Sentenza n. 8 del 1962
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SENTENZA N. 8

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 10 ottobre 1957, n. 921, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 30 novembre 1960 dal Tribunale di Perugia nel procedimento civile tra Mattii Dante e Tocchi Mario ed altri, iscritta al n. 12 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44 del 18 febbraio 1961;

2) ordinanza emessa il 30 gennaio 1961 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile tra Spagnoli Giuseppe e il Pio Istituto di Santo Spirito ed Ospedali Riuniti di Roma, iscritta al n. 22 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 70 del 18 marzo 1961.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 20 dicembre 1961 la relazione del Giudice Giuseppe Castelli Avolio;

uditi l'avv. Augusto Castaldo, per Tocchi Mario ed altri, l'avv. Giorgio Zanchini, per il Pio Istituto di Santo Spirito ed Ospedali Riuniti di Roma, e il sostituto avvocato generale dello Stato Luciano Tracanna, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Mattii Dante, affittuario di una tenuta di proprietà di Tocchi Mario ed altri, che assumeva danneggiata dagli eccezionali eventi meteorologici verificatisi nell'annata 1956-57, convenne i proprietari concedenti davanti al Tribunale di Perugia, Sezione specializzata per le controversie in materia di equo canone per le affittanze agrarie, per ottenere, ai sensi della legge 10 ottobre 1957, n. 921, la riduzione del canone di fitto per la detta annata, nella misura del 21 per cento stabilita dalla locale Commissione tecnica provinciale, a norma dell'art. 1 della citata legge.

I convenuti eccepirono l'incostituzionalità della legge invocata dal Mattii perché in contrasto con gli artt. 3, 104 e 111 della Costituzione.

A sostegno di tale assunto deducevano, quanto alla violazione dell'art. 3 della Costituzione, che la legge indicata, disponendo la riduzione dei canoni di fitto dei fondi rustici danneggiati dalle avversità atmosferiche e ponendo tutti i danni a carico del proprietario, avrebbe eliminato ogni alea per l'affittuario, nonostante che questi, nel concordare la corrisposta di affitto, avesse necessariamente dovuto tener conto anche della ricorrenza di eventi stagionali dannosi per i raccolti; ed avrebbe, altresì, indebitamente favorito gli affittuari, non considerando le previdenze che essi, normalmente, pongono in essere per ridurre i danni da eventi atmosferici. Con ciò si sarebbe alterata gravemente l'economia del contratto, violando il principio generale secondo cui l'alea contrattuale deve essere subita, entro certi limiti, da ogni contraente.

Osservavano ancora che la legge impugnata avrebbe violato gli artt. 104 e 111 della Costituzione, perché avrebbe posto le Commissioni tecniche provinciali in posizione preminente rispetto alle Sezioni specializzate dei Tribunali, attribuendo a queste funzioni di mera esecuzione, giacché, in forza dell'art. 2, le Sezioni stesse devono applicare ai canoni di affitto, in caso di controversia, la riduzione nella misura determinata dalle Commissioni.

La violazione sarebbe poi aggravata dalla mancanza di contraddittorio riguardo alla determinazione della percentuale di riduzione deliberata con la notata efficacia vincolante dalle Commissioni.

2. - Con ordinanza emessa il 30 novembre 1960, il Tribunale, ritenuta influente e non manifestamente infondata l'insorta questione, specie in riferimento al disposto dell'art. 2 della menzionata legge 10 ottobre 1957, n. 921, che, come si legge nell'ordinanza "sembra impedire all'organo giurisdizionale l'esercizio del suo notevole quanto fondamentale potere di disapplicare gli eventuali atti della Commissione provinciale non conformi alla legge" rimise gli atti alla Corte costituzionale per la decisione di competenza.

L'ordinanza, notificata il 16 e il 19 dicembre 1960, é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 18 febbraio 1961, n. 44.

3. - Si sono costituiti nel giudizio, dinanzi a questa Corte, il Tocchi Mario e gli altri concedenti, rappresentati e difesi dall'avv. Ferruccio Ferrero, che ha depositato le proprie deduzioni l'8 marzo 1961.

La difesa del Tocchi sostanzialmente ribadisce, sviluppandoli, i motivi di incostituzionalità già dedotti, e conclude insistendo per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della legge in questione.

4. - Si é anche costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni il 23 dicembre 1960.

L'Avvocatura, in via pregiudiziale, rileva che la motivazione dell'ordinanza di rinvio, pur dopo aver riferito i termini della questione così come proposti dalla difesa del Tocchi, fa specifico riferimento soltanto alla pretesa incostituzionalità dell'art. 2 della legge impugnata, in base al quale é resa vincolante per il giudice la percentuale di riduzione del canone di affitto determinata dalle Commissioni provinciali. Dovrebbe da ciò desumersi la limitazione dell'oggetto del giudizio di legittimità costituzionale alla detta questione, con esclusione degli altri profili prospettati dalla difesa e riferiti nell'ordinanza.

Nel merito, premesso che la legge impugnata ebbe di mira l'attenuazione della grave situazione venuta a crearsi a carico degli agricoltori affittuari a seguito delle eccezionali avversità atmosferiche verificatesi nel periodo considerato, l'Avvocatura osserva che, come ritenuto dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 53 del 1958 e 16 del 1960, é legittima la riduzione ope legis in misura fissa dei canoni di affitto dei fondi rustici in vista della situazione economica generale, ed é, quindi, altrettanto legittima la fissazione delle percentuali minime e massime della riduzione, e l'affidamento della determinazione della concreta misura della riduzione ad organi amministrativi. L'applicazione obbligatoria di tale percentuale non si risolverebbe, in ogni caso, in una limitazione della indipendenza della funzione della Magistratura, che resta pienamente autonoma nel giudicare su ogni altro obbietto inerente alla sua funzione che non sia la misura della percentuale di riduzione da applicare nell'ipotesi concreta. Né sussisterebbe, del pari, la violazione dell'art. 111 della Costituzione, giacché la legge impugnata non esclude affatto il ricorso alle Sezioni specializzate per ottenere la perequazione del canone, perequazione per la quale, in ogni caso, in conformità di quanto ha ritenuto la Corte costituzionale, con sentenza n. 16 del 1960, non sussisterebbe un vero e proprio diritto soggettivo.

Quanto al dedotto contrasto della legge impugnata con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, l'Avvocatura osserva che, subordinatamente alla eccezione pregiudiziale svolta circa i limiti dell'oggetto del giudizio, il contrasto stesso dovrebbe in ogni caso ritenersi insussistente nel merito. E ciò perché il principio suddetto, così come é stato interpretato dalla Corte costituzionale, non significa che il legislatore debba necessariamente adottare una disciplina uniforme per ogni genere di rapporto e per tutti i cittadini, ma importa solo l'obbligo del legislatore di adottare una disciplina eguale per situazioni eguali e differenziata per situazioni diverse, salvo le eccezioni all'uopo previste dall'art. 3, primo comma, della Costituzione.

Conclude l'Avvocatura chiedendo dichiararsi che non sussiste l'illegittimità costituzionale della legge 10 ottobre 1957, n. 921, di cui all'ordinanza 30 novembre 1960 del Tribunale di Perugia.

5. - Nel corso del procedimento civile pendente davanti al Tribunale di Roma, Sezione specializzata per l'equo canone, tra Spagnoli Giuseppe e il Pio Istituto di Santo Spirito ed Ospedali Riuniti di Roma, avente ad oggetto la riduzione, ai sensi della medesima legge 10 ottobre 1957, del canone di affitto del podere di cui lo Spagnoli era affittuario, il convenuto eccepì l'illegittimità costituzionale della detta legge sostenendo, anch'egli, che la stessa vincola sostanzialmente con l'art. 2 le Sezioni specializzate dei Tribunali alle deliberazioni delle Commissioni provinciali concernenti la percentuale della riduzione del canone, indipendentemente dalla realtà od entità del danno subito dai singoli, comportando l'applicazione di eguali misure di riduzione a situazioni differenti, per cui urterebbe contro i principi costituzionali sia in materia di giurisdizione, sia in materia di eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.

Altri profili di incostituzionalità prospettò , inoltre, il convenuto, affermando che la legge con l'art. 1 avrebbe attribuito al Ministro per l'agricoltura e foreste una discrezionalità assoluta nella materia demandatagli, senza dettare o precisare concetti e criteri direttivi, conferendogli un potere regolamentare, di competenza esclusiva del Capo dello Stato.

6. - Il Tribunale, con ordinanza 30 gennaio 1961, dopo avere riferito i termini delle questioni come sopra proposte dal Pio Istituto convenuto, affermava che, "quanto meno" sotto il primo profilo, la tesi non poteva ritenersi manifestamente infondata.

Al riguardo osservava il Tribunale che la legge impugnata, inserendosi nella disciplina delineata dagli artt. 1635 e 1636 del Codice civile per la regolamentazione delle riduzioni dei canoni di affitto per perdita dei frutti dovuta a caso fortuito, ed imponendo al giudice l'applicazione di una percentuale di riduzione predeterminata da apposito organo amministrativo, elimina praticamente ogni possibilità di svolgimento di una controversia al riguardo davanti al giudice stesso, giacché quest'ultimo può liberamente pronunciarsi solo riguardo a questioni accessorie, quali l'esatta posizione del fondo, la sua estensione ecc., mentre la parte più sostanziale della questione, cioé l'accertamento della sussistenza effettiva del danno, resta sottratta alla pronuncia del giudice.

Le determinazioni delle Commissioni, poi, sarebbero, altresì, sottratte ad ogni altro sindacato, giacché interferirebbero in materia di diritti soggettivi perfetti, esclusa dal controllo in sede di giurisdizione amministrativa così come ha ritenuto il Consiglio di Stato con la sentenza della VI Sezione, 11 maggio 1960, n. 338.

Resterebbe, pertanto, annullata, per il concedente, anche la facoltà, costituzionalmente sancita, di agire a tutela dei propri diritti, poiché non gli rimarrebbe alcuna via per provare l'eventuale erroneità dell'accertamento della Commissione, mentre all'affittuario, nei cui confronti é fatta salva la facoltà di avvalersi degli artt. 1635 e 1636 del Codice civile, resta aperto il ricorso al giudice per dimostrare l'esistenza di un maggiore danno.

Onde, secondo l'ordinanza, il meccanismo della legge impugnata sarebbe in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, per quanto riguarda la posizione del privato, e con l'art. 102 della Costituzione per quanto riguarda la funzione del giudice, limitata dalla pronuncia di un organo amministrativo.

Concludeva l'ordinanza affermando che, sotto questi profili, la questione sollevata dalla parte convenuta non poteva essere ritenuta manifestamente infondata, e rinviava, quindi, gli atti a questa Corte per la sua risoluzione in relazione agli artt. 3, 4 (recte 24), 101 e 102 della Costituzione.

L'ordinanza, notificata il 16 febbraio e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 70 del 18 marzo 1961.

7. - Si é costituito, dinanzi a questa Corte, il Pio Istituto di Santo Spirito, rappresentato e difeso dagli avvocati Gabriele Canevacci e Giorgio Zanchini, che hanno depositato le proprie deduzioni il 7 aprile 1961.

Rileva preliminarmente la difesa che l'ordinanza di rinvio, pur riferendo tutti i motivi di illegittimità costituzionale addotti dall'Istituto, avrebbe poi provveduto solo in ordine a quello attinente all'art. 2 della legge n. 921 del 1957. Rileva che a tale lacuna dovrebbe ovviarsi, nella ipotesi di accoglimento del detto motivo, a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, derivando l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 dallo stretto nesso logico e finalistico che lo lega con l'art. 2.

Ciò posto, la difesa del Pio Istituto, dopo aver richiamato i lavori preparatori della legge in esame, dai quali trasparirebbe l'inspiegabile fretta con cui il provvedimento venne adottato, senza tener conto del pregiudizio arrecato ai diritti dei proprietari dei fondi rustici affittati, osserva, con argomentazioni analoghe a quelle svolte dalla parte privata nella causa proveniente dal Tribunale di Perugia, che l'art. 2, vincolando il giudice all'accertamento della riduzione del canone effettuato dalla Commissione tecnica provinciale, impedirebbe l'esercizio del primario diritto-dovere del giudice stesso di giudicare liberamente sulle questioni sottopostegli.

Oltre a ciò , la disposizione impugnata verrebbe a porre il proprietario nella pratica condizione - come testualmente si afferma - di "cittadino di classe inferiore rispetto all'affittuario". Manifesta, pertanto, apparirebbe la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione.

E sarebbe, altresì, ravvisabile la violazione dell' art. 102 della Costituzione perché le Commissioni tecniche provinciali verrebbero istituite quali giudici speciali, mentre alle Sezioni specializzate verrebbe tolto l'esercizio di ogni effettiva funzione giurisdizionale.

La difesa del Pio Istituto passa, poi, ad illustrare anche gli altri aspetti di incostituzionalità dedotti nel giudizio di primo grado, criticando la latitudine dei poteri affidati al Ministro dall'art. 1, il quale avrebbe investito l'organo esecutivo di poteri riservati al legislatore e, comunque, di una vera e propria competenza regolamentare in materia, con violazione degli artt. 3, 42, 43, 44, 70, 76, 77 e 87 della Costituzione.

In subordine, nel caso di mancato accoglimento della questione sollevata con l'ordinanza di rinvio, osserva che dovrebbe prospettarsi "la necessità di esaminare se non debbano essere colmate le lacune dell'ordinanza di rinvio", per avere il Tribunale omesso di motivare in ordine alle altre questioni non sottoposte alla Corte. Ed in proposito richiama l'ordinanza n. 41 del 27 giugno 1958 della Corte costituzionale, la quale avrebbe affermato appunto la necessità di tale riesame in un caso analogo.

Conclude chiedendo dichiararsi l'illegittimità costituzionale della legge 10 ottobre 1957, n. 921, e, in subordine, rinviarsi gli atti alla Sezione specializzata perché provveda anche in ordine alle altre due questioni di legittimità come sopra proposte.

8. - Il Presidente del Consiglio dei Ministri si é costituito anche in questa seconda causa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha depositato le proprie deduzioni l'8 marzo 1961.

Osserva l'Avvocatura, pregiudizialmente, che l'ordinanza di rinvio ha rimesso alla Corte solo la questione concernente l'art. 2 della legge in esame; e poiché l'oggetto del giudizio di legittimità costituzionale é fissato, appunto, dall'ordinanza del giudice a quo la questione da risolvere dovrebbe essere solo quella concernente l'art. 2.

L'Avvocatura poi, quanto al merito, osserva che non potrebbe ravvisarsi contrasto fra la norma impugnata e l'art. 24 della Costituzione, perché, come già sostenuto nella causa proveniente dal Tribunale di Perugia, si deve escludere che sussista un diritto alla effettiva perequazione dei canoni, e, comunque, la norma stessa non esclude affatto il ricorso alle Sezioni specializzate, ma lo consente, sia pure nei limiti stabiliti dalla legge in questione 10 ottobre 1957, n. 921, e dalle altre leggi in vigore.

Quanto alla violazione dell'art. 3 della Costituzione, l'Avvocatura insiste nei motivi già svolti nelle difese relative alla causa promossa con ordinanza 30 novembre 1960 dal Tribunale di Perugia. Ed anche riguardo al preteso contrasto con gli artt. 101 e 102 della Costituzione, l'Avvocatura svolge considerazioni analoghe a quelle già esposte in occasione della causa predetta, circa la nessuna incidenza della norma impugnata sulla libertà ed indipendenza della Magistratura nell'esercizio della sua funzione giurisdizionale.

Conclude chiedendo dichiararsi che non sussiste l'assunta illegittimità costituzionale della legge 10 ottobre 1957, n. 921.

9. - La difesa del Tocchi Mario ed altri ha depositato, nei termini, una memoria illustrativa con cui, sviluppando le tesi già esposte, rileva che la legge impugnata avrebbe parificato nel trattamento le situazioni, sostanzialmente diverse, del piccolo e del grande affittuario, e non avrebbe considerato la particolare situazione del piccolo proprietario, coltivatore diretto, incorrendo così in una violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, simile a quella ravvisata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 53 del 1958 a riguardo della legge 20 dicembre 1956, n. 1422, concernente la riduzione dei canoni di affitto di fondi rustici corrisposti in canapa.

Nella stessa memoria poi, a sostegno della tesi concernente la lamentata violazione dell'art. 102 della Costituzione, si fa riferimento anche alle argomentazioni contenute nell'ordinanza di rinvio del Tribunale di Roma 30 gennaio 1961.

La difesa richiama altresì la sentenza delle Sezioni unite della Cassazione 15 dicembre 1960, che ha stabilito, fra l'altro, la obbligatorietà per le Sezioni specializzate delle determinazioni adottate dalle Commissioni tecniche ai sensi della legge impugnata, e ne pone in risalto il contrasto con le opinioni emerse nel corso dei lavori preparatori, tendenti ad escludere o limitare tale obbligatorietà.

Anche la difesa del Pio Istituto di Santo Spirito ha depositato una memoria nella quale preliminarmente si rileva che, pur avendo il dispositivo dell'ordinanza di rinvio del Tribunale di Roma omesso di fare riferimento ai profili di incostituzionalità relativi alla violazione degli artt. 25 e 104 della Costituzione, ciò dovrebbe considerarsi come una mera lacuna materiale, potendosi desumere dalla motivazione dell'ordinanza la non manifesta infondatezza dei profili stessi.

Nello sviluppare, poi, le argomentazioni già svolte, la difesa dell'Istituto insiste, fra l'altro, nell' affermare che la legge impugnata, contrariamente a quanto sostiene l'Avvocatura, sopprime sostanzialmente la specifica competenza delle Sezioni specializzate dei Tribunali per l'equo canone, incidendo gravemente sull'autonomia ed indipendenza della Magistratura.

10. - Anche l'Avvocatura ha tempestivamente presentato memorie illustrative in entrambe le cause, svolgendo ed ampliando le tesi già sostenute in precedenza e citando, quali precedenti legislativi analoghi alla legge impugnata, la legge 16 maggio 1956, n. 497, concernente la riduzione, a seguito di eventi meteorologici, dei canoni di affitto convenuti in olive, olio o prezzo equivalente, e la legge 23 dicembre 1955, n. 1309, concernente la riduzione, per motivi similari, dei canoni di affitto dei fondi adibiti a pascolo, cereali ed oliveto.

In particolare, poi, nella memoria relativa alla causa proveniente dal Tribunale di Roma, l'Avvocatura osserva che la obbligatorietà per le Sezioni specializzate delle determinazioni di merito delle Commissioni tecniche potrebbe, se mai, configurarsi come una forma di giurisdizione limitata alla legittimità, largamente ammessa nella nostra legislazione, escludendosi con ciò qualsiasi consistenza delle doglianze mosse contro la legge impugnata sotto il profilo della violazione dell'autonomia ed indipendenza della funzione giurisdizionale.

Ribadisce, infine, l'Avvocatura l'inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale non devolute all'esame della Corte con l'ordinanza di rinvio, e ne contesta, comunque, la fondatezza nel merito, affermando che l'art. 1 della legge in esame attribuisce al Ministro dell'agricoltura solo normali poteri amministrativi.

Anche l'Avvocatura insiste, quindi, nelle già prese conclusioni.  

Considerato in diritto 

1. - Le due cause, congiuntamente discusse, vanno riunite e decise con unica sentenza, data la identità delle questioni in esse dibattute.

2. - Occorre, innanzi tutto, precisare la estensione e i limiti della controversia, di fronte alle richieste dell'Avvocatura dello Stato che, riferendosi all'ordinanza del Tribunale di Perugia, tende a ridurre tali limiti, e a quelle della difesa del Pio Istituto di Santo Spirito che vorrebbe, invece, estenderli al di là delle specifiche questioni sottoposte a questa Corte con l'ordinanza del Tribunale di Roma.

L'Avvocatura dello Stato sostiene, infatti, nell'atto di intervento nel giudizio in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, che in base all'ordinanza del Tribunale di Perugia, 30 novembre I960, la controversia dovrebbe ritenersi limitata alla questione della legittimità costituzionale dell'art. 2 della legge 10 ottobre 1957, n. 921, in relazione all'art. 104 della Costituzione, salvo alla Corte la potestà di esaminare, qualora fosse ritenuta fondata l'impugnativa dell'art. 2, la legittimità costituzionale delle disposizioni legislative direttamente connesse con quella impugnata, a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87.

Si deve, in proposito, rilevare che l'ordinanza del Tribunale di Perugia ha inteso rimettere, ed ha in effetti rimesso, al giudizio della Corte tutte le questioni di legittimità sollevate dalla difesa del Tocchi Mario ed altri nel giudizio principale, e non già soltanto quella attinente alla legittimità dell'art. 2 della legge 10 ottobre 1957, sotto il profilo della violazione degli artt. 104 e 111 della Costituzione.

Ed invero l'ordinanza, dopo aver riferito sinteticamente i termini delle questioni di legittimità costituzionale prospettate nel giudizio principale, afferma, testualmente, che il giudizio stesso non può essere definito "indipendentemente dalla insorta questione", facendo, con ciò, chiaro riferimento al complesso dei motivi di illegittimità costituzionale addotti in quella sede. La specificazione successiva contenuta nell'ordinanza, relativa alla incostituzionalità dell'art. 2 della legge, non può, pertanto, interpretarsi come una limitazione della materia devoluta alla competenza della Corte costituzionale, ma solo come indicazione dell'orientamento del giudice a quo verso quell'aspetto della questione, che l'ordinanza medesima pone in maggiore evidenza, sottolineando la pretesa esclusione del potere del giudice di disapplicare gli atti determinativi delle percentuali di riduzione emessi dalle Commissioni tecniche provinciali, che risultassero eventualmente illegittimi.

3. - Riguardo, poi, alla causa proveniente dal Tribunale di Roma, giova rilevare che l'ordinanza di rinvio, 30 gennaio 1961, chiaramente puntualizza la questione da sottoporre al giudizio della Corte costituzionale, circoscrivendola alla pretesa violazione di principi costituzionali posta in essere dall'art. 2 della legge 10 ottobre 1957, quando impone al giudice di applicare una percentuale di riduzione del canone di affitto predeterminato dalle Commissioni tecniche provinciali.

La motivazione dell'ordinanza attiene solo ed esclusivamente a tale questione, di talché alla espressione conclusiva usata dal Tribunale "sotto questi profili, così considerati, la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla parte convenuta non può essere ritenuta manifestamente infondata" deve logicamente annettersi il significato di esclusione degli altri profili, non "considerati" nella parte motivata dell'ordinanza, anche se accennati nella parte narrativa per ragioni evidenti di completezza di esposizione.

E se nel dispositivo dell'ordinanza il Tribunale dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione della questione di legittimità "della legge 10 ottobre 1957, n. 921" e non del solo art. 2, non per questo può sostenersi che siano state rinviate all'esame della Corte anche le altre questioni, essendo lecito ritenere, in base alle riferite osservazioni circa l'interpretazione delle espressioni usate dal Tribunale, che la generica indicazione dell'intero testo legislativo, nel dispositivo, é ispirata non dal riferimento anche a motivi di illegittimità concernenti l'art. 1 oltre che l'art. 2, bensì dallo stretto nesso di interdipendenza logica prima facie rilevabile fra le disposizioni della legge, e quindi dalla ovvia estensione dell'eventuale vizio di illegittimità di una di esse a tutte le altre

4. - La difesa del Pio Istituto di Santo Spirito si dimostra ben consapevole di questa precisazione dell'oggetto del giudizio di costituzionalità quando formula due richieste, l'una che potrebbe considerarsi anche pregiudiziale, l'altra conseguenziale alla presunta dichiarazione di illegittimità dell'art. 2 della legge in esame.

Con la prima, ricordando che nel giudizio di merito furono sollevate, sotto il profilo della violazione di diverse disposizioni della Costituzione, varie questioni di legittimità costituzionale e non soltanto quella del ricordato art. 2, prospetta la necessità di rinvio degli atti al giudice a quo perché siano colmate le lacune che dovrebbero ravvisarsi nell'ordinanza di rinvio a questa Corte. Ma questa richiesta urta contro la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha stabilito il principio che l'oggetto del giudizio di legittimità costituzionale é delimitato dall'ordinanza di rinvio, con la quale il giudice, motivandone la rilevanza, rimette alla Corte la questione che ritiene sia indispensabile risolvere ai fini della decisione della controversia su cui é stato chiamato a decidere. La difesa del Pio Istituto, per avvalorare la sua richiesta, si richiama all'ordinanza di questa Corte 24 giugno 1958, n. 41; ma si tratta di un caso del tutto diverso, in cui la Corte, avendo rilevato una discordanza fra la motivazione e il dispositivo dell'ordinanza di rinvio, non poteva emanare la sua pronuncia per l'incertezza dell'oggetto del giudizio di costituzionalità, e ritenne perciò di dover provocare una precisazione dei termini della questione da parte del giudice a quo.

Con l'altra richiesta la difesa del Pio Istituto, sempre allo scopo di estendere la materia del presente giudizio di costituzionalità alle altre impugnative dedotte e non ammesse nella ordinanza dal giudice del merito, chiede che, conseguentemente all'accoglimento della questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 2 della legge in esame, la Corte, a norma dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, estenda il suo esame alla legittimità dell'art. 1 della legge, in quanto la illegittimità costituzionale anche di questo articolo deriverebbe dallo stretto nesso logico e finalistico che lo lega con l'art. 2. Ma é evidente che si tratta di una richiesta basata esclusivamente su di una mera ipotesi, quella della fondatezza della questione dedotta e conseguentemente della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma impugnata.

5. - Ciò posto e passando ad esaminare il merito, devesi osservare che, in entrambe le cause, due sono le questioni che la Corte costituzionale é chiamata a decidere: la violazione del principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione in conseguenza della disposizione contenuta nell'art. 2 della legge impugnata; la violazione della libertà e indipendenza della Magistratura nell'esercizio della sua funzione giurisdizionale, sempre in conseguenza della disposizione dell'art. 2 della legge e in riferimento agli artt. 101, 102, 104 e 111 della Costituzione.

É necessario premettere che la legge di cui si tratta, 10 ottobre 1957, n. 921, come é reso evidente dai lavori preparatori, risulta dalla unificazione di due proposte di legge che, sia pure con diverse modalità, avevano tutte e due lo scopo di ovviare alla situazione creatasi nelle campagne a danno degli affittuari, a seguito delle gravi avversità atmosferiche dell'annata 1956-57, ed erano ispirate alla considerazione che i detti affittuari, ritraendo i mezzi di sussistenza, nella quasi generalità dei casi, dalla terra tenuta in affitto, maggiormente risentirono della grave congiuntura economica. Il legislatore si indusse ad intervenire proprio in vista della eccezionalità ed imprevedibilità degli eventi meteorologici verificatisi, ritenendo, in quel caso, insufficienti le disposizioni del Codice civile, di cui agli artt. 1635 e 1636. Queste norme prevedono, per le affittanze della durata di un anno, riduzioni del canone non superiori alla metà nel solo caso di danno superiore alla metà dei frutti non separati provocato da caso fortuito, e per le affittanze pluriennali riduzioni nella stessa misura, nel solo caso di danno incidente per oltre la metà dei frutti di un anno, non compensato nel bilancio generale dell'affittanza. Onde mal si adeguavano alla necessità di creare un rimedio di pronta, efficace e generale applicazione, richiesto dalla gravità del sinistro abbattutosi su larga parte del territorio agricolo nazionale.

La legge in esame, perciò, con l'art. 1 autorizzò il Ministro dell'agricoltura e foreste a stabilire, con suo decreto, le Province in cui si fossero verificate, in tutto o in parte del loro territorio, eccezionali avversità atmosferiche o calamità naturali per l'annata agraria 1956-57, e demandò alle Commissioni tecniche provinciali, di cui all'art. 2 della legge 18 agosto 1948, n. 1140, il compito di determinare riduzioni dei canoni di affitto dei fondi rustici nella misura dal 20 al 40 per cento per ciascuna zona agricola danneggiata, a seconda dei danni subiti. Con l'art. 2 stabilì, poi, che i canoni di affitto dei fondi rustici danneggiati, compresi nelle Province determinate col decreto del Ministro, dovevano essere ridotti nella misura stabilita dalle Commissioni tecniche provinciali, e pose l'obbligo per le Sezioni specializzate dei Tribunali di applicare, in caso di controversia, la riduzione nella misura come sopra determinata dalle Commissioni tecniche. Con l'art. 3 stabilì ulteriori disposizioni in favore degli affittuari, facendo salvo l'eventuale loro diritto alla maggiore percentuale di riduzione prevista dagli artt. 1635 e 1636 del Codice civile, ed abilitando gli affittuari stessi a ripetere dal locatore la differenza tra il canone corrisposto e quello dovuto ai sensi dell'art. 2, entro un anno dalla determinazione della Commissione.

Il legislatore pose, pertanto, in essere, in base ad una valutazione economico - sociale della congiuntura, una particolare e temporanea disciplina dei canoni delle affittanze agricole in relazione agli eventi eccezionali dell'annata agraria 1956-57, tendente ad attenuare il disagio economico di una categoria di cittadini (affittuari) mediante la modifica di condizioni contrattuali in loro favore ed a carico di altra categoria di cittadini (concedenti).

Al fine di risolvere la prima questione di legittimità costituzionale sopra accennata, occorre dunque vedere se il legislatore, così facendo, abbia violato il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione.

6. - A siffatto quesito non può che darsi risposta negativa.

L'art. 3 della Costituzione é stato ormai più volte preso in esame da questa Corte che, con una elaborata e costante giurisprudenza, ha fondamentalmente ritenuto che il principio in tale articolo sancito vada inteso nel senso che dev'essere assicurato ad ognuno eguaglianza di trattamento quando siano ragionevolmente ritenute eguali le condizioni soggettive alle quali le norme giuridiche si riferiscono; ma non nel senso che il legislatore non possa stabilire trattamenti diversi per regolare situazioni che, nel suo apprezzamento discrezionale, ritenga diverse, in modo da adeguare la disciplina giuridica agli svariati aspetti della vita economica e sociale.

Ora é chiaro che la particolare disciplina dei canoni di affitto, tendente a riequilibrare la situazione economica compromessa nel settore delle affittanze agricole da eventi straordinari, sia pure mediante una disciplina differenziata nel senso anzidetto, é frutto proprio di un apprezzamento tipicamente discrezionale del legislatore, circa la diversità delle situazioni delle categorie stesse e l'opportunità di una correlativa diversità di trattamento.

Ed é appena il caso di notare che, come esattamente ha rilevato l'Avvocatura dello Stato, l'intento che animò il legislatore trova riscontro, oltre che nelle citate norme del Codice civile regolanti le riduzioni dei canoni di affitto, nel più generale principio sancito dall'art. 1467 dello stesso Codice, secondo cui, nel caso di eccessiva onerosità della prestazione contrattuale, sopravvenuta per eventi straordinari ed imprevedibili, é ammessa la risoluzione del contratto.

7. - Maggior fondamento non ha quel particolare aspetto di violazione del principio di eguaglianza derivante, a dire della difesa del Pio Istituto di Santo Spirito nella causa proveniente dal Tribunale di Roma, dalla forzata applicazione di eguali percentuali di riduzione del canone a situazioni di danno eventualmente disuguali, che sarebbe insito nel sistema della legge.

La critica potrebbe, se mai, attenere ad assunti difetti di applicazione della legge, ma non investe l'obbiettivo contenuto della disposizione, la quale non solo non prevede la lamentata eventualità, ma é, anzi, intesa ad evitarla, chiamando a fissare le percentuali di riduzioni, "secondo zone", quindi rispetto a limitate estensioni di terreni nelle singole Province colpite, ed "in relazione al danno subito", organi qualificati al massimo, come le Commissioni tecniche provinciali.

E del resto la Corte costituzionale, occupandosi di un caso analogo a quello in esame, ha già avuto occasione di pronunciarsi circa la legittimità costituzionale di una riduzione ex lege, per straordinari eventi meteorologici, dei canoni di affitto fissati con libera contrattazione, quando, con la sentenza n. 7 del 15 giugno 1956, ha riconosciuto che la riduzione dei canoni di affitto dei terreni da pascolo, disposta a seguito della siccità verificatasi in Sardegna nel 1948-49 dalla legge regionale 6 marzo 1950, era giustificata dalla necessità indilazionabile di ricomporre, soprattutto nei confronti delle famiglie dei pastori dell'isola, l'equilibrio essenziale dei fattori economici.

8. - Anche infondata é l'altra questione, che involge le censure di incostituzionalità riferite agli artt. 101, 102, 104 e 111 della Costituzione, censure che si possono ricondurre sotto il profilo della pretesa violazione della libertà e indipendenza della Magistratura nell'esercizio della funzione giurisdizionale.

Sostanzialmente si lamenta che l'obbligatorietà dell'applicazione della percentuale fissata dalle Commissioni finirebbe col porre le Sezioni specializzate dei Tribunali, organi giurisdizionali, in una posizione di dipendenza rispetto ad un organo amministrativo, riducendo l'ambito della libera pronunzia giurisdizionale alle eventuali questioni marginali, di contorno a quella veramente sostanziale in materia di riduzione del canone, cioè la fissazione concreta della misura della riduzione.

Ora le norme costituzionali, di cui si lamenta la violazione, garantiscono la libertà e l'indipendenza del giudice, nel senso di vincolare la sua attività alla legge e solo alla legge, in modo che egli sia chiamato ad applicarla senza interferenze od interventi al di fuori di essa, che possano incidere sulla formazione del suo libero convincimento; ma la Costituzione non esclude affatto la possibilità che il legislatore emani norme le quali, senza incidere su quei principi, valgano a regolare l'attività degli organi giurisdizionali, dettando disposizioni che il giudice é tenuto ad applicare nell'esercizio delle sue funzioni.

Non sembra, quindi, che possa essere sollevata questione di legittimità costituzionale sull'intervento del legislatore che determini in misura fissa la percentuale di riduzione di canoni di affitto: in tal senso si sono avuti ripetuti casi di intervento del legislatore, giustificati da particolari situazioni di congiuntura, sia per quanto riguarda i canoni di affitto dei fondi rustici, sia per quanto riguarda le case di abitazione e i negozi. Per le affittanze agrarie si é avuto un esempio recente nel caso della legge regionale sarda, innanzi ricordata, e ritenuta costituzionalmente legittima da questa Corte; mentre la riduzione coattiva del canone formava il necessario presupposto - sul quale, peraltro, non si era nemmeno discusso delle due sentenze di questa Corte n. 53 del 9 luglio 1958 e n. 16 del 17 marzo 1960, riguardanti le affittanze di fondi rustici con canone commisurato a canapa.

Ma la illegittimità la si vorrebbe riscontrare, nel caso in esame, per il fatto che la riduzione dei canoni non é stata stabilita dalla legge in misura fissa, ma entro certi limiti, devolvendo la determinazione della percentuale di riduzione alle Commissioni tecniche provinciali.

Bisogna tenere innanzi tutto presente che é la legge che contiene la norma fondamentale circa la riduzione, fissandola entro un determinato limite di massimo e di minimo. Alle Commissioni tecniche é dato soltanto il compito di stabilire la misura concreta della riduzione entro il massimo e il minimo di percentuale fissata dalla legge: il che vuol dire che il legislatore, anziché fissare una misura unica di percentuale applicabile, senza distinguere, in tutte le Province colpite dalle avversità atmosferiche di cui si tratta, e per tutte le zone, indiscriminatamente, entro le dette Province, ha voluto rendere più aderente l'applicazione della riduzione alla entità dei danni, zona per zona, secondo quel principio di eguaglianza - nel caso, eguaglianza del danno sopportato - innanzi accennato. E che il legislatore, posta la norma fondamentale, potesse devolvere ad organi amministrativi, quali le Commissioni tecniche provinciali, la determinazione concreta della riduzione, per ogni singola zona di coltura, ossia la fissazione da parte di questi organi, specialmente qualificati per la loro composizione e per la competenza in materia, di adeguate percentuali di riduzione, in relazione a quel danno, con carattere di generalità di applicazione, nella zona, e quindi con effetto normativo, non sembra dubbio. Ciò, infatti, risponde, nell'ordine giuridico e nella prassi amministrativa, ad una innegabile necessità. Basta ricordare i casi consimili delle disposizioni, emesse da organi amministrativi, ma aventi carattere normativo, per regolare i prezzi delle merci, delle forniture, di servizi, di prestazioni, per fissare determinati sconti, per le casse di conguaglio, ecc. (vedansi per tali casi, e in vario senso, le sentenze della Corte costituzionale 25 giugno 1957, n. 103; 6 dicembre 1960, n. 70). Attribuito, quindi, con l'art. 1 della legge l'anzidetto potere normativo alle Commissioni tecniche, secondo la competenza per Provincia e per zone, si rientra, per effetto della seguita concreta determinazione della percentuale di riduzione, nei casi precedentemente accennati in cui la legge, senza distinzione, determina, per tutto il territorio nazionale, la percentuale di riduzione. E non altrimenti di quanto avviene in questo caso, anche in quello in esame, il giudice non può non applicare la riduzione fissata, così come non può non applicare una qualsiasi altra norma, il che per nulla limita o menoma il suo potere di organo giudicante.

9. - Resta da esaminare l'eccezione di incostituzionalità della legge in esame riferita all'art. 24 della Costituzione, secondo l'ordinanza del Tribunale di Roma.

Quanto precedentemente si é detto esimerebbe, invero, dallo occuparsi in modo espresso di questa doglianza, giacché ad essa ben possono riferirsi le ragioni precedentemente esposte circa la assunta soppressione della tutela giurisdizionale dei diritti ed interessi, specialmente del concedente, che deriverebbe dalla obbligatorietà dell'applicazione della percentuale di riduzione determinata dalle Commissioni tecniche.

Deve osservarsi, al riguardo, che l'art. 24 della Costituzione stabilisce il principio secondo cui la legge ordinaria non può porre limiti alla tutela giurisdizionale a protezione di diritti o interessi legittimi.

Ma, nella specie, così come non vi é limitazione della "funzione" giurisdizionale, non vi é limitazione della "tutela" giurisdizionale.

Si é già detto, infatti, che l'applicazione obbligatoria delle percentuali di riduzione non incide sulla funzione giurisdizionale: per motivi analoghi deve dirsi che essa non interferisce col diritto di chiunque ad agire per ottenere la tutela giurisdizionale.

Invero, la garanzia costituzionale riguarda diritti ed interessi il cui ambito può essere delimitato dalla legge, salvo l'osservanza degli altri precetti costituzionali. Perciò, quando la legge dispone in materia di diritti o interessi, circoscrivendone più o meno ampiamente la sfera, come nel caso in esame, non ne comprime la garanzia giurisdizionale, ma si limita a determinare l'oggetto della garanzia stessa, a porre cioè una certa disciplina di un certo rapporto, in ordine al quale la tutela giurisdizionale resta libera ed impregiudicata.

E vale in proposito richiamare la sentenza n. 16 del 17 marzo 1960 di questa Corte, con la quale é stata respinta la questione di legittimità della legge 6 agosto 1958, n. 790, concernente la riduzione coattiva dei canoni di affitto di fondi rustici composti in canapa, sollevata sotto il profilo, appunto, della violazione dell'art. 24 della Costituzione, derivante dalla coattività della riduzione, che avrebbe impedito il ricorso al giudice per la tutela del diritto alla effettiva perequazione del canone e per ogni altra questione ad esso diritto collegata. La Corte in quell'occasione, dopo avere escluso che l'ordinamento riconosca la qualifica di diritto o interesse, in senso tecnico, alla pretesa di effettiva perequazione del canone, ed avere quindi, correlativamente, escluso la sussistenza di qualsiasi violazione dell'art. 24, che invece ai diritti ed interessi si riferisce, ha comunque rilevato che la legge stessa imponendo una riduzione compresa entro certi limiti, non sopprimeva la tutela giurisdizionale, ma la consentiva "con l'ovvia limitazione" che il ricorso poteva essere proposto ed accolto "nei limiti nei quali le leggi in vigore in questa materia ne consentano proponibilità e accoglimento" Così veniva ammesso il principio che, anche in riferimento all'art. 24 della Costituzione, la riduzione coattiva dei canoni di affitto non viola la garanzia della tutela giurisdizionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

pronunciando con unica sentenza sui due procedimenti riuniti indicati in epigrafe:

dichiara non fondate le questioni proposte con la ordinanza 30 novembre 1960 del Tribunale di Perugia e con l'ordinanza 30 gennaio 1961 del Tribunale di Roma, sulla legittimità costituzionale della legge 10 ottobre 1957, n. 921, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 102, 104 e 111 della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 1962.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 27 febbraio 1962