Sentenza n. 45 del 1966
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SENTENZA N. 45

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Gaspare AMBROSINI, Presidente

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO,  

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 55 e 56 del contratto collettivo nazionale di lavoro per gli operai addetti all'industria edilizia e affini del 24 luglio 1959, reso obbligatorio erga omnes con il D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 28 aprile 1964 dalla Corte d'appello di Napoli nel procedimento civile vertente tra Monaco Mario e Fiengo Pasquale, iscritta al n. 177 del Registro ordinanze 1964 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 308 del 12 dicembre 1964;

2) ordinanze emesse il 15 aprile 1965 dal Pretore di Fermo nei procedimenti civili vertenti tra Gismondi Giuseppe e Lattanzi Amerigo e tra Pennacchietti Eugenio e Orofino Angelo, iscritte ai nn. 80 e 81 del Registro ordinanze 1965 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 139 del 5 giugno 1965;

3) ordinanza emessa il 30 aprile 1965 dal Tribunale di Fermo nel procedimento civile vertente tra Lamponi Renzo e Lattanzi Amerigo, iscritta al n. 102 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 163 del 3 luglio 1965.

Visti l'atto di costituzione di Fiengo Pasquale e gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 2 marzo 1966 la relazione del cancelliere Costantino Mortati:

uditi gli avvocati Francesco Santoro Passarelli e Bruno Mazzarelli, per il Fiengo, ed il vice avvocato generale dello Stato Dario Foligno, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un giudizio civile vertente innanzi alla Corte di appello di Napoli, Sezione magistratura del lavoro, fra Monaco Mario e l'impresa di Fiengo Pasquale, é stata sollevata questione di legittimità costituzionale degli articoli 55 e 56 del contratto collettivo nazionale di lavoro per gli operai addetti all'industria edilizia e affini del 24 luglio 1959, reso obbligatorio erga omnes con il D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032, per violazione dell'art. 76 della Costituzione, in quanto, disponendo la prima di dette disposizioni l'obbligo di un preventivo tentativo di conciliazione, e la seconda la decadenza dal diritto a produrre reclamo su qualunque richiesta inerente al rapporto di lavoro, ove il reclamo stesso non sia proposto entro quattro mesi dalla cessazione del rapporto, sono incorse in eccesso della delega conferita dagli artt. 1 e 4 della legge 14 luglio 1959, n. 741. La Corte, avendo ritenuto la questione rilevante per la decisione della causa e non manifestamente infondata ha disposto, con ordinanza 28 aprile 1964, la sospensione del giudizio e l'invio degli atti alla Corte costituzionale.

L'ordinanza é stata debitamente notificata e comunicata, e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 308 del 12 dicembre 1964.

Si é costituito avanti alla Corte l'impresa Fiengo, rappresentata e difesa dall'avv. Bruno Mazzarelli con deduzioni del 15 ottobre 1964, nelle quali, dopo la premessa di volere limitare la difesa solo alla parte relativa alla decadenza sancita dall'art. 56, afferma che erroneamente la Corte di appello ha interpretato la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia, nel senso che dovesse ritenersi eccedente la delega l'estensione erga omnes delle clausole dei contratti collettivi di ogni trattamento non valutabile quantitativamente, mentre essa ha inteso che non debbano essere recepite solo le clausole strumentali, aventi come destinatari le associazioni sindacali stipulanti. Conclude chiedendo che la Corte dichiari non fondata la questione di costituzionalità sollevata.

Si é costituito in giudizio anche il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. Con deduzioni 30 dicembre 1964 si sostiene che la Corte di Napoli ha malamente invocata la sentenza di questa Corte n. 129 del 1963, perché nella specie la immediatezza del nesso di strumentalità é particolarmente evidente, sicché la disciplina dettata dalle clausole denunciate deve ritenersi compresa nelle finalità fissate dalla legge delegante. Conclude chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Con successiva memoria del 3 febbraio 1966 l'avv. Mazzarelli ribadisce le considerazioni prima dedotte, facendo altresì osservare che l'art. 1 della legge delegante ha voluto, come risulta dai lavori preparatori, impegnare il Governo ad uniformarsi a "tutte" le clausole dei contratti collettivi; quindi non già solo a quelle contenenti minimi in favore dei lavoratori, bensì al loro complesso, con tutte le limitazioni che si accompagnano al trattamento economico e normativo in esse disposto. Ciò sarebbe confermato anche dall'art. 65 del contratto collettivo, secondo cui le disposizioni in esse contenute sono correlative ed inscindibili fra loro. Fra le numerose condizioni cui pertanto rimangono subordinati i minimi normativi vi é anche quello della decadenza per tardività nella produzione dei reclami dei lavoratori, giustificata dalle particolarità dell'industria edile, che, potendo essere costretta a smobilitare l'organizzazione dei cantieri al termine dei lavori, deve poter procedere alla definizione delle questioni relative ai rapporti di lavoro. Aggiunge che, se si andasse in contrario avviso, si verrebbe a riconoscere ai lavoratori non iscritti alle associazioni sindacali un trattamento più favorevole di quello fatto agli iscritti, mentre invece fine della legge é stato di evitare per essi ogni trattamento minimo meno favorevole rispetto agli altri.

Si é costituito in udienza, nell'interesse dell'impresa Fiengo, l'avv. prof. Francesco Santoro Passarelli, il quale ha oralmente svolto le argomentazioni enunciate nelle difese scritte.

2. - Nel corso di altro giudizio civile fra Gismondi Giuseppe e la ditta Lattanzi Amerigo dinanzi al Pretore di Fermo questi con ordinanza 15 aprile 1965 ha sollevato d'ufficio questione analoga e quella di cui all'ordinanza precedentemente menzionata in confronto ai citati artt. 55 e 56 del contratto collettivo reso obbligatorio erga omnes con il D. P. n. 1032 del 1960, sotto lo stesso riguardo dell'eccesso di delega con violazione dell'art. 76 della Costituzione perché esorbitanti dal fine di assicurare ai lavoratori minimi economici e normativi, e, sospeso di deliberare, ha trasmesso gli atti della causa alla Corte costituzionale. L'ordinanza debitamente notificata e comunicata é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 139 del 5 giugno 1965.

Si é costituito innanzi alla Corte solo il Presidente del Consiglio dei Ministri con deduzioni del 25 giugno 1965 nelle quali vengono svolte considerazioni analoghe a quelle prima riferite, concludendo perché sia dichiarata l'infondatezza della questione.

3. - In altro giudizio, pure vertente avanti lo stesso Pretore di Fermo, fra Pennacchietti Eugenio e la ditta Orofino Angelo, il Pretore ha sollevato d'ufficio la stessa questione di incostituzionalità delle clausole 55 e 56 del contratto collettivo reso obbligatorio erga omnes con il citato decreto presidenziale n. 1032, sotto lo stesso aspetto dell'eccesso di delega, e, sospeso il giudizio in corso, ha disposto la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. L'ordinanza debitamente notificata e comunicata é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 139 del 5 giugno 1965.

Si é costituito avanti alla Corte solo il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato generale dello Stato, che, con deduzioni del 25 giugno 1965, ha chiesto, sulla base delle stesse considerazioni enunciate nell'altro giudizio, che la questione venga dichiarata infondata.

4. - Nel corso di un giudizio avanti al Tribunale di Fermo, in sede di magistratura del lavoro, fra Lamponi Renzo e la ditta Lattanzi Amerigo, il Tribunale ha con ordinanza 30 aprile 1965 sollevato d'ufficio questione di legittimità costituzionale degli artt. 55 e 56 contratto collettivo, reso obbligatorio erga omnes con il D. P. n. 1032 già menzionato, nella considerazione della violazione dell'art. 76 della Costituzione per eccesso di delega, dato il contrasto con le finalità indicate dalla legge delegante, e, sospendendo di deliberare, ha ordinato la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.

L'ordinanza debitamente comunicata e notificata é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 163 del 3 luglio 1965. Nessuna delle parti si é costituita avanti alla Corte.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le quattro ordinanze riguardano la stessa questione che viene prospettata sotto gli stessi profili, sicché si rende opportuno disporre la riunione delle cause per la loro decisione con unica sentenza

2. - Le ordinanze predette hanno tutte ad oggetto la denuncia dell'illegittimità costituzionale, per violazione dell'art. 76 della Costituzione, delle clausole 55 e 56 del contratto collettivo di lavoro 24 luglio 1959 per gli addetti all'industria edilizia, esteso erga omnes con il D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032, nella considerazione che tanto l'obbligo del tentativo di conciliazione, imposto dalla prima di esse, quanto la decadenza, sancita dalla seconda, dal diritto del lavoratore a proporre qualsiasi reclamo avanzato oltre i quattro mesi dalla cessazione del rapporto stesso, eccedono dai limiti posti dalla delega di cui all'art. 1 della legge n. 741 del 1959, ove siano fatti valere in confronto ai non iscritti alle associazioni sindacali stipulanti. Poiché la Corte ha già, con la sentenza n. 56 del 1965, dichiarato la illegittimità costituzionale dell'articolo unico del citato decreto presidenziale, nella parte in cui rende obbligatoria per tutti gli appartenenti alla categoria la clausola 55 del contratto collettivo oggetto del decreto stesso, si deve dichiarare manifestamente infondata la questione ad essa relativa, e limitare l'indagine all'altra, sulla costituzionalità della clausola 56, in nessun modo collegata con quella precedentemente decisa.

3. - Poiché, come si é ricordato, la questione predetta é stata proposta con riferimento all'art. 76, esula dall'esame da compiere ogni considerazione attinente alla compatibilità della disposizione denunciata con principi o norme di legge inderogabili.

La Corte, con la sentenza n. 129 del 1963, ha ritenuto che la delega conferita al Governo dall'art. 1 della legge n. 741 del 1959 per l'emanazione di norme aventi forza di legge, uniformi alle clausole dei contratti collettivi stipulati anteriormente a detta legge, trova un preciso limite nel fine voluto raggiungere di assicurare minimi di trattamento economico e normativo per tutti gli appartenenti ad una medesima categoria, ed ha conseguentemente statuito che esorbita da tale fine, e quindi eccede dalla delega ogni estensione di clausole che abbiano ad oggetto non già la diretta disciplina della formazione, dello svolgimento, dell'estinzione del rapporto di lavoro e dei correlativi diritti e doveri delle parti che in esso intervengono, bensì la predisposizione di procedimenti e modalità le quali rivestano carattere meramente strumentale rispetto alla disciplina predetta, a meno che non si palesino strettamente necessarie al conseguimento del bene menzionato.

Se si fa applicazione dei principi così formulati alla statuizione dell'art. 56 si é condotti a ritenere la sua estraneità ai poteri consentiti al legislatore delegato. Infatti essa concerne le pretese che il lavoratore faccia valere successivamente alla estinzione del rapporto di lavoro, e la deroga disposta alle norme di diritto comune circa i modi di tutela delle pretese stesse non solo non appare mezzo necessario ad assicurare il minimo normativo, cui ha riguardo la legge delegante, ma può riuscire, in pratica ed in determinate circostanze, pregiudizievole alla soddisfazione di tale esigenza. Anche ad ammettere la validità di clausole di decadenza dall'esercizio del potere di difesa giurisdizionale dei diritti discendenti dall'attività di lavoro, non é dubbio che essa può trovare fondamento solo nell'autonomia contrattuale, e che quindi ogni estensione delle medesime al di là della cerchia dei titolari di tale autonomia deve considerarsi sfornita di base giuridica.

Non vale opporre, come fa la difesa di una delle parti intervenuta nel giudizio promosso dalla Corte di appello di Napoli, che il legislatore delegante ha voluto assicurare l'obbligatorietà di "tutte" le disposizioni dei contratti collettivi, e non già solo di quelle favorevoli ai lavoratori, data l'intima connessione ed interdipendenza che insieme le collega e ne fa un tutto organico ed inscindibile. Infatti se questa tesi fosse vera risulterebbe svuotato di ogni significato il limite finalistico che la legge delegante ha posto e che, essendosi fatto consistere nell'esigenza di assicurare i "minimi di trattamento", non può non considerarsi rivolto alla tutela di quella parte del rapporto che, per essere la più debole, abbisogna di siffatta garanzia, com'é ulteriormente comprovato dalla prevalenza del contratto individuale o aziendale su quello collettivo, ove il primo si palesi più favorevole al lavoratore, secondo il preciso disposto dell'art. 7 della citata legge n. 741.

Si può convenire nel ritenere l'unitarietà delle clausole di uno stesso contratto collettivo e quindi l'impossibilità di scindere quelle aventi un contenuto economico-salariale dalle altre, ma allorché la sua validità venga estesa ope legis a coloro che non hanno concorso, neanche indirettamente, alla sua formazione, non può non tenersi conto del criterio che ha presieduto alla estensione, ed in conseguenza distinguere fra le clausole che attengono allo svolgimento dell'attività di lavoro, come per esempio sono quelle riguardanti la disciplina nell'ambiente di lavoro, le quali, pur se impongono oneri a carico del lavoratore, devono ritenersi vincolanti anche per i non iscritti alle associazioni, dalle altre che, come quella in esame, non ineriscono a tale materia.

A contrastare l'interpretazione fatta valere non é sufficiente il rilievo formulato dalla su menzionata difesa, che cioè essa conduce a conferire ai lavoratori non iscritti un trattamento più favorevole di quello di cui usufruiscono gli iscritti, essendo chiaro che i maggiori oneri gravanti su questi ultimi trovano un corrispettivo nella assistenza che é loro possibile invocare ed ottenere dalle associazioni di cui fanno parte (e che costituisce uno dei moventi atti ad indurre alla iscrizione alle medesime), assistenza che invece fa difetto in confronto agli altri.

Neppure esatta é l'argomentazione che la stessa difesa vorrebbe trarre, a sostegno della tesi patrocinata, dalla sentenza n. 129, nel senso che, non richiedendo la clausola 56 alcuna interposizione delle associazioni sindacali, verrebbe meno l'ostacolo dal quale quella pronuncia avrebbe argomentato la non estensibilità erga omnes delle disposizioni dei contratti collettivi che imponevano l'iscrizione alle Casse edili. Infatti é vero che con la predetta sentenza, e parimenti con la successiva n. 56 del 1965, si é contestata la validità di clausole suscettibili di dar vita a vincoli di subordinazione dei lavoratori alle associazioni sindacali delle quali non facciano parte, ma risulta chiaramente dalla loro motivazione che tale argomento é stato addotto in concomitanza con l'altro della non pertinenza dell'obbligo dell'iscrizione predetta alla normazione del rapporto lavorativo e dell'assenza di ogni relazione di stretta condizionalità rispetto alla tutela voluta assicurare a questo.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riunisce i giudizi promossi con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo unico del D.P.R. 14 luglio 1960, n. 1032, nella parte in cui rende obbligatoria erga omnes la clausola 56 del contratto collettivo nazionale di lavoro per gli addetti all'industria edile 24 luglio 1959, che sancisce la decadenza dal diritto di azione quando non sia stato esercitato dal lavoratore entro i quattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro, con riferimento all'art. 76 della Costituzione;

dichiara manifestamente infondata la questione relativa alla legittimità costituzionale della clausola 55 del predetto contratto collettivo 24 luglio 1959, esteso a tutti gli appartenenti alla categoria con l'articolo unico del D.P.R. 14 luglio 1960. n. 1032.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 maggio 1966.

 

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO

 

Depositata in cancelleria il 23 maggio 1966.