Sentenza n. 422 del 2006

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SENTENZA  N. 422

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                    BILE                                                   Presidente

-    Giovanni Maria      FLICK                                                  Giudice

-    Francesco               AMIRANTE                                              ”

-    Ugo                        DE SIERVO                                              ”

-    Romano                 VACCARELLA                                        ”

-    Paolo                      MADDALENA                                         ”

-    Alfio                      FINOCCHIARO                                       ”

-    Alfonso                  QUARANTA                                             ”

-    Franco                    GALLO                                                      ”

-    Luigi                      MAZZELLA                                              ”

-    Gaetano                 SILVESTRI                                               ”

-    Sabino                    CASSESE                                                  ”

-    Maria Rita              SAULLE                                                    ”

-    Giuseppe                TESAURO                                                 ”

-    Paolo Maria           NAPOLITANO                                         ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 2, 8, comma 3, 9, 13, comma 1, lettera b), e 14, comma 3, della legge della Regione Lazio 23 gennaio 2006, n. 2 (Disciplina transitoria degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico non trasformati in fondazioni ai sensi del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288), promosso con ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri, notificato il 30 marzo 2006, depositato in cancelleria il successivo 6 aprile ed iscritto al n. 50 del registro ricorsi 2006.

Visto  l’atto di costituzione della Regione Lazio;

udito  nell’udienza pubblica del 7 novembre 2006 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi  l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Leopoldo di Bonito per la Regione Lazio.

Ritenuto in fatto

1.¾ Con ricorso notificato il 30 marzo 2006, e depositato presso la cancelleria della Corte il successivo 6 aprile, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto questioni di legittimità costituzionale in via principale – in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, della Costituzione ed al principio di leale collaborazione – degli artt. 7, comma 2, 8, comma 3, 9, 13, comma 1, lettera b), e 14, comma 3, della legge della Regione Lazio 23 gennaio 2006, n. 2 (Disciplina transitoria degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico non trasformati in fondazioni ai sensi del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288).

1.1.¾ Premette il ricorrente – dopo aver sinteticamente ricostruito la natura e l’ordinamento degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (cosiddetti “IRCCS”) – che «la materia oggetto della legge regionale in questione è stata esaminata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 270 del 2005».

Tale pronuncia, in particolare, avrebbe chiarito che i predetti istituti, pur non essendo soggetti alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera g), della Costituzione (trattandosi di enti non nazionali, bensì solo a «rilevanza nazionale»), possono comunque essere interessati da interventi del legislatore statale, atteso che – osserva ancora il ricorrente – «l’esigenza di garantire un’adeguata uniformità al sistema giustifica l’attrazione in capo allo Stato, in via di sussidiarietà, di funzioni che sono di competenza delle Regioni», a condizione che siano rispettate «adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni interessate» (sono citate, sul punto, ex multis, le sentenze n. 6 del 2004 e n. 303 del 2003).

È quanto, appunto, si è verificato – rileva ancora il Presidente del Consiglio dei ministri – nel caso di specie, giacché lo Stato non solo ha evocato «a sé certi poteri» (attraverso la legge 16 gennaio 2003, n. 3, recante «Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione», ed il successivo decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288, recante «Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell’articolo 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3»), ma ha anche dato vita – proprio ai sensi dell’art. 5 del decreto legislativo appena menzionato – ad un’intesa, raggiunta «con l’accordo Stato-Regioni del 1° luglio 2004», in ordine alle «modalità di organizzazione, di gestione e di funzionamento degli istituti» de quibus.

Orbene, la circostanza che le impugnate disposizioni della legge della Regione Lazio n. 2 del 2006 abbiano disatteso proprio taluni dei «principi fondamentali in materia di tutela della salute contenuti nel d.lgs. n. 288 del 2003 e nel relativo Atto d’intesa», comporterebbe «la violazione, per un verso, dell’art. 117, terzo comma, Cost. e, per altro verso, del principio di leale collaborazione istituzionale desumibile dal combinato disposto di cui agli artt. 117 e 118, primo comma, Cost.».

In particolare, sarebbe viziato da illegittimità costituzionale, in primo luogo, l’art. 7, comma 2, della predetta legge regionale. Esso, nel prevedere l’incompatibilità dell’incarico di direttore scientifico dell’istituto con quello di direttore di struttura, si porrebbe in contrasto con l’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003 e con l’art. 3, comma 5, dell’atto di intesa, i quali si limitano a stabilire il carattere esclusivo dell’incarico di direzione scientifica, senza stabilire incompatibilità di sorta, la previsione delle quali, del resto, non potrebbe che spettare al legislatore statale, considerato che – ai sensi dell’art. 5 del già citato decreto legislativo – «il potere di nomina di tale soggetto spetta allo Stato». Né, d’altra parte, sarebbe da trascurare – sempre nella prospettiva dell’illegittimità dell’impugnata disposizione – il rilievo espresso dal Consiglio di Stato in sede consultiva (è citato il parere della I sezione, n. 3744 del 15 novembre 2005), secondo cui il carattere esclusivo del rapporto di lavoro del direttore scientifico comporta unicamente l’incompatibilità di detto incarico «rispetto allo svolgimento di attività di natura assistenziale-ospedaliera ovvero universitaria, svolte all’esterno dell’istituto».

Del pari incostituzionale sarebbe, poi, l’art. 8, comma 3, della legge regionale, che fissa nel compimento del settantesimo anno (e non del sessantacinquesimo, come invece previsto dall’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003) il limite di età il cui raggiungimento comporta la cessazione dagli incarichi di direttore sanitario e direttore amministrativo.

Quanto al successivo art. 9, la sua illegittimità costituzionale deriverebbe dal contrasto con l’art. 15 dello schema-tipo di regolamento di organizzazione e funzionamento degli istituti de quibus. Infatti, la norma impugnata stabilisce che il comitato tecnico-scientifico dell’istituto, presieduto dal direttore scientifico, sia composto da altri dieci membri nominati dal consiglio di indirizzo e verifica, otto dei quali (vi sono, infatti, due esperti esterni) debbono essere così individuati: quattro, tra i responsabili di dipartimento o i dirigenti di struttura complessa; due (dei quali uno eletto), tra il personale medico dirigente; uno eletto dal personale sanitario dirigente; uno eletto tra il personale delle professioni sanitarie con incarichi dirigenziali. Per contro, il predetto art. 15, fissa in otto complessivi (più il direttore scientifico, che lo presiede) i membri del suddetto organismo, stabilendo che gli stessi siano così scelti dal comitato di indirizzo e di verifica: quattro, tra i responsabili di dipartimento; uno soltanto, tra il personale medico dirigente; uno, del pari, tra il personale delle professioni sanitarie con incarichi dirigenziali; due, tra esperti esterni.

Infine, l’illegittimità costituzionale degli artt. 13, comma 1, lettera b), e 14, comma 3, dell’impugnata legge regionale deriverebbe dal fatto che tali disposizioni attribuiscono alla Giunta regionale il controllo sull’attività di ricerca degli istituti, in contrasto con l’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003 (non censurato dalla Corte – rammenta il ricorrente – nella sentenza n. 270 del 1995). Ai sensi, infatti, di tale norma la verifica della coerenza tra la suddetta attività e il programma di ricerca sanitaria nazionale (di cui all’art. 12-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, recante «Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421») compete al solo Ministero della salute.

1.2.¾ Su tali basi, pertanto, il Presidente del Consiglio dei ministri ha concluso affinché la Corte dichiari costituzionalmente illegittime le norme suddette «per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. e le norme di principio statali contenute nel d.lgs. n. 288 del 2003 e conseguente atto di intesa 1° luglio 2004». 

2.¾ Si è costituita in giudizio la Regione Lazio, con atto depositato presso la cancelleria della Corte il 28 aprile 2006, limitandosi a richiedere – con riserva di articolare la propria difesa – che il ricorso venga respinto stante la sua inammissibilità ed infondatezza.

2.1.¾ Con memoria depositata presso la cancelleria della Corte il 10 ottobre 2006, la Regione Lazio ha meglio precisato le proprie difese.

2.1.1.¾ Essa ha inteso, preliminarmente, «specificare la natura e le caratteristiche degli IRCCS», nonché «ripercorrere le fasi della loro evoluzione normativa», segnatamente quella successiva all’avvenuta modifica del Titolo V della Costituzione.

Nell’evidenziare, in particolare, la «duplicità di funzioni» (di assistenza e ricerca) che ha sempre caratterizzato gli istituti de quibus, nonché, conseguentemente, il loro assoggettamento ad «una disciplina speciale rispetto alla normativa generale in materia di assistenza sanitaria», la resistente ha posto in luce come, ai sensi del novellato testo dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, e secondo quanto precisato dalla sentenza di questa Corte n. 270 del 2005, debba ritenersi ormai certo che «lo Stato possiede una potestà normativa limitata alla determinazione dei principi fondamentali dell’organizzazione e del funzionamento degli IRCCS, mentre la concreta regolamentazione attuativa afferisce alla competenza regionale».

Sottolinea, inoltre, che la giurisprudenza costituzionale – sentenze n. 201 del 2003 e n. 282 del 2002 – ha anche chiarito come, ai fini dell’esercizio della potestà legislativa di dettaglio spettante alle Regioni, non sia necessaria «la previa adozione dei principi generali in leggi statali nuove ed apposite», potendo essi trarsi da «leggi statali (anche non di cornice) già vigenti», essendo, per contro, «impedito alla Stato di adottare disposizioni di dettaglio, anche eventualmente ad efficacia suppletiva». In particolare, infatti, con la sentenza n. 303 del 2003, la Corte ha addirittura escluso che il legislatore statale possa dare vita a norme «di dettaglio “cedevoli” in materia di competenza concorrente», salvo il caso del tutto eccezionale della sussidiarietà “ascendente”, conclusione – a dire della resistente – peraltro già desumibile dall’art. 1, comma 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).

2.1.2.¾ È, dunque, in tale complessivo contesto che si inserisce la disciplina, in particolare, dei cosiddetti IRCCS “non trasformati in fondazioni”, quali sono – rammenta la resistente – quelli interessati dall’intervento del legislatore regionale del Lazio oggetto del presente giudizio. 

Detti istituti, secondo quanto previsto dall’art. 5 del d.lgs. n. 288 del 2003, debbono essere disciplinati «con atto di intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni», organo, sottolinea la resistente, configurato – dagli artt. 2 e 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali) – come «meramente consultivo, dunque ordinariamente privo di autonoma potestà normativa». È quanto, del resto, sarebbe stato affermato dalla stessa sentenza n. 270 del 2005, che qualifica, proprio l’intesa intervenuta per la disciplina dei cosiddetti “IRCCS non trasformati”, come «una modalità di determinazione, condivisa fra Stato e Regioni ed uniforme sull’intero territorio nazionale, di quali debbono essere le caratteristiche comuni di questa categoria residuali di istituti».

L’atto di intesa, dunque, posto in essere ai sensi del già richiamato art. 5 del d.lgs. n. 288 del 2003, sarebbe «in quanto tale certamente privo di valore normativo», donde la necessità che detta intesa sia «recepita da un provvedimento normativo statale o (più correttamente, alla luce del riparto di competenze ex art. 117 Cost.) regionale ad essa conformi».

2.1.3.¾ Ciò premesso in termini generali, per quanto concerne specificamente le singole disposizioni censurate, la Regione Lazio esclude che possano ravvisarsi gli ipotizzati profili di illegittimità costituzionale.

2.1.3.1.¾ Con riferimento, in particolare, alla dedotta illegittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, la resistente rileva come la scelta – ivi contenuta – di precludere al direttore scientifico degli istituti de quibus l’assunzione (anche) dell’incarico di direttore di struttura, ovvero di ogni altro incarico di direzione, si presenta del tutto coerente con quel carattere della “esclusività” che – anche secondo il disposto della norma statale (art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003), che il ricorrente assume, invece, violata – connota il suo rapporto con l’istituto. 

Né, d’altra parte, indicazioni contrarie sarebbe lecito trarre – a dispetto di quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio dei Ministri – dal parere reso il 15 novembre 2005 dal Consiglio di Stato, secondo cui, invece, «l’esclusività del rapporto del Direttore scientifico» è stata prevista in modo «così chiaro e tassativo, da non poter tollerare eccezioni e temperamenti».

2.1.3.2.¾ In relazione, poi, alla doglianza che ha investito l’art. 8, comma 3, dell’impugnata legge regionale, la resistente rileva come il proprio intendimento sia stato solo quello di «uniformare la disciplina relativa alla durata del rapporto di lavoro del direttore amministrativo e del direttore sanitario degli IRCCS alle normative vigenti in materia, ed in particolare con quella relativa ai direttori generali», e segnatamente quelli delle ASL.

Osserva sul punto, inoltre, come già la legge (peraltro ormai abrogata) 19 febbraio 1991, n. 50 (Disposizioni sul collocamento a riposo del personale medico dipendente) – in deroga a quanto previsto dall’art. 53 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali) – avesse consentito ai primari ospedalieri di ruolo, privi dell’anzianità necessaria per conseguire il massimo della pensione, di essere trattenuti in servizio fino al suo raggiungimento, e comunque non oltre il settantesimo anno di età.

Analogamente, l’art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) ha conferito ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche – non esclusi quelli delle aziende e degli enti del servizio sanitario nazionale – la facoltà «di richiedere il trattenimento in servizio fino al compimento del settantesimo anno d’età»

Conseguentemente, il disposto dell’art. 15-nonies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), che fissa a sessantacinque anni, per i dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale, il limite massimo di età per il collocamento a riposo, si rivelerebbe «norma non ancora adeguata alle recenti disposizioni legislative che tendono ad innalzare l’età pensionabile», se non addirittura a liberalizzarla, secondo quanto previsto dall’art. 1, comma 2, lettera a), della legge 23 agosto 2004, n. 243 (Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti di previdenza ed assistenza obbligatoria).

2.1.3.3.¾ Quanto, invece, alla pretesa illegittimità costituzionale dell’art. 9 dell’impugnata legge regionale, la resistente, nel rilevare come nulla sia specificamente previsto dal d.lgs. n. 288 del 2003, con riferimento al comitato tecnico-scientifico degli IRCCS non trasformati in fondazioni, nonché ribadita la propria legittimazione a disciplinare nel dettaglio la composizione di tale organo, evidenzia l’infondatezza di tale censura.

2.1.3.4.¾ Infine, la resistente nega che possano ritenersi costituzionalmente illegittimi gli artt. 13, comma 1, lettera b), e 14, comma 3, della medesima legge regionale n. 2 del 2006.

Essa pone in luce, in via preliminare, come il sistema dei controlli (sul quale incidono le disposizioni regionali de quibus) previsto per gli IRCCS – già disciplinato, in passato, dalla legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) e dal d.P.R. 31 luglio 1980, n. 617, recante «Ordinamento, controllo e finanziamento degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (art. 42, settimo comma, della legge 23 dicembre 1978, numero 833)» – sia stato fatto oggetto di un intervento parzialmente “caducatorio” da parte della già ricordata sentenza della Corte n. 270 del 2005.

In particolare, tale pronuncia ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1, comma 2, e 16, commi 1 e 2, del d.lgs. n. 288 del 2003, ritenendo non conforme a Costituzione l’esistenza di un sistema di controllo preventivo “sugli atti” esercitato da organi statali, confermando, invece, il controllo sugli organi degli IRCCS previsto dai commi 3 e 4 del medesimo art. 16 (non colpiti, difatti, dalla declaratoria di illegittimità costituzionale).

È, dunque, in un simile contesto – nel quale la Corte (secondo quanto sarebbe stato riconosciuto dalla stessa Avvocatura generale dello Stato nel parere del 5 novembre 2005, allegato dall’odierna resistente alla sua memoria) avrebbe «specificamente censurato l’ampiezza ed eterogeneità dei compiti di vigilanza e di controllo riservati alle amministrazioni statali» – che si inseriscono le summenzionate disposizioni (artt. 13, comma 1, lettera b, e 14, comma 3) dell’impugnata legge della Regione Lazio.

In particolare, la prima di esse (la seconda, in realtà, si limita ad estendere la stessa previsione agli IRCCS già riconosciuti, per i quali sia in corso il procedimento di conferma del riconoscimento), fatte espressamente salve sia «la vigilanza del Ministro della salute» che il controllo sugli organi previsto dai già illustrati commi 3 e 4 dell’art. 16 del d.lgs. n. 288 del 2003, affida alla Giunta regionale il controllo sulle attività di ricerca di cui all’art. 8, del medesimo d.lgs. n. 288 del 2003.

Orbene, tale controllo presenta, secondo la resistente (a dispetto di quanto assume il Presidente del Consiglio dei ministri), carattere «ulteriore» rispetto a quello pure svolto dal Ministro della salute, ai sensi dell’art. 12-bis del d.lgs. n. 502 del 1992, ed avente come scopo la verifica della rispondenza delle attività di ricerca degli IRCCS al programma nazionale di ricerca sanitaria elaborato dal medesimo Ministro.

La non sovrapponibilità dei due controlli, costituendo quello regionale nulla di diverso, in fondo, da quella «attività di monitoraggio già prevista dall’ultima parte dell’art. 12-bis» del d.lgs. n. 502 del 1992, impedirebbe di ravvisare il denunciato profilo di illegittimità costituzionale.

3.¾ Con atto depositato presso la Cancelleria della Corte il 6 novembre 2006, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha rinunciato all’impugnativa degli artt. 7, comma 2, e 9, della predetta legge della Regione Lazio n. 2 del 2006.

Considerato in diritto

1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto – in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118, della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione – questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 2, 8, comma 3, 9, 13, comma 1, lettera b), e 14, comma 3, della legge della Regione Lazio 23 gennaio 2006, n. 2 (Disciplina transitoria degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico non trasformati in fondazioni ai sensi del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288), per contrasto con i principi fondamentali della materia “tutela della salute”, desumibili dal d.lgs. 16 ottobre  2003, n. 288 (Riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, a norma dell’articolo 42, comma 1, della legge 16 gennaio 2003, n. 3).

2.¾ Assume, in particolare, il ricorrente che l’art. 7, comma 2, della predetta legge regionale, nel prevedere l’incompatibilità dell’incarico di direttore scientifico degli istituti de quibus con quello di direttore di struttura, si pone in contrasto sia con l’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003, sia con l’art. 3, comma 5, dell’atto di intesa intervenuto tra lo Stato e le Regioni a norma del medesimo decreto legislativo. Entrambi tali articoli, infatti, si limitano a stabilire il carattere esclusivo dell’incarico di direzione scientifica, senza prevedere incompatibilità di sorta.

Deduce, inoltre, il ricorrente Presidente del Consiglio che l’art. 8, comma 3, della stessa legge regionale, fissando nel compimento del settantesimo anno (e non del sessantacinquesimo, come invece previsto dall’art. 11, comma 3, del citato d.lgs. n. 288 del 2003) il limite di età, il cui raggiungimento comporta la cessazione dagli incarichi di Direttore Sanitario e Direttore Amministrativo presso i medesimi istituti, viola, del pari, gli evocati parametri costituzionali.

Analogo vizio è prospettato con riferimento all’art. 9 della medesima legge regionale, poiché fissa il numero dei componenti del comitato tecnico-scientifico degli istituti, nonché le modalità per la loro individuazione, in modo difforme da quanto previsto dall’art. 15 dello schema-tipo di regolamento di organizzazione e funzionamento degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (cosiddetti “IRCCS”), predisposto sempre di intesa tra Stato e Regioni. 

Costituzionalmente illegittimi, infine, sarebbero anche gli artt. 13, comma 1, lettera b), e 14, comma 3, dell’impugnata legge regionale, visto che essi attribuiscono alla Giunta regionale il controllo sull’attività di ricerca degli istituti, in contrasto con l’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003, secondo cui la verifica della coerenza tra la suddetta attività e il programma di ricerca sanitaria nazionale «compete al solo Ministero della salute».

3.¾ Nel corso dell’udienza pubblica di discussione, il ricorrente ha ribadito la rinuncia parziale all’impugnazione proposta, già risultante dall’atto depositato presso la Cancelleria della Corte il giorno 6 novembre 2006.

4.¾ La rinuncia parziale effettuata dal Presidente del Consiglio dei ministri ed accettata dalla Regione Lazio – che ha investito le censure indirizzate avverso gli artt. 7, comma 2, e 9 della legge della stessa Regione Lazio n. 2 del 2006 – comporta l’estinzione del giudizio in parte qua, ai sensi dell’art. 25 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, con la conseguenza che il thema decidendum risulta circoscritto alle questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto, da un lato l’art. 8, comma 3, e, dall’altro gli artt. 13, comma 1, lettera b), e 14, comma 3, della medesima legge regionale.

5.¾ Entrambe le questioni sono fondate.

5.1.¾ L’art. 8, comma 3, della legge regionale impugnata viola l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, per contrasto con un principio  fondamentale – desumibile dall’art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003 – attinente alla disciplina ordinamentale degli  IRCCS e, dunque, alla materia della “tutela della salute”.

La disposizione censurata, sebbene si presti ad incidere contestualmente su una pluralità di materie (e in particolare, tra le altre, su quella dell’“ordinamento civile”, attesa la natura privatistica del rapporto di lavoro intercorrente tra i dirigenti degli IRCCS e i predetti Istituti), deve essere ascritta, prevalentemente, all’ambito materiale della “tutela della salute”. Facendo, difatti, applicazione del criterio –  già utilizzato da questa Corte con riferimento ad altre ipotesi nelle quali si è ravvisata una «concorrenza di competenze» – che tende a valorizzare «l’appartenenza del nucleo essenziale di un complesso normativo ad una materia piuttosto che ad altre» (sentenza n. 50 del 2005, nonché, con specifico riferimento proprio alla materia de qua, sentenza n. 181 del 2006), deve ritenersi che l’ambito materiale interessato, in prevalenza, dalla norma in esame sia, appunto, quello della “tutela della salute”. Proprio il carattere apicale della posizione ricoperta dal direttore amministrativo e dal direttore sanitario, all’interno di organismi che sono istituzionalmente chiamati ad espletare attività assistenziali di ricovero e cura degli infermi, oltre che di ricerca scientifica bio-medica, rivela l’incidenza che la disciplina relativa alle modalità di cessazione da tali incarichi, per sopraggiunti limiti di età, esercita sull’organizzazione e la gestione di servizi sanitari e, di riflesso, anche sull’efficienza degli stessi.

Da ciò consegue, quindi, che la regolamentazione del peculiare profilo oggetto di disciplina da parte della norma impugnata non può ritenersi rilevante solo rispetto allo svolgimento del rapporto intercorrente, iure privatorum, tra i dirigenti degli IRCCS e i medesimi Istituti, riguardando, piuttosto, proprio aspetti direttamente attinenti alla assistenza sanitaria. Di qui la necessità di una sua conformità a quanto previsto dal già citato art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003, restando irrilevanti le normative richiamate dalla resistente nei suoi scritti difensivi in ordine sia al prolungamento del servizio fino al sessantasettesimo anno di età per i pubblici dipendenti al fine di conseguire il livello massimo di trattamento pensionistico, sia – più in generale – alla tendenza della più recente legislazione nel prevedere la elevazione dei limiti di età per il collocamento a riposo per i medesimi dipendenti pubblici.

5.2.¾  Fondata è, del pari, la censura che investe gli artt. 13, comma 1, lettera b), e 14, comma 3, della medesima legge regionale.

Relativamente ai controlli cui sono sottoposti gli IRCCS, con la sentenza n. 270 del 2005 questa Corte ha dichiarato (punto 17 del Considerato in diritto) la illegittimità costituzionale delle norme disciplinatrici dei soli controlli “preventivi” statali sugli atti degli IRCCS, caducando, entro tali limiti, i commi 1 e 2 dell’art. 16 del d.lgs. n. 288 del 2003 che li avevano previsti.

Conseguentemente, non è fondata la tesi, sostenuta dalla Regione nei propri scritti difensivi, che rinviene nella citata pronuncia il titolo di legittimazione dei predetti artt. 13, comma 1, lettera b), e 14, comma 3, della legge regionale impugnata.

Tali norme, e segnatamente la prima (la seconda, in realtà, si limita ad estendere la stessa disciplina agli IRCCS già riconosciuti, per i quali sia in corso il procedimento di conferma del riconoscimento), fatta formalmente salva la vigilanza del Ministro della salute (nonché – ma tale evenienza non assume particolare rilievo, ai fini che qui interessano – l’attività di controllo sugli organi dei medesimi Istituti), affidano alla Giunta regionale il controllo sulle attività di ricerca, di cui al citato art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003, che è svolto in sede ministeriale.

In tal modo, dunque, si dà vita ad un’indubbia interferenza sull’attività di vigilanza che la normativa statale affida al Ministero della salute, senza alcuna ragione giustificativa. In virtù, infatti, del collegamento tra l’art. 8, comma 3, del d.lgs. n. 288 del 2003 (la norma espressamente richiamata dalla censurata disposizione regionale) e l’art. 12-bis, comma 8, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell’articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), il controllo del Ministro della salute sulle attività di ricerca degli IRCCS ha come scopo la verifica della loro rispondenza al programma nazionale di ricerca sanitaria predisposto dal medesimo Ministero.

Né, d’altra parte, per escludere, come fa la difesa della Regione, che le norme censurate diano luogo ad un’inutile “duplicazione” del controllo ministeriale può invocarsi l’argomento teso a dimostrare che quello contemplato dalle disposizioni in esame sia, in fondo, nient’altro che una specificazione della «attività di monitoraggio prevista dall’ultima parte dell’art. 12-bis» del d.lgs. 502 del 1992; attività, questa, che per certo continua ad essere di spettanza delle Regioni in rapporto ad atti di programmazione regionale.

Il monitoraggio di cui alla citata norma non investe, infatti, la rispondenza delle attività di ricerca degli IRCCS al programma nazionale (ciò che, del resto, non potrebbe essere, attesa la necessità di “centralizzare” una simile verifica, demandandola all’organo che ha elaborato il programma), bensì i risultati conseguiti, nell’ambito di ciascun servizio sanitario regionale, all’esito di quei singoli progetti dei quali ogni Regione abbia assunto, specificamente, la responsabilità della realizzazione.

Non è, quindi, condivisibile la tesi della Regione Lazio di legittimare su tali basi l’attività di vigilanza demandata alla Giunta regionale dagli artt. 13, comma 1, lettera b), e 14, comma 3, dell’impugnata legge regionale, i quali, pertanto, devono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi. 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 8, comma 3, 13, comma 1, lettera b), e 14, comma 3, della legge della Regione Lazio 23 gennaio 2006, n. 2 (Disciplina transitoria degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico di diritto pubblico non trasformati in fondazioni ai sensi del decreto legislativo 16 ottobre 2003, n. 288);

dichiara estinto, per intervenuta rinuncia accettata dalla controparte, il giudizio relativamente alle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 7, comma 2, e 9 della medesima legge della Regione Lazio n. 2 del 2006,  proposte – con riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, ed al principio di leale cooperazione – dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso  in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2006.