Sentenza n. 16 del 1968
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SENTENZA N. 16

ANNO 1968

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Aldo SANDULLI, Presidente

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 14, primo, secondo e terzo comma, della legge 15 settembre 1964, n. 756, concernente "Norme in materia di contratti agrari", promessi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanze emesse il 23 febbraio 1966 dalla sezione agraria del Tribunale di Firenze nei procedimenti civili vertenti, rispettivamente, tra Lazzeri Albertina e Gasperini Martino e tra Baldini Libri Massimiliano e Berti Mario, iscritte ai nn. 113 e 114 del Registro ordinanze 1966 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 213 del 27 agosto 1966;

2) ordinanza emessa il 27 gennaio 1967 dalla sezione agraria del Tribunale di Siracusa nel procedimento civile vertente tra Gaudioso Andrea e Mazzotta Salvatore, iscritta al n. 61 del Registro ordinanze 1967 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 102 del 22 aprile 1967.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e di costituzione di Lazzeri Albertina, Gasperini Martino, Baldini Libri Massimiliano, Berti Mario e Gaudioso Andrea;

udita nell'udienza pubblica del 14 febbraio 1968 la relazione del Giudice Angelo De Marco;

uditi l'avv. Arturo Carlo Jemolo, per Lazzeri Albertina; gli avvocati Arturo Carlo Jemolo e Carlo Selvaggi, per Baldini Libri Massimiliano e Gaudioso Andrea; l'avv. Alessandro De Feo, per Gasperini Martino e Berti Mario, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Umberto Coronas, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con due distinte ordinanze del 23 febbraio 1966, emesse, rispettivamente, nelle cause promosse da Albertina Lazzeri contro Martino Gasperini e da Massimiliano Baldini Libri contro Mario Berti, aventi entrambe per oggetto asserita decadenza di proroga legale di mezzadria, la sezione agraria del Tribunale di Firenze, in ordine alle questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni contenute nell'art. 14, primo e terzo comma, della legge 15 settembre 1964, n. 756, concernente "Norme in materia di contratti agrari" sollevate dalle parti attrici nelle suddette cause, mentre dichiarava manifestamente infondate le eccezioni relative agli artt. 3, 4, 41 e 42 della Costituzione, riteneva, invece, non infondata e rilevante per la decisione del giudizio di merito, quella sollevata con riferimento all'art. 44, primo comma, della Costituzione.

Pertanto sospendeva i giudizi in corso e rimetteva gli atti a questa Corte per la soluzione delle proposte questioni.

Analogamente procedeva la sezione agraria del Tribunale di Siracusa con ordinanza, del 27 gennaio 1967, emessa nel giudizio civile promosso da Andrea Gaudioso contro Salvatore Mazzotta, avente per oggetto disdetta di contratto di colonia parziaria (definita mezzadria impropria) ritenendo, peraltro, non manifestamente infondata la eccezione di illegittimità costituzionale dello stesso art. 14, ma limitatamente al secondo comma, sollevata dall'attore, oltre che in relazione all'art. 44, primo comma, anche in relazione agli artt. 2, 3, 4, 41 e 42 della Carta costituzionale.

Più precisamente, la sezione agraria del Tribunale di Firenze, rilevava la non manifesta infondatezza dell'eccezione in relazione all'art. 44, comma primo, della Costituzione sotto il duplice profilo, della prestazione sine die di un vincolo, intrinsecamente e dichiaratamente temporaneo e del dubbio circa la persistenza di una causa giustificatrice del vincolo stesso, successivamente alla raggiunta, definitiva disciplina della materia.

La sezione agraria del Tribunale di Siracusa, invece, prospettava la questione di incostituzionalità della impugnata norma sotto tutti i profili delineati dall'attore e cioè per contrasto:

a) con l'art. 2 della Costituzione, in quanto la proroga sine die vincolerebbe i concedenti a subire senza limitazione di tempo un rapporto, che essi vollero temporaneo, in contrasto non soltanto con i loro interessi, ma anche con quelli generali dell'economia agricola;

b) con l'art. 3 della Costituzione, in quanto la proroga sarebbe disposta ad esclusivo beneficio di coloni, in contrasto con l'utilità in generale e con quella, in particolare, di altri lavoratori agricoli, quali i braccianti;

c) con l'art. 4 della Costituzione, in quanto la proroga impedirebbe il normale avvicendamento nel lavoro dei campi;

d) con l'art. 41 della Costituzione, in quanto la proroga limiterebbe la libertà d'iniziativa economica, impedendo la stipulazione di nuovi contratti agrari, senza essere giustificata dalle esigenze di utilità sociale e di un completo ed armonico sviluppo dell'economia agricola;

e) con l'art. 42 della Costituzione, in quanto la proroga porrebbe una grave limitazione alla proprietà privata, non giustificata da preminenti esigenze di carattere sociale o generale;

f) con l'art. 44, in quanto la proroga non sarebbe giustificata dal fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali.

Le ordinanze sono state ritualmente notificate, comunicate e pubblicate.

Nel giudizio innanzi a questa Corte si sono costituiti Albertina Lazzeri, rappresentata e difesa dagli avvocati Arturo Carlo Jemolo di Roma e Igino Cocchi di Firenze, con memorie depositate in data 25 luglio 1966 e 2 novembre 1967; Martino Gasperini e Mario Berti, rappresentati e difesi dall'avv. Alessandro De Feo di Roma, con memorie depositate in data 22 aprile 1966 e 2 novembre 1967; Massimiliano Baldini Libri, rappresentato e difeso dagli avvocati Arturo Carlo Jemolo, Carlo Selvaggi di Roma e Luigi Salibra di Siracusa, con memorie depositate il 12 maggio 1967 e il 3 novembre 1967. É intervenuto anche il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato, come per legge, dall'Avvocatura generale dello Stato con atti d'intervento depositati in data 6 luglio 1966, 9 maggio 1967 e 3 novembre 1967.

I tre giudizi, come sopra instaurati, già fissati per l'udienza del 16 novembre 1967, sono stati rinviati all'udienza odierna.

2. - Nei primi due giudizi i patroni delle parti Albertina Lazzeri e Massimiliano Baldini Libri, sia con gli atti di costituzione, sia con le successive memorie illustrative, hanno, in sostanza, dedotto che, una volta ritenute - come ha fatto il legislatore con l'art. 1 della legge sopra citata - talune forme di contratti agrari o da sopprimere o da radicalmente e tassativamente modificare, riportandole ad un solo tipo, perché "non adeguate o non rispondenti alle esigenze di armonico sviluppo della economia agricola del paese" non si poteva, poi, attraverso una proroga a tempo indeterminato, perpetuarne di fatto la sussistenza. E ciò nonostante la sanzione di nullità, prevista dall'art. 3 della legge, dei contratti di mezzadria eventualmente posti in essere dopo l'entrata in vigore della legge stessa.

Vero é che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha ammesso la legittimità della proroga, anche a tempo indeterminato dei contratti agrari, ma - si osserva dalla difesa - ciò é stato ammesso in relazione a situazioni contingenti e con carattere di provvisorietà, ossia in attesa di una definitiva sistemazione della materia. E poiché la legge in questione conterrebbe proprio una siffatta definitiva sistemazione, una proroga dei contratti in corso, come quella contenuta nella norma impugnata, non sembra più avere alcuna giustificazione.

Peraltro, si osserva, infine, una siffatta proroga importa, indubbiamente, per il concedente un grave vincolo per la sua proprietà, vincolo, che, per il primo comma dell'art. 44 della Costituzione, potrebbe essere legittimato soltanto dal fine "di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali" ossia proprio da quel fine che la legge mentre nell'art. 1, ha espressamente dichiarato di voler perseguire, con il successivo art. 14, disponendo la proroga a tempo indeterminato della situazione ad essa preesistente, ha praticamente e definitivamente frustrato.

Contro la su esposta tesi la difesa di Martino Gasperini e Mario Berti ha osservato che nel sollevare la questione di illegittimità costituzionale non si é tenuto conto della differenza tra i concetti di proprietà e di impresa; non sono state valutate nel loro complesso le norme della legge 15 settembre 1964, n. 756, anche in ordine ai fini enunciati nella legge stessa; né, infine, si é rilevato che la legge predetta non ha carattere definitivo, ma si limita a porre alcune premesse per una più compiuta legislazione intesa ad attuare i fini costituzionali.

Da parte dell'Avvocatura generale dello Stato in via pregiudiziale si é eccepito, anzitutto, che l'art. 44 della Costituzione, avendo per oggetto la riforma e la ricomposizione fondiaria e non il regime del contratti agrari per lo svolgimento della impresa agricola, é stato inesattamente invocato.

Si é osservato, inoltre, che, anche a voler ritenere che il vincolo derivante alla proprietà terriera dalla proroga legale degli esistenti contratti di mezzadria, sarebbe giustificato nel rilievo che il legislatore, col vietare tali contratti per il futuro, avrebbe dimostrato di ritenerli inadeguati al fine dell'armonico sviluppo agricolo e del conseguimento di equi rapporti sociali; in effetti non si concreterebbero gli estremi di un contrasto tra la norma di legge ordinaria ed un precetto costituzionale, ma soltanto quelli di una incongruenza intrinseca della legge ordinaria, non riconducibile nell'ambito di una violazione dell'art. 44 della Costituzione.

Nel merito, poi, si é dedotto che, in definitiva, con la legge n. 756 del 1964 si é stabilito un regime transitorio, nella fase di trasformazione delle strutture predominanti nell'ambiente agrario, in forza del quale, si é conservata la mezzadria ad esaurimento, nei limiti dei contratti in corso, venendosi, così, a delineare due regimi, uno definitivo ed uno transitorio, in modo da garantire l'evoluzione delle strutture contrattuali, utilizzabili nello svolgimento dell'impresa agricola. In altri termini la legge del 1964 non avrebbe disciplinato definitivamente la materia del contratti agrari, ma avrebbe posto in essere, invece, una fase transitoria suscettibile di ulteriori sviluppi, in attesa dei quali ben sarebbe legittimata la disposta proroga.

A confutazione delle eccezioni di rito sollevate dall'Avvocatura dello Stato, il patrocinio della Lazzeri e del Baldini Libri, ha opposto che con i contratti agrari si costituiscono obblighi attinenti alla proprietà terriera, epperò sia il divieto di ricorrere, per la conduzione della proprietà fondiaria, ad un certo tipo di contratto, sia una proroga di tali contratti rientrano negli obblighi e nei vincoli alla proprietà terriera privata e, quindi, nella previsione dell'art. 44 della Costituzione. D'altra parte non può sostenersi che, quando con la stessa legge da un lato, per fini di utilità sociale, si sopprime un tipo di contratto, dichiarato non utile, anzi dannoso a tali fini, e, dall'altro, tale tipo di contratto si proroga senza limiti si verifichi soltanto una incongruenza della legge ordinaria e non anche una violazione del precetto costituzionale, che il vincolo alla proprietà privata, come quello derivante dalla proroga, ammette soltanto per fini di utilità sociale.

Nel merito si insiste, poi, nel sostenere, in contrasto con l'affermazione dell'Avvocatura dello Stato, che, con la legge n. 756 del 1964 si é adottata una disciplina definitiva e non meramente transitoria del contratti agrari.

3. - Nel terzo giudizio, i patroni di Andrea Gaudioso hanno dedotto che, da oltre un trentennio, leggi di vincolo hanno assoggettato i proprietari di aziende agricole al divieto di porre termine, anche dopo le scadenze contrattuali e consuetudinarie, ai rapporti associativi, costituiti per la coltivazione dei fondi rustici ed ai rapporti di godimento degli stessi e che questo lungo periodo può dividersi in tre fasi, che ne giustificano e legittimano l'imposizione. In un primo periodo, che va dal 1938 alla fine della guerra, il vincolo trovava giustificazione appunto nello stato di guerra; in un secondo periodo tale giustificazione andava ricercata nella crisi economica e nei sommovimenti sociali, caratteristici del dopo - guerra; infine, in un terzo periodo, il regime vincolistico venne espressamente giustificato dall'attesa di una legge regolatrice del contratti agrari. Quest'ultimo periodo termina, appunto, con la legge del 15 settembre 1964, n. 756, intervenuta la quale, secondo il patrocinio del Gaudioso, la protrazione del vincolo, per giunta a tempo indeterminato, non solo non troverebbe più alcuna giustificazione, ma porrebbe in essere delle limitazioni ai diritti del proprietari, in netto contrasto con i precetti costituzionali.

Da questa premessa il patrocinio del Gaudioso trae gli argomenti per sostenere l'incostituzionalità dell'art. 14, comma secondo, della citata legge, sotto tutti i profili prospettati nell'ordinanza, che ha sollevata la relativa questione e con le medesime argomentazioni giuridiche.

In sostanza, poiché l'art. 1 della legge 15 settembre 1964, n. 756, enuncia espressamente che le disposizioni, con essa adottate, sono dirette "al fine di conseguire più equi rapporti sociali nell'esercizio dell'agricoltura, attraverso il superamento e la modificazione di forme contrattuali non adeguate o non rispondenti alle esigenze dell'economia agricola del Paese", sarebbe di tutta evidenza, che il procrastinare a tempo indeterminato i rapporti in corso, nonostante il loro superamento e la loro modificazione, significa violare quelle esigenze di carattere sociale e generale.

Esaminate da questo punto di vista, secondo il patrono del Gaudioso, anche le limitazioni all'autonomia contrattuale (art. 2 della Costituzione), quella del diritto di eguaglianza fra concedente e mezzadro o colono (art. 3 della Costituzione) e, infine, quella del diritto al lavoro (art. 4 della Costituzione), che la proroga sine die del contratti in corso avrebbe posto in essere, non risulterebbero giustificate da esigenze sociali o, comunque, da interesse generale e, quindi, sarebbero in contrasto con quei precetti costituzionali.

Secondo l'Avvocatura dello Stato, invece, non può ritenersi che la proroga legale del contratti agrari violi "i diritti inviolabili dell'uomo", garantiti dall'art. 2 della Costituzione, in quanto fra tali diritti non possono essere compresi né la proprietà privata, né l'iniziativa privata, che, come é noto, sono assoggettate ai limiti necessari ad assicurare la loro funzione sociale, secondo gli artt. 41 e 42 della Carta costituzionale.

Del pari non può ritenersi vulnerato dalla proroga il principio di eguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione, in quanto nessun trattamento arbitrario o discriminatorio sarebbe stato operato con la norma denunziata, la quale a parità di condizioni, assoggetta tutti i contratti da essa previsti allo stesso regime di proroga.

Il richiamo all'art. 4 della Costituzione, non sarebbe pertinente, in quanto il principio costituzionale del diritto al lavoro va inteso come norma programmatica, la quale come tale non può apparire violata da una norma di proroga che peraltro, nella specie, dà preminente tutela al lavoro di coloro che sono addetti alla coltivazione delle terre, in dipendenza di contratti prorogati.

Le limitazioni poste con la proroga, quindi, essendo ispirate a fini di utilità sociale, non sono in contrasto né con l'art. 41, né con l'art. 42, né con l'art. 44 della Costituzione, giacché, fino a quando le nuove strutture aziendali non siano in grado di sostituire le precedenti, la proroga delle attuali strutture contrattuali risponde ad elementari criteri di prudenza operativa, di politica legislativa e di sicurezza sociale.

 

Considerato in diritto

 

1. - I tre giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza, data la loro evidente connessione obbiettiva.

2. - Secondo l'impostazione logica delle prime due ordinanze di rimessione, poiché per l'art. 44, primo comma, della Costituzione possono essere posti obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, solo quando siano diretti "al fine di ottenere un razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali" questo fine, relativamente alla mezzadria, potrebbe ritenersi raggiunto, per effetto della legge 15 settembre 1964, n. 756, con il divieto di nuovi contratti ed il riconoscimento di un regime transitorio e ad esaurimento. Ciò posto si profilerebbe l'incostituzionalità dell'art. 14, primo comma, di tale legge, che dispone per i contratti in corso la proroga "fino a nuova disposizione", ossia a tempo indeterminato, tanto sotto il profilo della prostrazione sine die di un vincolo intrinsecamente e dichiaratamente temporaneo, quanto sotto l'aspetto della persistenza di una causa giustificatrice del vincolo stesso, successivamente alla raggiunta, definitiva disciplina della materia.

3. - Così precisati i termini della questione, prima di passare al suo esame, é necessario stabilire se siano fondate le due obiezioni pregiudiziali sollevate dall'Avvocatura generale dello Stato.

La prima, con la quale si sostiene che l'art. 44 della Costituzione sarebbe stato invocato fuor di proposito, in quanto ha per oggetto la riforma e la ricomposizione fondiaria e non il regime di contratti agrari per lo svolgimento dell'impresa agricola, é manifestamente infondata.

Se, infatti, nel disciplinare i contratti agrari, al dichiarato fine "di conseguire più equi rapporti sociali nell'esercizio dell'agricoltura" (art. 1 della legge impugnata) il legislatore ha posto al proprietario agricolo del vincoli notevoli, non può certo negarsi che tali vincoli rientrino tra quelli, che il primo comma dell'art. 44 della Costituzione autorizza ad imporre alla proprietà agraria "al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali": i contratti agrari, invero, rappresentano uno degli strumenti, se non proprio quello prevalente, per mezzo dei quali, i fini, enunciati nel citato comma dell'art. 44, possono essere realizzati.

Né maggiore fondamento ha la seconda obiezione, secondo la quale nel presente giudizio sarebbe stato denunziato non un contrasto tra una norma di legge ordinaria ed un precetto costituzionale, ma una incongruenza intrinseca della stessa legge ordinaria. É ovvio che la denunzia di una norma, la quale imponesse un vincolo alla proprietà terriera privata non giustificato dal fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, é idonea ad instaurare validamente un giudizio di legittimità costituzionale per contrasto con l'art. 44 della Costituzione.

4. - Dimostrata, così, l'infondatezza delle due obiezioni pregiudiziali e passando all'esame del merito si deve preliminarmente osservare che con la legge 15 settembre 1964, n. 756, si é posto in esame, in sostanza, un nuovo regime del contratti agrari, le cui linee essenziali possono così tratteggiarsi:

a) sostanziali modificazioni dell'attuale regime civilistico del contratto di mezzadria, tendenti a rendere più vantaggiosa la posizione del mezzadro, per quanto attiene alla ripartizione dei prodotti, alle spese di coltivazione, alla direzione dell'impresa, alla famiglia colonica e alle innovazioni;

b) divieto di stipulazione di nuovi contratti di mezzadria, pure secondo la nuova disciplina;

c) divieto di stipulazione di contratti atipici e trasformazione di quelli esistenti nel contratto tipico conservato dalla nuova normativa, al quale maggiormente si avvicinano;

d) miglioramento della condizione del colono, in analogia con quella del mezzadro;

e) proroga fino a "nuova disposizione" del contratti agrari in corso, con le modificazioni da apportare in base alla legge stessa.

I fini di questa riforma risultano inequivocabilmente indicati nell'art. 1 della legge, il cui primo comma espressamente dispone, tra l'altro, che "si applicano ai contratti di mezzadria, colonia parziaria ed ai contratti agrari atipici di concessione di fondi rustici le disposizioni della presente legge".

Tra le "disposizioni della presente legge", evidentemente ispirate al raggiungimento di quegli stessi fini, rientra senza dubbio anche quella dell'art. 14, comma primo, in questa sede impugnato.

Ciò premesso, ai fini della soluzione della questione proposta, con riferimento ai contratti di mezzadria, mentre non appare decisivo accertare se con la legge n. 756 del 1964 sia stata effettivamente attuata la riforma del contratti agrari, all'entrata in vigore della quale erano state limitate le proroghe accordate dalle leggi precedenti, si appalesa importante, per contro, stabilire se la locuzione "proroga sino a nuova disposizione" contenuta nell'art. 14, abbia il significato di una vera e propria proroga sine die, oppure se nel contesto e nelle stesse finalità della legge possano trovarsi gli elementi che valgano, sia pure con una certa approssimazione, a fissare nel tempo un termine finale alla durata della detta proroga.

Occorre, in proposito, rilevare, in primo luogo, che il processo di evoluzione dell'agricoltura, che si é iniziato nel dopo - guerra, specie per la sempre maggiore utilizzazione del mezzi meccanici e per la tendenza all'inurbamento della mano d'opera agricola, non possa dirsi ancora completamente concluso ed avviato ad una precisa definitiva conclusione.

Inoltre é da aggiungere che, anche nel quadro del rapporti internazionali, la prossima abolizione delle ultime barriere doganali, in attuazione degli obblighi derivanti dalla nostra partecipazione al M.E.C. crea non pochi problemi di adeguamento della nostra agricoltura alle nuove esigenze della competizione - senza possibilità di attenuazione protezionistiche - con le agricolture, più progredite, degli altri Paesi, che di quell'organismo internazionale, insieme col nostro, fanno parte.

In queste condizioni, la legge n. 756 del 1964, i cui fini, evidentemente, coincidono con le esigenze imposte dalla soluzione del problemi sopra prospettati, pur se rappresenta un buon passo avanti, non può certo aver attuato in una volta sola tutti i presupposti necessari, perché quella soluzione possa considerarsi definitivamente raggiunta.

Dunque, la legge denunziata, deve considerarsi come una tappa, anche notevole, nel processo evolutivo di sviluppo graduale ed economico del sistema economico nel settore agricolo, e non come il raggiungimento del traguardo finale.

Al quale riguardo é molto significativo quanto, a motivazione della proroga, si legge nella relazione di maggioranza della competente Commissione al Senato (Atti parlamentari - Sen. IV Legisl. - VIII Comm. Relaz. 16 maggio 1964 - Doc. 520 - 525/A), secondo cui "sino a quando il completo superamento non sia avvenuto, sino a quando le nuove strutture aziendali non siano in grado di sostituire le precedenti, la proroga delle attuali strutture contrattuali risponde ad elementi critici di prudenza operativa, di politica legislativa e di sicurezza sociale".

In base a tali considerazioni si può, quindi, con sufficiente certezza affermare:

a) che il legislatore, nel procedere, allo scopo più volte richiamato, alla riforma dei contratti agrari, si é reso conto, che tale riforma non poteva considerarsi idonea a risolvere, in modo definitivo, tutti i problemi imposti dal momento storico, che il Paese attraversa, anche, come si é posto sopra in evidenza, con riguardo ai rapporti internazionali;

b) che, in conseguenza, ha ritenuto, con apprezzamento insindacabile in questa sede, di "prudenza operativa, di politica legislativa e di sicurezza sociale" di prorogare i rapporti contrattuali in corso, con le notevoli e sostanziali modificazioni ad essi apportate, "sino a quando le nuove strutture aziendali, non siano in grado di sostituire le precedenti".

Devesi perciò concludere che non é esatto che sia stata raggiunta la definitiva disciplina della materia e che vi sia stata protrazione sine die "di un vincolo intrinsecamente e dichiaratamente temporaneo" in quanto la proroga statuita nell'art. 14 - che fa parte delle "disposizioni della presente legge" di cui al precedente art. 1 - é stata ritenuta dal legislatore necessaria per il completo raggiungimento del fini che la legge stessa si é proposta di realizzare. La proroga trova quindi nella funzione, che le é stata assegnata, il termine finale nell'an, ma approssimativamente e ragionevolmente determinabile nel quando, ossia "sino a quando le nuove strutture aziendali non siano in grado di sostituire le precedenti", il che, peraltro, resta sempre affidato all'insindacabile apprezzamento del legislatore.

5. - In ordine al terzo giudizio promosso con l'ordinanza 27 gennaio 1967 della sezione agraria del Tribunale di Siracusa, basta semplicemente rilevare che una volta affermato, come sopra si é fatto, il fondamento giuridico della proroga, sotto l'aspetto della legittimità costituzionale della norma, in riferimento all'art. 44 della Costituzione, appaiono prive di valore, sotto tutti i profili espressi nell'ordinanza di rinvio, le ragioni che hanno indotto il Tribunale di Siracusa a ritenere non manifestamente infondata la eccezione di incostituzionalità del secondo comma dello stesso art. 14 della più volte citata legge 15 settembre 1964, n. 756.

Infatti, tanto alla libertà di iniziativa privata quanto al diritto di privata proprietà, in genere, e a quello di proprietà terriera, in ispecie, la Costituzione rende legittima l'imposizione di limiti, rispettivamente, per evitare che la libertà di iniziativa economica si svolga in contrasto con l'utilità sociale (art. 41), per consentire che il diritto di proprietà assicuri la funzione sociale (art. 42) e, infine, per conseguire il razionale sfruttamento del suolo e per stabilire equi rapporti sociali (art. 44). Orbene, la finalità della proroga, nel senso sopra delineato, non soltanto non viola nessuna delle tre norme costituzionali richiamate, ma, positivamente, si configura come efficace strumento di realizzazione degli scopi cui le norme stesse sono ispirate.

Per quanto riguarda l'asserita violazione dell'art. 2 della Costituzione, é da escludere che tra "i diritti inviolabili dell'uomo" si possa far rientrare quello relativo all'autonomia contrattuale degli imprenditori agricoli, che qui si pretende leso, giacché tale diritto, operando nell'ambito di quelli più generali della libertà di iniziativa economica e del diritto di proprietà terriera, é specificatamente tutelato, come si é visto, da altre norme costituzionali, le quali autorizzano il legislatore ordinario ad imporre adeguati limiti per soddisfare preminenti interessi di carattere generale e sociale.

É anzi da aggiungere, che é proprio l'art. 2 della Costituzione a fissare il principio che ai cittadini può essere imposto "l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà" non soltanto politica ma anche "economica e sociale".

Nemmeno può ritenersi violato il principio di eguaglianza, sancito dall'art. 3 della Costituzione, giacché, nella specie, la legge denunziata non ha operato alcun trattamento arbitrario o discriminatorio, ma, a parità di condizioni, ha assoggettato tutti i contratti da essa previsti allo stesso regime di proroga, e, per quanto attiene ai rapporti fra le parti, é da tener presente che anche al concedente, quando concorrono gli estremi, riconosciuti rilevanti all'interesse del miglioramento della produzione, é accordato il diritto, nonostante la proroga, di sciogliere il contratto (D.L.C.P.S. 1 aprile 1947, n. 273, in relazione all'art. 15 della legge denunziata). In sostanza, quindi, essa non contrasta col concetto costantemente affermato da questa Corte, secondo cui il legislatore non si discosta dal principio di eguaglianza quando regola in modo diverso situazioni giuridiche diverse.

Quanto, poi, alla disposizione di principio contenuta nell'art. 4 della Costituzione, relativa al riconoscimento a tutti i cittadini del diritto al lavoro e all'esigenza che il legislatore favorisca il massimo impiego delle attività libere mai rapporti economici (cfr. sentenza 16 gennaio 1957, n. 3 e sentenza 26 maggio 1965, n. 45), devesi ritenere che il principio della tutela del diritto al lavoro é per sua natura anch'esso soggetto ai limiti imposti dal perseguimento di fini sociali a carattere generale, fini che il legislatore ordinario, nella sua insindacabile discrezionalità anche politica, ben può di volta in volta valutare e considerare preminenti rispetto agli interessi individuali.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate con le ordinanze indicate in epigrafe, dell'art. 14, primo, secondo e terzo comma, della legge 15 settembre 1964, n. 756, concernente "Norme in materia di contratti agrari", in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 41, 42 e 44 della Costituzione.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 1968.

 

Aldo SANDULLI - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI

 

 

 

 

Depositata in cancelleria il 28 marzo 1968.