pari a 20 milioni di euro; c) servizi per l’integrazione scolastica degli alunni portatori di handicap, per un importo pari a 40 milioni di euro; d) servizi per la prima infanzia e scuole dell’infanzia, per un importo pari a 67 milioni di euro».

Inoltre, il successivo comma 117 dispone che «gli interventi di cui alle lettere c) e d) del comma 116, limitatamente alle scuole dell’infanzia, devono essere adottati previo accordo tra i Ministeri dell’istruzione, dell’università e della ricerca e del lavoro e delle politiche sociali e le Regioni».

La questione è fondata.

La previsione degli interventi di cui all’art. 3, comma 116, della legge n. 350 del 2003 – non costituendo determinazione di "livelli essenziali delle prestazioni” cui fa riferimento l’art. 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione – viola le competenze regionali concernenti i "servizi sociali” e l’"istruzione”.

Siffatte disposizioni – stabilendo con quali finalità debba essere utilizzato l’incremento del Fondo disposto per l’anno 2004 dall’art. 21, commi 6 e 7, del citato decreto-legge n. 269 del 2003 – pongono precisi vincoli di destinazione delle risorse nelle suddette materie, con palese violazione dell’autonomia finanziaria di spesa delle Regioni e non sono, dunque, conformi al nuovo modello di finanza regionale delineato dall’art. 119 della Costituzione; deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 116 e 117, della legge n. 350 del 2003.

Il venir meno del vincolo di scopo comporta che le suddette somme dovranno confluire nei bilanci regionali in maniera "indistinta” e potranno, pertanto, essere impiegate dalle Regioni stesse secondo autonome scelte di politica sociale.

11.― Infine, con il ricorso n. 33 del 2004 la Regione Emilia-Romagna ha impugnato l’art. 4, comma 159, della legge n. 350 del 2003.

La questione deve essere esaminata congiuntamente a quella relativa all’art. 3, comma 101, della medesima legge, nella parte concernente il finanziamento con 15 milioni di euro per ciascuno degli anni 2004, 2005 e 2006 da destinare al potenziamento dell’attività di ricerca scientifica e tecnologica.

Il citato comma 159 prevede l’erogazione di contributi in conto capitale «per il sostegno e l’ulteriore potenziamento dell’attività di ricerca scientifica e tecnologica», rinviando la determinazione delle misure dei contributi, della tipologia degli interventi ammessi e dei destinatari ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

L’art. 3, comma 101, fornisce in parte copertura alla suddetta spesa attraverso, come si è detto, il prelievo delle relative risorse dal Fondo nazionale per le politiche sociali.

Entrambe le disposizioni vengono censurate dalla ricorrente sotto il profilo della violazione dell’autonomia finanziaria regionale in correlazione con la competenza legislativa concorrente nella materia della "ricerca scientifica e tecnologica” cui fa riferimento, in uno con il "sostegno all’innovazione per i settori produttivi”, l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

11.1.― Le questioni non sono fondate nei termini di seguito precisati.

Per quanto attiene alla censura di violazione dell’autonomia finanziaria delle Regioni per la disposta sottrazione di somme stanziate nel Fondo nazionale per le politiche sociali, valgono le considerazioni già svolte in ordine alla legittimità della mera  "rimodulazione” delle risorse nell’ambito di uno stesso contesto legislativo.

Relativamente, invece, alla finalizzazione delle suddette risorse per il finanziamento della ricerca scientifica appare necessario, ai fini dello scrutinio di costituzionalità delle norme impugnate, valutare, in via preliminare, quale sia l’attuale configurazione del riparto di competenze tra Stato e Regioni in materia di ricerca scientifica.

A tal proposito, è necessario ricordare che prima della riforma del Titolo V della Costituzione di cui alla legge costituzionale n. 3 del 2001, l’art. 117 non assegnava esplicitamente nel settore in esame alcun ruolo alle Regioni. La stessa legge 15 marzo 1997, n. 59 aveva escluso – art. 1, comma 3, lettera p) – dal conferimento di una serie di funzioni e compiti alle Regioni e agli Enti locali quelli relativi alla ricerca scientifica; il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 aveva poi confermato il mantenimento in capo allo Stato di dette funzioni, tra le quali la «cooperazione scientifica internazionale». Uno spazio autonomo di intervento è stato riconosciuto alle Regioni soltanto nel settore della ricerca applicata, dall’art. 1 della legge 16 giugno 1998, n. 191, che ha modificato l’art. 1, comma 6, della legge n. 59 del 1997.

In presenza del descritto riparto di competenze nella materia in questione, questa Corte ha chiarito, in una prospettiva di valorizzazione del ruolo regionale, che «la ricerca scientifica non ha, di per sé, limiti territoriali, ma tuttavia essa presenta  indubbio interesse regionale in tutte quelle ipotesi in cui la Regione avverte la necessità di dotarsi di mezzi tecnico-scientifici e di avvalersi di attività conoscitive – sia organizzando direttamente le attività di ricerca, sia promuovendo studi finalizzati – allo scopo specifico di un migliore espletamento delle funzioni regionali» (sentenza n. 569 del 2000; cfr. anche sentenza n. 134 del 1997).

Il legislatore costituzionale, riscrivendo il testo dell’art. 117 Cost., ha incluso la ricerca scientifica tra le materie appartenenti alla competenza concorrente.

La ricerca scientifica deve essere considerata non solo una "materia”, ma anche un "valore” costituzionalmente protetto (artt. 9 e 33 della Costituzione), in quanto tale in grado di rilevare a prescindere da ambiti di competenze rigorosamente delimitati (cfr. sentenze numeri 259 del 2004 e 407 del 2002).

Premesso ciò, si deve ritenere, innanzitutto, che un intervento "autonomo” statale è ammissibile in relazione alla disciplina delle «istituzioni di alta cultura, università ed accademie», che «hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato» (art. 33, sesto comma, Cost.). Detta norma ha, infatti, previsto una "riserva di legge” statale (sentenza n. 383 del 1998), che ricomprende in sé anche quei profili relativi all’attività di ricerca scientifica che si svolge, in particolare, presso le strutture universitarie (art. 63 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, recante "Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica”).

Al di fuori di questo ambito lo Stato conserva, inoltre, una propria competenza in relazione ad attività di ricerca scientifica strumentale e intimamente connessa a funzioni statali, allo scopo di assicurarne un migliore espletamento, sia organizzando direttamente le attività di ricerca sia promuovendo studi finalizzati (cfr. sentenza n. 569 del 2000).

Infine, è bene precisare che il legislatore statale può sempre nei casi in cui, al di fuori degli ambiti sopra indicati, sussista la potestà legislativa concorrente nella "materia” in esame, non solo ovviamente fissare i principi fondamentali, ma anche attribuire con legge funzioni amministrative a livello centrale, per esigenze di carattere unitario, e regolarne al tempo stesso l’esercizio – nel rispetto dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza – mediante una disciplina che sia logicamente pertinente e che risulti limitata a quanto strettamente indispensabile a tali fini (sentenze numeri 6 del 2004 e 303 del 2003).

Alla luce delle osservazioni che precedono le disposizioni censurate devono essere interpretate nel senso che le stesse siano finalizzate a sostenere e potenziare esclusivamente quell’attività di ricerca scientifica in relazione alla quale è configurabile, nei limiti indicati, un autonomo titolo di legittimazione del legislatore statale. Da ciò consegue che tali disposizioni, così interpretate, non determinino alcun vulnus a competenze regionali.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce ogni decisione sulle ulteriori questioni di legittimità costituzionale della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326, e della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004) proposte dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 46, comma 2, della predetta legge 27 dicembre 2002 n. 289, limitatamente alle parole «destinando almeno il 10 per cento di tali risorse a sostegno delle politiche in favore delle famiglie di nuova costituzione, in particolare per l’acquisto della prima casa di abitazione e per il sostegno alla natalità», nonché dell’art. 46, comma 6, della medesima legge;

b) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 101, della predetta legge 24 dicembre 2003, n. 350, limitatamente alle parole «detratte una quota fino a 20 milioni di euro per l’anno 2004 e fino a 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2005 e 2006 da destinare all’ulteriore finanziamento delle finalità previste dall’art. 2, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289», nonché alle parole «lo Stato concorre al finanziamento delle Regioni che istituiscono il reddito di ultima istanza quale strumento di accompagnamento economico ai programmi di reinserimento sociale, destinato ai nuclei familiari a rischio di esclusione sociale ed i cui componenti non siano beneficiari di ammortizzatori sociali destinati a soggetti privi di lavoro»;

c) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 21, comma 6, del citato decreto-legge n. 269 del 2003, limitatamente all’inciso «per il finanziamento delle politiche in favore delle famiglie»;

d) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, commi 116 e 117, della legge n. 350 del 2003;

e) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 46, commi 2, salvo quanto disposto nel precedente capo a), 3 e 5 della legge n. 289 del 2002, sollevate, in riferimento agli artt. 117 e 119, della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe (r. ric. numeri 22 e 25 del 2003);

f) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 101, salvo quanto disposto nel precedente capo b), della legge n. 350 del 2003, sollevata, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe (r. ric. n. 33 del 2004);

g) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 6, salvo quanto disposto nel precedente capo c), e, in parte, comma 7, del decreto-legge n. 269 del 2003, sollevata, in riferimento all’art. 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe (r. ric. n. 13 del 2004);

h) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4, comma 159, della legge n. 350 del 2003, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna, con il ricorso indicato in epigrafe (r. ric. n. 33 del 2004);

i) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 46, comma 4, della legge n. 289 del 2002, sollevata, in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe (r. ric. numeri 22 e 25 del 2003).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2004.

Valerio ONIDA, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 29 dicembre 2004.