Sentenza n. 320 del 2004

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SENTENZA N. 320

ANNO 2004

 

Commento alla decisione di

Matteo Barbero

Federalismo fiscale: dalla Consulta una sentenza con molte conferme, alcune precisazioni e qualche anticipazione)

(per gentile concessione della Rivista telematica federalismi.it)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio            ONIDA                      Presidente

- Carlo               MEZZANOTTE        Giudice

- Fernanda         CONTRI                           “

- Guido             NEPPI MODONA           “

- Piero Alberto  CAPOTOSTI                    “

- Franco             BILE                                 “

- Giovanni Maria FLICK                            “

- Francesco        AMIRANTE                     “

- Ugo                 DE SIERVO                     “

- Romano          VACCARELLA               “

- Paolo               MADDALENA                “

- Alfio               FINOCCHIARO              “

- Alfonso           QUARANTA                   “

- Franco             GALLO                            “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 30, commi 1, 2, 5 e 15, e 91 della Legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stato – legge finanziaria 2003), promossi con ricorsi della regione toscana, della regione Emilia-Romagna e della Regione Veneto, notificati il 26 febbraio, il 1° marzo e il 25 febbraio 2003 depositati in cancelleria il 5 e il 7 marzo successivi ed iscritti ai nn. 15, 25 e 26 del registro ricorsi 2003.

Visti gli atti di costituzione del presidente del consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 28 settembre 2004 il giudice relatore Ugo De Siervo;

uditi gli avvocati Lucia Bora per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon per la Regione Emilia-Romagna, Mario Bertolissi per la Regione Veneto e gli Avvocati dello Stato Giancarlo Mandò e Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorsi iscritti rispettivamente al n. 15 (notificato il 26 febbraio 2003 e depositato il 5 marzo 2003), al n. 25 (notificato il 1° marzo 2003 e depositato il 7 marzo 2003) e al n. 26 (notificato il 25 febbraio 2003 e depositato il 7 marzo 2003) del registro ricorsi del 2003, le regioni Toscana, Emilia-Romagna e Veneto, nell’impugnare numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello stato – Legge finanziaria 2003), censurano, tra l’altro, alcuni commi dell’art. 30 (Disposizioni varie per le regioni) e l’art. 91 (Asili nido nei luoghi di lavoro).

2. – In particolare, la Regione Toscana ha impugnato l’art. 30, comma 1, della citata legge n. 289 del 2002, il quale dispone che “al fine di avviare l’attuazione dell’articolo 119 della costituzione e in attesa di definire le modalità per il passaggio al sistema di finanziamento attraverso la fiscalità, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il ministro per gli affari regionali e con il ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione e con le amministrazioni statali interessate e d’intesa con la conferenza unificata (…), procede alla ricognizione di tutti i trasferimenti erariali di parte corrente, non localizzati, attualmente attribuiti alle regioni per farli confluire in un fondo unico da istituire presso il ministero dell’economia e delle finanze”.

La norma statale, inoltre, prevede che “i criteri di ripartizione del fondo sono stabiliti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per gli affari regionali e con il Ministro per le riforme istituzionali e la devoluzione d’intesa con la Conferenza unificata (…)”.

Secondo la Regione Toscana la norma configurerebbe un sistema di finanziamento regionale in manifesto contrasto con i principi di cui all’art. 119 Cost., poiché quest’ultimo riconoscerebbe alle Regioni autonomia finanziaria e di spesa non più dipendente e limitata dalla legislazione statale in materia di finanza pubblica, ma direttamente derivante dalle prescrizioni costituzionali.

La norma censurata si porrebbe inoltre in contrasto con il terzo comma dell’art. 117 Cost., che include nelle materie di legislazione concorrente l’armonizzazione dei bilanci pubblici e il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, riservando quindi allo Stato di fissare “esclusivamente i principi fondamentali” della materia, mentre competerebbe alle Regioni la legislazione e il coordinamento in relazione al sistema finanziario regionale nei rapporti con quello statale e con quello locale.

3. – La Regione Emilia-Romagna ha sollevato questione di legittimità costituzionale nei confronti dell’art. 30, commi 1, 2, 5 e 15, della legge n. 289 del 2002.

In riferimento al comma 1, la Regione motiva il rilievo di incostituzionalità sul fatto che la disposizione in esame, lungi da esprimere un principio di coordinamento, si limiterebbe semplicemente a rinviare l’attuazione dell’art. 119 Cost., con ciò rinviando a data indeterminata la realizzazione di una vera autonomia finanziaria delle Regioni ed eliminando quindi di fatto ogni possibilità che queste possano assumere autonomamente le decisioni di spesa.

In riferimento al comma 2, la ricorrente sostiene che tale disposizione, nella parte in cui prevede come debba essere regolamentato “il fondo di offerta turistica” disciplinandone i criteri di riparto, interverrebbe in una materia di competenza esclusiva regionale ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost., “senza che sia ravvisabile alcun principio giustificativo” per questa intromissione del legislatore nazionale.

A sua volta, il comma 5 risulterebbe illegittimo in quanto, “di fronte alla delicata decisione circa la ripartizione tra le Regioni dell’importo con cui si deve fare fronte alla perdita di gettito conseguente alla riduzione dell’accisa sulla benzina”, la disposizione prevede un coinvolgimento a livello solo consultivo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni.

Infine, il comma 15, nel prevedere la nullità degli atti e dei contratti in violazione del divieto di indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento e la condanna ad una sanzione pecuniaria da parte della Corte dei conti degli amministratori degli enti territoriali che vi ricorrano, lederebbe le attribuzioni regionali, “in quanto la disciplina dettata non rientra nell’ordinamento processuale, ma attiene ad un profilo sanzionatorio che necessariamente inerisce (…) alla competenza sostanziale per cui la disciplina dell’ordinamento e dell’organizzazione amministrativa e contabile può essere dettata dallo Stato solo per ciò che riguarda l’amministrazione dello Stato e degli enti pubblici nazionali (art. 117, secondo comma, lettera g), e non certo anche per l’amministrazione regionale”.

4. – La Regione Toscana, inoltre, ha impugnato l’art. 91 della legge n. 289 del 2002, per violazione degli articoli 117 e 119 Cost.

La norma impugnata prevede l’istituzione di un “fondo di rotazione per il finanziamento dei datori di lavoro che realizzano, nei luoghi di lavoro, servizi di asilo nido e micro-nidi”.

In particolare, la ricorrente ritiene che la disciplina degli asili nido rientri nella materia dei servizi sociali e dunque appartenga alla potestà legislativa residuale delle Regioni ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost.. Sarebbe pertanto precluso allo Stato disciplinare la erogazione di finanziamenti in una materia non rientrante tra le sue attribuzioni.

L’istituzione del fondo, inoltre, contrasterebbe anche con l’art. 119 Cost., che non ammetterebbe la istituzione di fondi a destinazione vincolata, potendo lo Stato solo trasferire le risorse finanziarie alle Regioni, le quali sarebbero chiamate a “disciplinare, nell’ambito della normativa del settore, anche la procedura di erogazione delle risorse stesse”.

Anche la Regione Emilia-Romagna ha impugnato l’art. 91 della legge n. 289 del 2002, censurando in particolare i commi 1, 2, 3 e 4, per violazione degli artt. 117, quarto e sesto comma, 118, secondo comma, e 119 Cost., “nella parte in cui attribuiscono al Ministro, con norme di dettaglio, poteri normativi ed amministrativi relativi al fondo”, anziché limitarsi a disporne la ripartizione tra le Regioni.

In subordine, la ricorrente censura l’art. 91 nella parte in cui non prevede che i poteri normativi previsti dai commi 3 e 4 siano esercitati previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, dal momento che “nelle materie regionali il principio di leale collaborazione impone un coordinamento fra i soggetti interessati”.

La Regione Veneto ha impugnato il medesimo art. 91 in relazione all’art. 117 Cost., dal momento che gli asili nido, ritenuti facenti parte della materia dell’assistenza e beneficenza già sotto la vigenza del precedente Titolo V, costituirebbero oggetto di potestà legislativa residuale regionale. Ad escludere la lamentata incostituzionalità non varrebbe il rilievo che l’art. 91 prevederebbe finanziamenti aggiuntivi, dal momento che “essi si fondano – allo stato delle cose – sulla compressione dell’autonomia finanziaria regionale piuttosto che su una addizione coerente con una rigorosa lettura dell’art. 119 Cost.”.

5. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato si è costituito in tutti i giudizi.

Con riguardo alle censure rivolte all’art 30, comma 1, la difesa dello Stato evidenzia che tale disposizione non sarebbe in contrasto con i principi di autonomia finanziaria e con le competenze regionali in tema di finanza e di sistema tributario regionale, in quanto si tratterebbe di un principio di coordinamento della finanza pubblica in un periodo transitorio e che non inciderebbe negativamente sull’autonomia di entrata e di spesa delle singole Regioni.

Per quanto concerne la censura relativa al comma 5, l’Avvocatura sostiene che non vi sarebbe nessun principio dal quale dedurre che la ripartizione di proventi compensativi debba avvenire previa intesa con la Conferenza permanente.

Infondata sarebbe poi la censura riferita al comma 15 dell’art. 30, in quanto la dichiarata nullità degli atti e dei contratti in violazione di tale divieto non costituirebbe “altro che esplicitazione della conseguenza derivante dalla violazione del precetto costituzionale”, né la previsione di una sanzione pecuniaria a carico degli amministratori determinerebbe una lesione delle attribuzioni regionali.

Da ultimo, con riferimento alle censure mosse avverso l’art. 91, l’Avvocatura sostiene che il fondo per gli asili nido è alimentato con risorse statali e la sua istituzione non pregiudicherebbe comunque le prerogative regionali in materia di assistenza pubblica, prevedendo soltanto un intervento di sostegno dello Stato che “si aggiunge alle iniziative regionali”. D’altra parte, la dichiarazione di incostituzionalità della norma determinerebbe il venir meno dello stanziamento e dunque un peggioramento della situazione complessiva delle Regioni.

6. – In prossimità della data fissata per l’udienza pubblica, la Regione Toscana ha depositato una memoria illustrativa nella quale ribadisce le censure mosse – tra l’altro – avverso l’art. 30, comma 1 della legge n. 289 del 2002, nella parte in cui dispone la ricognizione da parte dello Stato dei trasferimenti erariali di parte corrente non localizzati, attualmente attribuiti alle Regioni. In particolare, la ricorrente richiama la recente giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 37 del 2004) nella quale è affermato il principio del divieto di interventi normativi statali “peggiorativi dell’assetto delle relazioni finanziarie fra i diversi livelli di governo attualmente in essere”.

Inoltre, ad avviso della ricorrente, la disposizione impugnata non potrebbe essere ricondotta nell’ambito del coordinamento della finanza pubblica – materia per la quale lo Stato ha potestà legislativa concorrente – dal momento che essa non porrebbe principi fondamentali della materia, contenendo viceversa norme di dettaglio autoapplicative, incidenti sulla autonomia finanziaria regionale.

Con riferimento alle censure concernenti l’art. 91, la Regione Toscana sostiene che esse troverebbero conferma nella sentenza n. 370 del 2003 di questa Corte, concernente proprio gli asili nido, la quale ha affermato in primo luogo che gli asili nido rientrerebbero nell’ambito della materia dell’istruzione e della tutela del lavoro, affidate alla legislazione concorrente di Stato e Regioni, ed in secondo luogo che la configurazione di un fondo settoriale di finanziamento gestito dallo Stato viola in modo palese l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa delle Regioni e degli enti locali. Di qui la conferma della illegittimità costituzionale del fondo di rotazione previsto dalla norma impugnata.

7. – Anche la Regione Emilia-Romagna ha depositato una memoria in prossimità dell’udienza. Quanto alle censure concernenti l’art. 30, comma 1, la ricorrente sostiene che tale disposizione farebbe “sistema” con gli artt. 2 e 3 della medesima legge, anch’essi oggetto di impugnazione. Il primo comma dell’art. 30, infatti, conterrebbe disposizioni volte a rinviare l’attuazione del federalismo fiscale di cui all’art. 119 Cost., mentre i menzionati artt. 2 e 3 eliminerebbero del tutto l’autonomia impositiva delle Regioni. Il quadro – anche alla luce del comma 15 dell’art. 30, che prevede sanzioni per la violazione del divieto di fare ricorso all’indebitamento per spese differenti da quelle di investimento – sarebbe di estremo sfavore per le autonomie regionali. Inoltre, la considerazione delle ulteriori disposizioni del medesimo art. 30 impugnate, ossia i commi 2 e 3, induce la ricorrente a ritenere che al quadro sommariamente descritto si aggiungerebbe un ulteriore aspetto fortemente lesivo delle prerogative costituzionali delle Regioni, ossia la “deroga” alle “garanzie di cooperazione istituzionale”, che sarebbero invece ”proprie del federalismo fiscale”.

In relazione alla impugnazione dell’art. 91, invece, la Regione osserva che la fondatezza delle proprie ragioni sarebbe provata dalla sentenza n. 370 del 2003 di questa Corte, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale di un analogo fondo con vincolo di destinazione. Alla disposizione annullata in quella sede – nota la memoria – la disciplina attualmente in contestazione si richiama espressamente.

L’unica differenza rispetto al caso deciso dalla Corte con la menzionata sentenza sarebbe la circostanza secondo la quale il precedente fondo era destinato ad essere ripartito tra le Regioni, mentre quello istituito dall’art. 91 dovrebbe essere distribuito direttamente ai privati che abbiano diritto a beneficiarne: tale differenza, tuttavia, non varrebbe ad evitare la violazione dell’art. 119 Cost., dal momento che “il fatto stesso di non trasferire alle Regioni i fondi per l’esercizio delle funzioni” violerebbe la richiamata disposizione costituzionale. Peraltro, ad essere violato sarebbe anche l’art. 117, terzo comma, Cost., dal momento che – come già riconosciuto dalla citata sentenza n. 370 del 2003 – le disposizioni de quibus ricadrebbero nell’ambito di una materia affidata alla legislazione concorrente, non potendo certo qualificarsi come “principi fondamentali”, e non essendo del resto giustificabili in nome di esigenze unitarie o della necessità di “sostenere la competitività del sistema economico”.

Da ultimo, la ricorrente richiama, in relazione alla illegittimità delle norme dell’art. 91 che prevedono la adozione di atti “sostanzialmente” regolamentari in materie differenti da quelle di cui al secondo comma dell’art. 117 Cost., la necessità di far ricorso al criterio “sostanziale” per determinare la natura normativa o non normativa degli atti in questione, che sarebbe stata affermata dalla Corte con le sentenze n. 13 del 2004 e n. 88 del 2003.

8. – Anche la Regione Veneto, in prossimità dell’udienza, ha depositato una memoria, peraltro senza svolgere alcuna ulteriore argomentazione a sostegno delle censure rivolte alle disposizioni qui considerate.

9. – L’Avvocatura dello Stato ha depositato una ulteriore memoria difensiva nel giudizio instaurato dal ricorso della Regione Toscana.

In relazione alle censure rivolte nei confronti del comma 1 dell’art. 30, la difesa statale osserva come da questa disposizione non potrebbero in ogni caso derivare conseguenze dannose a carico delle prerogative costituzionali delle Regioni. L’art. 30, comma 1, infatti, prevedendo la ricognizione di tutti i trasferimenti di parte corrente non localizzati operati dallo Stato alle Regioni e la loro confluenza in un fondo unico da ripartire poi tra queste ultime con criteri stabiliti d’intesa con la Conferenza unificata, costituirebbe un passo verso la piena attuazione del federalismo fiscale previsto dall’art. 119 Cost. Rispetto al sistema “a regime”, dunque, la disposizione impugnata non predisporrebbe nient’altro che una disciplina transitoria.

In relazione alle doglianze svolte nei confronti dell’art. 91, la difesa erariale ritiene invece che le differenze sussistenti tra la disciplina oggetto del giudizio e quella caducata per effetto della sentenza n. 370 del 2003 varrebbero a sottrarre la prima dalle censure di incostituzionalità. In particolare, quanto alla lamentata violazione dell’art. 119 Cost., la circostanza che il fondo di rotazione contemplato dalla disposizione impugnata debba essere ripartito direttamente tra i datori di lavoro che organizzino all’interno dei luoghi di lavoro servizi di asili nido, senza transitare dalle Regioni, renderebbe l’art. 91 del tutto indifferente per l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa, la quale non verrebbe in alcun modo incisa. Né del resto potrebbe dirsi violato l’art. 117, terzo comma, Cost., nella parte in cui assegna alla competenza concorrente di Stato e Regioni le materie dell’istruzione e della sicurezza del lavoro: infatti, le disposizioni oggetto del giudizio, pur rientrando in tali ambiti, non comprimerebbero in alcun modo le competenze regionali, dal momento che si limiterebbero ad introdurre un beneficio a favore di soggetti privati “indipendentemente dagli (ed in chiave solo aggiuntiva rispetto agli) interventi (…) disposti secondo le proprie scelte dal legislatore regionale”. Inoltre – osserva l’Avvocatura – la norma statale si collegherebbe comunque a materie per le quali residua una competenza del legislatore statale.

Infine, infondate sarebbero anche le censure rivolte avverso la previsione del potere, da parte del Ministro del lavoro, di fissare con decreti non regolamentari i criteri per la concessione dei finanziamenti, poiché, “trattandosi (…) di sovvenzioni erogate direttamente allo Stato su propri fondi a soggetti privati”, non si inciderebbe nella competenza costituzionalmente garantita delle Regioni.

10. – L’Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria anche in relazione al giudizio instaurato dal ricorso della Regione Emilia-Romagna.

Quanto al comma 1 dell’art. 30, la difesa erariale propone considerazioni analoghe a quelle svolte in riferimento al ricorso della Regione Toscana e sopra richiamate.

In relazione alle censure rivolte nei confronti del comma 2 dell’art. 30, l’Avvocatura ricorda come l’art. 6 della legge 29 marzo 2001, n. 135 (Riforma della legislazione nazionale del turismo), abbia previsto l’istituzione presso il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato, di un apposito fondo di cofinanziamento, alimentato da risorse statali, volto “al fine di migliorare la qualità dell’offerta turistica”. Di tale fondo, il 70 per cento viene ripartito tra le Regioni e le Province autonome ai sensi del comma 2, in base a criteri stabiliti con decreto ministeriale previa intesa con la Conferenza unificata. Quanto al restante 30 per cento, la disposizione impugnata (art. 30, comma 2) stabilisce che, in luogo della procedura originariamente contemplata – basata su una graduatoria predisposta dal Ministero in relazione ad appositi bandi annuali di concorso e sulla scorta di piani di intervento finalizzati presentati dagli stessi enti “con impegni di spesa, coperti con fondi propri, non inferiori al 50 per cento della spesa prevista” –, si proceda con le medesime modalità del restante 70 per cento.

La difesa erariale evidenzia come la disciplina impugnata determini la attribuzione di risorse, prima vincolate all’impegno di spesa per almeno il 50 per cento con fondi degli enti destinatari, assoggettate solo ad un vincolo generico per la loro utilizzazione, quale quello della destinazione al fine del “miglioramento della qualità dell’offerta turistica, ivi compresa la promozione e lo sviluppo dei sistemi turistici locali”.

Infine, per il principio di continuità dell’ordinamento, si dovrebbe escludere che “la intera normativa del 2001 istitutiva del predetto fondo di cofinanziamento sia divenuta di per sé incompatibile con il nuovo assetto costituzionale”. In base a tali argomenti, la proposta censura di legittimità costituzionale sarebbe da respingere.

Anche le censure rivolte avverso il comma 5 dell’art. 30 sarebbero, secondo la difesa erariale, infondate. Ciò in quanto l’operazione cui è chiamato il decreto ministeriale previsto da tale disposizione sarebbe meramente “tecnico-contabile”, estranea ad ogni valutazione di carattere politico e discrezionale. In conseguenza, sarebbe da ritenere senz’altro sufficiente lo strumento collaborativo del parere e comunque sarebbero da considerare fatte salve le iniziative delle singole Regioni che si ritenessero in concreto lese dal provvedimento in questione.

Quanto al comma 15 dell’art. 30, anch’esso oggetto di impugnazione da parte della Regione Emilia-Romagna, l’Avvocatura ritiene che la nullità degli atti e dei contratti degli enti territoriali posti in essere in violazione del precetto costituzionale che vieta di far ricorso all’indebitamento per spese diverse da quelle di investimento costituirebbe nient’altro che “piana attuazione” del sesto comma dell’art. 119 Cost.

D’altra parte, osserva la difesa erariale, non si comprenderebbe “quale potrebbe essere al proposito il fondamento costituzionale della rivendicata potestà legislativa regionale, nulla avendo a che fare siffatta disciplina con l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa della Regione e degli enti locali”.

La ulteriore conseguenza prevista dalla disposizione impugnata in caso di violazione del detto divieto – consistente nella comminatoria di una sanzione pecuniaria a carico degli amministratori inadempienti – non determinerebbe in alcun modo una violazione dell’invocato parametro costituzionale. Tale sanzione (che comunque, secondo l’Avvocatura, non andrebbe confusa con la eventuale responsabilità amministrativa o contabile delle medesime persone fisiche), costituirebbe, infatti, la “enunciazione di un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica”.

L’Avvocatura dello Stato, da ultimo, espone alcuni rilievi in relazione alle censure proposte avverso l’art. 91 della legge n. 289 del 2002 del tutto analoghi a quelli, già richiamati, contenuti nella memoria depositata nel giudizio introdotto dal ricorso della Regione Toscana.

11. – L’Avvocatura dello Stato ha presentato una memoria anche nel giudizio introdotto dal ricorso della Regione Veneto.

In tale memoria sono contenute alcune argomentazioni difensive – in parte differenti rispetto a quelle già esposte – riguardanti la pretesa compatibilità costituzionale dell’art. 91 della legge n. 289 del 2002.

In particolare, si sostiene che la predisposizione di asili nido rientrerebbe nella politica aziendale del lavoro, rendendo “più appetibile” il posto di lavoro, di modo che non si verterebbe nell’ambito della “istruzione pubblica” (pur essendo presente un fine di istruzione), bensì in quello “di un servizio reso prevalentemente a tutela dei lavoratori giovani”; l’intervento dello Stato, esteso a tutto il territorio nazionale, sarebbe in grado di assicurare la uniformità del mercato del lavoro mediante la omogeneità dei criteri utilizzati e la circostanza della unicità degli uffici che vi provvedono; ciò – evitando le distorsioni derivanti da “discipline sbilanciate” delle singole Regioni – perseguirebbe l’obiettivo di tutelare la concorrenza; la disciplina in esame, inoltre, sarebbe volta “non solo alla determinazione, ma soprattutto alla realizzazione” dei livelli minimi essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali; tali obiettivi non potrebbero essere perseguiti efficacemente se non da parte dello Stato, per esigenze di unitarietà e questo evidenzierebbe, ai sensi dell’art. 118 Cost., il titolo dell’intervento, anche legislativo, dello Stato; la difesa erariale, in sintesi, ritiene che l’intervento contemplato dalle disposizioni impugnate rientrerebbe tra le “iniziative di ordine macroeconomico” che non potrebbero essere che di competenza statale.

Considerato in diritto

1. – Le Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Veneto, nell’impugnare numerose disposizioni della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2003), hanno censurato, tra l’altro, i commi 1, 2, 5 e 15 dell’art. 30 (Disposizioni varie per le Regioni) e l’art. 91 (Asili nido nei luoghi di lavoro) di tale legge.

In particolare, le Regioni Emilia-Romagna e Toscana hanno impugnato il comma 1 dell’art. 30 della legge n. 289 del 2002, in quanto la previsione di un procedimento di ricognizione dei trasferimenti erariali di parte corrente, di una loro successiva confluenza in un fondo unico, nonché della determinazione di criteri di riparto ad opera di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, urterebbe esplicitamente con quanto previsto nell’art. 119 Cost. e comunque eccederebbe i poteri legislativi statali in relazione alla determinazione dei principi fondamentali in tema di “armonizzazione dei bilanci pubblici” e di “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”.

La Regione Emilia-Romagna ha impugnato il comma 2 dell’art. 30 della legge n. 289 del 2002, che disciplina e prevede i criteri di riparto da parte di organi statali del “fondo di offerta turistica”, poiché questa disciplina sarebbe in contrasto con gli artt. 117 e 119 Cost., intervenendo in una materia riconducibile al quarto comma dell’art. 117 Cost.

Sempre la Regione Emilia-Romagna ha impugnato il comma 5 dell’art. 30 della legge n. 289 del 2002, che disciplina la ripartizione fra le Regioni dell’importo, determinato per legge, corrispondente alla perdita del gettito corrispondente alla riduzione dell’accisa sulla benzina, poiché in relazione agli atti governativi di riparto si prevede un coinvolgimento soltanto a livello consultivo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni.

La Regione Emilia-Romagna, infine, ha impugnato il comma 15 dell’art. 30 della legge n. 289 del 2002, che prevede la nullità degli atti e dei contratti in violazione del divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento, nonché la eventuale irrogazione di sanzioni pecuniarie a carico degli amministratori che abbiano assunto le relative delibere, in quanto questa disciplina non troverebbe legittimazione nell’art. 117 Cost. ed anzi derogherebbe alla potestà legislativa regionale di tipo residuale in tema di ordinamento del proprio personale.

Le Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Veneto hanno impugnato anche l’art. 91 della legge n. 289 del 2002, che prevede e disciplina, come fondo ministeriale, un fondo di rotazione per il finanziamento dei datori di lavoro che realizzano servizi di asilo nido o micro-nidi; i rilievi di costituzionalità muovono dall’affermazione che la materia degli asili nido sarebbe estranea a quelle di competenza statale ai sensi dell’art. 117 Cost. e che comunque il fondo in parola costituirebbe un fondo settoriale, escluso dall’art. 119 Cost.

Per ragioni di omogeneità di materia, le questioni di costituzionalità indicate debbono essere trattate separatamente dalle altre, sollevate con i medesimi ricorsi, oggetto di distinte decisioni.

Considerata la sostanziale analogia delle questioni di costituzionalità relative agli artt. 30 e 91 della legge n. 289 del 2002, i giudizi promossi dai tre ricorsi, per questa parte, possono essere riuniti per essere decisi con un’unica sentenza.

2. – Le questioni sollevate dalle Regioni ricorrenti relativamente al comma 1 dell’art. 30 della legge n. 289 del 2002 non sono fondate.

Questa disposizione, infatti, appare esplicitamente finalizzata a disciplinare – in via del tutto transitoria – i trasferimenti erariali di parte corrente alla finanza delle Regioni, peraltro a condizione che si manifesti una convergenza fra gli organi governativi e la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), sia sull’esito dell’opera di ricognizione di questi fondi che sui criteri di riparto fra le Regioni dei fondi confluiti nell’apposito fondo unico.

Come questa Corte ha già rilevato, il processo di attuazione dell’art. 119 Cost. esige necessariamente l’intervento del legislatore statale che, “al fine di coordinare l’insieme della finanza pubblica, dovrà non solo fissare i principi cui i legislatori regionali dovranno attenersi, ma anche determinare le grandi linee dell’intero sistema tributario, e definire gli spazi e i limiti entro i quali potrà esplicarsi la potestà impositiva, rispettivamente, di Stato, Regioni ed enti locali” (sent. n. 37 del 2004). Questa attuazione appare tuttora lontana e sintomo evidente di ciò sono – tra l’altro – i rinvii del termine dei lavori dell’apposita Alta Commissione di studio, da ultimo spostati al 30 settembre 2005 (cfr. art. 1-quinquies della legge 19 ottobre 2004, n. 257 di conversione del decreto-legge 3 agosto 2004, n. 220 recante “Disposizioni urgenti in materia di personale del Centro nazionale per l'informatica nella pubblica amministrazione (CNIPA), di applicazione delle imposte sui mutui e di agevolazioni per imprese danneggiate da eventi alluvionali”). In questa situazione transitoria è consentita l’adozione da parte dello Stato di discipline parzialmente modificative, purché evidentemente non peggiorative della situazione preesistente o contraddittorie rispetto alle caratteristiche essenziali dell’autonomia finanziaria regionale configurata nel nuovo Titolo V della Costituzione (sentenze n. 37 e n. 241 del 2004).

Da questo punto di vista, la disposizione oggetto del presente giudizio appare finalizzata ad introdurre in via transitoria una parziale razionalizzazione di alcuni tipi di trasferimenti erariali alle Regioni, inoltre con la previsione di un necessario consenso della Conferenza unificata sulle eventuali determinazioni governative (peraltro finora – a quanto risulta – mai intervenute neppure per ciò che concerne la fase della ricognizione).

Né si tratta – come asserito dalle ricorrenti – di un improprio esercizio da parte statale del potere legislativo in tema di “armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”, dal momento che, invece, si tratta di una disciplina transitoria in vista dell’attuazione dell’art. 119 della Costituzione.

3. – La questione sollevata in relazione al comma 2 dell’art. 30 della legge n. 289 del 2002 non è fondata.

Questa disposizione, infatti, non si pone in contrasto con l’art. 119 Cost., in quanto modifica l’utilizzazione di parte del fondo di cui all’art. 6 della legge 29 marzo 2001, n. 135 (Riforma della legislazione statale del turismo) e non prevede nuove finalità per tale fondo. Infatti, come nota esattamente l’Avvocatura generale dello Stato, questa disposizione si limita a modificare – in termini non peggiorativi per l’autonomia finanziaria regionale, quale disciplinata in attesa dell’attuazione dell’art. 119 Cost. – le modalità di riparto del 30 per cento del fondo già previsto dall’art. 6 della legge n. 135 del 2001 (quota la cui distribuzione era originariamente lasciata alla valutazione discrezionale delle richieste regionali da parte del Ministero sentita la Conferenza unificata) rendendole omogenee e a quanto previsto per la residua parte del “fondo per il cofinanziamento dell’offerta turistica”, e quindi rinviando ad un decreto ministeriale, “previa intesa in sede di Conferenza unificata”, la determinazione dei criteri e delle modalità della sua ripartizione fra le Regioni e le Province autonome.

4. – In relazione alla questione di costituzionalità del comma 5 dell’art. 30 della legge n. 289 del 2002, va dichiarata la cessazione della materia del contendere, dal momento che l’attuazione di questa disposizione (censurata in riferimento al ruolo meramente consultivo attribuito alla Conferenza Stato-Regioni ai fini del riparto della somma) si è esaurita mediante l’adozione di due decreti ministeriali adottati con il parere unanime favorevole dei rappresentanti delle Regioni: il d.m. 19 giugno 2003 (Ripartizione tra le regioni a statuto ordinario del finanziamento di euro 342.583.000 previsto dalla legge 27 dicembre 2002, n. 289, Legge finanziaria 2003, per la copertura della perdita di gettito realizzata per l’anno 2001 in conseguenza della riduzione dell’accisa sulla benzina non compensata dal maggior gettito delle tasse automobilistiche) e il d.m. 18 giugno 2004 (Ripartizione tra le regioni a statuto ordinario del finanziamento di euro 342.583.000 previsto dalla legge 27 dicembre 2002, n. 289, legge finanziaria 2003, per la copertura della perdita di gettito realizzata per l’anno 2002 in conseguenza della riduzione dell’accisa sulla benzina non compensata dal maggior gettito delle tasse automobilistiche).

5. – La questione sollevata in relazione al comma 15 dell’art. 30 della legge n. 289 del 2002 non è fondata.

La previsione della nullità degli atti e dei contratti posti in essere in violazione del divieto di ricorrere all’indebitamento per finanziare spese diverse da quello di investimento, di cui all’ultimo comma dell’art. 119 Cost., e della possibile condanna, da parte della Corte dei conti, ad una sanzione pecuniaria (rapportata all’indennità di carica) per gli amministratori degli enti territoriali che vi ricorrano, non inerisce, come sostiene la ricorrente, alla materia della disciplina dell’ordinamento e dell’organizzazione amministrativa e contabile delle Regioni e degli enti locali, ma trova il suo fondamento nella potestà legislativa dello Stato di dare attuazione al sesto comma dell’art. 119 Cost., dal momento che configura esclusivamente alcune sanzioni per comportamenti confliggenti con il divieto affermato nella disposizione costituzionale.

6. – Le censure rivolte avverso l’intero art. 91 della legge n. 289 del 2002 si fondano sull’assunto della illegittimità costituzionale sia di un intervento legislativo dello Stato in tema di asili nido – e cioè in una materia di competenza residuale delle Regioni o concorrente – sia della creazione di un fondo statale di finanziamento dei datori di lavoro che realizzino asili nido o micro-nidi nei luoghi di lavoro, in quanto tali previsioni contrasterebbero con gli artt. 117 e 119 Cost.

Tali rilievi, peraltro, non sono riferibili al comma 6 dell’art. 91, che contiene semplicemente una interpretazione autentica del comma 6 dell’art. 70 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato, -Legge finanziaria 2002). Tale disposizione prevede la deducibilità di alcuni oneri dai redditi imponibili dei genitori e dei datori di lavoro ed è già stata considerata da questa Corte come concernente profili irrilevanti rispetto alle contestazioni regionali relative alla tutela della potestà normativa delle Regioni (cfr. sentenza n. 370 del 2003, punto 8 del Considerato in diritto).

Devono pertanto considerarsi inammissibili, in quanto non sorrette da alcuna specifica argomentazione, le censure di costituzionalità sollevate in relazione al comma 6 dell’art. 91 della legge n. 289 del 2002.

7. – La questione di costituzionalità sollevata in relazione ai primi cinque commi dell’art. 91 della legge n. 289 del 2002 è fondata.

Questa Corte, con la richiamata sentenza n. 370 del 2003, ha negato che la disciplina degli asili nido possa essere ricondotta alle materie di competenza residuale delle Regioni ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost., ma ha piuttosto ritenuto – sulla base di una ricostruzione dell’evoluzione normativa del settore – “che, utilizzando un criterio di prevalenza, la relativa disciplina non possa che ricadere nell’ambito della materia dell’istruzione (sia pure in relazione alla fase pre-scolare del bambino), nonché per alcuni profili nella materia della tutela del lavoro, che l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, affida alla potestà legislativa concorrente”. In questi ambiti il legislatore statale può determinare soltanto i principi fondamentali della materia e non dettare una disciplina dettagliata ed esaustiva, quale quella contenuta nei primi cinque commi dell’art. 91 della legge n. 289 del 2002, mediante la quale organi statali provvedono ad agevolare la realizzazione di asili-nido nei luoghi di lavoro.

Né si possono condividere le tesi dell’Avvocatura generale dello Stato secondo le quali l’art. 91 della legge n. 289 del 2002 sarebbe riconducibile all’esercizio di alcuni poteri legislativi di esclusiva competenza statale, di cui al secondo comma dell’art. 117 Cost.

In particolare, appare immotivata l’opinione che ci si trovi dinanzi ad una “iniziativa di ordine macroeconomico”, incidente in molteplici settori produttivi, che potrebbe alterare i fattori concorrenziali ove non fosse disciplinata da una normazione statale; è, al contrario, evidente che si tratta di iniziativa estranea all’ambito degli interventi riguardanti il mercato, senza dire della limitatezza dei mezzi economici impegnati rispetto all’estrema vastità dei settori aziendali interessati, della volontarietà delle iniziative da parte degli imprenditori di creazione degli asili nido aziendali, della stessa diversità delle situazioni di necessità nelle diverse aree territoriali a causa delle realizzazioni da parte degli enti locali di asili nido anche a servizio dei genitori che lavorano.

Comunque, anche ove si fosse dinanzi ad interventi incidenti sulle attività produttive, questa Corte, a proposito della competenza esclusiva statale in tema di tutela della concorrenza, di cui al secondo comma dell’art. 117 Cost., ha chiarito nella sentenza n. 14 del 2004 che spetta allo Stato la competenza ad adottare provvedimenti idonei “ad incidere sull’equilibrio economico generale”, mentre appartengono “alla competenza legislativa concorrente o residuale delle Regioni gli interventi sintonizzati sulla realtà produttiva regionale tali comunque da non creare ostacolo alla libera circolazione delle persone e delle cose fra le Regioni e da non limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale (art. 120, primo comma, Cost.)”.

Inoltre, è del tutto estranea al secondo comma dell’art. 117 Cost. la trasformazione, ipotizzata dall’Avvocatura generale, del potere statale di predeterminazione normativa dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali in questa particolare materia in una loro diretta “realizzazione” da parte dello Stato, a correzione di ipotetiche “discipline sbilanciate” poste in essere dalle singole Regioni. Ai sensi del nuovo Titolo V della seconda parte della Costituzione, lo Stato dispone di altri strumenti per garantire un uso corretto dei poteri regionali: a tal fine rilevano, in particolare, proprio la eventuale predeterminazione normativa da parte dello Stato dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, nonché l’attribuzione al Governo, ai sensi del secondo comma dell’art. 120 Cost., del potere di intervenire in via sostitutiva pure a “tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”.

Del pari non convincenti appaiono le argomentazioni dell’Avvocatura generale relativamente al fatto che un fondo come quello di cui all’art. 91 non violerebbe l’art. 119 Cost., poiché sarebbe aggiuntivo rispetto alla finanza regionale e comunque sarebbe destinato ad essere ripartito fra soggetti privati “indipendentemente dagli (ed in chiave solo aggiuntiva rispetto agli) interventi (…) disposti secondo le proprie scelte dal legislatore regionale”: anzitutto, la definizione dell’ampiezza della finanza regionale, in conformità al nuovo Titolo V, deve essere ancora operata, ma dovrà necessariamente riferirsi alla effettiva capacità delle Regioni di “finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite” (art. 119, quarto comma, Cost.). In questa valutazione occorrerà considerare che le funzioni attribuite alle Regioni ricomprendono pure la possibile erogazione di contributi finanziari a soggetti privati, dal momento che in numerose materie di competenza regionale le politiche pubbliche consistono appunto nella determinazione di incentivi economici ai diversi soggetti che vi operano e nella disciplina delle modalità per la loro erogazione.

D’altra parte, il tipo di ripartizione delle materie fra Stato e Regioni di cui all’art. 117 Cost., vieta comunque che in una materia di competenza legislativa regionale, in linea generale, si prevedano interventi finanziari statali seppur destinati a soggetti privati, poiché ciò equivarrebbe a riconoscere allo Stato potestà legislative e amministrative sganciate dal sistema costituzionale di riparto delle rispettive competenze.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata ogni decisione sulle restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge finanziaria 2003), sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna, Toscana e Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi relativi agli artt. 30 e 91 della legge 27 dicembre 2002, n. 289;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 91, commi 1, 2, 3, 4 e 5, della legge n. 289 del 2002;

dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 5, della legge n. 289 del 2002, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 1, della legge n. 289 del 2002, sollevata dalle Regioni Toscana ed Emilia-Romagna, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 2, della legge n. 289 del 2002, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, per violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 30, comma 15, della legge n. 289 del 2002, sollevata dalla Regione Emilia-Romagna, per violazione dell’art. 117 della Costituzione, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il  28 ottobre 2004.

F.to:

Valerio ONIDA, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 novembre 2004.