Sentenza n. 406 del 2006

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SENTENZA N. 406

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Franco                             BILE                                      Presidente

-      Giovanni Maria               FLICK                                      Giudice

-      Francesco                        AMIRANTE                                 "

-      Ugo                                 DE SIERVO                                 "

-      Romano                           VACCARELLA                           "

-      Paolo                               MADDALENA                            "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                          "

-      Alfonso                           QUARANTA                               "

-      Franco                             GALLO                                        "

-      Luigi                                MAZZELLA                                "

-      Gaetano                           SILVESTRI                                  "

-      Sabino                             CASSESE                                     "

-      Maria Rita                       SAULLE                                       "

-      Giuseppe                         TESAURO                                    "

-      Paolo Maria                     NAPOLITANO                            "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, lettere a) e d), 3, 5, commi 1 e 2, e 11, lettera h), della legge della Regione Toscana 1° febbraio 2005, n. 20 (Modifiche alla legge regionale 26 luglio 2002, n. 32 - Testo Unico della normativa della Regione Toscana in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato l’8 aprile 2005, depositato in cancelleria il 18 aprile 2005 ed iscritto al n. 45 del registro ricorsi 2005.

Visto l’atto di costituzione della Regione Toscana;

udito nell’udienza pubblica del 10 ottobre 2006 il Giudice relatore Francesco Amirante;

uditi l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana.

Ritenuto in fatto

1.— Con ricorso notificato l’8 aprile 2005, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli articoli 2, lettere a) e d), 3, 5, commi 1 e 2, e 11, lettera h), della legge della Regione Toscana 1° febbraio 2005, n. 20 (Modifiche alla legge regionale 26 luglio 2002, n. 32 - Testo Unico della normativa della Regione Toscana in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro), per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione, nonché dei principi fondamentali in materia di tutela e sicurezza del lavoro. Specifica l’Avvocatura che con tale legge la Regione Toscana ha apportato modifiche alla legge regionale n. 32 del 2002, in materia di occupazione e mercato del lavoro. In particolare, l’art. 1 modifica il comma 4 dell’art. 1 della legge predetta, aggiungendo agli obiettivi ai quali si ispirano gli interventi della Regione, previsti dal citato comma 4, anche il rafforzamento delle politiche di sostegno alla continuità lavorativa e la promozione di azioni di pari opportunità e qualità delle condizioni lavorative dei cittadini immigrati. Vengono, poi, aggiunti nella legge regionale n. 32 del 2002 gli articoli 18-bis e 18-ter, riguardanti gli obiettivi della formazione nell’apprendistato e la disciplina dell’apprendistato stesso. Sono, altresì, inseriti gli articoli 20-bis e 20-ter: il primo sostituisce l’albo regionale delle agenzie per il lavoro che operano nel territorio della Regione, il secondo istituisce l’elenco regionale dei soggetti accreditati a svolgere servizi al lavoro.

Tale normativa appare al ricorrente lesiva della competenza esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile, nonché di alcuni principi fondamentali in materia di tutela e sicurezza del lavoro, da considerare standard uniformi sull’intero territorio nazionale, dettati dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30).

In particolare:

– l’art. 2, lettere a) e d), prevedendo la valorizzazione e la certificazione dei contenuti formativi dei contratti di apprendistato e la individuazione dei criteri e dei requisiti di riferimento per la capacità formativa delle imprese, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., il quale attribuisce allo Stato competenza esclusiva in materia di ordinamento civile;

– l’art. 3, ove si prevede che la Regione disciplini i profili formativi e le modalità organizzative dell’apprendistato con il regolamento di cui all’art. 32 della legge regionale n. 32 del 2002, approvato dalla Giunta «sentiti gli organismi rappresentativi delle parti sociali», contrasterebbe con gli artt. 49 e 50 del d.lgs. n. 276 del 2003 che, rispettivamente per l’apprendistato professionalizzante e per l’apprendistato per l’alta formazione, prevedono «l’intesa» ovvero «l’accordo» con le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro, e, dunque, forme di maggiore coinvolgimento delle parti sociali. Il medesimo art. 3 sarebbe, altresì, in contrasto con l’art. 48, comma 4, del d.lgs. n. 276 del 2003, in quanto, nel disciplinare l’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, non fa riferimento né alle intese con le amministrazioni dello Stato, né al rispetto dei principi e criteri direttivi dettagliatamente indicati dallo stesso art. 48, comma 4;

– l’art. 5, comma 1, che istituisce l’albo regionale delle agenzie per il lavoro, contrasterebbe con gli artt. 4, commi 1, 6 e 7, del d.lgs. n. 276 del 2003, che, rispettivamente, istituiscono l’albo nazionale delle agenzie per il lavoro e prevedono che la Regione, quando concede l’autorizzazione, provveda alla comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali «per l’iscrizione delle agenzie in un’apposita sezione regionale nell’albo di cui all’art. 4». Il medesimo art. 5, comma 2, che demanda ad un successivo regolamento regionale la definizione delle competenze professionali e dei requisiti dei locali ove viene svolta l’attività ai fini dell’autorizzazione regionale, sarebbe in contrasto con l’art. 5, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 276 del 2003, come integrato dal successivo decreto ministeriale 5 maggio 2004 (Requisiti delle Agenzie per il lavoro), il quale negli artt. 1, 2 e 3 ha definito le competenze professionali e i requisiti dei locali che le agenzie di somministrazione di lavoro devono possedere ai fini dell’autorizzazione;

– l’art. 11, lettera h), che demanda ad un successivo regolamento regionale la definizione delle «modalità per la concessione a soggetti pubblici e privati dell’autorizzazione a svolgere nel territorio regionale l’attività di intermediazione, di ricerca e selezione del personale e di supporto alla ricollocazione del personale», sarebbe in contrasto con l’art. 6, commi 6 e 7, del d.lgs. n. 276 del 2003. Infatti, tale articolo prevede, da un lato, che le autorizzazioni regionali vadano rilasciate unicamente per coloro che le richiedano (con esclusione, quindi, dei soggetti autorizzati in ambito nazionale), dall’altro che dette autorizzazioni siano comunicate al Ministero del lavoro.

2.— Successivamente l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria in cui ricostruisce, anzitutto, il sistema delle competenze in materia di lavoro, osservando come esse non siano attribuibili in via esclusiva allo Stato o alle Regioni, in quanto non qualificabili come un unicum inscindibile da intestare ad un solo soggetto istituzionale.

In tale vasto ambito materiale vengono, infatti, in rilievo una pluralità di aspetti quali: la formazione ed il collocamento, che già da tempo costituivano un’attribuzione delle autonomie locali, ora divenuta esclusiva; la tutela e sicurezza del lavoro, rientrante nella potestà concorrente, che finisce con l’essere, a sua volta, influenzata dalla materia (c.d. “trasversale”) di competenza esclusiva statale contenuta nella lettera m) dell’art. 117, secondo comma, Cost., poiché esistono norme che, per difendere e promuovere il diritto al lavoro – riconosciuto come un diritto sociale imprescindibile – hanno ricadute anche sulla tutela dello stesso; ed infine la materia della formazione, che sembra, prima facie, essere riservata alle Regioni, ma deve sottostare alle eventuali norme generali sull’istruzione che su di essa possono ridondare, essendo la formazione una componente non trascurabile dell’istruzione.

Vi sono, poi, le competenze esclusive dello Stato in materia di ordinamento civile, giurisdizione e norme processuali, previdenza sociale, tutte materie la cui disciplina è destinata a lambire anche la materia del lavoro.

Il ricorrente ribadisce, quindi, le censure relative agli artt. 2, lettere a) e d), e 3 dell’impugnata legge regionale, insistendo, altresì, nella tesi secondo cui l’art. 5 della legge regionale toscana che istituisce l’albo regionale delle agenzie per il lavoro, violerebbe i principi fondamentali contenuti nell’art. 6, commi 6, 7 e 8 del d.lgs n. 276 del 2003, laddove escluderebbe che, sebbene l’autorizzazione possa essere concessa dalle Regioni, nel caso in cui un’agenzia svolga la propria attività solo in un unico territorio regionale, l’ente territoriale possa creare un proprio albo regionale. Infatti, nell’albo nazionale esiste già un’apposita sezione regionale.

Anche riguardo all’art. 11, lettera h), della legge regionale impugnata, l’Avvocatura rileva come il dubbio di illegittimità costituzionale non riposi tanto sull’oggetto della norma, astrattamente rientrante nella competenza concorrente della Regione, quanto piuttosto, da un lato, nella previsione dell’assoggettamento alle modalità per la concessione dell’autorizzazione, da stabilire nell’emanando regolamento regionale, anche di soggetti pubblici già titolari di autorizzazioni nazionali e, dall’altro lato, nella omessa previsione (contenuta, invece, nel comma 7 dell’art. 6 del d.lgs. n. 276 del 2003) della obbligatoria comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali dell’avvenuto rilascio dell’autorizzazione provvisoria per l’iscrizione dell’agenzia nell’apposita sezione regionale dell’albo nazionale, con conseguente lesione del principio di leale collaborazione.

3.— Si è costituita la Regione Toscana, contestando le singole censure.

Quanto all’art. 2, comma 1, lettere a) e d), della legge regionale, relativamente all’individuazione di criteri e requisiti di riferimento per la capacità formativa delle imprese, la Regione osserva che l’asserita lesione della competenza in materia di ordinamento civile si basa su una distinzione, relativa alla regolamentazione della formazione dell’apprendista, tra formazione “interna” all’azienda (che attiene al rapporto contrattuale) e formazione “esterna” all’azienda (da ricondurre ai profili “pubblicistici” dell’istituto) che però non tiene conto delle strette interrelazioni che vi sono tra i due aspetti.

La norma si limita ad affermare che la Regione Toscana riconosce quali «obiettivi qualificanti la formazione nell’apprendistato» alcune finalità, e tale «riconoscimento» non comporta invasione di competenze statali. Inoltre, i principi statali nulla prevedono circa asseriti limiti alla potestà regionale di intervenire per «valorizzare e certificare» i contenuti formativi dell’apprendistato e per «individuare i criteri ed i requisiti di riferimento per la capacità formativa delle imprese». La certificazione dei contenuti formativi riguarda il nesso tra l’attività formativa svolta ed il riconoscimento dei crediti e delle competenze che dovranno essere annotate nel libretto formativo dell’apprendista, sicché la norma rimane nell’ambito delle attribuzioni regionali attinenti alla formazione professionale.

Quanto alla censura relativa all’art. 3, la Regione ricorda che tale disposizione introduce l’art. 18-ter nella legge regionale n. 32 del 2002 e dispone che la Regione disciplini i profili formativi, le modalità organizzative e di erogazione dell’attività formativa esterna per i diversi tipi di apprendistato, attraverso il regolamento di cui all’art. 32, il quale è approvato dalla Regione, sentiti gli organismi rappresentativi degli enti locali e delle parti sociali, attuando le procedure di concertazione con i soggetti istituzionali e con i soggetti economici e sociali. Tale previsione è, dunque, onnicomprensiva e stabilisce la procedura concertativa, vale a dire l’intesa, sia con i soggetti istituzionali, quale l’amministrazione statale, sia con i soggetti sociali, cioè le parti sociali. Infatti detto regolamento è stato approvato (decreto del Presidente della Giunta regionale 2 febbraio 2005, n. 22/R, che ha modificato il previgente regolamento approvato con d.P.G.R. 8 agosto 2003, n. 47/R) nel rispetto della prevista procedura e in relazione ad esso l’amministrazione statale nulla ha eccepito.

Circa il mancato riferimento al rispetto dei principi e dei criteri direttivi posti dalla stessa disposizione, la Regione rileva che i criteri direttivi ed i principi posti dallo Stato, nelle materie soggette a legislazione concorrente, vanno rispettati dalle Regioni nella sostanza della disciplina regionale, senza che a tal fine abbia rilevanza il richiamo formale ai principi medesimi.

Con riguardo all’istituzione dell’albo regionale delle agenzie per il lavoro che operano nel territorio della Regione, di cui all’impugnato art. 5, comma 1, si osserva in memoria che l’art. 6, comma 6, del d.lgs. n. 276 del 2003 dispone che l’autorizzazione allo svolgimento delle attività di intermediazione, di ricerca e selezione del personale e di supporto alla ricollocazione professionale può essere concessa dalle Regioni con riferimento esclusivo al proprio territorio. L’albo previsto nell’impugnata disposizione è strumentale all’esercizio di tale competenza e non esclude il rispetto di quanto prescritto dal successivo settimo comma del citato art. 6. Inoltre la censura non tiene conto del fatto che l’art. 2 del decreto legislativo 6 ottobre 2004, n. 251, ha modificato l’art. 6, comma 8, del decreto n. 276, stabilendo che le procedure di autorizzazione «di cui ai commi 6 e 7 sono disciplinate dalle regioni nel rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni e dei principi fondamentali desumibili in materia dal presente decreto».

Quanto poi all’impugnativa del comma 2 del citato art. 5, la Regione osserva che il decreto ministeriale 5 maggio 2004 (Requisiti delle Agenzie per il lavoro), emanato in attuazione dell’art. 5, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 276 del 2003, e invocato dalla difesa erariale, all’art. 4 affida alle Regioni il compito di definire le specifiche suddette, nel rispetto dei criteri fissati a livello nazionale. Il già citato regolamento 2 febbraio 2005, n. 22, è del tutto conforme a quanto stabilito dalle fonti primarie e secondarie dello Stato in merito alle competenze professionali ed ai requisiti dei locali, poiché richiama espressamente gli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 276 del 2003

 per quanto riguarda gli altri requisiti per l’autorizzazione, nonché quanto previsto dal citato d.m. 5 maggio 2004.

Quanto infine alla censura relativa all’art. 11, lettera h) – impugnato come lesivo dell’art. 6, commi 6 e 7, del d.lgs. n. 276 del 2003 perché rinvia al regolamento regionale «le modalità per la concessione a soggetti pubblici e privati a svolgere nel territorio regionale l’attività di intermediazione, di ricerca e selezione del personale e di supporto alla ricollocazione del personale» – la Regione si richiama ancora all’art. 6, comma 6, del d.lgs. n. 276 del 2003, osservando che la disposizione contestata si limita a dare attuazione alle suddette previsioni della normativa statale.

In relazione, poi, all’ulteriore affermazione contenuta nel ricorso per cui le autorizzazioni regionali vanno «rilasciate unicamente per quei soggetti che le richiedano, con esclusione quindi dei soggetti titolari di autorizzazione nazionale» e devono essere inviate al Ministero, si rileva in memoria che la normativa regionale non impedisce l’adempimento dell’inoltro al Ministero delle autorizzazioni rilasciate sul territorio regionale, né prevede o intende imporre un regime autorizzatorio “regionale” a soggetti già autorizzati a svolgere attività nel mercato del lavoro nazionale. Come prevede il regolamento di attuazione della legge in questione, l’autorizzazione regionale riguarda solo quei «soggetti privati che svolgono attività esclusivamente sul territorio della Regione», in perfetta conformità a quanto disposto dall’art. 6, comma 6, del d.lgs. n. 276 del 2003.

4.— Successivamente, la Regione Toscana ha depositato ulteriore  memoria, ribadendo le difese svolte in precedenza. Con particolare riguardo alla censurata previsione del regolamento regionale, di cui all’impugnato art. 3, la Regione insiste nella previsione di procedure concertative, vale a dire l’accordo e l’intesa, sia con l’amministrazione statale, che con le parti sociali. In particolare, il regolamento de quo è intervenuto a seguito delle concertazioni raggiunte in sede di Commissione regionale tripartita, quale organismo deputato ad assicurare il concorso delle parti sociali alla determinazione delle politiche del lavoro e alla definizione delle relative scelte programmatiche e di indirizzo della Regione, nonché attraverso il confronto tenutosi presso il c.d. “tavolo di concertazione”, cui partecipano tutti i soggetti interessati.

Considerato in diritto

1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 2, lettere a) e d), e 3 della legge della Regione Toscana 1° febbraio 2005, n. 20 (Modifiche alla legge regionale 26 luglio 2002, n. 32 - Testo Unico della normativa della Regione Toscana in materia di educazione, orientamento, formazione professionale e lavoro), concernenti l’apprendistato.

Le disposizioni suddette, nell’introdurre nella legge modificata gli artt. 18-bis e 18-ter, enunciano come compiti della Regione la valorizzazione e certificazione dei profili formativi dei contratti di apprendistato e l’individuazione dei criteri e requisiti di riferimento per la capacità formativa delle imprese e stabiliscono che «con il regolamento di cui all’art. 32, sentita la commissione tripartita di cui all’art. 23, la Regione disciplina i profili formativi, le modalità organizzative e di erogazione dell’attività formativa esterna per l’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere d’istruzione e formazione, per l’apprendistato professionalizzante e per l’apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione».

Secondo il ricorrente tali disposizioni contrastano con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. (nella parte in cui attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile), nonché con i principi fondamentali in materia di tutela e sicurezza del lavoro e, in particolare, con gli artt. 48, 49 e 50 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30); norme interposte, le quali impongono alla Regione di procedere d’intesa con le amministrazioni dello Stato e, per l’apprendistato professionalizzante e per quello per l’alta formazione, anche con le organizzazioni delle parti sociali, come ritenuto legittimo da questa Corte con la sentenza n. 50 del 2005.

Con lo stesso ricorso sono stati impugnati gli artt. 5, commi 1 e 2, e 11, lettera h), della medesima legge regionale, per contrasto con gli artt. 4, comma 1, e 6, comma 7, del d.lgs n. 276 del 2003, assunte come norme interposte rispetto alla competenza concorrente in materia di “tutela e sicurezza del lavoro” (di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., così implicitamente richiamato).

Le suindicate disposizioni della legge regionale vengono censurate dal ricorrente in quanto istituiscono e disciplinano un albo regionale delle agenzie per il lavoro, laddove le norme statali prevedono sezioni regionali dell’albo nazionale e l’obbligo delle Regioni di comunicare all’amministrazione dello Stato le autorizzazioni rilasciate.

2.— Nessuna delle questioni sollevate è fondata.

Vanno esaminate distintamente le disposizioni sull’apprendistato da quelle relative alle agenzie per il lavoro ed al loro albo.

Questa Corte, in sede di scrutinio di numerose disposizioni della legge 14 febbraio 2003, n. 30 (Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro) e del d.lgs n. 276 del 2003, impugnate da alcune Regioni, ha rilevato che la disciplina dell’apprendistato è costituita da norme che attengono a materie per le quali sono stabilite competenze legislative di diversa attribuzione (esclusiva dello Stato, residuale delle Regioni, ripartita) e che alla composizione delle interferenze provvedono strumenti attuativi del principio di leale collaborazione (sentenza n. 50 del 2005).

La Corte ha rilevato, altresì, che, mentre la formazione da impartire all’interno delle aziende attiene precipuamente all’ordinamento civile, la disciplina di quella esterna rientra nella competenza regionale in materia di istruzione professionale, con interferenze però con altre materie, in particolare con l’istruzione, per la quale lo Stato ha varie attribuzioni: norme generali, determinazione dei principi fondamentali (v. anche sentenza n. 279 del 2005 nonché, da ultimo, sentenza n. 286 del 2006).

3.— Lo scrutinio delle disposizioni impugnate va, quindi, condotto alla luce degli enunciati principi.

Si rileva anzitutto che il censurato art. 2, lettere a) e d), contiene disposizioni di carattere generale e programmatico, il cui contenuto normativo si definisce considerandole congiuntamente a quelle del successivo art. 3 ed all’intero contesto in cui entrambe s’inseriscono.

Ciò premesso, si osserva che l’art. 3 espressamente si riferisce alla formazione esterna e ne prevede la disciplina mediante il regolamento di cui all’art. 32, da emanare «attuando le procedure di concertazione con i soggetti istituzionali e con i soggetti economici e sociali». Tale espressione, contenuta nel citato art. 32, può e deve essere letta come riferentesi alle intese di cui agli artt. 48, 49 e 50 del d.lgs. n. 276 del 2003. Si soggiunge che l’individuazione delle capacità formative delle imprese, che il censurato art. 2, lettera d), riconosce essere obiettivo qualificante la formazione nell’apprendistato, non può che riferirsi alle imprese che svolgono attività formativa esterna.

Sotto nessuno dei profili prospettati, pertanto, le disposizioni esaminate contrastano con i parametri evocati.

4.— Parimenti non fondate sono le censure che si appuntano sull’art. 5, commi 1 e 2, e sull’art. 11, lettera h), della legge n. 20 del 2005 della Regione Toscana, che hanno ad oggetto le modalità per il rilascio dell’autorizzazione a svolgere l’attività d’intermediazione nell’ambito del territorio regionale e l’istituzione e la tenuta del relativo albo.

Il rilascio dell’autorizzazione è, infatti, previsto dalla normativa statale e, in particolare, dall’art. 6, commi 6, 7 e 8, del d.lgs n. 276 del 2003 (il comma 8 come sostituito dall’art. 2 del decreto legislativo 6 ottobre 2004, n. 251).

Ora, se le Regioni possono rilasciare le autorizzazioni, ne deriva come legittima conseguenza che possono istituire l’albo delle imprese da loro autorizzate. Tale istituzione non contrasta con l’obbligo di comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di cui al citato comma 7, obbligo non escluso da alcuna disposizione regionale, e non impedisce, quindi, la inserzione delle imprese autorizzate dalla Regione nella sezione regionale dell’albo statale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, lettere a) e d), 3, 5, commi 1 e 2, e 11, lettera h), della legge della Regione Toscana 1° febbraio 2005, n. 20, (Modifiche alla legge regionale 26 luglio 2002, n. 32 - Testo Unico della normativa della Regione Toscana in materia di educazione, istruzione, orientamento, formazione professionale e lavoro), sollevate, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 dicembre 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2006.