Sentenza n. 60 del 1968

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SENTENZA N. 60

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe VERZÌ

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale delle leggi regionali siciliane 16 marzo 1964, n. 4, e 3 giugno 1966, n. 13, concernenti la ripartizione del prodotti agricoli, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 27 ottobre 1966 dal pretore di Noto nel procedimento civile vertente tra Bruno Corradina e Rustico Salvatore, iscritta al n. 239 del Registro ordinanze 1966 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 4 del 28 gennaio 1967;

2) ordinanze emesse il 16 gennaio 1967 dal pretore di Mazara del Vallo in tre procedimenti civili vertenti tra Adragna Nicola e Zizzo Giovanni Battista ed altri, iscritta ai nn. 19, 20 e 21 del Registro ordinanze 1967 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 25 febbraio 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 9 del 25 febbraio 1967;

3) ordinanza emessa il 28 novembre 1966 dal pretore di Lentini nel procedimento civile vertente tra Paternò Ettore e Puglisi Sebastiano Alfio, iscritta al n. 53 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 89 dell'8 aprile 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 13 del 25 marzo 1967;

4) ordinanza emessa il 3 marzo 1967 dal giudice conciliatore di Alcamo nel procedimento civile vertente tra Di Giovanni Giuseppe e Impellizzeri Giuseppe, iscritta al n. 78 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 132 del 27 maggio 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 21 del 6 maggio 1967;

5) ordinanza emessa il 2 aprile 1967 dal pretore di Partanna nel procedimento civile vertente tra Adragna Agostino e Chiaramonte Andrea ed altri, iscritta al n. 207 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 282 dell'11 novembre 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 43 del 30 settembre 1967;

6) ordinanze emesse il 25 settembre 1967 dal Tribunale di Siracusa in quattro procedimenti civili vertenti tra Consiglio Fortunata e Carpinteri Pasquale contro Musco Gregorio, Alfio, Cirino, ed altri, iscritte ai nn. 3, 4, 5 e 6 del Registro ordinanze 1968 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 del 24 febbraio 1968 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 7 del 17 febbraio 1968.

Visti gli atti di costituzione di Paternò Ettore, Consiglio Fortunata, Carpinteri Pasquale, Puglisi Sebastiano Alfio, Musco Gregorio, Alfio e Cirino, e gli atti di intervento del Presidente delIa Regione siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 22 aprile 1968 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

uditi l'avv. Paolo Torrisi, per Paternò, Carpinteri e Consiglio, l'avv. Angelo Stella, per Puglisi e Musco, nonché l'avv. Camillo Ausiello Orlando ed il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente della Regione siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

  1. - Nel corso di un giudizio promosso avanti il pretore di Noto da Bruno Corradina vedova Modica contro Rustico Salvatore ed avente ad oggetto la ripartizione del prodotti di un fondo dell'attrice, condotto a colonia parziaria dal convenuto, per l'annata agraria 1963 - 64, nonché la convalida del sequestro della percentuale di tali prodotti, si discuteva se la causa dovesse essere decisa in base alla legge regionale 16 marzo 1964, n. 4, oppure ai sensi dell'art. 10 della legge statale 15 settembre 1964, n. 756.

Nell'ordinanza 27 ottobre 1966, il pretore, disposta la riunione della causa. ad altra analoga proposta dalla stessa attrice contro tale Mizzi Pietro, presa in considerazione la questione sollevata dall'attrice circa la legittimità costituzionale della legge regionale, ed in particolare del suo art. 4, con riferimento agli artt. 3, 39, 41 e 117 della Costituzione, esaminava diffusamente la rilevanza della questione stessa per la risoluzione della controversia e ritenutala sussistente, osservava che non fosse manifestamente infondata. Infatti l'intera legge dovrebbe considerarsi incostituzionale, in primo luogo perché con essa la Regione ha legiferato in materia di rapporti di diritto privato senza che la disciplina adottata presentasse quei requisiti di eccezionalità e di temporaneità che soli avrebbero potuto giustificarla, sulla base della giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 6 del 1958). In secondo luogo, l'intera legge determinerebbe una violazione dell'art. 3 della Costituzione perché, introducendo a tempo indeterminato un vincolo al diritto di proprietà del concedente ed alla sua libera iniziativa economica, cagionerebbe uno squilibrio fra la categoria del concedenti e quella dei mezzadri e coloni. Altra ragione di incostituzionalità dell'intera legge deriverebbe dalla lesione del principio dell'autonomia contrattuale garantita dall'art. 41 della Costituzione. Sotto altro profilo, poi, sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione l'art. 4, secondo comma, della legge: stabilendo infatti che al colono spetta in ogni caso una quota non inferiore al 50 per cento dell'intera produzione, tale norma verrebbe a dettare una disciplina uniforme per situazioni diverse che scaturiscono dalla diversità delle regolamentazioni contrattuali. Altro motivo di incostituzionalità per violazione dell'art. 39 discenderebbe dal fatto che la legge impugnata ha disciplinato rapporti soggetti, per loro natura, esclusivamente a regolamentazione collettiva. Finalmente la legge sarebbe in contrasto con l'art. 117 della costituzione per il fatto di non avere rispettato i principi generali stabiliti dalle leggi dello Stato, che, nella specie, risulterebbero dagli artt. 2141- 2169 del Codice civile, ed in base ai quali nella mezzadria e nella colonia parziaria gli utili vanno divisi a metà, ed in ogni caso devono essere seguiti criteri di equilibrio e proporzionalità nella ripartizione del guadagni.

L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 del 28 gennaio 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 4 del medesimo giorno.

Si é costituito innanzi alla Corte costituzionale il solo Presidente della Regione, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, la quale, nell'atto di intervento del 16 dicembre 1966, richiama innanzi tutto le sentenze della Corte n. 6 del 1958 e n. 53 del 1962, con cui erano state dichiarate infondate analoghe questioni sollevate nei confronti delle leggi siciliane 22 settembre 1947, n. 11, e 26 giugno 1952, n. 16, per dedurne l'infondatezza di quelle attualmente in esame. La difesa della Regione contesta che i limiti della competenza legislativa siano stati oltrepassati, poiché nella specie ricorrerebbe il requisito della eccezionalità e della temporaneità della disciplina, la quale sarebbe stata destinata a perdere efficacia con l'intervento della legge statale di riforma del contratti agrari (identificabile, secondo l'Avvocatura, nella legge statale n. 756 del 1964). Né sussisterebbe la violazione dell'art. 39 della Costituzione, poiché l'art. 3 della legge impugnata fa espressamente salve le disposizioni derivanti da contratti individuali o collettivi più favorevoli al colono e lascia così ampio margine all'autonomia contrattuale, individuale e sindacale, la quale peraltro può espandersi soltanto nei limiti della legge statale e regionale (sentenza n. 106 del 1962). Infondata sarebbe altresì la censura attinente all'art. 3 della Costituzione, poiché la legge regionale, mentre non senza ragione equipara le categorie del mezzadri, del coloni e dei compartecipanti distingue invece le culture cerealicole dalle arboree e quelle di pianura dalle montane. In particolare, attua e non viola il principio di eguaglianza l'ultimo comma dell'art. 4 che assicura una partecipazione minima del 50 per cento per tutte le ipotesi di compartecipazione nelle culture arboree, ortive e industriali. Insussistente sarebbe infine la violazione degli artt. 41 e 42 della Costituzione perché, se é vero che essa garantisce la libertà dell'iniziativa economica privata, é anche vero che consente e, sotto certi profili, impone al legislatore di assicurare la funzione sociale della proprietà e dell'iniziativa economica privata medesima (sentenze n. 7 del 1956, nn. 35, 36 e 103 del 1957, n. 6 del 1958, nn. 7, 8, 34 e 53 del 1962).

In una memoria depositata il 16 gennaio 1968 l'Avvocatura ha ulteriormente svolto tali argomenti. Circa la censura riguardante l'incompetenza del legislatore siciliano, fa osservare, per quanto attiene al carattere temporaneo della legge impugnata, che esso risulta dall'espressa volontà di limitarne l'efficacia fino all'attuazione della riforma agraria, mentre non assume rilievo al riguardo la successiva legge regionale del 1966, dato che l'art. 1 della legge statale n. 756 fa salve le disposizioni più favorevoli pel colono, quali risultano appunto dalle disposizioni regionali. La mancanza del requisito della temporaneità potrebbe affermarsi solo nell'ipotesi, insussistente, che si accertasse l'assoluta impossibilità di emanazione della legge di riforma, o il suo rinvio sine die.

Anche l'altro requisito della eccezionalità, cui la giurisprudenza della Corte subordina la competenza regionale in materia, é da ritenere sussistente, o almeno non manifestamente insussistente, ciò che é sufficiente a sottrarre la legge alla censura di incostituzionalità, mentre un sindacato più penetrante verrebbe ad incidere sull'apprezzamento discrezionale del legislatore.

Circa la dedotta violazione dell'art. 3 riafferma che la disparità di trattamento praticata alle due categorie di contraenti é giustificata dalla esigenza, costituzionalmente sanzionata, di ridurne ad equità i rapporti, proteggendo il contraente più debole.

Richiamati gli argomenti già svolti che inducono a far ritenere infondati i motivi d'incostituzionalità relativi agli artt. 39 e 41, esamina infine quello attinente alla pretesa violazione dell'art. 117, osservando che essa non sia neppure ipotizzabile, trattandosi di norma applicabile soltanto alle regioni a statuto ordinario. In ogni caso si tratterebbe di vedere se sia stato violato il limite dei rapporti privati, il che non può dirsi avvenuto.

  1. - Altra questione sorgeva nel corso del giudizio, di consimile oggetto, promosso avanti il pretore di Mazara del Vallo di Adragna Nicola contro Zizzo Giovambattista, controvertendosi circa l'applicabilità al rapporto della nuova legge regionale n. 13 del 1966, ed in via subordinata l'attore sollevava la questione della sua legittimità costituzionale.

Nell'esaminare la rilevanza della dedotta eccezione il pretore osservava che, se si fossero dovute ritenere esatte, in linea di fatto, le deduzioni dell'attore, si sarebbe dovuto pervenire alla conclusione che al colono dovesse spettare la quota del 55 per cento tanto ove si applicasse la legislazione siciliana, quanto quella nazionale. Ciò nondimeno dichiarava di non potersi pronunciare, in questa fase del giudizio, su quelli che sono i presupposti di fatto che consentono di accogliere o respingere tale assunto, giacché, a suo parere, una simile decisione potrebbe essere adottata soltanto con la sentenza definitiva. E poiché, in astratto, l'applicazione dell'una e dell'altra legge porterebbe a ripartire il prodotto in misura diversa, ritornava rilevante la soluzione della questione. Nel merito osservava che la legge siciliana del 1966, emanata quando era già sopravvenuta la legge nazionale di riforma agraria, é venuta a perdere il carattere di transitorietà proprio delle leggi anteriori, che costituiva il requisito necessario secondo la giurisprudenza della Corte, a giustificare una disciplina regionale dei rapporti di diritto privato e che altresì nella legge suddetta non é contenuto alcun accenno ad eccezionali situazioni locali, o ad esigenze dettate da pubblici interessi, e pertanto risulta violato l'art. 14 lett. a dello statuto siciliano, in relazione agli artt. 41 e 42 della Costituzione. Che se poi il legislatore regionale avesse inteso con detta legge adeguare alle esigenze locali la legislazione nazionale in virtù di un'interpretazione estensiva dell'art. 117, ultima parte, della Costituzione, si sarebbe verificata, in relazione a quest'ultimo, altra violazione dell'art. 14 dello statuto. Infatti fanno difetto i presupposti necessari a legittimare tale interpretazione, sia pel fatto che l'art. 15 della legge statale non contiene alcuna delega ad adeguare alle esigenze locali la legislazione regionale, sia perché tale legge detta disposizioni incompatibili con quelle della legge regionale, mentre, d'altra parte, la successiva legge del 1966, ha valore costitutivo ponendo norme nuove rispetto a quelle statali, sicché non potrebbe trovare la sua fonte di validità nell'art. 117.

L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51 del 25 febbraio 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 9 del 25 febbraio 1967.

Avanti la Corte costituzionale si é costituito il solo Presidente della Regione siciliana, patrocinato dall'avv. Camillo Ausiello Orlando, il quale in data 15 marzo 1967 ha depositato deduzioni tendenti a dimostrare pregiudizialmente l'irricevibilità derivante dal fatto che, ove risultassero dimostrate le deduzioni dell'attore secondo le quali la ripartizione del prodotto dovrebbe avvenire in una stessa misura, quale che fosse la norma da applicare, verrebbe a mancare del tutto ogni rilevanza. E poiché di ciò dà atto la stessa ordinanza di rimessione, la Corte potrebbe constatare l'errore contenuto nel ragionamento secondo cui non potevano essere valutati in quella sede, della delibazione della questione di costituzionalità, la fondatezza della menzionata deduzione in fatto per dichiarare appunto l'irricevibilità della questione stessa per difetto di rilevanza.

In via subordinata deduce l'infondatezza della medesima in base alla considerazione che la legislazione regionale, fissando i criteri legali di ripartizione del prodotti agricoli, si é proposto il fine, espressamente dichiarato, dell'adeguamento del criteri stessi alla ricorrente necessità di soddisfare l'interesse pubblico alla ricomposizione del turbato equilibrio del fattori essenziali all'ordine economico, indispensabile all'economia agricola di una zona meno favorita dalle altre. Pertanto essa risulta legittima anche sulla base del principi affermati dalla Corte costituzionale. Si contesta in particolare l'affermazione che la legge siciliana del 1966, pel fatto di avere adoperato l'espressione "continuano ad applicarsi" abbia inteso sostituire una disciplina definitiva ad una temporanea e transitoria, trattandosi invece, ora come in precedenza, di una regolamentazione eccezionale, giustificata dalle particolarità della situazione siciliana. Si contesta altresì che la legge statale n. 756 abbia tolto valore alla legge regionale del 1964, così da rendere necessaria una nuova normativa con efficacia retroattiva. Ciò si sarebbe potuto verificare solo nell'ipotesi che essa avesse apportato una modifica dei principi fondamentali della legislazione in materia, ciò che non é avvenuto. Persistendo la serie delle condizioni particolari che ebbero a richiedere un determinato regolamento del rapporti privati, in quanto influenti sulla situazione economica generale, sull'incremento della produzione agricola e sulla pace sociale delle campagne, deve ritenersi legittimo l'uso del potere normativo proprio della Regione, senza che si possano far valere, in contrario, scadenze temporali rigide. Fuori posto é infine ritenuto il richiamo all'ultima parte dell'art. 117 della Costituzione che non può trovare applicazione per le regioni a statuto speciale.

  1. - In altre due cause promosse dallo stesso Adragna Nicola contro altri suoi coloni ed aventi svolgimento parallelo alla precedente, il pretore di Mazara del Vallo ha pronunciato altre due ordinanze di rimessione identiche a quella testé esaminata. Dopo che esse sono state regolarmente sottoposte a notificazione, comunicazione e pubblicazione negli stessi numeri del periodici ufficiali sopra indicati, é intervenuto nel giudizio avanti la Corte costituzionale il Presidente della Regione siciliana rappresentato dallo stesso avv. Ausiello Orlando il quale ha svolto deduzioni identiche a quelle viste in relazione alla causa predetta.
  2. - Altra questione di legittimità costituzionale delle leggi regionali é sorta nel corso di una causa promossa avanti il pretore di Lentini da Paternò Ettore contro Puglisi Sebastiano Alfio.

Nella sua ordinanza del 28 novembre 1966, dopo avere ricordato il suo precedente provvedimento del 31 luglio 1964, che aveva dato luogo alla decisione della Corte costituzionale consacrata nell'ordinanza n. 20 del 1965, di restituzione degli atti per il riesame della rilevanza alla luce dello jus superveniens costituito dalla legge statale n. 756 del 1964, il pretore osserva innanzi tutto che la rilevanza risulta ora dalla sopraggiunta legge regionale 3 giugno 1966, n. 13, la quale ha espressamente disposto che in Sicilia debbono continuare a valere le norme contenute nella legge regionale che era stata allora impugnata. Nel merito, egli indica come motivi d'incostituzionalità delle due leggi siciliane l'incompetenza della Regione a disciplinare rapporti di diritto privato, con conseguente violazione dell'art. 14 dello statuto siciliano, incompetenza tanto più evidente dopo l'emanazione della seconda, che ha disposto in via non già temporanea ma definitiva. Allega inoltre la violazione dell'art. 39 della Costituzione che riconosce ai sindacati il diritto di stipulare contratti collettivi, nonché la violazione del principio di eguaglianza per ingiustificata equiparazione di situazioni diverse, quali sono quelle relative ai contratti di mezzadria rispetto agli altri di colonia parziaria, e nel seno stesso di questi ultimi. Ed infine la violazione dell'art. 116 della Costituzione.

L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 89 dell'8 aprile 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 13 del 25 marzo 1967. Avanti la Corte costituzionale si sono costituite ambedue le parti private ed é intervenuto il Presidente della Regione siciliana.

L'avv. Paolo Torrisi, nelle deduzioni in data 7 gennaio 1967, svolge per il Paternò i motivi d'incostituzionalità della legge enunciati nell'ordinanza del pretore, segnalando la carenza di situazioni di eccezionalità e temporaneità che possano giustificare le leggi impugnate (come risulta anche dal tenore dell'ultima di esse), la sottrazione alle associazioni sindacali di ogni potere contrattuale relativo alla materia in questione, ed il trattamento ingiustificatamente paritario praticato alle diverse categorie del coloni e del mezzadri, nonché ai rapporti relativi a terreni ed a culture notevolmente diversi. Fa osservare che la legge statale (invece di stabilire, come fa la regionale, che la quota del colono non possa essere mai inferiore al 50 per cento dell'intera produzione) tiene conto della diversità delle culture e si limita a disporre solo un aumento in relazione alle quote di riparto esistenti in precedenza. Conclude chiedendo che venga dichiarata la illegittimità costituzionale delle due leggi, o in subordinata quella dell'art. 4 della legge n. 4 del 1964.

A sostegno di questi argomenti produce il "Patto Generale di Colonia Parziaria per la conduzione del fondi rustici della Provincia di Catania", ratificato dalla Confederazione nazionale fascista degli agricoltori il 5 maggio 1934 e dalla Confederazione nazionale sindacati fascisti dell'agricoltura il 30 aprile 1934 e pubblicato nel Foglio degli Annunzi Legali della Provincia di Catania n. 94 del 25 maggio 1934, nonché alcuni contratti di colonia intervenuti fra parti diverse.

L'avv. Angelo Stella, per il Puglisi, afferma invece nelle deduzioni presentate il 25 marzo 1967, che le questioni proposte sono infondate. A dimostrazione di ciò ricorda che la Regione siciliana ha potestà legislativa esclusiva in materia di agricoltura, ai sensi dell'art. 14, lett. a, ed ha altresì competenza legislativa in materia di rapporti di lavoro e di legislazione sociale, ai sensi dell'art. 17, lett. f, dello Statuto, nei quali possono farsi rientrare quelli relativi alla colonia migliorataria; mette in rilievo che la legge statale n. 756 del 1964 non può essere considerata legge definitiva sui contratti agrari, per cui le leggi siciliane conserverebbero il carattere di eccezionalità e di temporaneità che ne giustifica la conformità alla Costituzione; osserva che le leggi regionali suddette suppliscono alla mancata attuazione dell'art. 39 della Costituzione, che avrebbe consentito la stipulazione, in via di contrattazione collettiva, di condizioni più favorevoli ai coloni; afferma che l'art. 3 della Costituzione é attuato e non violato dall'art. 4, ultimo comma, della legge regionale n. 4 del 1964, per effetto dell'eliminazione delle cosiddette rendite differenziali. In linea subordinata afferma che le leggi regionali possono essere considerate come norme di natura regolamentare destinate ad attuare la legge statale n. 756 del 1964, nel qual caso le une e le altre dovrebbero essere interpretate in modo da realizzarne la reciproca integrazione.

A sostegno di questi argomenti la difesa del Puglisi produce anch'essa il "Patto Generale" per la Provincia di Catania sopra ricordato, nonché il "Patto Generale di colonia migliorataria per le provincie della Sicilia", stipulato a Roma il 28 febbraio 1938 fra la Confederazione fascista proprietari ed affittuari conduttori, la Confederazione fascista del lavoratori dell'agricoltura e la Federazione nazionale fascista del coloni e mezzadri.

Si é costituito anche il Presidente della Regione siciliana, rappresentato dall'avv. Camillo Ausiello Orlando che, nelle sue deduzioni presentate il 29 marzo 1967, conclude per l'infondatezza della questione, sottolineando, con gli stessi argomenti già visti in relazione alla causa precedente, l'eccezionalità della situazione dell'agricoltura siciliana. Fa rilevare che l'art. 15 della legge n. 756 afferma il carattere generale attribuibile al criterio del favor verso il concessionario del fondo sicché deve avere applicazione anche quando trovi la sua fonte in leggi regionali. La legge n. 13 del 1966, nel dichiarare il mantenimento delle norme del 1964, ne ha voluto riaffermare il carattere eccezionale loro proprio, sicché infondate sono le censure di violazione degli artt. 116 della Costituzione e 14 dello Statuto. Dopo avere affermato che ugualmente infondate sono le altre violazioni dell'art. 39 (dato che esso non importa una riserva di potestà normativa alle associazioni sindacali) e dell'art. 3 (dato che nella specie l'assoggettamento ad un regolamento minimo inderogabile relativo a situazioni di fatto non in tutto identiche trova giustificazione nelle ragioni sociali connesse all'eccezionale situazione ambientale) chiede che siano dichiarate non fondate le questioni prospettate.

In una memoria depositata il 25 gennaio 1968 l'avv. Torrisi svolge ulteriormente gli argomenti favorevoli alla tesi dell'incostituzionalità, ed in particolare insiste sulla mancanza della situazione di eccezionalità che dovrebbe giustificare la deroga al limite dei rapporti privati, e sulla violazione dell'art. 3 della Costituzione che sarebbe realizzata dal secondo comma dell'art. 4 della legge n. 4 del 1964, secondo il quale a in ogni caso la quota del colono non può essere inferiore al 50 per cento dell'intera produzione".

Sul primo punto fa rilevare come non sussistano differenze notevoli fra le condizioni dell'agricoltura siciliana e quella delle altre regioni italiane, giacché le differenze sussistono, dovunque, soltanto fra le aree montagnose, quelle collinose, quelle di pianura, ecc. Afferma inoltre che uno stato di eccezionalità, quale richiesto per far sorgere la competenza regionale, secondo i principi costantemente affermati da questa Corte, con le sentenze n. 6 del 1958 e n. 53 del 1962, non può ammettersi quando ad essa si fa richiamo da oltre venti anni, essendovi evidente contraddizione fra tale durata e l'allegata straordinarietà della situazione. E che tale eccezionalità non sussista risulterebbe anche dalla mancanza di ogni riferimento ad essa nel corso del lavori preparatori. Ciò é confermato dalla legge del 1966 che si richiama alle finalità dell'art. 1 della legge nazionale fatte consistere nel conseguimento di equi rapporti sociali, finalità cioè uniforme in tutto il territorio dello Stato, senza che per essa possa ricorrere alcun limite temporale di validità.

Sul secondo punto fa presente come la situazione contrattuale relativa agli agrumeti presenti in Sicilia una notevole varietà, e come alla diversità delle quote dei prodotti attribuite ai coloni corrisponda una analoga diversità delle quote di spese attribuite ai proprietari: in virtù della legge impugnata, invece, mentre le quote coloniche sarebbero elevate tutte al 50 per cento, gli oneri contrattualmente assunti dai concedenti, in vista della maggiore quota ad essi spettante, rimarrebbero immutati a loro carico, con conseguente ingiustificata discriminazione a danno di questi ultimi ed in contrasto con quanto era disposto dai precedenti contratti collettivi del 1934 e 1938, che consentivano la revisione dell'assunzione totale del principali oneri di gestione convenuti contrattualmente dal concedente: mentre la legge regionale non contiene alcuna disposizione in ordine alla ripartizione delle spese. Risulta così violato il criterio interpretativo fissato da questa Corte, secondo cui a situazioni diverse non può essere imposta una medesima disciplina legislativa (sentenza n. 53 del 1958). Fa osservare come precedenti leggi in materia disponevano con criteri meglio corrispondenti alla varietà delle situazioni, mentre una garanzia minima in misura rigida del 50 per cento come quella ora disposta, era prevista solo nell'ipotesi di nudo terreno.

Nella memoria depositata in data 6 aprile 1968 dalla difesa del Puglisi si svolgono invece gli argomenti favorevoli all'affermazione dell'infondatezza delle questioni, ed in primo luogo si dichiara di non rinunziare alle tesi della competenza esclusiva della Regione siciliana nella materia dell'agricoltura, intesa come comprensiva del rapporti privati. A questo scopo viene analiticamente esaminato che cosa debba intendersi contenuto in tale materia e si perviene alla conclusione che i contratti agrari vi sono compresi. Si aggiunge poi che tali rapporti sarebbero comunque compresi nella materia "legislazione sociale", prevista nell'art. 17, lett. f, dello Statuto, ed a conclusione della dettagliata indagine, estesa anche all'aspetto economico della questione, si conclude che le leggi impugnate, ove considerate emanate nell'esercizio di questa competenza, potrebbero essere ritenute illegittime soltanto in mancanza di condizioni particolari proprie della Sicilia che le giustificassero. Ove la Corte entrasse in questo ordine di idee, però, dovrebbe disporre le indagini necessarie per stabilire se tali condizioni particolari sussistano o meno.

Dopo avere argomentato per dimostrare che la legge statale n. 756 del 1964 non é la legge definitiva sui patti agrari, ma una "legge ponte", e che pertanto non si é ancora realizzato il termine finale, previsto per la propria efficacia dalla legge n. 4 del 1964 (come interpretativamente chiarito con la legge n. 13 del 1966), la difesa del Puglisi svolge un'ulteriore amplissima argomentazione per dimostrare come siano stati comunque applicati nella specie i principi di cui alla sentenza della Corte n. 6 del 1958.

Esclusa per questi motivi l'incostituzionalità della legge n. 4 del 1964, si afferma a questo punto che, una volta ciò stabilito, la Corte dovrebbe decidere se tale legge continui ad avere vigore ai sensi dell'art. 15 della legge statale: se così fosse, infatti, la legge n. 13 del 1966 potrebbe essere ritenuta superflua, ma non incostituzionale. In contrario non potrebbe d'altronde argomentarsi dalle ordinanze della Corte n. 19 e 20 del 1965, che non avrebbero come loro presupposto la cessazione di efficacia della legge regionale impugnata, ma costituirebbero un mero atto di sensibilità verso i giudici di merito, ritenuto opportuno in seguito alla modificazione della situazione normativa.

La memoria si conclude con le argomentazioni dirette a dimostrare l'infondatezza delle dedotte violazioni degli artt. 3 e 39 della Costituzione, in relazione alle quali vengono sviluppati i concetti già enunciati nelle deduzioni.

  1. - Una simile questione di legittimità costituzionale sorgeva altresì nel corso di una controversia avanti il giudice conciliatore di Alcamo, sezione di Bagolino, tra il proprietario Giuseppe Di Giovanni ed il colono Giuseppe Impellizzeri. In questo giudizio, il 3 marzo 1967, il giudice conciliatore pronunciava una sentenza non definitiva, con la quale respingeva una eccezione di incompetenza, ed una separata ordinanza con la quale rimetteva alla Corte la questione di legittimità costituzionale delle due leggi regionali.

L'ordinanza non contiene una vera e propria motivazione circa la rilevanza della questione, mentre una pur succinta motivazione sul punto si trova nella coeva sentenza non definitiva. Circa la non manifesta infondatezza della questione, l'ordinanza denuncia la violazione del principio di eguaglianza che conseguirebbe alla mancata fissazione della durata dell'efficacia delle predette leggi; la violazione degli artt. 41 e 42 della Costituzione derivante dalla norma che ripartisce i prodotti in maniera diversa da quanto convenzionalmente stabilito, e la violazione degli artt. 117 della Costituzione e 14 dello Statuto siciliano, inerente al fatto che il legislatore regionale ha disciplinato rapporti di diritto privato, e per di più in modo contrastante con i principi generali stabiliti dalle leggi dello Stato.

L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 132 del 27 maggio 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 21 del 6 maggio 1967. Nessuno si é costituito, né é intervenuto nel giudizio avanti la Corte costituzionale.

  1. - Le leggi siciliane sulla ripartizione dei prodotti agricoli venivano poi denunziate anche durante una controversia pendente tra Adragna Agostino e Chiaromonte Andrea (ed altri) avanti il pretore di Partanna ed avente ad oggetto la ripartizione del prodotti di un fonda di proprietà dell'attore e coltivato dall'attore e coltivato dai convenuti, nonché la convalida del sequestro della percentuale del frutti dell'annata agraria 1964 - 65 che era in contestazione.

Nell'ordinanza in data 2 aprile 1967 il pretore osservava innanzi tutto che la legge regionale n. 13 del 1966 é applicabile nella fattispecie; ciò che vale a conferire rilevanza alla questione.

Il pretore ne illustra la non manifesta infondatezza svolgendo l'argomento già utilizzato anche nelle ordinanze precedentemente esaminate e relativo alla carenza di quelle condizioni particolari che potrebbero consentire alla Regione siciliana di disciplinare rapporti di diritto privato. Escludendo, d'altronde, che la legge n. 13 del 1966 possa essere considerata come diretta ad attuare l'art. 15 della legge statale n.756 del 1964, il pretore solleva la questione di legittimità di tale legge per violazione degli artt. 41 e 42 della Costituzione, in relazione all'art. 14, lett. a, dello Statuto siciliano.

L'ordinanza é stata regolarmente notificata, comunicata e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 282 dell'11 novembre 1967 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 43 del 30 settembre 1967. Nessuno si é costituito avanti la Corte.

  1. - Infine, nel corso di quattro cause vertenti fra Consiglio Fortunata e Carpinteri Pasquale, da un lato, e Musco Gregorio, Cirino ed Alfio e Santocono Cirino, dall'altro lato, ed aventi oggetti analoghi a quelli fin qui esaminati, il Tribunale di Siracusa pronunciava il 25 settembre 1967 quattro ordinanze identiche con le quali denunciava le due leggi regionali per violazione degli artt. 14, lett. a, dello Statuto siciliano e 3,42 e 44 della Costituzione.

Nel provvedimento si mette in rilievo, con argomenti analoghi a quelli contenuti nelle ordinanze precedentemente ricordate, come la legislazione regionale possa interferire nei rapporti privati soltanto in circostanze di provvisorietà e di eccezionalità che non ricorrono nel caso delle leggi n. 4 del 1964 e n. 13 del 1966, le quali sono al tempo stesso definitive e contrastanti con la legislazione statale. Dopo avere diffusamente motivato intorno a questa principale ragione d'incostituzionalità delle due leggi regionali, il Tribunale accenna altresì alla violazione degli artt. 3, 42 e 44 della Costituzione che esse realizzerebbero, quanto al primo, per il fatto di dettare una disciplina che contrasta in modo stridente con quella stabilita dalla legge nazionale e, quanto agli altri due, per il fatto di non essere informate al fine di assicurare il razionale sfruttamento del suolo ed equi rapporti sociali.

Le ordinanze sono state regolarmente notificate, comunicate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50 del 24 febbraio 1968 e nella Gazzetta Ufficiale della Regione siciliana n. 7 del 17 febbraio 1968. In una soltanto delle quattro cause si sono costituite davanti alla Corte le due parti private ed é intervenuto il Presidente della Regione siciliana.

L'avv. Paolo Torrisi, per il Carpinteri e la Consiglio, richiama nelle deduzioni presentate il 12 febbraio 1968, i termini della questione e chiede che la Corte dichiari l'illegittimità costituzionale delle due leggi siciliane pel difetto di competenza della Regione, o, quanto, meno, del solo art. 4 della legge n. 4 del 1964 pel contrasto con l'art. 3 della Costituzione e con gli artt. 42 e 44 della Costituzione, in difformità con la legislazione statale.

L'avv. Angelo Stella, per i convenuti, nelle deduzioni presentate il 22 gennaio 1968, svolge argomentazioni analoghe a quelle viste in relazione al giudizio promosso dall'ordinanza del pretore di Lentini, aggiungendo che la legge regionale del 1964 costituisce applicazione dell'art. 3 della legge statale n. 311 del 1944, ed estensione ai fondi a cultura ad agrumeto o ortiva o industriale della legge regionale n. 11 del 1947. Nega poi ogni fondamento anche al motivo addotto dal Tribunale circa la violazione degli artt. 42 e 44 della Costituzione. A sostegno delle proprie deduzioni produce copia fotostatica del contratto stipulato fra il Carpintero ed il dante causa del convenuti il 1 novembre 1934 e, con successiva produzione del 13 marzo 1968, sottopone altresì alla Corte alcuni contratti analoghi stipulati fra parti estranee alla causa, nonché una lettera del Ministero dell'agricoltura in data 12 dicembre 1964, indirizzata a tale Cirino Risuglia da Lentini nella quale si esprime parere favorevole alla prevalenza della legge regionale sulla statale.

Infine l'avv. Ausiello Orlando per il Presidente della Regione siciliana ha presentato anch'egli il 27 febbraio 1968, proprie deduzioni, nelle quali conclude per l'infondatezza della questione e svolge argomentazioni parzialmente identiche a quelle viste in relazione ai giudizi promossi dalle ordinanze del pretore di Mira del Valle e del pretore di Lentini. Sviluppando più ampiamente l'argomento fondato sull'esistenza di una situazione di "ricorrente" eccezionalità, la difesa della Regione osserva che l'apprezzamento circa il perdurare dell'eccezionalità della situazione ambientale involge una valutazione di esigenze economiche e sociali che inerisce all'attività politica dell'organo legislativo, non sindacabile in sede di controllo di legittimità costituzionale (sentenza n. 45 del 1966). La legge regionale n. 13 del 1966, d'altronde, non contrasterebbe con la legge statale n. 756 del 1964: anche quest'ultima infatti é formata al criterio del favor verso il concessionario del fondo (dichiarato nella relazione ministeriale e posto in rilievo nell'articolo iniziale a guisa di preambolo della legge) il quale si esplica nella norma contenuta nello stesso art. 1, che fa salvi i rapporti derivanti da contratti individuali o collettivi più favorevoli al mezzadro o colono, nonché le norme ad essi più favorevoli risultanti dagli usi o dalle consuetudini. Ne consegue che tale criterio deve indurre l'interprete ad escludere una applicazione irrazionalmente restrittiva di tale norma alle sole ipotesi di situazioni di maggior favore aventi fonte negoziale o fonte normativa non scripta, e che il carattere generale della legge statale consente di interpretare l'art. 15 nel senso di far salva la speciale normativa regionale esistente, sempre che conforme ai principi fondamentali della prima, e con la sola riserva già menzionata della salvezza delle situazioni di maggior favore verso il concessionario del fondo. E poiché nella specie tali condizioni si verificano, la legge regionale n. 13 del 1966 può intendersi come diretta soltanto a chiarire la permanenza del vigore della precedente legge n. 4 del 1964 senza per nulla innovare sulla sua natura eccezionale, collegata alla persistenza della situazione ambientale che aveva dato luogo alla sua emanazione. Circa la dedotta violazione degli artt. 42 e 44 della Costituzione, infine afferma che non riesce a comprendersi il richiamo, giacché é proprio alla instaurazione di equi rapporti sociali tra i concedenti della terra e coloro che a diverso titolo esplicano nella terra la loro attività che sono dirette le norme in questione (diverso risultando perciò il caso in esame da quello deciso con la sentenza n. 78 del 1958 della Corte, richiamata nell'ordinanza). Conclude insistendo nella richiesta di dichiarazione di infondatezza.

In data 9 aprile 1968 l'avv. Torrisi ha depositato altre note difensive per Carpinteri Pasquale, ed in esse fa considerare come la recente sentenza di questa Corte n. 16 del 1968, pur non avendo preso posizione sul punto se la legge n. 756 abbia effettivamente attuata la riforma del contratti agrari, ha tuttavia riconosciuto che essa ha comunque posto in essere un nuovo regime del contratti medesimi. E poiché la legge regionale del 1964 aveva dettato disposizioni valide fino a quando non fosse intervenuta a una legge di riforma", questa non può non essere la n. 756, definitiva o meno che sia.

Donde la conclusione che il termine di efficacia della prima legge impugnata é scaduto e che é venuto meno, in relazione alla seconda, il requisito della temporaneità, dato che essa é di per sé priva di una corrispondente indicazione.

Anche la difesa del fratelli Musco ha in data 8 aprile 1968 presentato altra memoria nella quale si riporta agli argomenti esposti nella causa promossa avanti al pretore di Lentini ed aggiunge che la recentissima sentenza della Corte conferma che la legge n. 756 del 1964 non é quella definitiva sui contratti agrari, il che risulta altresì da alcuni discorsi di personalità politiche e da un progetto di legge che il Governo avrebbe intenzione di presentare all'inizio della prossima legislatura.

Inoltre la difesa stessa confuta le argomentazioni di parte avversa circa la dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione, citando casi di applicazione per legge di un minimo garantito a favore del mezzadri, e facendo rilevare come l'attribuzione del carico delle spese al concedente, in misura maggiore o anche totale, non sia ingiustificato.

 

Considerato in diritto

 

  1. - Le undici cause, vertendo sullo stesso oggetto e congiuntamente trattate nell'udienza pubblica, vanno riunite e decise con unica sentenza.
  2. - Occorre far precedere l'esame delle censure, comuni a tutte le ordinanze, riguardanti le leggi regionali nel loro complesso, in quanto, se esatte, assorbirebbero le altre. La prima fra esse denuncia la violazione dell'art. 14, lett. a, della legge costituzionale n. 2 del 1948, di conversione in legge dello Statuto della Regione siciliana, in cui la legge regionale 16 marzo 1964, n. 4, sarebbe incorsa per avere disciplinato materia relativa a rapporti di diritto privato senza che ricorressero gli estremi della temporaneità e della eccezionalità della situazione ambientale cui essa intese provvedere, e la cui presenza, a tenore della giurisprudenza di questa Corte condiziona lo spostamento della competenza legislativa dallo Stato, cui spetta in via normale, alla Regione. La censura, se riferita al momento dell'emanazione della legge, non é fondata dato che questa ha disposto in via temporanea, come testualmente risulta dall'art. 1 che ne limita in modo preciso la durata "fino a quando non sarà emanata una legge di riforma del contratti agrari", cioè con previsione di un termine finale identico a quello già impiegato nella precedente legge regionale 26 giugno 1952, n. 16, che la Corte, con la sentenza n. 6 del 1958, ebbe a ritenere idoneo a conferirle il richiesto carattere di temporaneità. Ad analoga conclusione deve giungersi anche per quanto riguarda l'altro requisito della eccezionalità. La sentenza prima ricordata, emessa sulla questione di legittimità costituzionale della legge regionale n. 11 del 1947 nonché delle successive che ebbero a prorogare la durata della prima, e che regolavano, sia pure con modalità in parte diverse, gli stessi rapporti oggi in discussione, relativi alla ripartizione del prodotti fra concedenti e coloni nei contratti di colonia parziaria, statuì nel senso che la particolare disciplina introdotta dalle leggi in parola trovava giustificazione negli squilibri esistenti nell'Isola in ordine ai rapporti stessi, che avrebbero reso inadeguata l'applicazione della legislazione statale, con effetti dannosi per la situazione generale economica, per l'incremento della produzione agricola e per la pace sociale nelle campagne. La Corte non ha ragione di discostarsi dal precedente orientamento e ritiene infondate tanto le deduzioni del difensore del coloni, nelle cause promosse con le ordinanze del pretore di Lentini e del Tribunale di Siracusa, argomentate dall'assolutezza che sarebbe da assegnare alla competenza regionale anche in materia di contratti agrari, quanto quelle della opposta difesa dei concedenti, nel senso che non sarebbe da considerare temporanea una disciplina, quale quella in oggetto, che perdura da circa un ventennio. Infatti, il requisito della temporaneità (obiettivamente risultante dalla apposizione del termine ricordato, certus an, anche se incertus quando) non é da apprezzare in astratto bensì con riferimento ad un concreto stato di cose che presenti caratteri abnormi, ritenuti tuttavia soggetti di uri processo di trasformazione dal cui compimento se ne attende la eliminazione (come é stato confermato dalla Corte anche con la sentenza n. 53 del 1962). Poiché non risulta che all'atto di entrata in vigore della legge in esame la situazione che aveva dato luogo alle anteriori proroghe abbia subito del mutamenti apprezzabili, non può non essere confermato il giudizio di legittimità espresso in occasione delle precedenti statuizioni, di analogo contenuto. Non varrebbe opporre che anche nei riguardi dell'economia agraria delle restanti parti dello Stato sia in atto un analogo processo, poiché tale circostanza non toglie che il suo svolgimento incontri, in via di fatto, più gravi ostacoli in una zona, come la Sicilia, nella quale operano fattori ritardatari, d'indole geografica, climatica, demografica, tradizionalistica, tali da giustificare interventi più specificamente rivolti ad attenuarne la portata.
  3. - Poiché, come si é ricordato, la legge denunciata aveva previsto, quale evento risolutore della propria efficacia, l'emanazione di una legge di riforma del contratti agrari, é da ritenere che il sopravvenire della legge statale 15 settembre 1964 abbia determinato la cessazione del suo vigore. Non vale, per giungere a diversa conclusione, invocare la sentenza di questa Corte n. 16 del 1968 secondo cui la citata legge n. 756, se ha posto in essere un nuovo regime dei contratti agrari, non ha escluso, ed anzi ha implicitamente ammesso la non definitività della disciplina della medesima apportata. Infatti la legge siciliana conteneva una precisa manifestazione di volontà intesa a subordinarne la vigenza al sopravvenire di "una legge di riforma", e nessun dubbio può sorgere sul punto che la legge n. 756, in considerazione sia del titolo che la contrassegna e sia della materia regolata, possegga tale carattere (secondo ha ammesso anche la difesa della Regione, nelle sue deduzioni del dicembre 1966, sull'ordinanza del pretore di Noto).
  4. - Per potere poi valutare la fondatezza delle censure in esame con riferimento alla situazione successiva al 7 ottobre 1964, data di entrata in vigore della legge n. 756, che assume rilievo per le cause nelle quali vengono in considerazione rapporti relativi ad annate agrarie successive all'autunno del 1964, si deve accertare quale normazione sia ad essa applicabile.

Con l'emanazione della menzionata legge n. 756 il legislatore nazionale, pur riservandosi una più compiuta disciplina del limiti entro cui contenere l'autonomia privata in materia di contratti agrari, ha tuttavia dato vita ad un'ampia riforma rivolta al fine di elevare le condizioni di vita del mezzadri e coloni, realizzando così più equi rapporti sociali nell'esercizio dell'agricoltura. L'intento di conferire la massima ampiezza alla riforma stessa, e nello stesso tempo di adeguarne le modalità alle situazioni particolari che fossero state in passato oggetto di apposita disciplina ha evidentemente ispirato la disposizione dell'art. 15, che, con formulazione ampia, ha disposto l'applicabilità ai contratti agrari delle disposizioni legislative vigenti in materia, in quanto non incompatibili con le nuove norme che venivano emanate, né interamente regolate da queste. Non sembra dubbio che fra tali disposizioni siano da includere anche quelle della legge regionale, che appunto vigeva al momento in cui l'art. 15 é sopravvenuto. Sarebbe infatti del tutto ingiustificato non comprendervi proprio quelle in essa contenute, le quali costituivano, fra tutte le altre, il gruppo più rilevante, ed in ordine alle quali si presentava più pressante l'esigenza di decidere circa la loro sorte, dipendente com'era dall'intervento della nuova disciplina statale. Appare chiaro dalla sua stessa formulazione che funzione dell'art. 15 non é stata quella di operare una recezione delle disposizioni della legge regionale n. 4 del 1964 (sicché si può prescindere da ogni indagine circa la ammissibilità nella specie di tale figura) bensì solo di consentire la loro permanenza nel tempo pur dopo la sua emanazione. La manifestazione di volontà del legislatore ordinario in questo senso in tanto può ritenersi valida, in quanto risulti contenuta nell'ambito della Costituzione, tale quindi da non determinare alcuno spostamento nell'ordine delle competenze rispettive, dello Stato e della Regione, il che si sarebbe verificato se il citato articolo avesse inteso mantenere in vita sine die e incondizionatamente le norme regionali in materia di rapporti fra privati. In realtà il prolungamento della vigenza della legge regionale n. 4 deve intendersi effettuata nel presupposto del mantenimento del caratteri che originariamente la contrassegnavano e la rendevano valida, non solo di eccezionalità, ma anche di temporaneità, nel senso cioè di condizionarne la durata in limiti analoghi a quelli stabiliti dall'art. 14 per la proroga del contratti in corso, e cioè "fino a nuova disposizione"; limiti ritenuti sufficientemente determinati dalla sentenza n. 16 del 1968, già ricordata.

  1. - Nessun mutamento in ordine alla situazione normativa così voluta realizzare allo scopo di mantenere in vita, senza soluzione di continuità, le speciali disposizioni di maggior favore per i lavoratori, ha sopportato la Regione, con la legge n. 13, sopravvenuta dopo più di un anno e mezzo dalla n. 756, con cui si dispone la continuazione del vigore, nel suo territorio, della precedente legge n. 4 del 1964 "in applicazione dell'art. 15, ed in relazione alle finalità ed ai principi stabiliti nell'art. 1" (della stessa legge n. 756). Nessun altro carattere le si può attribuire che non sia quello meramente dichiarativo di effetti già verificatisi all'infuori di essa, e ad essa in nessun modo collegati. Mancando quindi alla legge una sua propria operatività, non sorge neppure la questione della efficacia retroattiva di tale operatività, sicché non occorre indagare se un'efficacia di tal genere possa essere assunta dalle leggi regionali.

Non vale, a contestare l'esattezza dell'interpretazione così data all'art. 15, l'obiezione che la difesa del concedenti crede poter desumere dalla parte di detta disposizione che limita la prevista applicazione delle leggi vigenti solo "per quanto non espressamente previsto dalla presente legge" e che pertanto non potrebbe effettuarsi nei confronti degli artt. 2 e 4 della legge regionale n. 4, dato che la legge n. 756 ha già, negli artt. 9 e 10, regolato la materia stessa. In contrario, é da osservare che un'espressa previsione quest'ultima legge non contiene per quanto riguarda il punto che é oggetto specifico di uno dei motivi di impugnativa, che sarà appresso esaminato, ossia l'assicurazione alla quota del colono di un minimo irriducibile (disponendo la legge statale solo per quanto riguarda il massimo attribuibile alla quota stessa). Tanto meno esatta deve poi ritenersi la tesi dell'inapplicabilità dell'art. 15 per il difetto dell'altra condizione da esso posta, dell'essere le disposizioni suscettibili di venire mantenute in vigore solo se non incompatibili con la legge statale. Se l'articolo stesso si interpreti, come si deve, in armonia con le finalità generali della legge di cui fa parte, enunciate dal citato art. 1 (che, del resto, non fa che riprodurre il principio del maggior favore per il contraente meno favorito, che é comune a tutto il diritto riguardante i rapporti di lavoro), appare evidente che esso, lungi dal risultare incompatibile con le norme statali, ne svolge il motivo ispiratore, adeguandolo alle situazioni particolari dell'Isola.

La considerazione enunciata per ultimo induce a ritenere che la conclusione dell'infondatezza dei motivo esaminato, alla quale si é prima pervenuti, potrebbe essere raggiunta anche all'infuori della applicazione dell'art. 15, prescindendo cioé dalla sua presenza, bastando muovere dalla considerazione dell'art. 1 della legge n. 756 ora richiamato, nella parte in cui fa salvi i rapporti derivanti da contratti collettivi, e da norme consuetudinarie, in quanto dispongano in modo più favorevole pel colono. Infatti, posto che alla legge é consentito, oltre che fissare i limiti dell'autonomia collettiva mediante l'emanazione di norme inderogabili, supplire in via temporanea ed eccezionale alla attuale carenza della contrattazione ad opera delle contrapposte categorie dei datori di lavoro e del lavoratori, dovuta alla mancata applicazione dell'art. 39 della Costituzione (secondo ha ritenuto la Corte con la sentenza n. 106 del 1962) può attribuirsi alla disciplina regionale del rapporti di colonia parziaria, in quanto ispirata a maggior favore per i coloni, efficacia equiparabile a quella delle altre fonti menzionate dall'art. 1.

  1. - Si devono ora prendere in esame le altre questioni di legittimità costituzionale, le quali, come le precedenti, attengono alla legge nel suo complesso. In ordine a quelle fra esse con cui si denuncia la violazione dell'art. 39 della Costituzione, é sufficiente, a mostrarne l'infondatezza, richiamare le considerazioni poco prima enunciate, per quanto riguarda non solo la non avvenuta attuazione dell'ordinamento sindacale, al quale, secondo l'articolo stesso, é collegata la contrattazione collettiva di diritto pubblico, efficace erga omnes, ma soprattutto la potestà, propria della legge, al fine della tutela di superiori interessi generali, affidata alla valutazione degli organi politici, di limitare l'ambito della contrattazione stessa con norme da questa non derogabili.

Infondate, altresì, devono ritenersi le censure di violazione dell'art. 41 (formulate dai pretori di Noto e di Mazara del Vallo, e dal conciliatore di Alcamo), e dell'art. 42 (risultanti dalle ordinanze del predetti pretore di Noto e conciliatore di Alcamo, nonché del Tribunale di Siracusa) ed altresì dell'art. 44 (denunciate da quest'ultimo giudice). Infatti la Corte ha ripetutamente avuto occasione di affermare che non sono in contrasto con il principio dell'autonomia contrattuale, quale può farsi discendere dall'art. 41, primo comma, i limiti che ad essa la legge apponga allo scopo di eliminarne le manifestazioni contrastanti con l'utilità sociale (sentenza n. 4 e 7 del 1962, n. 30 del 1965); utilità cui, nella specie, devono ritenersi corrispondenti le statuizioni impugnate, secondo quanto si é in precedenza fatto rilevare. Ad analoga conclusione deve giungersi in confronto alla dedotta violazione dell'art. 42, il cui secondo comma consente alla legge di disciplinare il godimento della proprietà dei privati in modo da assicurarne la funzione sociale. Anche in ordine all'art. 44 é da rilevare come esso, oltre a riaffermare, in confronto alla proprietà terriera, i limiti già previsti in modo più generale dai due precedenti articoli, ammette che a carico della medesima siano imposti vincoli ed obblighi con lo specifico scopo di ricondurre ad equità i rapporti fra le parti che intervengono nell'attività produttiva, ed altresì prevede l'adeguamento della sua disciplina alle esigenze particolari delle varie "regioni agrarie"; adeguamento che, se pure specificamente riferito ai limiti di estensione delle proprietà, sembra altresì effettuabile allorché sussistano situazioni d'ordine locale atte a giustificare differenziazioni di disciplina contrattuale.

Ancora minore fondamento hanno poi i motivi dedotti dall'art. 116 della Costituzione, richiamato dal pretore di Lentini, riguardante il conferimento di forme speciali di autonomia ad alcune Regioni, e quindi del tutto estraneo alla presente fattispecie, e dall'art. 117 della Costituzione, che riguarda solo le Regioni a statuto ordinario e non trova applicazione nei confronti della Regione siciliana, né delle altre a statuto speciale (vedi sentenza n. 24 del 1958 e n. 11 del 1959).

Le ordinanze del pretore di Noto e del conciliatore di Alcamo denunciano la illegittimità costituzionale dell'intera legge regionale anche sotto l'aspetto della violazione dell'art. 3 della Costituzione, ma in termini estremamente generici (mettendo in rilievo l'incidenza che la incertezza circa la durata della legge regionale esercita sullo svolgimento dell'iniziativa economica privata e sul godimento della proprietà, ed altresì lo squilibrio, non meglio precisato, che si verrebbe a determinare fra le due categorie, dei concedenti e del coloni): in termini tali cioé da ricondurre il motivo stesso o a quelli già esaminati, riguardanti la violazione degli artt. 41 e 42, oppure all'altro, che sarà oggetto di successivo esame, con cui si fa valere il contrasto con il principio di eguaglianza in modo specifico, con riferimento cioè a singole disposizioni regolanti i rapporti controversi.

  1. - Di tal fatta é la censura che si rivolge all'art. 4, secondo comma, della legge del 1964, ritenuto contrastante con l'art. 3 della Costituzione dalle ordinanze del pretori di Noto e di Lentini, del conciliatore di Alcamo e del Tribunale di Siracusa, tutte relative a controversie aventi ad oggetto ripartizione di prodotti di fondi a culture arboree o arbustive. L'articolo predetto, innovando agli artt. 11 legge regionale n. 4 e n. 11 del 1947; 1 legge regionale n. 44 del 1949; 1 legge regionale n. 44 del 1950; 1 e 2 legge regionale n. 43 del 1951; 3 legge regionale n. 16 del 1952; 1 legge regionale n. 13 del 1963, ha stabilito per i rapporti di colonia relativi a tali culture, oltre all'aumento del 5 per cento della quota pattuita a favore del colono, l'obbligo, in ogni caso, di determinare quest'ultima in misura non inferiore al 50 per cento dell'intera produzione; estendendo così alle culture ad agrumi lo stesso minimo già previsto per le altre culture arboree dalla menzionata legge regionale n. 11 del 1947. La violazione del principio di eguaglianza é fatta consistere nell'uniformità del trattamento disposto per situazioni fra loro diseguali, quali deriverebbero dalla diversità delle condizioni stabilite con i singoli contratti individuali, in base ai quali l'onere delle spese di cultura é diversamente distribuito fra le parti contraenti, dalla differente feracità delle zone agrarie, e la differente misura degli investimenti pel miglioramento della produzione. La censura non é fondata. Infatti la disposizione in oggetto, mentre ha tenuto conto della diversità delle situazioni statuendo un aumento del 5 per cento della misura di ripartizione stabilita contrattualmente, ha poi voluto eliminare quelle fra le situazioni stesse caratterizzate da una ripartizione della quota del colono manifestamente inadeguata (come per es. quella risultante dal rapporto Carpinteri - Musco, portato avanti al Tribunale di Siracusa, che prevede pel colono la quota solo di un terzo del prodotto, pur risultando addossate a questi alcune delle spese). Il fatto che il colono meno avvantaggiato, in conseguenza di pattuizioni per lui particolarmente sfavorevoli, ottenga un trattamento superiore a quello dell'altro, originariamente più favorito, non contrasta ma anzi fa applicazione del principio di eguaglianza. Né a diverso avviso può giungersi in considerazione della circostanza, fatta valere dai ricorrenti, della diversa feracità del suolo perché essa non é, di per sé sola, in quanto dovuta a fatti naturali, sufficiente a giustificare la diversità nella ripartizione del prodotto, che se ne vorrebbe far derivare. Neppure decisivo é l'argomento desunto dalla distribuzione dell'onere delle spese, nel senso che l'elevamento della quota del colono é fonte di sperequazioni perché é determinato in misura sempre eguale, anche quando l'onere predetto grava solo sul concedente. A parte la considerazione che alcuni di tali oneri sono contrattualmente addossati al colono, o in tutto o in parti proporzionali alle rispettive quote, é da osservare che non é irragionevole attribuire al colono la metà del prodotto a titolo di retribuzione delle sue prestazioni lavorative, che, specie per gli agrumeti, assumono carattere di notevole impegno, per la loro continuità e per l'accuratezza che richiedono. Risulta del resto provato che i contratti collettivi che vigevano in Sicilia, o nelle sue parti più feraci, prevedevano, come criterio normale di ripartizione, il 50 per cento, pur addossandosi al colono oneri diversi da quelli della pure prestazione di attività lavorativa; sicché la legge che ne riafferma ed estende l'applicazione, lungi dal ritenersi aberrante, come sostiene la difesa del concedenti, appare contenuta nei limiti della ragionevolezza; limiti al cui rispetto deve essere circoscritto il sindacato di legittimità costituzionale (v. la più recente sentenza n. 30 del 1966). É stato opportunamente osservato che l'art. 10 della legge n. 756, di cui pure si lamenta la non applicazione alla Sicilia, per effetto della deroga ad essa apportata dal secondo comma dell'art. 4 in esame, se non contiene prescrizione di minimi a favore del coloni, tiene conto di pattuizioni così favorevoli per costoro da esigere l'apposizione, nei loro confronti, di un limite inverso, cioè di un massimo non sorpassabile, fissato nella misura del 90 per cento. Esigenza evidentemente non verificabile in Sicilia, per la presenza delle menzionate particolarità ambientali, che importano una minore valorizzazione della mano d'opera. Nessun elemento di dubbio sulla pronuncia di infondatezza può trarsi poi dalla sentenza di questa Corte n. 53 del 1958, richiamata dalla difesa del concedenti, poiché la violazione dell'art. 3, nel caso allora deciso, venne fatta consistere nel contrasto risultante dallo stesso testo della legge, che, mentre presupponeva una diversa determinazione del canoni, pel fatto che alcuni erano stati sottoposti all'accertamento della loro equità ed altri non lo erano stati, disponeva poi, contraddittoriamente, una loro riduzione in misura uguale per tutti; ipotesi che nella specie non ricorre.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale delle leggi della Regione siciliana 16 marzo 1964, n. 4, e 3 giugno 1966, n. 13, concernenti ripartizione di prodotti agricoli, proposta con le ordinanze indicate in epigrafe, in riferimento all'art. 14, lett. a, dello Statuto regionale siciliano convertito con legge costituzionale n. 2 del 1948, ed agli artt. 3, 39, 41, 42, 44, 116 e 117 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 1968.

 

 

Aldo SANDULLI - Antonio MANCA  - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe VERZÌ - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

 

Depositata in cancelleria il 6 giugno 1968.