Sentenza n.250 del 2009

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 250

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco                 AMIRANTE               Presidente

- Ugo                          DE SIERVO               Giudice

- Paolo                        MADDALENA                 "

- Alfio                          FINOCCHIARO              "

- Alfonso                     QUARANTA                    "

- Franco                      GALLO                            "

- Luigi                          MAZZELLA                     "

- Gaetano                    SILVESTRI                      "

- Sabino                      CASSESE                         "

- Maria Rita                 SAULLE                           "

- Giuseppe                   TESAURO                        "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                "

- Giuseppe                   FRIGO                              "

- Alessandro                CRISCUOLO                         "

- Paolo                        GROSSI                           "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 267, comma 4 lettere a) e c), 269, commi 2, 3, 7 e 8, 271, 281, comma 10, 283, 284 e 287 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), promossi dalle Regioni Calabria, Piemonte, Emilia-Romagna e Puglia con ricorsi notificati l’8, il 10 e il 13 giugno 2006, depositati in cancelleria il 10, il 15, il 16 ed il 20 giugno 2006 ed iscritti ai nn. 68, 70, 73 e 76 del registro ricorsi 2006.

            Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli atti di intervento dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, della Biomasse Italia s.p.a. ed altre;

            udito nell’udienza pubblica del 19 maggio 2009 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

            uditi gli avvocati Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria, Fabio Lorenzoni per la Regione Piemonte, Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino per la Regione Emilia-Romagna, Fabrizio Lofoco per la Regione Puglia, Alessandro Giadrossi per l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, e gli avvocati dello Stato Fabrizio Fedeli e Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con il ricorso iscritto al n. 68 del registro ricorsi del 2006, la Regione Calabria ha impugnato il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) nel suo complesso, nonché in relazione a numerose specifiche disposizioni.

La ricorrente, preliminarmente, riferisce che il citato decreto costituisce l’esercizio da parte del Governo della delega conferitagli dal Parlamento con la legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione). Illustra, quindi, il procedimento seguito per l’emanazione del citato d.lgs. n. 152 del 2006, affermando come esso avrebbe disatteso i principi ispiratori della delega e, in particolare, il principio di leale cooperazione tra Stato, Regioni ed enti locali.

Dopo aver censurato l’illegittimità costituzionale dell’intero decreto delegato proprio in conseguenza dei vizi del procedimento di formazione, la Regione Calabria, impugna le singole disposizioni.

Tra queste, vengono censurati alcuni articoli inseriti nella parte quinta del decreto, recante norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera.

La ricorrente sostiene che in tale materia sussisterebbe una compenetrazione di titoli di competenza dello Stato e delle Regioni da ravvisarsi, in via prevalente, nella "tutela dell’ambiente”, ma anche nella "tutela della salute”.

L’esigenza di tenere in adeguato conto anche tale ultima competenza e di garantire un ruolo di primo piano alle Regioni nella tutela dell’aria dall’inquinamento era ben presente nella normativa anteriore al decreto impugnato e, in particolare, nel d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell’art. 15 della L. 16 aprile 1987, n. 183), ora abrogato dall’art. 280 del d.lgs. n. 152 del 2006. L’art. 4 del citato d.P.R., infatti, prevedeva che tale tutela spettasse alle Regioni che la esercitavano nell’ambito dei principi posti dalla legislazione statale e attribuiva loro una serie di competenze.

«Anche in considerazione di questo riferimento ‘storico’», la ricorrente censura le disposizioni con le quali il legislatore delegato avrebbe introdotto una disciplina procedimentale di estremo dettaglio non giustificata dall’esigenza di predisporre standard di tutela uniformi.

In particolare, l’art. 269 regolerebbe il rilascio al gestore di un impianto, da parte dell’autorità competente, dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera in modo così dettagliato da vincolare sotto ogni profilo la legge regionale che disciplina l’attività dell’autorità competente.

Il comma 2 della censurata disposizione individuerebbe, addirittura, lo schema di un modulo per la presentazione delle istanze. Il comma 3 regolerebbe nel dettaglio le attività che presiedono al rilascio dell’autorizzazione, privando le Regioni di ogni margine di modulazione e prevedendo l’esercizio di un potere sostitutivo da parte dello Stato senza le garanzie predisposte dall’art. 120 Cost. e senza contemplare la previa diffida ad adempiere.

Il comma 7, poi, stabilirebbe termini eccessivamente e «inutilmente» rigidi per il rilascio dell’autorizzazione; infine, detterebbe una disciplina di estremo dettaglio per il caso di modifiche all’impianto, vincolando in modo assoluto l’attività normativa e amministrativa delle Regioni.

Analogamente, anche l’art. 284 regolerebbe in modo analitico la denuncia di installazione o modifica di un impianto termico civile, privando le Regioni della possibilità di calibrare i procedimenti in relazione alle peculiarità dei propri territori e alle esigenze di tutela della salute degli abitanti. Ciò determinerebbe l’illegittimità costituzionale della citata disposizione, nonché dell’Allegato IX alla parte quinta a cui l’art. 284 rinvia e «che ne costituisce una ulteriore specificazione».

L’art. 267, comma 4, lettera a), contrasterebbe con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119, quinto comma, Cost., nonché con il principio di leale collaborazione. Infatti esso, nel prevedere la possibilità per il Ministro dell’ambiente di promuovere misure atte a favorire la produzione di energia da fonti rinnovabili e sviluppare tecnologie pulite, consentirebbe allo Stato – oltretutto senza alcuna partecipazione regionale – di realizzare «interventi diretti di ordine finanziario sul territorio» in materie di competenza concorrente, quali il governo del territorio, la tutela della salute, nonché di competenza residuale, quale la «produzione non-nazionale di energia».

È censurato, altresì, l’art. 281, comma 10, per violazione degli artt. 3, 117, terzo comma, e 118 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, nella parte in cui subordina all’intesa con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro della salute la possibilità, per le Regioni, di adottare provvedimenti generali in presenza di particolari situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedano particolare tutela ambientale. L’imposizione dell’intesa, secondo la ricorrente, priverebbe le Regioni della propria responsabilità di governo del territorio e di tutela della salute dei cittadini, accentrando in capo allo Stato compiti di cui esso non è più titolare a seguito della costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà.

Infine, la Regione Calabria deduce illegittimità costituzionale dell’art. 287 per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. e, «a monte», con l’art. 76 Cost., in relazione all’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004. La disposizione censurata disciplina l’abilitazione del personale addetto alla conduzione degli impianti termici civili di potenza termica superiore a 0.232 MW. In tal modo, essa sottrarrebbe alle Regioni una competenza di dettaglio riconducibile alla materia della "tutela della salute” e della "tutela e sicurezza del lavoro”.

Inoltre, si priverebbero le Regioni di una funzione ad esse conferita dall’art. 84, lettera b), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59).

2. – Anche la Regione Piemonte, con il ricorso iscritto al n. 70 del 2006 del registro ricorsi, ha impugnato il d.lgs. n. 152 del 2006 nel suo complesso – per le modalità di emanazione e per l’impostazione della disciplina in esso contenuta – nonché in relazione a singole disposizioni.

            La ricorrente censura, tra l’altro, la parte quinta del decreto per violazione degli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost., nonché per violazione «dei principi di leale collaborazione, ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà, buon andamento della P.A. anche sotto l’aspetto della violazione di principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali».

L’impostazione di tale disciplina incorrerebbe in tre rilievi. Innanzitutto, disattenderebbe il criterio fissato dalla legge delega di operare una revisione della normativa concernente le emissioni dei gas inquinanti in atmosfera alla luce della disciplina comunitaria e, in particolare, della direttiva 2001/81/CE del 23 ottobre 2001 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai limiti nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici). Il decreto rispetterebbe solo alcuni profili della normativa comunitaria e non prevedrebbe il necessario aggiornamento delle prescrizioni e dei valori limite rispetto all’evoluzione tecnologica. Inoltre, non sarebbe adeguatamente considerata la relazione tra tutela ambientale e disciplina dell’energia e degli impianti termici, che sarebbe di competenza concorrente. Infine, subirebbero una generale compressione le competenze pianificatorie e programmatorie delle Regioni.

Con specifico riferimento alle singole disposizioni, la ricorrente censura, innanzitutto, l’art. 267, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto, nel prevedere le attività volte alla adozione di misure per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, non contemplerebbe alcun coinvolgimento delle Regioni.

La lettera c) del medesimo comma, inoltre, prevederebbe uno specifico utilizzo dei "certificati verdi” non contemplato dalla legge delega che, all’art. 1, comma 9, lettera g), n. 2), indicava solo il prolungamento del loro periodo di validità. In tal modo, inoltre, sarebbero precluse eventuali diverse politiche regionali incentivanti dell’uso delle fonti energetiche rinnovabili.

L’art. 269, comma 7, nell’introdurre un periodo di validità dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, ne fisserebbe una durata sproporzionata (15 anni) la quale bloccherebbe ingiustificatamente la possibilità di un adeguamento degli impianti in relazione al progresso tecnologico certamente più rapido.

Al contempo, non sarebbe prevista la possibilità, per l’autorità competente, di modificare le prescrizioni dell’autorizzazione in relazione all’evoluzione delle tecnologie, con ciò determinando una limitazione dei poteri pubblici di controllo e di miglioramento della qualità dell’aria, in violazione del criterio direttivo fissato dall’art. 1, comma 8, lettere d) ed h), della legge delega.

In tal modo sarebbe, altresì, pregiudicata la possibilità, per le Regioni, di modulare l’attività amministrativa relativa al rilascio delle autorizzazioni e ai programmi di tutela in relazione alle differenti realtà locali, in violazione dei principi di sussidiarietà, leale collaborazione e buon andamento della p.a.

La disciplina dettata dall’art. 271 e dai relativi allegati con riguardo alla fissazione dei valori limite di emissione degli impianti e alle prescrizioni sarebbe del tutto carente, in quanto rinvierebbe a provvedimenti da emanarsi successivamente all’entrata in vigore del decreto delegato. Inoltre, i valori fissati negli allegati al decreto medesimo riproporrebbero quelli stabiliti nel 1988, da ritenere oramai del tutto superati. La loro riproposizione vanificherebbe le attività di maggior tutela nel frattempo poste in essere dalle Regioni, non essendo previsto che esse possano mantenere in vigore le proprie specifiche discipline più restrittive, con ciò determinando un peggioramento delle condizioni ambientali.

In tal modo, sarebbero del tutto trascurati i principi di differenziazione e sussidiarietà «nella loro potenzialità evolutiva», nonché il principio di leale collaborazione, in contrasto con la finalità di tutela dell’ambiente.

L’art. 281, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006, nel subordinare il potere delle Regioni di introdurre valori limite e prescrizioni più severi di quelli fissati dal decreto alla previa intesa con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro della salute e alla condizione che «ciò risulti necessario al conseguimento dei valori limite e dei valori bersaglio della qualità dell’aria», comprimerebbe ingiustificatamente la competenza delle Regioni, impedendo loro di attuare interventi migliorativi, per soddisfare esigenze ulteriori rispetto a quelle fissate a livello statale (come previsto dalla sentenza n. 407 del 2002 di questa Corte).

La ricorrente denuncia poi gli artt. 284 e 287 per contrasto con l’art. 76 Cost., in quanto violerebbero il criterio direttivo posto dall’art. 9, lettera g), della legge delega il quale poneva tra le finalità della nuova regolamentazione quella della semplificazione e della certezza normativa. Entrambe le norme censurate contrasterebbero, altresì, con l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto introdurrebbero una disciplina di dettaglio nella materia dell’energia, «senza peraltro pervenire ad aggiornata ed univoca regolamentazione di settore».

Infatti, nel caso di installazione o modifica di un impianto termico civile di potenza termica nominale superiore al valore soglia, è prevista la trasmissione di apposita denuncia all’autorità competente, perpetuandosi le disposizioni poste dalla legge 13 luglio 1966, n. 615 (Provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico), senza prevederne l’integrazione con quelle derivanti dalla normativa energetica di cui al d.P.R. 26 agosto 1993, n. 412 (Regolamento recante norme per la progettazione, l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in attuazione dell’art. 4, comma 4, della L. 9 gennaio 1991, n. 10), il quale richiede, oltre al libretto di centrale, anche la scheda identificativa dell’impianto. Mancherebbe, inoltre, il coordinamento e l’integrazione con il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 (Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell’edilizia), che recepisce la normativa comunitaria in materia di rendimento energetico nell’edilizia e prevede che le Regioni legiferino in materia di certificazione energetica e di ispezioni sugli impianti.

2.1 – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, il quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività della notifica del medesimo, nonché l’infondatezza delle censure, riservando a successive memorie la completa illustrazione della posizione del Governo.

2.2 – È intervenuta l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus a sostegno delle censure di legittimità costituzionale prospettate dalla Regione Piemonte. Dopo aver sostenuto l’ammissibilità del proprio intervento nel giudizio, il WWF svolge articolate argomentazioni sulle varie disposizioni censurate.

2.3 – Sono, altresì, intervenute ad opponendum la Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET s.r.l., la Biomasse Italia s.p.a., la Ital Green Energy s.r.l. e la ETA – Energie Tecnologie Ambiente s.p.a, in persona dei rispettivi rappresentanti legali, «per resistere al ricorso» presentato dalla Regione Piemonte. Tali società, dopo aver argomentato sulla propria legittimazione ad intervenire nel giudizio, hanno contestato in modo analitico le censure svolte dalla Regione ricorrente.

3. – La Regione Emilia-Romagna, con il ricorso iscritto al n. 73 del registro ricorsi del 2006, ha censurato numerose disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, contestandone la legittimità costituzionale.

La ricorrente premette di aver già proposto un ricorso (il n. 56 del 2006) avverso talune disposizioni del citato decreto per le quali riteneva urgente chiedere la sospensione. In sede di delibera di tale ricorso, tuttavia, la Regione si era espressamente riservata di impugnare altre disposizioni ritenute lesive delle proprie attribuzioni costituzionali.

Ciò posto, la ricorrente, dopo aver richiamato le censure svolte nel precedente atto introduttivo avverso i vizi procedurali che inficerebbero l’intero decreto delegato, censura alcune singole disposizioni del medesimo.

Con particolare riguardo alla parte quinta, recante norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera, la Regione Emilia-Romagna sostiene che l’art. 281, nel subordinare alla previa intesa con il ministero l’adozione di atti generali che stabiliscono valori limite di emissione e prescrizioni più severi rispetto a quelli fissati dalla normativa statale, invaderebbe le competenze regionali di programmazione e pianificazione. Infatti, secondo quanto affermato dalla Corte, la tutela dell’ambiente costituirebbe un «valore costituzionale» che delinea una "materia trasversale” in ordine alla quale ben potrebbero manifestarsi competenze diverse di spettanza regionale. Se compete allo Stato fissare il punto di equilibrio tra diversi interessi costituzionalmente protetti, ciò dovrebbe avvenire con normative di principio e non già imponendo alle Regioni l’adozione di specifici strumenti pianificatori o di dover sottostare al nulla osta da parte dell’autorità amministrativa. Ciò costituirebbe una indebita restrizione degli strumenti della Regione per perseguire obiettivi di miglioramento dell’ambiente – «con indiretta violazione dell’art. 9 Cost.» – attraverso l’esercizio delle competenze legislative e amministrative riconosciute dalla Costituzione alle Regioni, determinando anche una compressione delle funzioni loro attribuite dall’art. 84 del d.lgs. n. 112 del 1998.

Ciò sarebbe confermato anche dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 (Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), il quale, all’art. 8, consente di prescrivere, nelle autorizzazioni integrate ambientali, misure più rigorose per assicurare la tutela della qualità dell’aria. Inoltre le Regioni, nel rispetto della normativa comunitaria e, in particolare, della direttiva 2001/80/CE relativa ai grandi impianti di combustione e non ancora recepita dallo Stato, potrebbero adottare provvedimenti volti a restringere i limiti di emissione.

La ricorrente impugna, inoltre, l’art. 287 il quale, nel disporre che il "patentino” di cui deve essere munito il personale addetto alla conduzione di impianti termici civili di potenza termica nominale superiore a 0.232 MW sia rilasciato dall’Ispettorato provinciale del lavoro, contrasterebbe con l’art. 118 Cost. Esso, infatti, priverebbe le Regioni di una competenza amministrativa ad esse conferita dall’art. 84 del d.lgs. n. 112 del 1998.

Violerebbe, inoltre, l’art. 76 Cost., in quanto disattenderebbe i limiti della delega che prescrive il rispetto del riparto di competenze fissato dal decreto da ultimo citato.

L’art. 287, nella parte in cui dispone che la disciplina dei corsi e degli esami per cui è subordinato il rilascio del patentino sia stabilita con decreto ministeriale, lederebbe l’art. 117, quarto comma, Cost. in quanto invaderebbe la competenza residuale delle Regioni in materia di formazione professionale.

Infine, la Regione censura l’Allegato IV alla parte quinta del decreto e, in particolare, la parte I, punto 4, lettera z), del medesimo.

Tale parte dell’allegato, infatti, nell’escludere l’autorizzazione di cui all’art. 272 per determinati impianti, utilizzerebbe, con riguardo agli allevanti di bestiame, un criterio irragionevole privo di alcuna relazione con le emissioni in atmosfera. Esso, infatti, farebbe riferimento non al numero di capi di bestiame presenti nell’azienda, ma solo alla estensione del terreno di cui essa dispone e in cui sono utilizzati gli effluenti, comportando che anche gli allevamenti di ingenti dimensioni, i quali producono un significativo impatto sull’ambiente in termini di emissioni in atmosfera, non sarebbero soggetti ad alcuna autorizzazione.

La disposizione impugnata, pertanto, contrasterebbe con gli artt. 3 e 9 Cost., in quanto il criterio derogatorio utilizzato sarebbe irragionevole e lesivo degli interessi ambientali in cura alla Regione; con l’art. 76 Cost., in quanto, per le medesime ragioni, contrasterebbe con i criteri direttivi della delega; infine, con l’art. 117, quarto comma, Cost., in quanto vanificherebbe le politiche di tutela ambientale della Regione nell’ambito dell’agricoltura e della zootecnia.

3.1 – Anche in tale giudizio è intervenuta l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, chiedendo che sia dichiarata l’illegittimità delle medesime disposizioni impugnate dalla Regione Emilia-Romagna.

4. – Anche la Regione Puglia, con ricorso iscritto al n. 76 del registro ricorsi del 2006, ha impugnato numerose disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006.

Tra gli altri, la ricorrente censura l’art. 281, comma 10, il quale prevede, per l’adozione dei piani o programmi e per il rilascio delle autorizzazioni da parte delle Regioni o Province autonome, la necessità di un’intesa con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro della salute allo scopo di fissare limiti più restrittivi alle emissioni. Tale disposizione violerebbe l’art. 76 Cost., perché contrasterebbe con i principi e criteri direttivi della delega, nonché gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. per la «assoluta preponderanza dei poteri riconosciuti» al Ministro dell’ambiente al quale sarebbe assegnato un ruolo preminente anche con finalità di controllo sulle competenze regionali, in violazione del principio di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza.

La Regione chiede, pertanto, che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale di tale disposizione, previa sospensione della sua esecuzione, ai sensi dell’art. 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3).

4.1 – È intervenuta in giudizio l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, a sostegno delle censure svolte dalla ricorrente.

5. – In prossimità dell’udienza pubblica, le Regioni Calabria, Emilia-Romagna e Puglia, nonché il WWF, hanno depositato memorie conclusive.

Considerato in diritto

1. – Le Regioni Calabria, Emilia-Romagna, Piemonte e Puglia hanno impugnato numerose disposizioni del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), tra cui l’art. 267, comma 4, lettera a) (Regioni Calabria e Piemonte); l’art. 267, comma 4, lettera c) (Regione Piemonte); l’art. 269, commi 2, 3, 7 e 8 (Regioni Calabria e Piemonte); l’art. 271 «in relazione agli Allegati» (Regione Piemonte); l’art. 281, comma 10 (Regioni Calabria, Piemonte, Emilia – Romagna e Puglia); l’art. 283 (Regione Piemonte); l’art. 284 (Regioni Calabria e Piemonte); l’art. 287 (Regioni Calabria, Piemonte ed Emilia – Romagna); la Parte I, punto 4, lettera z), dell’Allegato IV alla Parte quinta (Regione Emilia – Romagna); l’Allegato IX alla Parte V (Regione Calabria).

Le ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 3 (Regioni Calabria ed Emilia-Romagna), 5 (Regione Piemonte), 9 (Regione Emilia-Romagna), 76 (tutte le ricorrenti), 114 (Regione Piemonte), 117, terzo comma (tutte le ricorrenti, con riguardo alla Regione Regione Emilia-Romagna senza espressa indicazione), 117, quarto comma (Regioni Calabria ed Emilia-Romagna), 118 (tutte le ricorrenti), 119, quinto comma (Regione Calabria), e 120 della Costituzione (Regione Calabria); sono altresì evocati i principi di leale collaborazione (tutte le ricorrenti), sussidiarietà (Regioni Calabria, Piemonte, Puglia) e buon andamento della pubblica amministrazione (Regione Piemonte).

È opportuno riservare a separate decisioni l’esame delle censure che le ricorrenti hanno mosso ad altre disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, per affrontare in questa sede le sole doglianze che investono, secondo quanto appena precisato, la parte quinta del decreto impugnato, con riguardo alle norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera.

L’omogeneità della materia trattata consente la riunione del ricorsi, perché essi siano decisi con un’unica sentenza.

2. – L’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) Onlus è intervenuta nei giudizi promossi dalle Regioni Emilia-Romagna, Piemonte e Puglia.

Nel ricorso promosso dalla Regione Piemonte sono altresì intervenute Biomasse Italia s.p.a., Società Italiana Centrali Termoelettriche-SICET s.r.l., Ital Green Energy s.r.l. e ETA Energie Tecnologie Ambiente s.p.a.

            Questi interventi sono inammissibili.

            Il giudizio di costituzionalità delle leggi promosso in via d’azione è, infatti, configurato come svolgentesi esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale (fra le molte sentenze n. 405 del 2008 e n. 469 del 2005).

3. – In via preliminare deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura dello Stato con riguardo al ricorso promosso dalla Regione Piemonte in ragione della asserita tardività della notifica dell’atto introduttivo. Premesso, infatti, che anche nei giudizi in via principale vige il principio della scissione fra il momento in cui la notificazione deve intendersi effettuata nei confronti del notificante rispetto al momento in cui essa si perfeziona per il destinatario dell’atto (sentenze n. 300 del 2007 e n. 477 del 2002), è agevole rilevare che, nel caso di specie, la notifica è stata effettuata tempestivamente dalla Regione, in quanto il ricorso risulta spedito a mezzo posta in data 12 giugno 2006, e dunque nel termine di 60 giorni dalla pubblicazione del decreto legislativo impugnato, avvenuta il 14 aprile 2006.

4. – Ancora in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità delle censure formulate dalla Regione Piemonte avverso gli artt. 267, comma 4, lettera a), 269, comma 7, 271, 281, comma 10, 284 e 287 del d.lgs. n. 152 del 2006, con riferimento agli artt. 5 e 114 Cost. e «con riguardo a principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali», poiché del tutto prive di motivazione (tra le molte, sentenze n. 25 del 2008 e n. 430 del 2007).

Per la medesima ragione, è palesemente inammissibile l’impugnazione, sempre da parte della Regione Piemonte, dell’art. 283, che viene meramente indicato tra le disposizioni oggetto di ricorso, senza che ne consegua lo svolgimento di alcuna censura.

Il ricorso della Regione Piemonte è, inoltre, inammissibile quanto all’impugnazione dell’art. 271 «in relazione agli Allegati», poiché tale disposizione non è espressamente indicata tra le norme che la Giunta regionale, per mezzo di apposita delibera, ha ritenuto di sottoporre al controllo di questa Corte, adempiendo al proprio onere a tale riguardo (sentenze n. 98 del 2007 e n. 533 del 2002): il generico riferimento all’intera Parte quinta del d.lgs. n. 152 del 2006, contenuto in tale delibera, assume, infatti, il necessario grado di determinatezza ai fini dell’individuazione dell’oggetto delle censure (sentenza n. 367 del 2007) solo grazie allo «specifico rilievo» subito dopo riservato all’elenco delle disposizioni oggetto di doglianza, tra le quali non figurano né l’art. 271 né gli allegati. Tale disposizione risulta pertanto selezionata dalla difesa tecnica della Regione, anziché dall’organo politico a ciò preposto.

Parimenti, le censure proposte dalla Regione Emilia-Romagna avverso l’art. 287 sono ammissibili con esclusivo riguardo al comma 1 di tale disposizione, al quale soltanto si riferisce, espressamente, la delibera della Giunta regionale.

Infine, sono inammissibili, in quanto basate su parametri che non attengono al riparto delle competenze tra Stato e Regioni (tra le molte, sentenze n. 216 del 2008 e n. 116 del 2006), le censure svolte dalla Regione Piemonte avverso l’art. 269, comma 7, con riguardo al "principio di buon andamento della pubblica amministrazione”; dalla Regione Calabria avverso l’art. 281, comma 10, con riferimento all’art. 3 Cost.; dalla Regione Emilia Romagna avverso il medesimo art. 281, comma 10, con riferimento all’art. 9 Cost.; ancora dalla Regione Emilia-Romagna avverso la Parte I, punto 4, lettera z), dell’Allegato IV alla Parte quinta, con riferimento nuovamente agli artt. 3 e 9 della Costituzione: in nessuno di tali casi la parte ricorrente provvede ad illustrare in modo specifico per quale via la denunciata lesione di tali parametri costituzionali si risolva in una menomazione delle proprie competenze.

4.1. – Tale conclusione va ribadita con riguardo alle censure regionali basate sull’art. 76 Cost., le quali a propria volta richiedono, per essere ammissibili, che la lamentata violazione dei principi e dei criteri direttivi enunciati dalla legge delega, da parte del legislatore delegato, sia suscettibile di comprimere le attribuzioni regionali (sentenza n. 503 del 2000).

Detto requisito di ammissibilità non è soddisfatto dal ricorso della Regione Piemonte nella parte avente ad oggetto l’art. 267, comma 4, lettera c). La disposizione stabilisce che i certificati verdi maturati a fronte di energia prodotta ai sensi dell’art. 1, comma 71, della legge 23 agosto 2004, n. 239 (Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), «possono essere utilizzati per assolvere all’obbligo di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79, solo dopo che siano stati annullati tutti i certificati verdi maturati dai produttori di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili così come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 387 del 2003».

La ricorrente contesta che tale disposizione ecceda i limiti imposti dall’art. 2, comma 9, lettera g), n. 2, della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), il quale avrebbe consentito il solo prolungamento fino a dodici anni del periodo di validità dei certificati verdi, e non l’introduzione di «una modalità di utilizzo» di essi. Tuttavia, la censura non si accompagna alla necessaria indicazione della specifica competenza regionale che ne risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione, sicché essa va ritenuta inammissibile, a prescindere dall’intervenuta abrogazione dell’art. 1, comma 71, della legge n. 239 del 2004 da parte dell’art. 1, comma 1120, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007).

Il medesimo vizio di inammissibilità colpisce la censura mossa, ai sensi dell’art. 76 Cost., dalla Regione Piemonte con riguardo agli artt. 284 e 287 in tema di impianti termici, sulla base del rilievo per cui tali disposizioni tradirebbero le esigenze di «semplificazione e certezza normativa» imposte dalla legge delega. La suddetta doglianza, oltre ad avere carattere generico, nuovamente manca di configurare una lesione della sfera di competenza regionale: il mero richiamo all’omesso coordinamento della norma impugnata con il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192 (Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell’edilizia), in tema di rendimento energetico nell’edilizia non vale a chiarire per quale ragione la pretesa lacuna formale potrebbe menomare le attribuzioni regionali.

Priva di motivazione, e pertanto inammissibile, è l’impugnazione, da parte della Regione Emilia-Romagna, della Parte I, punto 4, lettera z), dell’Allegato IV alla Parte quinta per violazione dell’art. 76 Cost., motivata dalla asserita lesione degli «interessi ambientali in cura alla Regione» e dal contrasto con i principi direttivi fissati dalla legge di delega: la mancata specificazione di quali principi enunciati dal legislatore delegante sarebbero stati violati impedisce di scrutinare il merito della censura.

Parimenti inammissibile è, infine, l’impugnazione, da parte della Regione Puglia, dell’art. 281, comma 10, in riferimento all’art. 76 Cost., atteso che la ricorrente non indica quali «principi generali richiamati dalla legge delega» sarebbero stati violati nel caso di specie.

5. – Passando ad esaminare il merito delle censure, vengono innanzitutto in considerazione quelle relative all’art. 267, comma 4, lettera a), il quale stabilisce che, al fine di promuovere l’impiego di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, «potranno essere promosse dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio di concerto con i Ministri delle attività produttive e per lo sviluppo e la coesione territoriale misure atte a favorire la produzione di energia elettrica tramite fonti rinnovabili ed al contempo sviluppare la base produttiva di tecnologie pulite, con particolare riferimento al Mezzogiorno».

La Regione Calabria sostiene che tale disposizione consentirebbe allo Stato di realizzare «interventi diretti di ordine finanziario» sul territorio regionale, in violazione dell’art. 119, quinto comma, Cost., nonché della competenza concorrente regionale in materia di governo del territorio e di tutela della salute (art. 117, terzo comma, Cost.) e di quella residuale in materia di «produzione non nazionale di energia» (art. 117, quarto comma, Cost.); peraltro, il difetto «di ogni coinvolgimento regionale» comporterebbe, altresì, la lesione del principio di leale cooperazione.

A propria volta, la Regione Piemonte lamenta il mancato «coinvolgimento esplicito» dell’istanza regionale nella determinazione del contenuto di tali misure.

Le questioni non sono fondate.

Esse si basano, infatti, sull’erroneo presupposto interpretativo per il quale la disposizione censurata prevederebbe l’adozione, da parte dello Stato, di atti che si sovrappongano alla sfera di competenza regionale e ne ledano l’autonomia finanziaria. Tale lettura non è in alcun modo confortata dalla lettera della disposizione oggetto di ricorso, che si limita ad impegnare lo Stato alla promozione dell’energia da fonti rinnovabili per mezzo di non meglio determinate «misure», la cui natura e il cui contenuto – allorché vengano adottate – non potranno che conformarsi all’attuale assetto delle competenze costituzionali di Stato e Regioni.

Tra queste, non vi è dubbio che spicchi la competenza concorrente regionale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia, mentre la Corte ha già escluso la configurabilità di una competenza residuale concernente l’assetto asseritamente locale del sistema energetico (sentenza n. 383 del 2005); parimenti non si può escludere che le misure "promosse” dallo Stato possano lambire l’ambito riservato al governo del territorio, piuttosto che l’autonomia finanziaria della Regione, pur in un contesto finalistico che parimenti attiva le competenze nazionali in tema di tutela dell’ambiente e di tutela della concorrenza (sentenza n. 88 del 2009): sarà, perciò, necessario che l’intervento dello Stato sia rispettoso di siffatti limiti, anche con riguardo all’introduzione di forme di coinvolgimento della Regione. In tal modo interpretata, la disposizione impugnata si sottrae alle censure sopra esposte.

6. – L’art. 269 disciplina l’autorizzazione di cui debbono munirsi gli impianti che producono emissioni in atmosfera. La Regione Calabria impugna i commi 2, 3, 7 ed 8 di tale disposizione, che viene censurata anche dalla Regione Piemonte, ma con riferimento al solo comma 7.

Con una prima doglianza, che investe tutti i commi impugnati, la Regione Calabria lamenta che essi recherebbero norme di dettaglio nelle materie della tutela della salute e del governo del territorio, ove, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., è riservata allo Stato la sola determinazione dei principi fondamentali.

La questione non è fondata.

L’art. 269, dopo avere enunciato, al comma 1, il principio per il quale gli impianti che producono emissioni sono soggetti, salvo specifiche eccezioni, ad un regime autorizzatorio, provvede a disciplinare, tra l’altro, il procedimento di rilascio del titolo e la sua efficacia nel tempo. Si tratta di disposizioni riguardo alle quali, accanto alla tutela dell’ambiente – finalità verso cui converge l’intero impianto del codice – possono ravvisarsi le competenze relative alla tutela della salute, in quanto potenzialmente compromessa dagli agenti inquinanti che vengono rilasciati dagli impianti, e quelle concernenti il governo del territorio, con riferimento all’installazione ed al trasferimento degli impianti sul territorio regionale: del resto, non si è mai dubitato del ruolo particolarmente significativo che la stessa legislazione nazionale ha attribuito alle Regioni ai fini del contrasto dell’inquinamento atmosferico, fin dagli artt. 101 e 102 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382), e successivamente in forza del d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779, 82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell’art. 15 della L. 16 aprile 1987, n. 183), ora abrogato dall’art. 280 del d.lgs. n. 152 del 2006, con i limiti ivi indicati. Tale ruolo trova conferma nella conservazione, in capo alla Regione o all’ente da essa indicato, del potere di rilasciare l’autorizzazione prevista dall’art. 269 (art. 268, comma 1, lettera o).

Se, tuttavia, la riconduzione della disposizione censurata alla competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente esclude in radice che la Regione possa contestarne il carattere dettagliato, in ogni caso i commi impugnati di tale disposizione, quand’anche inquadrati nella prospettiva delle competenze concorrenti sopra ricordate, appaiono espressivi di principi fondamentali della materia: secondo tale linea di giudizio questa Corte ha già riconosciuto che le corrispondenti disposizioni del d.P.R. n. 203 del 1988 determinavano i soli «presupposti minimali» per il rilascio del titolo, né la normativa oggetto dell’odierno controllo di costituzionalità si discosta da siffatto limite.

In particolare, il comma 2 non tratteggia, come vorrebbe la ricorrente, «un modulo da predisporre per la presentazione delle istanze», ma determina i requisiti dai quali non è consentito prescindere in sede di domanda di autorizzazione, ciascuno dei quali finalizzato a garantire la necessaria verifica delle condizioni, determinate dal legislatore nazionale, che consentono l’installazione o il trasferimento dell’impianto; il comma 3 formula il principio per il quale l’autorità competente, ai fini del rilascio dell’autorizzazione, indice una conferenza di servizi e ne scandisce le fasi, per il tramite dell’indicazione di termini rispondenti ad esigenze di semplificazione amministrativa e di celerità, anche «al fine di evitare (…) che nel territorio nazionale si creino disparità di trattamento fra impresa e impresa» (sentenza n. 101 del 1989).

Per tale ragione le disposizioni ora richiamate non possono ritenersi di mero dettaglio (sentenza n. 364 del 2006).

Le medesime considerazioni appena svolte concernono anche il comma 8, che, disciplinando il procedimento da osservarsi ove si intenda modificare l’impianto, appare speculare al procedimento di rilascio dell’autorizzazione e risponde alla medesima esigenza di articolare unitariamente tale attività secondo principi che assicurino l’osservanza dei criteri stabiliti dalla normativa nazionale.

Il comma 7, infine, determina in quindici anni la durata dell’autorizzazione, così esprimendo un’evidente scelta di principio che sintetizza l’interesse dell’impresa a proseguire nell’attività con la necessità di una nuova verifica circa la ricorrenza delle condizioni a tal fine richieste.

6.1. – La Regione Calabria impugna, poi, il solo comma 3 dell’art. 269, in relazione all’art. 120 Cost., poiché esso, in assenza della diffida ad adempiere, consentirebbe al Ministro dell’ambiente di sostituirsi alla competente autorità locale nel rilascio dell’autorizzazione, quando, scaduti i termini assegnati alla prima per provvedere, l’interessato ne faccia espressa richiesta, senza assicurare idonee garanzie procedimentali all’ente sostituito.

La questione non è fondata.

Occorre, innanzitutto, rilevare che la censura si incentra non già sulla configurazione del potere sostitutivo in sé, ma sul preteso difetto di siffatte garanzie. Per tale ragione, non è necessario in questa sede interrogarsi sulla effettiva applicabilità dell’art. 120 Cost. al potere sostitutivo previsto dalla disposizione impugnata, posto che tale norma costituzionale attiene all’esercizio straordinario di tale funzione da parte del Governo, mentre «lascia impregiudicata l’ammissibilità e la disciplina di altri casi di interventi sostitutivi, configurabili dalla legislazione di settore, statale o regionale» (sentenza n. 43 del 2004): infatti, in entrambi i casi, la legge è tenuta ad apprestare congrue garanzie procedimentali per l’esercizio del potere sostitutivo, in conformità al principio di leale collaborazione, sicché, pur prescindendo dall’espresso richiamo dell’art. 120 Cost. operato dalla ricorrente, la censura deve ritenersi comunque rivolta a contestare la carenza di tali garanzie.

Sotto questa prospettiva, un analogo meccanismo sostitutivo, regolato dall’art. 7 del d.P.R. n. 203 del 1988, è già stato ritenuto da questa Corte non contrastante con la Costituzione con la citata sentenza n. 101 del 1989. Nell’attuale quadro costituzionale di riparto delle competenze, e con riguardo alla disposizione censurata, va ugualmente osservato che essa può e deve interpretarsi in un senso rispettoso dell’autonomia decentrata, dal momento che vi si prevede espressamente che il gestore notifichi la richiesta di intervento sostitutivo all’autorità locale competente, e che, comunque, il Ministro dell’ambiente provveda, «sentito il Comune interessato». Tali adempimenti debbono ritenersi finalizzati a porre l’ente sostituito in grado di evitare la sostituzione attraverso un autonomo adempimento, ed in ogni caso di partecipare ed interloquire nel procedimento di sostituzione.

6.2. – La Regione Piemonte impugna il solo comma 7 dell’art. 269, nella parte in cui stabilisce un’efficacia temporale dell’autorizzazione di quindici anni ritenuta «assolutamente sproporzionata» alla luce dell’accelerato «processo di rinnovamento tecnologico degli impianti», senza nel contempo disciplinare il potere decentrato, originariamente attributo dall’art. 11 del d.P.R. n. 203 del 1988, di modificare le prescrizioni dell’autorizzazione in seguito all’evoluzione della migliore tecnologia disponibile, nonché all’evoluzione della situazione ambientale.

Sarebbero così compromesse le attribuzioni regionali in punto di rilascio del titolo, in violazione dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione. Per altro profilo, la ricorrente denuncia la difformità della disposizione impugnata rispetto ai principi e criteri direttivi enunciati dalla legge delega (art.1, comma 8, lettere d ed h), in quanto essa comporterebbe «una limitazione e non un accrescimento dei poteri pubblici di controllo e degli obiettivi generali di miglioramento della qualità dell’aria attraverso l’adozione delle migliori tecnologie disponibili».

Le censure non sono fondate, giacché si basano su un erroneo presupposto interpretativo.

La ricorrente muove, infatti, dal convincimento secondo cui il legislatore delegato, nel determinare l’arco temporale esauritosi il quale l’autorizzazione necessita di essere rinnovata, avrebbe nel contempo e per ciò stesso privato l’amministrazione competente del potere di vigilare, durante tale periodo, sull’esercizio dell’impianto, allo scopo di assicurarne costantemente la corrispondenza a quanto reso possibile dall’evoluzione della migliore tecnologia disponibile e a quanto reso necessario dall’evoluzione della situazione ambientale.

Tale lettura, senza venire imposta dalla lettera della disposizione impugnata, renderebbe incongrua la disciplina normativa dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera rispetto ad una marcata linea di tendenza, maturata sul terreno del diritto comunitario, volta a garantire un costante e progressivo adeguamento delle prescrizioni concernenti gli impianti inquinanti all’evoluzione tecnologica: in tema di autorizzazione integrata ambientale (la quale, pur sostituendosi all’autorizzazione di cui all’art. 269, ai sensi dell’art. 267, comma 3, concerne anch’essa la tutela, tra l’altro, dall’inquinamento atmosferico), l’art. 13 della direttiva 15 gennaio 2008, n. 2008/1/CE, che ha sostituito l’analogo art. 13 della direttiva 24 settembre 1996, n. 96/61/CE (Direttiva del Consiglio sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento), prescrive un riesame delle condizioni del titolo, ogni qual volta le migliori tecniche disponibili abbiano registrato sostanziali cambiamenti che consentano di ridurre notevolmente le emissioni senza imporre costi eccessivi.

Ugualmente, l’art. 13 della direttiva 28 giugno 1984, n. 84/360/CE (Direttiva del Consiglio concernente la lotta contro l’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali), abrogata con effetto dal 30 ottobre 2007, ma vigente al tempo della promulgazione del d.lgs. n. 152 del 2006, comporta l’adozione, a livello nazionale, di misure adeguate per adattare progressivamente gli impianti esistenti alla migliore tecnologia disponibile, pur tenuto conto dell’opportunità di evitare costi eccessivi per gli impianti.

Stanti tali premesse, ed entro un contesto normativo finalizzato ad assicurare un adeguato grado di tutela dell’ambiente, apparirebbe manifestamente irragionevole il congelamento delle condizioni dell’autorizzazione, quanto alle prescrizioni relative all’impianto, per un periodo di quindici anni, quando la sempre più rapida evoluzione della tecnologia avrebbe invece consentito, nel frattempo, di ricorrere ad adattamenti tecnici idonei ad una più efficace salvaguardia dell’ambiente, senza nel contempo implicare costi sproporzionati rispetto all’utilità conseguita. Del resto, l’esigenza di tutelare l’affidamento dell’impresa circa la stabilità delle condizioni fissate dall’autorizzazione è certamente recessiva a fronte di un’eventuale compromissione, se del caso indotta dal mutamento della situazione ambientale, del limite «assoluto e indefettibile rappresentato dalla tollerabilità per la tutela della salute umana e dell’ambiente in cui l’uomo vive» (sentenza n. 127 del 1990). Essa, inoltre, non può prevalere sul perseguimento di una più efficace tutela di tali superiori valori, ove la tecnologia offra soluzioni i cui costi non siano sproporzionati rispetto al vantaggio ottenibile: un certo grado di flessibilità del regime di esercizio dell’impianto, orientato verso tale direzione, è dunque connaturato alla particolare rilevanza costituzionale del bene giuridico che, diversamente, ne potrebbe venire offeso, nonché alla natura inevitabilmente, e spesso imprevedibilmente, mutevole del contesto ambientale di riferimento.

Difatti, il solo potere dell’autorità competente a rilasciare l’autorizzazione, che viene espressamente riservato dal legislatore alla fase del rinnovo della stessa (art. 271, comma 9), attiene all’introduzione di valori limite di emissione più rigorosi, rispetto a quelli fissati dall’Allegato I alla Parte quinta del d.lgs. n. 152 del 2006, da parte della normativa regionale di cui al comma 3 dell’art. 271 e dai piani e programmi relativi alla qualità dell’aria.

La disposizione censurata non deve, pertanto, essere interpretata, come ritiene invece la ricorrente, nel senso che essa reca un divieto, per l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione, di modificare, durante il periodo quindicennale di validità del titolo, le prescrizioni della stessa concernenti gli impianti, in base all’evoluzione della migliore tecnologia disponibile e della situazione ambientale: entro tali limiti, la questione avente ad oggetto l’art. 269, comma 7, non è fondata.

7. – L’art. 281, comma 10, impugnato da tutte le ricorrenti, stabilisce che «fatti salvi i poteri stabiliti dall’articolo 271 in sede di adozione dei piani e dei programmi ivi previsti e di rilascio dell’autorizzazione, in presenza di particolari situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedano una particolare tutela ambientale, le Regioni e le Province autonome, con provvedimento generale, previa intesa con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e con il Ministro della salute, per quanto di competenza, possono stabilire valori limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio degli impianti, più severi di quelli fìssati dagli allegati al presente titolo, purché ciò risulti necessario al conseguimento del valori limite e dei valori bersaglio di qualità dell’aria».

La Regione Calabria ritiene lesi gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., poiché la Regione sarebbe stata «spogliata della (propria) responsabilità di governo del territorio e della salute dei consociati».

La Regione Piemonte lamenta che si sia compressa la possibilità di interventi regionali di carattere migliorativo dei livelli statali.

La Regione Emilia-Romagna stima lesi gli artt. 117 e 118 Cost., poiché la necessità dell’intesa restringe i poteri della Regione di tutelare l’ambiente, anche derogando in melius ai livelli determinati dallo Stato. Tali poteri sarebbero stati riconosciuti dall’art. 84 del d.lgs. n. 112 del 1998, dall’art. 8 del decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 (Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), e dalla direttiva comunitaria n. 2001/80/CE del 23 ottobre 2001 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni inquinanti originati dai grandi impianti di combustione), in tema di grandi impianti di combustione.

La Regione Puglia, la quale avanza anche istanza di sospensione della disposizione in esame, deduce la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost., con riferimento anche al principio di sussidiarietà, a causa «della assoluta preponderanza dei poteri riconosciuti al Ministro dell’ambiente».

Le questioni non sono fondate.

Il d.lgs. n. 152 del 2006 riconosce alle Regioni un ampio margine di intervento, al fine di conferire esecuzione e talora di  rendere eventualmente più severa la disciplina statale concernente l’inquinamento atmosferico: in particolare, l’art. 271, comma 3, affida a Regioni e Province autonome la determinazione dei valori limite di emissione all’interno di quelli indicati dalla normativa nazionale; l’art. 271, comma 4, ammette l’introduzione in sede decentrata di valori limite di emissione e di prescrizioni più restrittivi rispetto agli standard statali, per mezzo dei piani e dei programmi previsti dall’art. 8 del decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351 (Attuazione della direttiva 96/62/CE in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria ambiente), e dall’art. 3 del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 183 (Attuazione della direttiva 2002/3/CE relativa all’ozono nell’aria), purché ciò sia necessario al conseguimento dei valori limite e dei valori bersaglio di qualità dell’aria. Inoltre, la disposizione da ultimo citata stabilisce che «fino alla emanazione dei suddetti programmi», continuano ad applicarsi i valori di emissione e le prescrizioni contenute nei piani di cui all’art. 4 del d.P.R. n. 203 del 1988.

L’art. 271, comma 9, infine, legittima l’imposizione al singolo impianto di condizioni ancora più rigide in sede di rilascio e di rinnovo dell’autorizzazione.

Il ruolo e l’ampiezza delle funzioni affidate alle Regioni vanno perciò apprezzati alla luce dell’assetto complessivo del decreto legislativo impugnato e non possono viceversa divenire oggetto, come vorrebbero le ricorrenti, di una valutazione parcellizzata sulla base di una sola tra le disposizioni di cui esso si compone.

L’art. 281, comma 10, si inserisce in tale più ampio contesto di valorizzazione delle competenze regionali, aprendo un ulteriore campo di intervento alle Regioni, in presenza di situazioni di rischio sanitario o di zone che richiedano una particolare tutela ambientale, ma nel contempo ne subordina la relativa azione all’intesa con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro della salute.

Nel concorso della competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente con quella concorrente in materia di tutela della salute, la disposizione censurata provvede ad allocare l’esercizio della funzione in sede regionale, dimostrandosi in tal modo rispettosa dell’art. 118 Cost., mentre la previsione dell’intesa agisce da strumento di raccordo idoneo a soddisfare il canone della leale collaborazione, in presenza di una concorrenza di competenze dello Stato e della Regione (sentenze n. 88 del 2009 e n. 219 del 2005).

Quanto alla normativa richiamata dalla Regione Emilia-Romagna, mentre la ricorrente omette di indicare quale funzione già prevista dall’art. 84 del d.lgs. n. 112 del 1998 le sarebbe stata sottratta dalla disposizione censurata, sono da ritenersi male evocati sia l’art. 8 del d.lgs. n. 59 del 2005, che concerne il diverso istituto dell’autorizzazione integrata ambientale (art. 267, comma 3), sia la direttiva n. 2001/80/CE relativa alle emissioni di inquinanti originati dai grandi impianti di combustione: non si vede, infatti, né è specificato dalla ricorrente, quale sia il margine di sovrapposizione che possa intercorrere tra tali norme ed il potere regolato dall’art. 281, comma 1, e ciò a prescindere dal pur decisivo rilievo per il quale le modalità dell’intervento regionale ben possono essere distintamente modulate dal legislatore, a seconda del peculiare ambito materiale cui esso si riferisce.

8. – L’art. 284 disciplina la denuncia di installazione o di modifica di impianti termici civili di potenza superiore al valore di soglia, stabilendo che essa vada trasmessa all’autorità competente mediante il modulo riportato nella Parte I dell’Allegato IX alla Parte quinta del d.lgs. n. 152 del 2006.

La Regione Calabria impugna tale disposizione, che giudica dettagliata, perché lesiva della competenza regionale concorrente in materia di tutela della salute, estendendo la censura all’Allegato IX alla Parte quinta, in quanto «oggetto di rinvio» da parte dell’art. 284: è pertanto da ritenere che tale estensione concerna la sola porzione dell’Allegato concernente il "modulo di denuncia”.

Anche la Regione Piemonte censura la disposizione in esame riconducendola, invece, alla competenza concorrente in materia di energia e sostenendone, a propria volta, il carattere dettagliato.

Le questioni non sono fondate.

Le disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006 relative agli impianti termici civili perseguono un obiettivo di prevenzione e limitazione dell’inquinamento atmosferico (art. 282) che si inquadra nell’esercizio della competenza esclusiva statale in tema di tutela dell’ambiente; quand’anche si ritenesse che ad essa si congiunga una sfera di competenza concorrente regionale, come sostenuto dalle ricorrenti, tuttavia l’art. 284, nell’imporre l’obbligo di denuncia e nel definire, tramite il rinvio all’Allegato, le modalità di tale denuncia, deve ritenersi comunque espressivo di un principio fondamentale della materia: il "modulo di denuncia”, infatti, si limita a selezionare gli elementi tecnici necessari per constatare la corrispondenza dell’impianto ai requisiti richiesti, e in tale prospettiva fa naturalmente corpo con la previsione stessa della denuncia, che verrebbe svuotata di significato ove non si accompagnasse all’indicazione di un determinato contenuto.

9. – L’art. 287 prevede che il personale addetto alla conduzione di impianti termici civili di potenza superiore ad una certa soglia debba munirsi di un patentino di abilitazione rilasciato dall’Ispettorato provinciale del lavoro, al termine di un corso e previo superamento dell’esame finale: presso ciascun Ispettorato è compilato ed aggiornato un registro degli abilitati. Il comma 6 di tale disposizione aggiunge che la disciplina dei corsi e degli esami, nonché delle revisioni dei patentini, sia determinata con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, trovando attualmente applicazione il decreto ministeriale 12 agosto 1968.

Le Regioni Calabria ed Emilia-Romagna eccepiscono la violazione dell’art. 76 Cost., poiché il legislatore delegato, così operando, non avrebbe osservato l’obbligo di conformarsi, tra l’altro, alle attribuzioni regionali regolate dal d.lgs. n. 112 del 1998, secondo quanto stabilito dall’art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del 2004.

Denunciano invece il carattere dettagliato della norma la Regione Piemonte, con conseguente lesione della competenza concorrente in materia di energia, e la Regione Calabria, con riguardo alle competenze ripartite in materia di tutela della salute e tutela e sicurezza del lavoro.

Infine, la Regione Emilia-Romagna lamenta, con riguardo al comma 1, la violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost., poiché la disposizione impugnata inciderebbe sulla competenza regionale residuale in materia di formazione professionale.

La Corte osserva che la previsione, imposta dalla norma censurata, di consentire la conduzione di impianti termici civili, di potenza superiore al valore di soglia, al solo personale maggiorenne abilitato, non si esaurisce certamente in un aspetto di mero dettaglio della normativa dettata «ai fini della prevenzione e della limitazione dell’inquinamento atmosferico» (art. 282, comma 1), ma ne costituisce piuttosto un cardine, dal momento che affida tale compito solo a chi disponga di una formazione professionale che lo renda idoneo a prevenire, e comunque a gestire nel migliore dei modi, gli effetti pregiudizievoli per l’ambiente e la salute che potrebbero derivare sia da un errore umano, sia da un guasto tecnico: la riconducibilità di tale scelta normativa alle materie della tutela dell’ambiente e della tutela della salute, quest’ultima quanto all’articolazione di un principio fondamentale, rendono perciò infondate le censure delle Regioni Calabria e Piemonte che ne contestano il carattere dettagliato.

Altro è, invece, ciò che segue all’introduzione di tale generale previsione, per quanto in particolare attiene all’attribuzione all’Ispettorato provinciale del lavoro del compito di rilasciare il patentino di abilitazione, all’esito di un corso e del superamento di un esame finale.

Tale funzione, originariamente disciplinata dall’art. 16 della legge 13 luglio 1966, n. 615 (Provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico), era stata da ultimo prevista dall’art. 84, lettera b), del d.lgs. n. 112 del 1998, il quale aveva conferito alle Regioni il «rilascio dell’abilitazione alla conduzione di impianti termici civili compresa l’istituzione dei relativi corsi di formazione».

Ciò posto, questa Corte rileva che l’addestramento del lavoratore, per iniziativa di un soggetto pubblico e fuori dall’ordinamento universitario, finalizzato precipuamente all’acquisizione delle cognizioni necessarie all’esercizio di una particolare attività lavorativa, rientra nella materia, oggetto di potestà legislativa residuale della Regione, concernente la formazione professionale (sentenze n. 425 del 2006; n. 51 e n. 50 del 2005), sicché appare fondata la censura mossa dalla Regione Emilia-Romagna alla luce degli artt. 117, quarto comma, e 118 della Costituzione.

La disposizione censurata, infatti, pretende illegittimamente di allocare presso lo Stato una funzione amministrativa in materia riservata alla competenza regionale (sentenze n. 166 del 2008 e n. 43 del 2004), e nel contempo di disciplinare, in rapporto ad essa, le modalità della formazione professionale per mezzo dei corsi di abilitazione e del conseguente esame (art. 287, comma 1).

Si deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità costituzionale di tale comma 1 della disposizione impugnata, nella sola parte in cui esso invade quella regionale, ossia limitatamente alle parole «rilasciato dall’ispettorato provinciale del lavoro, al termine di un corso per conduzione di impianti termici, previo superamento dell’esame finale».

L’ulteriore previsione concernente la compilazione di un registro presso l’Ispettorato, acquisendo in tal modo una mera finalità notiziale, non comporta lesione delle attribuzioni regionali.

Benché l’impugnativa della ricorrente sia ammissibile con riguardo al solo comma 1 dell’art. 287, tuttavia, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte deve provvedere a dichiarare l’illegittimità consequenziale anche del comma 4, limitatamente alle parole «senza necessità dell’esame di cui al comma 1», del comma 5, limitatamente alle parole «dall’Ispettorato provinciale del lavoro» e dell’intero comma 6, trattandosi di disposizioni intrinsecamente collegate a quella di cui al comma 1, per la parte in cui esso è stato dichiarato incostituzionale.

Restano assorbite le censure relative all’art. 76 Cost.

10. – La parte I, punto 4, lettera z), dell’Allegato IV alla Parte quinta, impugnato dalla Regione Emilia-Romagna, colloca tra gli impianti e attività in deroga di cui all’art. 272, comma 1, gli allevamenti di bestiame con riferimento all’estensione dei terreni su cui si esercita l’utilizzazione agronomica degli effluenti, anziché, come vorrebbe la ricorrente, con riferimento «al numero dei capi ospitati».

La Regione sostiene che con ciò sarebbe stata lesa la propria competenza residuale in materia di agricoltura e zootecnia, nell’esercizio della quale sarebbe permesso perseguire «obiettivi di migliore qualità dell’aria e di minore impatto delle attività dell’industria zootecnica su di essa»: in tale direzione, sarebbe necessario attribuire importanza al numero dei capi ospitati, per evitare che allevamenti ad alto potenziale inquinante sfuggano al regime autorizzatorio.

La censura non è fondata.

La premessa da cui muove il rilievo della ricorrente, ovvero che la disposizione impugnata cada nell’ambito materiale dell’agricoltura, è erronea.

È evidente, infatti, che la norma non si propone, né ha per effetto, di disciplinare l’attività degli allevamenti di bestiame, o comunque di interferire con il processo di produzione di vegetali ed animali destinati all’alimentazione, che costituisce il "nocciolo duro” della materia residuale dell’agricoltura (sentenza n. 12 del 2004). Essa va invece assunta nella sola prospettiva del controllo delle emissioni in atmosfera, con riguardo ad impianti ed attività «scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento atmosferico»: in tale ottica, la competenza invocata dalla ricorrente nel caso di specie appare del tutto inidonea a giustificare un qualsivoglia intervento legislativo regionale in materia. La questione, alla luce del parametro costituzionale prescelto, è perciò non fondata.

11. – Poiché la Corte ha deciso il merito del ricorso, non vi è luogo a procedere in ordine alla istanza di sospensione formulata dalla ricorrente Regione Puglia.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse nei confronti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dalle Regioni Piemonte, Emilia-Romagna, Puglia e Calabria;

            dichiara inammissibile l’intervento in giudizio dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, della Biomasse Italia s.p.a., della Società Italiana Centrali Termoelettriche-SICET s.r.l., della società Ital Green Energy s.r.l. e della società ETA Energie Tecnologie Ambiente s.p.a.;

            dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 287, comma 1, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), limitatamente alle parole «rilasciato dall’ispettorato provinciale del lavoro, al termine di un corso per conduzione di impianti termici, previo superamento dell’esame finale»;

            dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 287, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, limitatamente alle parole «senza necessità dell’esame di cui al comma 1»;

            dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 287, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006, limitatamente alle parole «dall’Ispettorato provinciale del lavoro»;

            dichiara, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità costituzionale dell’art. 287, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006;

            dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 267, comma 4, lettera a), 269, comma 7, 271, 281, comma 10, 284 e 287 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 5 e 114 della Costituzione e «con riguardo a principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali», dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 267, comma 4, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa in relazione all’art. 76 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 269, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in relazione al «principio di buon andamento della pubblica amministrazione», dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 271 «in relazione agli allegati», del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento ai principi di sussidiarietà e leale cooperazione, dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 281, comma 10, d.lgs. n. 152 del 2006, promosse rispettivamente, dalla Regione Calabria in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna in riferimento all’art. 9 della Costituzione e dalla Regione Puglia in riferimento all’art. 76 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;

            dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 283 del d.lgs. n. 152 del 2006 promosse, con riferimento agli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione e ai principi di leale collaborazione e di sussidiarietà, dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 284 e 287 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 287, commi 2, 3, 4, 5 e 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 76, 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale della Parte I, punto 4, lettera z), dell’Allegato IV alla Parte quinta, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 3, 9 e 76 della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 267, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Calabria e Piemonte con i ricorsi indicati in epigrafe;

            dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 267, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 119, quinto comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 269, commi 2, 3, 7 e 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 269, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 120 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 269, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento ai principi di sussidiarietà e leale collaborazione nonché all’art. 76 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 281, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, dalle Regioni Calabria, Piemonte, Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;

            dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 284 del d.lgs. n. 152 del 2006 promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dalle Regioni Calabria e Piemonte, con i ricorsi indicati in epigrafe;

            dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’Allegato IX alla Parte quinta del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato in epigrafe;

            dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della parte I, punto 4, lettera z), dell’Allegato IV alla Parte quinta del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 117, quarto comma, della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 luglio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2009.