Sentenza n. 165 del 2007

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SENTENZA N. 165

ANNO 2007

 

Commento alla decisione di

 

Carlo Padula

Principio di corrispondenza chiesto-pronunciato, principio di sussidiarietà e distretti produttivi: una sentenza che desta perplessità

 

(per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                           BILE                                            Presidente

-    Francesco                      AMIRANTE                                 Giudice

-    Ugo                               DE SIERVO                                      "

-    Paolo                             MADDALENA                                 "

-    Alfio                             FINOCCHIARO                               "

-    Alfonso                         QUARANTA                                    "

-    Franco                           GALLO                                             "

-    Luigi                             MAZZELLA                                     "

-    Gaetano                        SILVESTRI                                       "

-    Sabino                           CASSESE                                          "

-    Maria Rita                     SAULLE                                           "

-    Giuseppe                       TESAURO                                        "

-    Paolo Maria                   NAPOLITANO                                 "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 366, 368 e 369, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ‑ legge finanziaria 2006), promossi con ricorsi delle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, notificati il 22 e il 27 febbraio 2006, depositati in cancelleria il 28 febbraio e il 3 e il 4 marzo 2006 ed iscritti ai numeri 28, 39 e 41 del registro ricorsi 2006.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 20 febbraio 2007 il Giudice relatore Giuseppe Tesauro;

uditi gli avvocati Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon e Andrea Manzi per la Regione Emilia-Romagna, Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia e l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

1. – Le Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Toscana, con separati ricorsi notificati il 27 febbraio ed il 22 febbraio, depositati il 3 e 4 marzo 2006 ed il 28 febbraio 2006, hanno promosso, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 366, 368 (rectius: comma 368, lettera b, numeri 1 e 2, e lettera d, numero 4, censurato soltanto dalle prime due Regioni) e 369 (comma quest’ultimo impugnato soltanto dalla terza ricorrente) della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ‑ legge finanziaria 2006), in riferimento agli artt. 97, 117, quarto e sesto comma, e 118 della Costituzione (la prima ricorrente), nonché agli artt. 117, quarto e sesto comma, e 118 della Costituzione, all’art. 4, numeri 2, 3, 6, 7, 8, 10, 11 e 13, all’art. 5, numeri 7, 8 e 9, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) (la seconda ricorrente), infine, agli artt. 117 e 118 della Costituzione (la terza ricorrente).

1.1. – Il citato art. 1, al comma 366, disciplina i «distretti produttivi», che definisce quali «libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, con l’obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento, di migliorare l’efficienza nell’organizzazione e nella produzione, secondo princìpi di sussidiarietà verticale ed orizzontale, anche individuando modalità di collaborazione con le associazioni imprenditoriali». Detto articolo 1, al comma 368, lettera b), numeri 1 e 2, stabilisce la disciplina applicabile ai distretti produttivi in materia amministrativa; al comma 368, lettera d), disciplina la costituzione e l’organizzazione dell’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione; al comma 369 prevede che le disposizioni concernenti i distretti produttivi si applicano anche ai distretti rurali e agro-alimentari di cui all’art. 13 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57), ai sistemi produttivi, ai sistemi produttivi locali, distretti industriali e della pesca e consorzi di sviluppo industriale definiti ai sensi dell’art. 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317 (Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese), nonché ai consorzi per il commercio estero di cui alla legge 21 febbraio 1989, n. 83 (Interventi di sostegno per i consorzi tra piccole e medie imprese industriali, commerciali ed artigiane).

2. – Le Regioni Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, nei ricorsi e nelle memorie depositate in prossimità dell’udienza pubblica, di contenuto in larga misura coincidente, premettono che la disciplina recata dalle norme impugnate attiene alle «materie dello sviluppo economico», riconducibili, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., alla competenza legislativa cosiddetta residuale delle Regioni e, comunque, presenta profili di interferenza con la competenza legislativa regionale in materia di politica economica e di interventi nell’economia, benché sia connessa anche con materie spettanti alla competenza legislativa dello Stato quale, ad esempio, quella fiscale. A loro avviso, detta connessione avrebbe reso possibile una regolamentazione di carattere generale e non, come sarebbe accaduto, l’emanazione di norme di dettaglio che, conseguentemente, sarebbero costituzionalmente illegittime.

Inoltre, in violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., che limita il potere regolamentare dello Stato alle materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva del medesimo, la disciplina dei distretti produttivi è stata demandata a decreti interministeriali, senza neppure stabilire criteri e parametri legislativi, quindi anche in contrasto con il principio di legalità sostanziale.

In linea gradata, ad avviso delle ricorrenti, qualora si ritenesse legittima la fissazione delle caratteristiche dei distretti e dei relativi criteri di individuazione con decreto interministeriale, l’art. 1, comma 366, della legge n. 266 del 2005 sarebbe comunque costituzionalmente illegittimo, in quanto non è prevista nessuna forma di collaborazione con le Regioni, in particolare, nella forma della acquisizione dell’intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano (di seguito: Conferenza Stato-Regioni), ed in quanto ad esse non è riconosciuto alcun ruolo in occasione della «concreta individuazione» di ciascun distretto.

Le Regioni censurano il citato art. 1, comma 368, lettera b), numeri 1 e 2, poiché stabilisce la disciplina «dell’azione amministrativa in relazione alle imprese», che spetta alla competenza regionale, salvo che per gli eventuali interventi di carattere macroeconomico. Inoltre, la disposizione esproprierebbe le Regioni dall’attività amministrativa di propria competenza in favore di corpi espressivi degli interessi parziali delle imprese, dei quali non sono definite con legge le caratteristiche, prevedendo che, a seguito della dichiarazione dei distretti in ordine alla titolarità da parte delle imprese dei requisiti necessari per l’avvio del procedimento amministrativo e per la partecipazione allo stesso, nonché per la sua conclusione con atto formale ovvero con effetto finale favorevole alle imprese aderenti, le pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici provvedono senza altro accertamento nei riguardi delle imprese aderenti.

Pertanto, la norma illegittimamente sottrae la disciplina della materia in esame e del procedimento amministrativo alle Regioni, alle quali essa spetta, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., anche in virtù dell’art. 29 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), nel testo sostituito dall’art. 19 della legge 11 febbraio 2005, n. 15 (Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa), prevedendo poteri normativi del Ministro, preclusi in relazione all’attività amministrativa regionale, vieppiù in quanto gli atti previsti dalla norma possono essere adottati senza alcuna partecipazione delle Regioni.

Secondo la Regione Emilia-Romagna, la evidente «parzialità» del soggetto al quale sono attribuite le funzioni amministrative e la sua inidoneità a valutare gli interessi pubblici comportano anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 368, lettera b), numero 1, della legge n. 266 del 2005, in riferimento all’art. 97 Cost.

Infine, il citato art. 1, comma 368, lettera d), numero 4, violerebbe anch’esso le competenze legislative ed amministrative delle Regioni, nella parte in cui disciplina la costituzione e l’organizzazione dell’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione, senza prevedere la partecipazione delle Regioni, neppure in occasione dell’approvazione dello statuto dell’Agenzia da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri, che esercita un potere di vigilanza sulla medesima e, con propri decreti (di natura non regolamentare), sentiti i ministeri indicati nella norma, definisce «criteri e modalità per lo svolgimento delle attività istituzionali».

La Regione Friuli-Venezia Giulia deduce, inoltre, che i distretti produttivi costituiscono un istituto che presenta connessioni «con la potestà legislativa regionale in materia di politica economica e di interventi nell’economia, attribuite dall’art. 4 dello statuto regionale alla propria competenza legislativa di tipo primario, come specificato dai numeri 2, 3, 6, 7, 8, 10, 11, 13». Inoltre, lo statuto regionale attribuisce alla competenza legislativa concorrente della Regione la materia dei servizi pubblici (art. 5, n. 7), tra l’altro in relazione all’ordinamento «degli enti aventi carattere locale o regionale per i finanziamenti delle attività economiche nella Regione» (art. 5, n. 8), nonché quella della «istituzione e ordinamento di enti aventi carattere locale o regionale per lo studio di programmi di sviluppo economico» (n. 9) e, in ogni caso, le materie dello sviluppo economico sono attribuite alla competenza residuale di essa istante, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione e dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

2.1. – La Regione Toscana, nel ricorso e nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica, deduce che la disciplina recata dalle norme impugnate è riconducibile alle materie del commercio, dello sviluppo economico e dell’industria, attribuite alla competenza legislativa residuale delle Regioni, alle quali spetta quindi stabilire le caratteristiche e le modalità di individuazione dei distretti produttivi, come appunto ha fatto essa ricorrente con la deliberazione consiliare del 21 febbraio 2000, n. 69.

Pertanto, il citato art. 1, comma 366 – applicabile anche ai distretti rurali e agro-alimentari, ai sistemi produttivi locali, ai distretti industriali e ai consorzi industriali – viola gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto non sussistono – comunque non sono indicate – le ragioni che potrebbero giustificare l’attrazione allo Stato delle funzioni amministrative in esame e neppure è prevista l’intesa con le Regioni, che sarebbe invece necessaria.

Infine, il citato comma 366 si pone in contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost., dato che attribuisce ad una fonte regolamentare statale la definizione delle caratteristiche e delle modalità di individuazione dei distretti «(industriali, produttivi, rurali, agro-alimentari, dei sistemi produttivi, dei sistemi produttivi locali, dei consorzi di sviluppo industriale)» in una materia non riconducibile a quelle spettanti alla competenza dello Stato.

3. – In tutti e tre i giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo il rigetto dei ricorsi.

La difesa erariale, con argomentazioni sostanzialmente identiche nei tre atti di costituzione, deduce che l’art. 1, comma 366, della legge n. 266 del 2005, disponendo che con decreto interministeriale sono stabilite le caratteristiche necessarie, affinché le «libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale» siano riconosciute come distretti produttivi, concerne la materia «ordinamento civile», in quanto fissa i caratteri che devono connotare le associazioni degli imprenditori per dare luogo a detta nuova figura associativa, conosciuta sul piano economico, ma non disciplinata normativamente. A suo avviso, si tratta di una regolamentazione parallela a quella dei consorzi (artt. 2602 e seguenti del codice civile), destinata ad operare per scopi diversi.

Il comma 368, lettera b), numeri 1 e 2, della norma impugnata chiarisce i limiti della capacità giuridica dei distretti; la lettera d) concerne una Agenzia la cui costituzione non vulnera l’autonomia regionale, con conseguente infondatezza delle censure concernenti dette norme, che hanno ad oggetto materie nelle quali le Regioni non hanno competenza legislativa.

Secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la censura del comma 369 del citato art. 1, proposta dalla Regione Toscana, è infondata per le ragioni sopra svolte, limitandosi la norma a rendere applicabile il comma 366 ai distretti rurali ed agro-alimentari. Peraltro, nel caso in cui il decreto interministeriale previsto dalla disposizione dovesse eccedere i limiti da questa fissati, le Regioni potrebbero proporre conflitto di attribuzione in relazione a detto atto, eventualità questa che non può affatto comportare il contrasto della norma con i parametri costituzionali evocati.

4. – All’udienza pubblica le parti hanno insistito per l’accoglimento delle conclusioni svolte nelle difese scritte.

Considerato in diritto

1. – Le Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Toscana, con tre distinti ricorsi, hanno promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose norme della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ‑ legge finanziaria 2006).

1.1. – Le impugnazioni aventi ad oggetto l’art. 1, commi 366, 368 (rectius: comma 368, lettera b, numeri 1 e 2, e lettera d, censurato esclusivamente dalle prime due Regioni) e 369 (comma impugnato soltanto dalla terza ricorrente) della legge n. 266 del 2005 sono qui trattate separatamente rispetto alle altre questioni promosse nei suddetti ricorsi e, in quanto formulate in riferimento a profili e sulla scorta di argomentazioni sostanzialmente coincidenti, possono essere decise con la medesima sentenza.

2. – Le ricorrenti censurano l’art. 1, comma 366, della legge n. 266 del 2005, in riferimento agli artt. 97 (Regione Emilia-Romagna), 117, quarto e sesto comma, e 118 della Costituzione (Regioni Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia), nonché all’art. 4, numeri 2, 3, 6, 7, 8, 10, 11 e 13, e all’art. 5, numeri 7, 8 e 9, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), in relazione all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) (Regione Friuli-Venezia Giulia), ed agli artt. 117 e 118 Cost. (Regione Toscana).

La norma disciplina i «distretti produttivi», definiti quali «libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, con l’obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento, di migliorare l’efficienza nell’organizzazione e nella produzione, secondo princìpi di sussidiarietà verticale ed orizzontale, anche individuando modalità di collaborazione con le associazioni imprenditoriali».

Secondo le ricorrenti, la disposizione impugnata violerebbe i suindicati parametri costituzionali, in quanto i distretti produttivi attengono alle «materie dello sviluppo economico» (comunque a quelle del commercio e dell’industria) che, ex art. 117, quarto comma, Cost., spettano alla competenza legislativa residuale delle Regioni e, ad avviso della Regione Friuli-Venezia Giulia, sono riconducibili alla propria competenza legislativa primaria o concorrente, e comunque a quella residuale, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. e dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Inoltre, la disciplina in esame interferirebbe con la competenza legislativa regionale in materia di politica economica e di interventi nell’economia e, anche tenendo conto dell’esistenza di una connessione con àmbiti riservati alla competenza dello Stato (ad esempio, in materia fiscale), illegittimamente prevederebbe l’individuazione dei distretti produttivi con decreto interministeriale. Peraltro, secondo le ricorrenti, anche qualora siffatta modalità fosse ritenuta legittima, la disposizione sarebbe comunque viziata, poiché neppure è prevista la partecipazione delle Regioni in detta fase, in particolare, nella forma dell’acquisizione dell’intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

Infine, in contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost., la regolamentazione dei distretti produttivi è demandata a decreti interministeriali e, in ogni caso, in violazione del principio di legalità sostanziale, non sono stati stabiliti criteri e parametri legislativi; inoltre, in contrasto con l’art. 118 Cost., non sussistono – comunque non sono state indicate – le ragioni che giustificherebbero l’attrazione in sussidiarietà allo Stato della disciplina in esame.

2.1. – L’art. 1, comma 368, lettera b), numeri 1 e 2, della legge n. 266 del 2005, dispone che i distretti produttivi: svolgono attività riferibili direttamente alle imprese, secondo modalità applicative stabilite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica; possono inoltrare istanze per l’accesso ai contributi previsti da leggi regionali, nazionali o da disposizioni comunitarie, mediante un procedimento amministrativo collettivo, stipulando apposite convenzioni, anche di tipo collettivo, aventi ad oggetto la prestazione di garanzie, secondo modalità applicative fissate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

Ad avviso delle Regioni Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia, la norma violerebbe i parametri costituzionali sopra indicati (n. 2), in quanto disciplina la «azione amministrativa in relazione alle imprese», spettante alla competenza regionale, salvo che per gli eventuali interventi di carattere macroeconomico, prevedendo altresì poteri normativi ministeriali, preclusi in relazione all’attività amministrativa regionale, vieppiù in difetto della partecipazione delle Regioni alla adozione dei decreti previsti dalla disposizione. Inoltre, la norma illegittimamente sottrarrebbe alle amministrazioni la regolamentazione dell’attività amministrativa di propria competenza in favore di corpi espressivi degli interessi parziali delle imprese, dei quali non sono definite con legge le caratteristiche.

Infine, secondo la Regione Emilia-Romagna, il citato art. 1, comma 368, lettera b), numero 1, recherebbe vulnus anche all’art. 97 Cost., in considerazione della evidente “parzialità” del soggetto al quale sono attribuite le funzioni amministrative oggetto della medesima e della inidoneità del medesimo a valutare gli interessi pubblici.

Entrambe le ricorrenti impugnano l’indicato art. 1, comma 368, lettera d), numero 4, nella parte in cui regola la costituzione e l’organizzazione dell’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione, senza prevedere la partecipazione delle Regioni, neppure in occasione dell’approvazione dello statuto dell’Agenzia, riservata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, che esercita un potere di vigilanza sulla medesima e, con propri decreti (di natura non regolamentare), sentiti i ministeri indicati nella norma, definisce «criteri e modalità per lo svolgimento delle attività istituzionali».

2.2. – La Regione Toscana censura, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., anche l’art. 1, comma 369, della legge n. 266 del 2005, il quale stabilisce che le disposizioni recate dal comma 366, concernenti i distretti produttivi, si applicano altresì ai distretti rurali e agro-alimentari di cui all’art. 13 del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228 (Orientamento e modernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001, n. 57), ai sistemi produttivi, ai sistemi produttivi locali, distretti industriali e della pesca e consorzi di sviluppo industriale definiti ai sensi dell’art. 36 della legge 5 ottobre 1991, n. 317 (Interventi per l’innovazione e lo sviluppo delle piccole imprese), nonché ai consorzi per il commercio estero di cui alla legge 21 febbraio 1989, n. 83 (Interventi di sostegno per i consorzi tra piccole e medie imprese industriali, commerciali ed artigiane).

3. – La questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 368, lettera b), numero 1, della legge n. 266 del 2005, promossa dalla Regione Emilia-Romagna in riferimento all’art. 97 Cost., è inammissibile.

Va infatti ribadito che le Regioni possono far valere il contrasto delle disposizioni censurate con norme costituzionali diverse da quelle attributive di competenza legislativa soltanto se tale contrasto si risolva in una esclusione o limitazione dei poteri regionali (tra le molte, sentenze n. 116 del 2006, n. 383 e n. 285 del 2005). Pertanto, il mancato riferimento nella prospettazione della censura ad una compressione delle competenze della ricorrente, come conseguenza della pretesa violazione dell’art. 97 Cost., non consente di affrontare il merito della questione.

3.1. – Del pari inammissibile è la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 369, della legge n. 266 del 2005, promossa dalla Regione Toscana, in relazione agli artt. 117 e 118 Cost., non essendo individuabili, in riferimento a questa norma, censure sorrette da specifiche argomentazioni.

Nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’esigenza di una adeguata motivazione a sostegno dell’impugnativa si pone infatti in termini perfino più pregnanti che in quelli in via incidentale (ex plurimis, sentenze n. 139 del 2006; n. 450 del 2005).

4. – Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 366, 368, lettera b), numeri 1 e 2, e lettera d), della legge n. 266 del 2005, promosse in riferimento ai parametri sopra indicati, da esaminare congiuntamente in considerazione dei profili di connessione della disciplina e della sostanziale identità delle argomentazioni con le quali le disposizioni sono censurate, sono fondate nei limiti e nei termini di seguito precisati.

4.1. – Occorre anzitutto identificare la materia nella quale si collocano le disposizioni impugnate. A questo scopo, come questa Corte ha già affermato, occorre fare riferimento all’oggetto ed alla disciplina stabilita dalle norme scrutinate, per ciò che esse dispongono (sentenze n. 450 e n. 411 del 2006), alla luce della ratio dell’intervento legislativo nel suo complesso e nei suoi punti fondamentali, tralasciando gli aspetti marginali e gli effetti riflessi delle norme medesime (sentenze n. 319 e n. 30 del 2005), così da identificare correttamente e compiutamente anche l’interesse tutelato (sentenze n. 285 del 2005; n. 449 del 2006).

4.1.1. – La disciplina dei distretti produttivi, come risulta anche dai lavori preparatori, è parte di un complesso di misure approntate per favorire la crescita economica del Paese; in particolare, è stata intesa come un rimedio ad alcuni profili negativi correlati alle ridotte dimensioni che caratterizzano in grandissima parte le imprese italiane. Il conseguimento di questo obiettivo è stato affidato ad un intervento mirato a «valorizzare la specificità del nostro sistema produttivo», rendendo i «distretti la piattaforma di sviluppo e “tenuta” delle nostra economia» (così, la Relazione al disegno di legge), in quanto ritenuti idonei a permettere l’integrazione dell’offerta di beni e servizi da parte di imprese che svolgono attività complementari e comunque connesse, in definitiva a favorire condizioni di maggiore competitività.

Le conferenti disposizioni della legge 266 del 2005 hanno anzitutto definito, in linea generale, i distretti produttivi quali «libere aggregazioni di imprese articolate sul piano territoriale e sul piano funzionale, con l’obiettivo di accrescere lo sviluppo delle aree e dei settori di riferimento, di migliorare l’efficienza nell’organizzazione e nella produzione, secondo princìpi di sussidiarietà verticale ed orizzontale, anche individuando modalità di collaborazione con le associazioni imprenditoriali» (comma 366).

Per conseguire tali obiettivi, si sono disciplinati gli effetti di questa peculiare forma di aggregazione, in primo luogo, sotto il profilo fiscale e finanziario (comma 368, lettere a e c, non censurate dalle ricorrenti). In secondo luogo, allo scopo di permettere uno snellimento degli adempimenti burocratici dei quali sono onerate le imprese, è stato a queste concesso di «intrattenere rapporti con le pubbliche amministrazioni e con gli enti pubblici» «per il tramite del distretto», legittimato a svolgere detti adempimenti per conto delle medesime (comma 368, lettera b, numero 1), anche per «facilitare l’accesso ai contributi erogati a qualunque titolo», avvalendosi appunto della «attività di consulenza ed assistenza» che i distretti produttivi potranno loro fornire (comma 368, lettera b, numero 2). Peraltro, il contenuto delle norme dimostra che queste riguardano la facoltà dei distretti produttivi di agire in rappresentanza delle imprese nei rapporti con le pubbliche amministrazioni, piuttosto che – come sostenuto dalle ricorrenti – la disciplina del procedimento amministrativo, perseguendo dunque una finalità resa ancor più chiara dalla previsione della ulteriore facoltà dei distretti produttivi «di stipulare, per conto delle imprese, negozi di diritto privato secondo le norme in materia di mandato di cui agli articoli 1703 e seguenti del codice civile» (comma 368, lettera b, numero 3, non censurato dalle ricorrenti).

L’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione, oggetto del comma 368, lettera d), benché non strettamente connessa con la figura dei “distretti produttivi”, per espresso dettato della norma, è infine strumentale ad «accelerare il processo di circolazione della conoscenza ed accrescere la capacità competitiva delle piccole e medie imprese e delle piattaforme industriali», nonché ad «assistere le piattaforme industriali in ogni fase del percorso di ricerca, applicazione ed ingegnerizzazione di una nuova tecnologia».

4.2. – La disciplina e la ratio dell’intervento normativo rivelano con evidenza la finalità di realizzare una manovra di politica economica per favorire la crescita del sistema produttivo italiano. Nell’ordinamento, peraltro, già esistono discipline dirette a garantire anche siffatte esigenze di riordino e di intervento, pure conformate sulla peculiarità del sistema produttivo italiano e recanti misure dirette a favorirne lo sviluppo. Tra queste, va ricordata quella concernente i sistemi produttivi locali, definiti come «contesti produttivi omogenei, caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese, prevalentemente di piccole e medie dimensioni, e da una peculiare organizzazione interna», nel cui ambito costituiscono un particolare sottoinsieme i “distretti industriali”, «caratterizzati da una elevata concentrazione di imprese industriali nonché dalla specializzazione produttiva di sistemi di imprese» (art. 36 della legge n. 317 del 1991, nel testo sostituito dall’art. 6 della legge 11 maggio 1999, n. 140). Si tratta di una disciplina che ha riconosciuto dal punto di vista giuridico una realtà industriale, assegnando alle Regioni il compito di individuare i citati distretti, attribuendo alle medesime compiti rilevanti, con la conseguenza che è questa tipologia e non quella oggetto delle norme impugnate, che è stata anche puntualmente disciplinata da alcune di esse (così dalla Regione Toscana, con la delibera del Consiglio Regionale 21 febbraio 2000, n. 69, nonché dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, con la legge regionale 11 novembre 1999, n. 27, recante «Per lo sviluppo dei distretti industriali» e con la delibera della Giunta regionale del 21 luglio 2006, n. 1695).

Tuttavia, nonostante l’omologia tra i distretti industriali appena ricordati e quelli contemplati dalle norme impugnate, risulta comunque diverso l’oggetto delle discipline. Invero, la menzionata Relazione al disegno di legge in questione, dopo avere premesso che «il modello dei distretti industriali è la base su cui viene costruita la nozione più ampia di piattaforma industriale», la quale «può assumere la forma del distretto territoriale o del distretto funzionale», significativamente indica che il «distretto funzionale è una libera aggregazione di imprese che cooperano in modo intersettoriale» e, «rispetto ai tradizionali distretti territoriali», «prescinde da uno specifico territorio e si sviluppa come integrazione dell’offerta di beni e servizi da parte di imprese che svolgono attività complementari o comunque connesse».

Le norme censurate hanno realizzato precisamente questo obiettivo e, quindi, la peculiarità dei distretti produttivi va colta nella circostanza che la loro istituzione non è collegata solo ad un determinato àmbito territoriale, ma può richiedere un’articolazione in più di una Regione, ognuna delle quali resta libera di disciplinare all’interno del suo àmbito le figure omologhe, e tuttavia diverse, dei distretti industriali.

Lo scopo di realizzare una incisiva azione a sostegno dello sviluppo del sistema produttivo, nel quadro di una manovra di politica economica nazionale, è stato conseguito mediante un intervento articolato su molteplici piani. In particolare, la normativa in questione, da un canto, privilegia una valorizzazione di profili ulteriori rispetto a quello della collocazione territoriale delle imprese e che, nella fissazione delle modalità di individuazione delle caratteristiche dei distretti produttivi (comma 366), richiede l’apprezzamento anche di profili di carattere tecnico ed una attività di ricognizione e valutazione che non può essere adeguatamente soddisfatta a livello regionale; dall’altro, mira a realizzare una unificazione idonea a porre rimedio agli effetti negativi della ridotta dimensione delle imprese, senza tuttavia farne venire meno l’individualità.

La disciplina recata dalle norme impugnate non è stata sostanzialmente innovata dall’art. 1, commi 889, 890 e 891 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ‑ legge finanziaria 2007), che, tuttavia, ha apportato elementi per la sua corretta interpretazione. Il comma 890 ha introdotto nell’art. 1 della legge 266 del 2005 due nuovi commi, in virtù dei quali: «In attesa dell’adozione del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze di cui al comma 366 può essere riconosciuto un contributo statale a progetti in favore dei distretti produttivi adottati dalle regioni per un ammontare massimo del cinquanta per cento delle risorse pubbliche complessivamente impiegate in ciascun progetto» (comma 371-bis); «Con decreto del Ministro dello sviluppo economico, adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, sono individuati i progetti regionali ammessi al beneficio di cui al comma 371-bis ed i relativi oneri per il bilancio dello Stato ed eventuali ulteriori progetti di carattere nazionale, fermo restando il limite massimo di cui al comma 372» (comma 371-ter).

Si tratta di norme evidentemente giustificate dalla considerazione sia della complessità dell’attività necessaria per dare attuazione alla nuova disciplina, sia della possibilità per le Regioni di realizzare, nel loro ambito territoriale, progetti che permettano di conseguire scopi analoghi a quelli perseguiti con le disposizioni impugnate.

4.3. – L’oggetto e la finalità delle norme impugnate non permettono di ritenere che la relativa disciplina sia riconducibile ad una materia, lo “sviluppo economico”, che sarebbe riservata alla competenza residuale delle Regioni. La locuzione costituisce una espressione di sintesi, meramente descrittiva, che comprende e rinvia ad una pluralità di materie. In tal senso, è significativo che già il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59), nel delegare numerose funzioni alle Regioni, contemplava in un apposito Titolo (il II) le funzioni inerenti allo «sviluppo economico e attività produttive», precisando tuttavia che allo stesso erano riconducibili una pluralità di materie: agricoltura e foreste, artigianato, industria, energia, miniere e risorse geotermiche, ordinamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, fiere e mercati e commercio, turismo ed industria alberghiera (art. 11, comma 2).

L’art. 117 Cost. contempla molteplici materie caratterizzate da una palese connessione con lo sviluppo dell’economia, le quali sono attribuite sia alla competenza legislativa esclusiva dello Stato (art. 117, secondo comma, Cost.), sia a quella concorrente (art. 117, terzo comma, Cost.), o residuale (art. 117, quarto comma, Cost.) delle Regioni.

La finalità avuta di mira dal legislatore statale ha dunque comportato che la disciplina recata dalle norme impugnate attiene a più materie, alcune senz’altro riservate alla competenza esclusiva dello Stato (la materia fiscale, nonché quella dell’ordinamento civile, in quanto si è regolata una peculiare figura associativa, intervenendo sulla disciplina delle modalità di contrarre e della rappresentanza). Tuttavia, proprio in quanto le disposizioni sono dirette a realizzare una complessa manovra concernente lo sviluppo dell’economia e del sistema produttivo italiano, esse incidono anche su materie attribuite alla competenza legislativa delle Regioni, sia concorrente (quale la «ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi»: ex plurimis, sentenze n. 31 del 2005 e n. 423 del 2004), sia residuale (quali il commercio: sentenza n. 1 del 2004; l’industria, l’artigianato: sentenza n. 162 del 2005). Analogamente, l’attività della Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione – pur se non imprescindibilmente connessa ai distretti produttivi – è riconducibile a materie spettanti alla competenza legislativa concorrente delle Regioni (in particolare, alla ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi) ed a quella residuale (industria). Il comma 368, lettera d), attribuisce infatti a detta Agenzia, tra gli altri, i compiti di provvedere alla «diffusione di nuove tecnologie e delle relative applicazioni industriali», nonché di promuovere «l’integrazione fra il sistema della ricerca ed il sistema produttivo attraverso l’individuazione, valorizzazione e diffusione di nuove conoscenze, tecnologie, brevetti ed applicazioni industriali prodotti su scala nazionale ed internazionale», anche stipulando «convenzioni e contratti con soggetti pubblici e privati che ne condividono le finalità».

Relativamente alla Regione Friuli-Venezia Giulia, va appena rilevato che alcune delle materie sulle quali incidono le norme impugnate (in particolare, commercio, industria e artigianato) sono riconducibili alla competenza legislativa regionale residuale (art. 117, quarto comma, Cost.), rispetto alla quale, come questa Corte ha già affermato, gli artt. 117 e l’art. 118 Cost. delineano forme più ampie di autonomia rispetto a quelle già attribuite dallo statuto regionale, in quanto detta competenza è soggetta ai limiti generali stabiliti dal primo comma dell’art. 117 della Costituzione, fra i quali non vi è, ad esempio, quello delle norme fondamentali di riforma economico-sociale (sentenza n. 274 del 2003), né quello dell’interesse nazionale, indicati dallo statuto speciale (sentenza. n. 328 del 2006). Pertanto, ai sensi dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, la particolare “forma di autonomia” espressa dalle norme del titolo V della parte seconda della Costituzione in favore delle Regioni ad autonomia ordinaria si applica anche alla Regione Friuli-Venezia Giulia, in quanto “più ampia” rispetto a quella prevista dallo statuto, con conseguente corretta evocazione degli artt. 117 e 118 Cost.

4.4. – Le norme qui in esame si caratterizzano dunque in quanto, perseguendo un obiettivo complesso, interferiscono in una molteplicità di materie.

Nella specie, non è possibile comporre siffatta interferenza facendo ricorso al criterio della prevalenza, applicabile soltanto quando risulti evidente l’appartenenza del nucleo essenziale della disciplina ad una materia piuttosto che ad un’altra (per tutte, sentenze n. 422 e n. 181 del 2006; n. 135 e n. 50 del 2005), circostanza che risulta chiaramente esclusa dal contenuto e dalla ratio della disciplina sopra indicati.

Tuttavia, la finalità dell’intervento e l’individuazione dell’oggetto delle norme permettono di ritenere che ci si trovi di fronte a scelte di rilevanza nazionale, in relazione alle quali, come questa Corte ha affermato, il legislatore costituzionale del 2001 ha inteso unificare in capo allo Stato strumenti che attengono allo sviluppo dell’intero Paese, anche al di là della specifica utilizzabilità di quelli elencati nel secondo comma dell’art. 117 Cost. (sentenze n. 242 del 2005 e n. 69 del 2004).

In riferimento alle materie interessate dalle disposizioni impugnate, spettanti alla competenza regionale – sia concorrente, sia residuale –, le considerazioni sopra svolte dimostrano che sussistono quelle "esigenze di carattere unitario" che legittimano l’avocazione in sussidiarietà sia delle funzioni amministrative che non possono essere adeguatamente svolte ai livelli inferiori (tra le molte, sentenze n. 214 del 2006; n. 383, n. 270, n. 242 del 2005; n. 6 del 2004), sia della relativa potestà normativa per l’organizzazione e la disciplina di tali funzioni (sentenza n. 285 del 2005), che è stata realizzata con modalità tali da escluderne l’irragionevolezza, alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità. Ciò vale anche in relazione alla norma concernente l’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione, in primo luogo, in quanto l’attrazione appare giustificata dalla considerazione che lo svolgimento dell’attività di promozione dell’integrazione fra il sistema di ricerca ed il sistema produttivo, attraverso la valorizzazione e la diffusione di nuove conoscenze, tecnologie, brevetti ed applicazioni industriali prodotti su scala nazionale ed internazionale presuppone, all’evidenza, un’attività unitaria. In secondo luogo, la disciplina risulta proporzionata, dato che i compiti affidati all’Agenzia, come disciplinati dall’art. 1, comma 368, lettera d), della legge n. 266 del 2005, sono appunto quelli connessi all’esigenza di unitarietà e da questa giustificati, mentre l’approvazione dello statuto da parte della Presidenza del Consiglio dei ministri evoca un controllo di mera legittimità.

L’attrazione al centro delle funzioni amministrative, mediante la “chiamata in sussidiarietà”, benché sia giustificata, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, richiede tuttavia che l’intervento legislativo preveda forme di leale collaborazione con le Regioni (soprattutto sentenza n. 214 del 2006; ma anche sentenze n. 425, n. 406, n. 213 del 2006). Quest’ultima condizione non risulta osservata dalle norme impugnate, mentre la circostanza che esse «trovano applicazione in via sperimentale» (art. 1, comma 371, della legge n. 266 del 2005) neppure ne esclude l’idoneità a recare vulnus alle competenze regionali.

La disciplina interferisce, infatti, con materie attribuite alla competenza legislativa sia concorrente, sia residuale delle Regioni, senza che, in contrasto con i principi sopra enunciati, sia stata prevista alcuna forma di collaborazione con queste ultime nella fase di definizione delle caratteristiche e delle modalità di individuazione dei distretti (comma 366), in quella di fissazione delle modalità applicative delle disposizioni di cui al comma 368, lettera b), numeri 1 e 2, nonché in occasione della definizione dei criteri e delle modalità per lo svolgimento delle attività istituzionali dell’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione (comma 368, lettera d, numero 4).

Per porre rimedio al vizio delle norme, occorre recuperare il ruolo delle Regioni in termini di coinvolgimento delle medesime. L’incidenza della disciplina stabilita dalle norme impugnate anche in materie riconducibili alla competenza legislativa residuale di queste ultime rende indispensabile, per la loro riconduzione nell’ambito della “chiamata in sussidiarietà” da parte dello Stato, l’applicazione del modulo della concertazione necessaria e paritaria fra organi statali e Conferenza Stato-Regioni dei poteri di tipo normativo o programmatorio riservati dalle disposizioni impugnate esclusivamente ad organi statali.

E’ ineludibile, pertanto, che i decreti ministeriali previsti dall’art. 1, commi 366 e 368, lettera b), numeri 1 e 2, della legge n. 266 del 2005, siano adottati di intesa con la Conferenza Stato-Regioni, in modo da permettere alle Regioni (in materie che sarebbero di loro competenza) di partecipare alle scelte normative o programmatorie; e che il decreto interministeriale del citato comma 366 sia altresì adottato sentite le Regioni interessate dall’istituendo distretto produttivo. Per le stesse ragioni, è imprescindibile che il decreto della presidenza del Consiglio recante la definizione dei criteri e delle modalità per lo svolgimento delle attività istituzionali della Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione (dall’art. 1, comma, 368, lettera d, numero 4, della legge n. 266 del 2005) sia adottato di intesa con la Conferenza Stato-Regioni.

Pertanto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale delle norme ora richiamate, nella parte in cui non prevedono che gli atti indicati siano adottati previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, e quello del citato art. 1, comma 366, anche sentite le Regioni interessate.

Infine, l’illegittimità costituzionale di dette norme, per la Regione Friuli-Venezia Giulia, non è esclusa dalla cosiddetta “clausola di salvaguardia” prevista dall’art. 1, comma 610, della legge n. 266 del 2005. Infatti, va qui ribadito che detta clausola non è idonea ad escludere il vizio di legittimità della norma, qualora, come nel caso in esame, sia caratterizzata da estrema genericità e sia contenuta nel contesto di una legge recante numerose disposizioni, concernenti materie ed oggetti diversi, senza alcuna precisazione in ordine a quelle che dovrebbero ritenersi non applicabili alla ricorrente, per incompatibilità con lo statuto speciale (sentenze n. 134 e n. 118 del 2006).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservate a separate decisioni le restanti questioni di legittimità costituzionale della legge 23 dicembre 2005, n. 266, sollevate dalle Regioni Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Toscana con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 366, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato ‑ legge finanziaria 2006), nella parte in cui non prevede che le caratteristiche e le modalità di individuazione dei distretti produttivi siano definite con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro delle attività produttive, con il Ministro delle politiche agricole e forestali, con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministro per l’innovazione e le tecnologie, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, e sentite le Regioni interessate;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 368, lettera b), numero 1, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, nella parte in cui non prevede che le modalità applicative della norma siano stabilite con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 368, lettera b), numero 2, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, nella parte in cui non prevede che le modalità applicative della norma siano stabilite con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 368, lettera d), numero 4, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, nella parte in cui non prevede che criteri e modalità per lo svolgimento delle attività istituzionali della Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione siano definiti con decreti di natura non regolamentare della Presidenza del Consiglio dei ministri, sentiti il Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Ministero dell’economia e delle finanze, il Ministero delle attività produttive, nonché il Ministro per lo sviluppo e la coesione territoriale ed il Ministro per l’innovazione e le tecnologie, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 368, lettera b), numero 1, della legge n. 266 del 2005, promossa, in riferimento all’art. 97 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 369, della legge n. 266 del 2005, promossa, in riferimento agli artt. 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giuseppe TESAURO, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'11 maggio 2007.