Sentenza n. 239 del 2021

SENTENZA N. 239

ANNO 2021

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giancarlo CORAGGIO

Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 453, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), promosso dal Collegio arbitrale presso la Camera arbitrale dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), nel procedimento vertente tra Centria srl e i Comuni di Figline e Incisa Valdarno, Cavriglia e Montevarchi, con ordinanza del 16 dicembre 2019, iscritta al n. 105 del registro ordinanze 2020 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2020.

Visti gli atti di costituzione di Centria srl e dei Comuni di Figline e Incisa Valdarno, di Cavriglia e di Montevarchi, nonché gli atti d’intervento del Presidente del Consiglio di ministri e del Comune di Urgnano, e quelli, fuori termine, dei Comuni di Inveruno, di San Giorgio su Legnano e altri e del Comune di Nerviano, della IGAS Imprese gas, della Assogas - Associazione nazionale industriali privati gas e servizi energetici, dell’Utilitalia - Federazione delle imprese ambientali, energetiche ed idriche, della società Sei - Servizi energetici integrati srl (già Tea Sei srl) e della 2i Rete Gas spa;

udito nell’udienza pubblica del 9 novembre 2021 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi l’avvocato Gianfranco Marchesi per il Comune di Urgnano, Andrea Manzi e Stefano Ferla per Centria srl, Giovanni Calugi per i Comuni di Figline e Incisa Valdarno, di Cavriglia e di Montevarchi e l’avvocato dello Stato Francesco Sclafani per il Presidente del Consiglio dei ministri;

deliberato nella camera di consiglio del 9 novembre 2021.

Ritenuto in fatto

1.– Il Collegio arbitrale presso la Camera arbitrale dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), con ordinanza del 16 dicembre 2019 (reg. ord. n. 105 del 2020), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 453, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019).

La disposizione censurata prevede che «[l]’articolo 14, comma 7, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, si interpreta nel senso che il gestore uscente resta obbligato al pagamento del canone di concessione previsto dal contratto. Le risorse derivanti dall’applicazione della presente disposizione concorrono al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti locali».

1.1.− Premette il rimettente che le questioni traggono origine dall’atto introduttivo di arbitrato del 23 febbraio 2018, promosso da Centria srl ai sensi della clausola compromissoria (da intendersi per arbitrato rituale) contenuta nell’art. 23 del contratto del 17 settembre 2002, stipulato con i Comuni di Montevarchi, di Cavriglia e di Figline e Incisa Valdarno, avente ad oggetto l’affidamento in concessione del servizio di distribuzione del gas naturale. La società concessionaria, in particolare, chiedeva in via principale di accertare di non dover riconoscere ai Comuni convenuti il canone di concessione previsto all’art. 6 del contratto dopo la scadenza (avvenuta il 30 settembre 2014) o, al più tardi, trascorso un anno dalla predetta scadenza. In via subordinata, la società chiedeva di accertare e dichiarare il diritto a vedersi rideterminato il canone di cui all’art. 6 del citato contratto, con decorrenza dalla scadenza o, al più tardi, con decorrenza da un anno oltre la scadenza e con riferimento alla fase di gestione ope legis del servizio ex art. 14, comma 7, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge17 maggio 1999, n. 144); ciò al fine di rispettare l’equilibrio economico-giuridico complessivo con gli enti locali convenuti, in coerenza con il regime gestionale ope legis, limitato alla ordinaria amministrazione, e con quanto stabilito, in aderenza ai principi generali e di settore, dall’art. 5, comma 5, del contratto tipo approvato con decreto del Ministro dello sviluppo economico 5 febbraio 2013 (Approvazione dello schema di contratto tipo relativo all’attività di distribuzione del gas naturale). Infine, ove fosse impossibile interpretare l’art. 1, comma 453, della legge n. 232 del 2016 in conformità al diritto comunitario e alle norme costituzionali, chiedeva altresì la disapplicazione di tale disposizione per illegittimità comunitaria e la rimessione della questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione.

La pretesa di Centria srl trovava la sua fonte nell’accordo contrattuale sottoscritto dalle parti in data 14 novembre 2014. Ai sensi dell’art. 3 di tale accordo, la società s’impegnava a continuare la gestione del pubblico servizio di distribuzione del gas nei territori comunali – come imposto dall’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000, secondo cui «il gestore uscente resta comunque obbligato a proseguire la gestione del servizio limitatamente all’ordinaria amministrazione, fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento» – adempiendo a tutti gli obblighi dell’impresa di distribuzione previsti dalla normativa di settore e mantenendo in essere le medesime obbligazioni e garanzie di cui alla concessione originaria. Il patto, intervenuto prima della censurata norma di interpretazione autentica, ne avrebbe anticipato il contenuto chiarificatore nell’ambito del rapporto tra le parti, essendo evidente che tra le medesime obbligazioni non potrebbe non rientrare il pagamento del canone originario pattuito.

Il patto contrattuale, pertanto, superava la durata annuale della proroga già prevista dal contratto di concessione all’art. 18, disciplinando il rapporto in termini espliciti anche sulla questione dubbia del canone, alle stesse condizioni dettate dal contratto originariamente stipulato (per il principio che la proroga deve necessariamente intervenire alle medesime condizioni originarie, per cui è richiamata la pronuncia del Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 5 marzo 2018, n. 1337).

1.2.− Secondo il Collegio arbitrale l’inequivocabile portata letterale della disposizione censurata impedirebbe di ritenere, come asserito da Centria srl, che la proroga ope legis non possa comunque eccedere un anno dalla scadenza del contratto. Sarebbero invece rilevanti e non manifestamente infondati i prospettati dubbi di legittimità costituzionale concernenti la durata potenzialmente illimitata della gestione ex lege del servizio, con particolare riferimento alla violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Dubbi riguardo a cui risulterebbe necessario sollevare la questione innanzi a questa Corte, poiché, come precisato dalla più recente giurisprudenza costituzionale, in caso di doppio contrasto di una disposizione nazionale con i principi costituzionali e con le norme di diritto europeo, la questione, sostiene il Collegio rimettente, «deve essere rimessa in primo ordine dinanzi alla Corte nazionale» (è richiamata la sentenza n. 269 del 2017).

La natura pattizia delle obbligazioni assunte da Centria srl, peraltro in epoca precedente di circa due anni rispetto all’entrata in vigore della disposizione di interpretazione autentica, renderebbe irrilevanti, ai fini della decisione circa la sussistenza dell’obbligo di corrispondere il canone per i primi cinque anni, le eccezioni d’illegittimità costituzionale mosse nei confronti dell’art. 1, comma 453, della legge n. 232 del 2016, assumendo invece rilevanza quanto al periodo successivo alla vigenza quinquennale dell’accordo del 14 novembre 2014.

1.3.− L’art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016, pertanto, contrasterebbe con i principi di ragionevolezza e di certezza del diritto, nonché di legittimo affidamento del gestore del servizio, alla luce della considerazione che l’impresa non avrebbe potuto prevedere di dover corrispondere il medesimo canone anche una volta scaduto il termine quinquennale di proroga pattizia.

1.3.1.− Con riferimento alla violazione del principio di ragionevolezza, che avrebbe assunto un connotato conformativo rispetto a ogni parametro costituzionale, la disposizione censurata sembrerebbe essere incongrua e inadeguata anche rispetto al fine che intenderebbe perseguire (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 43 del 1997), rinvenibile nella prosecuzione della gestione del servizio per il tempo strettamente necessario all’espletamento della nuova procedura ad evidenza pubblica.

Infatti, l’impresa resterebbe obbligata a un’illimitata gestione del servizio non più per sua scelta volontaria, ma per il protrarsi oltre ogni ragionevole previsione della situazione di stallo sul fronte delle nuove procedure di affidamento. La gestione ex lege risulterebbe, peraltro, espressamente limitata all’ordinaria amministrazione e come tale sarebbe, almeno potenzialmente, meno vantaggiosa per il gestore.

La dilatazione degli impegni assunti oltre il termine pattizio andrebbe ben al di là di quanto era possibile prevedere, non solo al momento di formulazione dell’offerta, ma anche al momento della sottoscrizione dell’accordo del 14 novembre 2014.

1.3.2.− In riferimento ai profili d’illegittimità costituzionale per violazione dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, rileverebbe anche la giurisprudenza di questa Corte sull’ammissibilità delle leggi d’interpretazione autentica, che possono dirsi costituzionalmente legittime soltanto qualora abbiano lo scopo di chiarire «situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto», o di «ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore [...] a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale» (viene richiamata la sentenza n. 78 del 2012). Tali disposizioni, tuttavia, devono rispettare una serie di limiti «attinenti alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, anche di altri fondamentali valori di civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza [...]; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (sentenza n. 209 del 2010)» (viene citata la sentenza n. 308 del 2013).

Secondo l’orientamento costante di questa Corte, prosegue il rimettente, non sarebbe decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia perciò retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva, quanto piuttosto accertare se la retroattività della legge «trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento e di certezza delle situazioni giuridiche, atteso che essa si limita ad assegnare alla disposizione interpretata un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario» (sono richiamate le sentenze n. 78 del 2012 e n. 93 del 2011). Con riferimento ai rapporti di durata, come quello oggetto del giudizio, la nuova disciplina dovrebbe essere valutata sotto il profilo della razionalità, in modo che non sia leso l’affidamento del privato nella certezza giuridica (è richiamata la sentenza n. 525 del 2000).

A ben vedere, l’art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016, nella parte in cui non prevede un termine di durata dello svolgimento del servizio, comporterebbe il rischio di una sua protrazione illimitata agli stessi patti e condizioni originari, che l’impresa avrebbe ritenuto di poter rispettare soltanto per un periodo limitato, ancorché da essa stessa consapevolmente prorogato per cinque anni.

La protrazione potenzialmente illimitata della proroga sarebbe appunto conseguenza dell’interpretazione autentica operata da una disposizione che, non prevedendo neppure, come talvolta accade, il richiamo alla formula del “termine ragionevole”, o della “ragionevole durata” per lo svolgimento ultrattivo del servizio, contrasterebbe con l’affidamento legittimo degli operatori economici e le esigenze di certezza dei rapporti giuridici.

1.3.3.− L’inerzia della pubblica amministrazione o comunque i ritardi e le inadempienze che non hanno consentito ancora di bandire la gara non potrebbero del resto ragionevolmente essere scaricati sull’imprenditore aggiudicatario del servizio in una epoca diversa e con condizioni diverse, né tantomeno sugli operatori economici che, nonostante sia ormai decorso il termine quinquennale di proroga, attendono l’indizione di una nuova procedura di gara per l’affidamento del servizio.

Sotto questo ultimo profilo, la disposizione censurata sembrerebbe porsi in contrasto anche con l’art. 97 Cost., in tema di buon andamento nell’organizzazione e nell’attività amministrativa.

2.− Con atto depositato il 5 ottobre 2021 si è costituita in giudizio la società Centria srl, chiedendo – ove ritenuta non praticabile un’interpretazione costituzionalmente orientata che escluda la proroga automatica sine die del canone previsto nel contratto scaduto – la declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 453, della legge n. 232 del 2016.

2.1.− Secondo la difesa della parte privata tale disposizione, in primo luogo, lederebbe l’art. 3, primo comma, Cost., ai sensi del costante orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui è costituzionalmente illegittima la norma di interpretazione autentica che in realtà attribuisce alla disposizione interpretata elementi a essa estranei, non assegnandole un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 15 del 2012 e n. 234 del 2007).

L’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000, oggetto dell’asserita norma d’interpretazione autentica, infatti, mirerebbe a escludere, ovvero a ridurre al minimo, la durata della fase che intercorre tra la scadenza naturale della concessione e la decorrenza del nuovo affidamento, prevedendo anche l’intervento sostitutivo regionale. Lungi dal legittimare una proroga della concessione (e del canone ivi previsto), dunque, esso presupporrebbe l’intervenuta scadenza della concessione stessa. Per tale ragione, il contratto di concessione non sarebbe più applicabile e il legislatore avrebbe previsto una disciplina di contenuto minimo al fine di garantire la continuità del servizio, nell’ipotesi straordinaria che l’ente concedente non faccia in tempo a insediare il nuovo concessionario prima della scadenza del precedente affidamento.

Ritenere tale disposizione, così come interpretata dalla disposizione censurata, quale recante una proroga ex lege della concessione sino al nuovo affidamento equivarrebbe a sposare una tesi ermeneutica estranea rispetto all’ambito dei possibili significati della disposizione, sovvertendone, anzi, l’impianto logico.

2.2.− In secondo luogo, alla disposizione oggetto d’interpretazione autentica sarebbe attribuito un significato incompatibile con il diritto comunitario, con riferimento agli artt. 49, 56 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, lesivo, pertanto, dell’art. 117, primo comma, Cost.

La proroga di una concessione scaduta equivarrebbe, infatti, a nuovo affidamento senza gara (è richiamata Consiglio di Stato, sezione quinta, decisione 8 luglio 2008, n. 3391), in contrasto con i principi di diritto comunitario (è richiamata la seguente giurisprudenza comunitaria: Corte di giustizia delle Comunità europee, sezione sesta, sentenza 7 dicembre 2000, in causa C-324/98 e, con riferimento specifico al settore della distribuzione del gas naturale, Corte di giustizia delle Comunità europee, sezione seconda, sentenza 17 luglio 2008, in causa C-347/06), ormai pienamente recepiti anche nell’ordinamento interno (nel settore in esame proprio dall’art. 14 del d.lgs. n. 164 del 2000).

Come inoltre affermato dalla giurisprudenza ammnistrativa, la proroga dei contratti pubblici sarebbe compatibile con il diritto euro-unitario solo in due ben circoscritte ipotesi (si richiama la pronuncia del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione II-quater, sentenza 4 settembre 2017, n. 9531): quando la relativa clausola venga già inserita nel bando quale opzione da esercitarsi da parte della stazione appaltante in favore dell’operatore economico aggiudicatario della selezione, alle condizioni fissate fin dall’inizio nella lex specialis di gara (proroga “tecnica”); o se, una volta scaduta l’efficacia di un contratto e avviate concretamente e formalmente le procedure per l’espletamento della nuova selezione pubblica, si renda necessario garantire la prosecuzione del servizio o della fornitura per tutto il tempo utile al completamento delle procedure selettive e alla stipula del nuovo contratto con il nuovo affidatario (proroga “ponte”).

Nel caso specifico la norma sub iudice legittimerebbe, invece, una proroga di durata indeterminata, che opererebbe a prescindere dalla previsione contrattuale di una proroga tecnica e dal fatto che la gara risulti già indetta alla scadenza.

2.3.− Altresì violati sarebbero i principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, rilevanti, oltre che sotto il profilo comunitario, anche in riferimento agli artt. 3 e 41 Cost., specie in relazione al sindacato di ragionevolezza a cui sono soggette le leggi retroattive (ex multis, sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 132 del 2016, n. 150 e n. 146 del 2015, n 170 del 2013, n. 264 del 2012, n. 302 del 2010, n. 236 del 2009, n. 390 del 1995 e n. 822 del 1988).

L’art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016, ove interpretato nel senso della proroga automatica dello stesso canone previsto dal contratto scaduto, sarebbe chiaramente lesivo dei suddetti principi.

Infatti, al momento della formulazione della sua offerta di canone, la società non avrebbe potuto certamente prevedere di dover pagare quello stesso canone per altri anni dopo la scadenza della concessione, a fronte di una gestione obbligatoria del servizio indipendente dalla sua volontà e che, essendo limitata all’ordinaria amministrazione, sarebbe caratterizzata da condizioni economiche più svantaggiose.

Non sarebbe ammissibile che una norma del 2016, sotto le spoglie di norma di interpretazione autentica, abbia dilatato gli impegni assunti in gara dal distributore uscente, ben al di là di quanto ragionevole prevedere al momento della formulazione dell’offerta (sul punto si richiama la pronuncia del Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 5 dicembre 2017, n. 5736).

2.4.− La disposizione censurata violerebbe anche gli artt. 3, primo comma, 41, primo comma, 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 16 e 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, all’art. 6 del Trattato sull’Unione europea (TUE), firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009, e ai già ricordati artt. 49, 56 e 106 TFUE.

La norma de qua, infatti, imporrebbe forzosamente al concessionario non solo di continuare a gestire il servizio, ma anche di pagare, in modo automatico, lo stesso canone previsto da un contratto scaduto anche per tutto il periodo indefinito, successivo alla scadenza e precedente il nuovo affidamento del servizio; obbligo, questo, chiaramente aggiuntivo e non previsto dalla norma originaria, che si porrebbe in contrasto con i suddetti parametri di legittimità costituzionale e comunitaria.

Ciò sarebbe causa di gestioni potenzialmente in perdita, con inaccettabili rischi per la regolarità, la sicurezza e la qualità del pubblico servizio; nessuno garantirebbe, infatti, che il piano economico-finanziario alla base dell’offerta, in equilibrio alla data di scadenza prevista nel contratto, continui a esserlo anche per il periodo successivo (neppure contemplato nel piano stesso), allorché resterebbero invariati costi per il gestore (in termini di corrispettivo da versare al Comune), mentre diminuirebbe la redditività della gestione, limitata all’ordinaria amministrazione.

Pertanto, la disposizione censurata non inciderebbe su rapporti contrattuali nel ragionevole perseguimento di un interesse pubblico meritevole di tutela, ma, alterando il significato della norma interpretata, produrrebbe uno squilibro incontrollato nei rapporti tra concedente e concessionario.

2.5.− Da ultimo, sussisterebbe una violazione anche del principio del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione ex art. 97 Cost.

Se le amministrazioni comunali avessero il diritto di continuare a pretendere sine die lo stesso canone previsto dalle concessioni scadute, infatti, esse perderebbero qualunque interesse a svolgere rapidamente le procedure di gara, in tutti i casi nei quali il corrispettivo massimo che potrebbero ottenere fosse inferiore rispetto a quello derivante dal contratto scaduto.

Nel caso specifico, il canone preteso dai Comuni in forza del contratto scaduto sarebbe significativamente superiore al canone massimo ottenibile successivamente alla gara ai sensi del contratto-tipo approvato con il d.m. 5 febbraio 2013.

La norma in questione, quindi, paradossalmente incentiverebbe i Comuni a ritardare le gare, a fortiori in considerazione del fatto che sarebbero state cancellate le sanzioni in prima battuta previste in caso di superamento dei termini per le gare medesime, di cui all’art. 4, comma 5, del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98, successivamente abrogato.

3.− Con atto depositato il 4 agosto 2020 si sono costituiti in giudizio i Comuni di Figline e Incisa Valdarno, di Cavriglia e di Montevarchi, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate.

3.1.− I Comuni costituiti premettono che, con concessione del 17 settembre 2002, avevano affidato a Coingas spa, a cui è successivamente subentrata Centria srl, la gestione del servizio pubblico di distribuzione del gas.

L’art 18 del contratto di concessione stabilisce che, alla scadenza dell’affidamento, su richiesta dell’affidante, l’esercente è comunque tenuto a proseguire la gestione del servizio alle medesime condizioni, fino a che l’affidante stesso non sia in grado di provvedervi direttamente o a mezzo di altra impresa e comunque per un periodo non superiore a un anno. Dopo la scadenza, il rapporto è continuato in forza del comma 7 dell’art. 14 del d.lgs. n. 164 del 2000, ma la gara non è stata bandita, non essendo stati individuati gli ambiti territoriali minimi ai sensi dell’art. 46-bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito, con modificazioni, in legge 29 novembre 2007, n. 222. Con l’accordo del 14 novembre 2014 Comuni e Centria srl hanno così disciplinato i reciproci rapporti nella fase intercorrente tra la scadenza della concessione e il nuovo affidamento, prevedendo la prosecuzione della gestione per cinque anni alle medesime obbligazioni e garanzie indicate nella concessione originaria.

Successivamente il concessionario sarebbe rimasto inadempiente all’obbligo di pagare la quota variabile del canone per il 2016 e l’intero corrispettivo per il 2017, non fornendo altresì i dati per il calcolo della quota variabile del canone relativo al 2017 e al 2018.

3.2.− Le questioni di legittimità costituzionale sarebbero, in via preliminare, inammissibili.

3.2.1.− In primo luogo, nel giudizio a quo non si discuterebbe dell’obbligo di Centria srl di continuare la gestione del servizio dopo la scadenza della concessione, non avendo il concessionario contestato tale obbligo, mentre l’unica pretesa azionata in giudizio sarebbe quella di non dover corrispondere il canone previsto nel contratto.

La soluzione delle questioni, pertanto, non inciderebbe sull’esito del giudizio a quo, ma metterebbe a disposizione della società concessionaria un bene della vita (la liberazione dal rapporto concessorio) che la controparte non avrebbe domandato.

Da qui l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza.

3.2.2.− In secondo luogo, le questioni sarebbero inammissibili per inesatta individuazione della norma censurata.

Se la norma d’interpretazione autentica recata dal comma 453 dell’art. l della legge n. 232 del 2016 venisse eliminata dall’ordinamento, infatti, rimarrebbe vigente l’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000 e, quindi, il concessionario dovrebbe comunque continuare ad assicurare la gestione del servizio pubblico e a corrispondere il canone previsto nel contratto.

3.2.3.− Le questioni sarebbero inammissibili anche per difetto di motivazione.

Il Collegio arbitrale, infatti, si sarebbe limitato a richiamare i condivisibili principi espressi dalla giurisprudenza costituzionale in punto di ragionevolezza della norma, certezza del diritto e tutela del legittimo affidamento, ma avrebbe argomentato in modo generico e astratto la loro asserita violazione da parte della disposizione censurata.

L’ordinanza di rimessione, infatti, non conterrebbe alcun concreto riferimento alle asserite conseguenze negative che Centria srl subirebbe a causa dell’adempimento dell’obbligo di pagare il corrispettivo previsto nel contratto scaduto, anche durante il periodo di gestione ope legis, e mancherebbe qualsiasi valutazione in ordine alla convenienza per la società concessionaria, sotto il profilo economico e finanziario, di continuare la gestione alle stesse condizioni.

3.3.− Le questioni sarebbero, in ogni caso, non fondate.

3.3.1.− L’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000 è in vigore dal 21 giugno 2000. Quando i Comuni hanno sottoscritto il contratto del 2002 con il concessionario, quest’ultimo sarebbe stato, quindi, pienamente consapevole di essere tenuto a proseguire nella gestione del servizio dopo la scadenza del rapporto, fino al subentro del nuovo concessionario.

Un essenziale servizio pubblico, qual è quello della distribuzione del gas, d’altronde, non potrebbe essere interrotto; la previsione normativa in questione, pertanto, tutelerebbe l’interesse della collettività e non pregiudicherebbe quello del concessionario.

L’art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016 sarebbe così una vera norma di interpretazione autentica, limitandosi a confermare che la portata generale dell’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000 comprende l’obbligo di pagamento del canone di concessione previsto dal contratto.

Com’è noto, una legge d’interpretazione autentica non può dirsi costituzionalmente illegittima qualora si limiti ad assegnare alla disposizione interpretata un significato già in essa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (ex plurimis, sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 271 e n. 257 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 24 del 2009). In tal caso, infatti, la legge interpretativa ha lo scopo di chiarire «situazion[i] di oggettiva incertezza del dato normativo», in ragione di «un dibattito giurisprudenziale irrisolto» o di «ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore» (così la sentenza n. 311 del 2009), «a tutela della certezza del diritto e dell’eguaglianza dei cittadini, cioè di principi di preminente interesse costituzionale» (è richiamata la sentenza n. 78 del 2012). Dunque, quando il legislatore assegna alle disposizioni interpretate un significato in esse già contenuto, riconoscibile come una delle loro possibili varianti di senso, ciò influisce sul positivo apprezzamento, sia della ragionevolezza della norma d’interpretazione autentica, sia sulla non configurabilità di una lesione dell’affidamento dei soggetti destinatari (si richiama la sentenza n. 73 del 2017).

La disposizione censurata non solo non introdurrebbe nell’ordinamento una nuova previsione, ma neppure inciderebbe negativamente sul sinallagma del rapporto concessorio.

Non a caso, già prima della norma di interpretazione autentica, l’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico - AEEGSI (oggi Autorità di regolazione per energia reti e ambiente - ARERA), nel comunicato del 19 maggio 2016 (Chiarimenti in relazione alla sussistenza dell'obbligo di pagamento del canone per il servizio di distribuzione del gas naturale da parte del concessionario del servizio nel periodo di prosecuzione del servizio), aveva affermato l’applicazione delle regole previgenti in relazione al rapporto tra gestore e utenti nel periodo di prosecuzione.

3.3.2.− Per quanto concerne l’asserita violazione dell’art. 97 Cost., le censure sarebbero generiche e non coinvolgerebbero il contenuto della norma censurata, ma il ritardo della pubblica amministrazione nell’avvio delle nuove gare.

Dovrebbe altresì considerarsi che il citato art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000 prevede che, qualora l’ente locale non provveda a indire una nuova gara, la Regione, anche attraverso la nomina di un commissario ad acta, avvia la procedura di gara. Centria srl non si sarebbe avvalsa di tale facoltà, in maniera coerente, si sostiene, con il suo interesse a continuare la gestione del servizio.

4.− Con atto depositato il 24 settembre 2020 è intervenuto nel presente giudizio il Comune di Urgnano, argomentando l’inammissibilità o comunque la non fondatezza delle questioni.

4.1.− In punto di ammissibilità dell’intervento il Comune sottolinea di aver stipulato con la società 2i rete Gas spa un contratto-convenzione di durata trentennale, su cui sono sorti contrasti interpretativi in merito alle obbligazioni facenti capo alle parti a seguito della normativa introdotta con l’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000, con particolare riferimento all’obbligo per il concessionario di corrispondere il canone convenuto anche per il periodo successivo al 31 dicembre 2012, data da cui ha avuto inizio il periodo di prorogatio ex lege della concessione. Su tale contenzioso si sono pronunciati il Tribunale ordinario di Bergamo, con la sentenza 22 febbraio 2017, n. 452, e la Corte d’appello di Brescia, con la sentenza 28 aprile 2020, n. 402, confermando la sussistenza dell’obbligo di pagare il canone e rigettando l’eccezione d’illegittimità costituzionale dell’art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016. Tale eccezione, nondimeno, è stata riproposta innanzi alla Corte di cassazione, ove pende il giudizio.

Sussisterebbe, pertanto, un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato il rapporto dedotto in giudizio tale da rendere ammissibile l’intervento, potendo l’ente locale essere pregiudicato da un’eventuale declaratoria d’illegittimità costituzionale nell’ambito del giudizio radicatosi avanti la Corte di cassazione.

5.− Con atto depositato il 5 ottobre 2020 è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque non fondate.

5.1.− In primo luogo, le questioni sarebbero inammissibili sotto un duplice profilo, concernente il difetto di motivazione sulla rilevanza.

5.1.1.− Nella specie, non sarebbero chiare le ragioni che renderebbero rilevanti le questioni nonostante il giudizio riguardi un’obbligazione di fonte negoziale prevista dalle parti ben due anni prima dell’entrata in vigore della norma interpretativa.

Il generico riferimento a un non meglio precisato periodo di cinque anni di proroga negoziale non consentirebbe di verificare la correttezza del suddetto ragionamento, perché il Collegio arbitrale non indicherebbe né la data di decorrenza, né quella di scadenza della proroga negoziale del contratto, né infine preciserebbe il periodo temporale oggetto della richiesta di pagamento del canone avanzata dai Comuni. Tale elemento sarebbe essenziale ai fini della rilevanza, perché il giudizio a quo riguarderebbe l’azione di accertamento negativo di un credito, che sarebbe ammissibile sotto il profilo dell’interesse ad agire solo nei limiti in cui coincide con l’altrui rivendicazione del credito oggetto di contestazione, non potendo tale azione essere proposta per uno scopo meramente astratto e preventivo.

Il fatto che la società istante abbia chiesto l’accertamento negativo anche con riguardo al tempo successivo al periodo della proroga pattizia non basterebbe per affermare la rilevanza delle questioni, perché non sarebbe dato sapere se tale domanda di accertamento corrisponda a una rivendicazione per il medesimo periodo.

5.1.2.− Ulteriore profilo di inammissibilità deriverebbe da una non corretta lettura della citata sentenza n. 269 del 2017. Ivi, infatti, sarebbe stata affermata la prevalenza della pregiudiziale costituzionale su quella eurounitaria, delineandosi solo un’eccezione ai principi consolidati a partire dalla sentenza n. 170 del 1984, nell’ipotesi in cui il contrasto della norma nazionale con il diritto eurounitario si sostanzi nella lesione dei diritti garantiti nella CDFUE, che intersecano in larga misura i diritti enunciati nella Costituzione italiana, facendo così sorgere la necessità di un intervento erga omnes di questa Corte.

Nella fattispecie, il rimettente da un lato non spenderebbe nessuna considerazione in merito alla violazione di un diritto previsto dalla CDFUE; dall’altro non compirebbe alcuna delibazione per valutare l’applicabilità della norma censurata nel giudizio posto al suo esame, nonostante la parte abbia eccepito la sua contrarietà col diritto dell’Unione europea e ne abbia chiesto la disapplicazione.

Pertanto, ricorrerebbe la stessa situazione che ha indotto la citata sentenza n. 269 del 2017 a dichiarare inammissibili le questioni per difetto di motivazione sulla rilevanza.

5.2.− Le questioni sarebbero in ogni caso non fondate.

5.2.1.− L’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000, oggetto d’interpretazione autentica, sarebbe formulato in modo tale da non consentire la protrazione a tempo indeterminato del rapporto concessorio, perché non solo porrebbe una precisa cadenza temporale obbligatoria per l’avvio della procedura di gara, ma contemplerebbe un’esecuzione in forma specifica di tale obbligo attraverso l’intervento della Regione, anche con la nomina di un commissario ad acta, per rimediare all’eventuale inerzia degli enti locali. Qualora il suddetto rimedio non dovesse andare a buon fine, il gestore in prorogatio non sarebbe tenuto a continuare a pagare il canone originario e ben potrebbe ottenere lo scioglimento dal vincolo contrattuale, oltre al risarcimento del danno subito in conseguenza dell’inerzia della pubblica amministrazione nella conclusione della nuova gara.

Si tratterebbe, quindi, di una disposizione che non solo non prevedrebbe una proroga a tempo indeterminato degli impegni contrattuali, ma neppure la consentirebbe, sancendo un preciso obbligo a carico degli enti locali di non procrastinare la prorogatio sine die e apprestando un rimedio stringente per garantirne l’adempimento.

Il giudice rimettente non avrebbe tenuto minimamente conto di tale disciplina della successione nella gestione del servizio, la quale corrisponderebbe a una scelta legislativa del tutto ragionevole, che si collocherebbe in un punto di equilibrio tra l’interesse pubblico alla continuità del servizio di distribuzione del gas e l’interesse del gestore uscente a non subire un’illimitata prorogatio dei suoi obblighi contrattuali.

6.− Sono stati depositati ulteriori atti d’intervento, tuttavia oltre il termine previsto dall’art. 4, comma 4, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, pari a venti giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza di rimessione, avvenuta nella Gazzetta Ufficiale del 9 settembre 2020, n. 37.

6.1.− In particolare, con atto depositato il 30 aprile 2021, sono intervenuti in giudizio, ad opponendum, i Comuni di Inveruno di San Giorgio su Legnano, di Bernate Ticino, di Cuggiono, di Marcallo con Casone, di Busto Garolfo, di Peschiera Borromeo e il Comune di Nerviano.

6.2.− Con atti depositati rispettivamente il 18 e il 19 ottobre 2021, inoltre, sono intervenute in giudizio, ad adiuvandum, l’IGAS Imprese gas, l’Assogas - Associazione nazionale industriali privati gas e servizi energetici, l’Utilitalia - Federazione delle imprese ambientali, energetiche ed idriche, la società Sei - Servizi energetici integrati srl (già Tea Sei srl) e la società 2i rete GAS spa.

7.− In prossimità dell’udienza sono state depositate numerose memorie.

7.1.− In primo luogo, l’Avvocatura generale dello Stato insiste sull’eccezione d’inammissibilità per aberratio ictus, in quanto le censure avrebbero dovuto essere rivolte contro la norma oggetto di interpretazione autentica (l’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000) e non contro la norma interpretativa (l’art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016).

7.1.1.− Nel merito, lo Stato sottolinea che, come più volte affermato da questa Corte (sono richiamate le sentenze n. 103 del 2013, n. 74 del 2008, n. 234 del 2007, n. 274 del 2006, n. 282 del 2005, n. 374 e n. 29 del 2002, n. 525 del 2000, n. 229 del 1999 e n. 397 del 1994), sarebbe sostanzialmente sotto il profilo della ragionevolezza che bisognerebbe valutare l’idoneità di una norma a disciplinare anche situazioni pregresse.

L’obbligo di pagamento del canone di concessione da parte del gestore del servizio risponderebbe proprio a un criterio di ragionevolezza, che consisterebbe nel conservare, anche durante il periodo di proroga, il preesistente rapporto sinallagmatico voluto dalle parti, considerato che anche in tale periodo il gestore uscente continuerebbe a percepire gli introiti contrattualmente previsti e quindi non vi sarebbe ragione di modificare i rapporti economici tra le parti a tutto vantaggio dell’impresa.

Né ci si troverebbe innanzi a una proroga potenzialmente illimitata, in quanto la norma oggetto di interpretazione autentica porrebbe una perentoria cadenza temporale per l’avvio della procedura di gara, il cui rispetto sarebbe garantito da una sorta di esecuzione in forma specifica di tale obbligo, attraverso l’intervento della Regione, anche con la nomina di un commissario ad acta, per rimediare all’eventuale inerzia degli enti locali.

Si tratterebbe, quindi, di una scelta legislativa che bilancerebbe in modo equilibrato e ragionevole l’interesse pubblico alla continuità di un servizio essenziale per la collettività e l’interesse imprenditoriale del gestore uscente.

7.2.− In secondo luogo, il Comune di Urgnano ha depositato una memoria ribadendo la propria legittimazione a intervenire nel giudizio, nonché le ragioni d’inammissibilità e non fondatezza delle questioni.

7.3.− I Comuni di Montevarchi, di Cavriglia e di Figline e Incisa Valdarno, nelle proprie memorie, ricostruiscono in modo più dettagliato il quadro normativo.

7.3.1.− Ai sensi dell’art. 46-bis, comma 2, del d.l. n. 159 del 2007, come convertito, le gare per l’affidamento del servizio devono avvenire per ambiti territoriali minimi (Atem), individuati dai Ministri dello sviluppo economico e per gli affari regionali e le autonomie locali, su proposta dell’AEEGSI e sentita la Conferenza unificata.

Sono così stati individuati dall’art. 1 del decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i rapporti con le Regioni e la coesione territoriale, 19 gennaio 2011 (Determinazione degli ambiti territoriali nel settore della distribuzione del gas naturale) 177 Atem e l’art. 1 del decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i rapporti con le Regioni e la coesione territoriale, 18 ottobre 2011 (Determinazione dei Comuni appartenenti a ciascun ambito territoriale del settore della distribuzione del gas naturale) ha inserito i Comuni di Montevarchi e di Cavriglia nell’Atem Arezzo e il Comune di Figline e Incisa Valdarno nell’Atem Firenze 2.

Il decreto del Ministro dello sviluppo economico 12 novembre 2011, n. 226 (Regolamento per i criteri di gara e per la valutazione dell’offerta per l’affidamento del servizio della distribuzione del gas naturale, in attuazione dell’articolo 46-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222) ha poi stabilito le modalità d’individuazione, per ciascun Atem, del soggetto incaricato, quale stazione appaltante, di predisporre gli atti di gara, compresa la sua aggiudicazione, sulla base di criteri nuovi ed uniformi per l’intero territorio nazionale.

L’art. 24, comma 4, ultimo periodo, del decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93 (Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE), inoltre, ha escluso la selezione del gestore a livello comunale, stabilendo che le gare possono essere effettuate unicamente per ambiti territoriali.

I termini entro i quali gli Atem Arezzo e Firenze 2 avrebbero dovuto pubblicare il bando di gara sono stati poi prorogati dal legislatore, prima dall’art. l, comma 16, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 (Interventi urgenti di avvio del piano “Destinazione Italia”, per il contenimento delle tariffe elettriche e del gas, per l’internazionalizzazione, lo sviluppo e la digitalizzazione delle imprese, nonché misure per la realizzazione di opere pubbliche ed EXPO 2015), convertito, con modificazioni, in legge 21 febbraio 2014, n. 9, poi dall’art. 3 del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, in legge 25 febbraio 2016, n. 21, e sono successivamente scaduti.

Con il comma 2 dell’art. 4 del d.l. n. 69 del 2013, come convertito, – modificato dall’art. 3, comma 2-ter, lettera a), del d.l. n. 210 del 2015, come convertito – il legislatore ha stabilito che i termini fissati dal d.m. n. 226 del 2011 per l’avvio delle procedure di gara hanno natura perentoria. Scaduti tali termini, la Regione competente sull’ambito assegna ulteriori sei mesi per adempiere, decorsi i quali avvia la procedura di gara attraverso la nomina di un commissario ad acta. Decorsi due mesi dalla scadenza di tale ultimo termine senza che la Regione competente abbia proceduto alla nomina del commissario, il Ministro dello sviluppo economico, sentita la stessa Regione, interviene per dare avvio alla gara nominando un commissario ad acta.

A seguito di tale evoluzione del quadro normativo, alcuni dei concessionari in regime di proroga ex lege ai sensi dell’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000 hanno avviato iniziative giudiziarie, pretendendo di essere liberati dall’obbligo di pagare il canone previsto dai contratti scaduti.

Vista la non uniformità della giurisprudenza sul punto, è intervenuto l’art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016, oggetto di censura, chiarendo la necessità di corrispondere il canone previsto dal contratto anche nella fase di transizione al nuovo affidamento.

7.3.2.− Ciò premesso, la memoria ribadisce l’inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza, poiché la disposizione censurata non inciderebbe sulla durata della proroga del rapporto e, pertanto, se anche fosse eliminata dall’ordinamento, rimarrebbe vigente l’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000 (tra le altre, sono richiamate: Corte d’appello di Brescia, sentenza n. 402 del 2020, e Corte d’appello di Milano, sezione prima, sentenza 18 giugno 2019, n. 2695).

Ulteriore ragione d’inammissibilità deriverebbe dalla insufficienza della motivazione dell’ordinanza di rimessione, non venendo argomentate le conseguenze negative che la gestione ex lege determinerebbe sul concessionario, né si terrebbe conto della disciplina dei rimedi a disposizione del gestore uscente per superare l’inerzia dell’amministrazione nell’individuazione del nuovo concessionario.

7.3.3.− Nel merito le questioni sarebbero in ogni caso non fondate.

7.3.3.1.− La disposizione censurata avrebbe, infatti, natura interpretativa secondo quanto statuito da costante giurisprudenza costituzionale (sono richiamate le sentenze n. 39 del 2021, n. 108 del 2019, n. 73 del 2017 e n. 170 del 2008), confermando anche quelle posizioni della giurisprudenza di merito, antecedenti all’art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016, secondo cui l’art. 14, comma 7, del d.l.gs. n. 164 del 2000 comporterebbe nella fase di proroga l’applicazione dell’intera disciplina contrattuale (tra le altre, si richiama Tribunale ordinario di Milano, sezione settima, sentenza 18 ottobre 2012).

Il regime della prosecuzione del rapporto individuerebbe un ragionevole punto di equilibrio tra l’interesse della collettività a evitare una soluzione di continuità nella gestione di un essenziale servizio pubblico, quale quello della distribuzione del gas, e l’interesse del concessionario a non essere vincolato a un’illimitata gestione del servizio, venendo assicurati allo stesso i rimedi contro l’inerzia della pubblica amministrazione nel bandire le gare per i nuovi affidamenti.

La situazione di cui i concessionari si lamentano non sarebbe conseguenza, quindi, di una sopravvenienza normativa, ma del tempo necessario agli Atem (e non al singolo Comune concedente) per lo svolgimento delle procedure di selezione del nuovo gestore.

Si tratterebbe, pertanto, al più di un mero inconveniente di fatto.

7.3.3.2.− Né potrebbe dirsi che la proroga dell’attività del gestore, poiché limitata all’ordinaria amministrazione incida sull’equilibrio contrattuale.

Le eventuali attività di estensione della rete, infatti, avrebbero potuto essere realizzate dal gestore solo in esecuzione di un piano d’intervento approvato dai Comuni interessati ai lavori; l’asserita maggiore remunerazione del capitale a tal fine investito sarebbe, dunque, una componente dei ricavi soltanto eventuale; si tratterebbe di una (indimostrata) contrazione dei guadagni, in relazione ai quali Centria srl non avrebbe potuto maturare alcun legittimo affidamento in considerazione della disciplina contrattuale.

Pertanto, la società non cercherebbe di evitare un danno, ma perseguirebbe lo scopo di rimanere in una situazione di vantaggio (prosecuzione della gestione del servizio), lucrando l’ulteriore beneficio che le deriverebbe dalla liberazione dall’obbligo di pagare il canone ovvero dall’arbitraria determinazione di un canone inferiore a quello contrattualmente stabilito dalle parti.

In tal modo, però, non si avrebbe una proroga del rapporto concessorio scaduto, ma un nuovo affidamento a condizioni diverse da quelle scaturite dalla gara aggiudicata nel 2002, con violazione delle norme che impongono l’affidamento delle concessioni tramite gara.

7.4.− Infine, anche la società Centria srl ha depositato una memoria.

7.4.1.− In punto di rilevanza, la parte costituita replica alle eccezioni d’inammissibilità delle questioni sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato.

7.4.1.1.− In primo luogo, con riferimento al difetto di motivazione, la società ricorda che, per pacifica giurisprudenza costituzionale, il riscontro dell’interesse ad agire e la verifica della legittimazione delle parti sarebbero rimessi alla valutazione del giudice rimettente, non rientrando tra i poteri di questa Corte sindacare la validità dei presupposti di esistenza del giudizio a quo, a meno che questi non risultino manifestamente e incontrovertibilmente carenti, essendo sufficiente che l’ordinanza di rimessione argomenti non implausibilmente la rilevanza della questione (sono richiamate le sentenze n. 224 del 2020, n. 126 e n. 99 del 2018, n. 200 del 2014, n. 61 del 2012 e n. 270 del 2010). Inoltre, con riferimento alle domande di mero accertamento, «[i]l fatto costitutivo che giustifica l’interesse ad agire è […] ragionevolmente individuabile nella disciplina legislativa già entrata in vigore», in quanto, a mente della pacifica giurisprudenza di legittimità, anche la rimozione di una incertezza «rappresenta […] un risultato utile, giuridicamente rilevante e non conseguibile se non attraverso l’intervento del giudice» (sentenza n. 35 del 2017).

Come chiarito anche dalla giurisprudenza della Corte di cassazione, inoltre, l’interesse ad agire in un’azione di mero accertamento non implicherebbe necessariamente l’attualità della lesione di un diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva che non sia superabile se non con l’intervento del giudice (sono richiamate le seguenti pronunce: sezioni unite civili, sentenza 7 luglio-18 settembre 2020, n. 19597; sezione lavoro,

za 11-marzo-31 luglio 2015, n. 16262; sezione prima civile, sentenza 4 dicembre 2013-19 febbraio 2014, n. 3885; sezione seconda civile, sentenza 14 novembre 2002, n. 16022).

Nel caso di specie, il Collegio arbitrale avrebbe inteso distinguere espressamente il periodo coperto dall’accordo del 2014 dal periodo successivo, decorrente dal 1° ottobre 2019, dunque già in corso al momento della rimessione delle questioni innanzi a questa Corte; in tale momento già sussisteva, pertanto, uno stato di incertezza, configurabile comunque sin dalla proposizione dell’azione nel giudizio a quo, a conferma dell’attualità della lesione del diritto.

7.4.1.2.− In secondo luogo, in relazione all’eccezione d’inammissibilità per mancata considerazione in via preliminare dei profili di contrasto con il diritto eurounitario, negli atti depositati da Centria srl sarebbero stati sollevati profili di contrasto con norme di diritto comunitario contenute, sia nei trattati, sia nella CDFUE, ma il Collegio arbitrale avrebbe ritenuto di far riferimento, in via assorbente, agli artt. 3 e 97 Cost., in particolare in relazione alla ragionevolezza e ai limiti delle leggi di interpretazione autentica (sono richiamate le sentenze n. 308 del 2013, n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010). Limiti che sarebbero espressione di valori costituzionali e principi fondamentali (ragionevolezza, uguaglianza, legittimo affidamento, certezza del diritto), in evidente sovrapposizione con la CDFUE.

7.4.2.− Nel merito Centria srl ribadisce le ragioni a favore dell’illegittimità costituzionale dell’art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016.

7.4.2.1.− Nel citato comunicato del 19 maggio 2016 l’AEEGSI (oggi ARERA) avrebbe precisato soltanto che nella fase transitoria il gestore del servizio di distribuzione non è di per sé esonerato dal dover corrispondere un canone, pur con una formulazione testuale infelice («il gestore uscente resta obbligato al pagamento del canone di concessione previsto dal contratto»), che sembrerebbe far pensare a una automatica e vincolante proroga del medesimo canone anche per tutta la fase transitoria.

Una tale lettura sarebbe però costituzionalmente illegittima, poiché esisterebbe un criterio-limite per la determinazione del canone che i Comuni possono esigere dal gestore e, quindi, porre a base di gara. Ogni superamento di questo limite potrebbe giustificarsi unicamente in virtù di una offerta volontaria del gestore stesso.

L’Autorità di settore avrebbe esplicitato detto limite già nell’ambito dei chiarimenti resi in sede giudiziale in data 31 luglio 2003 (i cui contenuti sarebbe poi stati recepiti dal d.m. n. 226 del 2011), in riferimento al sistema tariffario allora vigente, il quale, peraltro in modo sostanzialmente analogo a quello attuale, riservava una componente della tariffa (allora denominata “CGD”) alla copertura dei costi operativi (gestione ordinaria) e una (denominata “CCD”) alla copertura dei costi di capitale (investimenti). L’Autorità avrebbe precisato, anzitutto, che la componente CGD dovesse essere necessariamente riconosciuta al soggetto che svolgeva tale servizio, mentre la componente CCD si divideva in due voci: una destinata a finanziare le opere di manutenzione straordinaria dell’impianto (voce “s”), l’altra destinata a remunerare il capitale investito (voce “rd”); qualora l’impianto fosse di proprietà dell’ente locale, il canone non poteva comunque intaccare la componente “s” del “CCD”, pari mediamente al 30-35 per cento e, quindi, poteva giungere a coprire sino al 65-70 per cento del medesimo “CCD” (sempre e solo nel caso del Comune proprietario dell’impianto).

Il contratto-tipo approvato con il d.m. 5 febbraio 2013 recepirebbe in toto tale approccio. Esso (art. 5, comma 5.5), non a caso, per la fase di gestione successiva alla scadenza dell’affidamento, sino alla decorrenza del nuovo affidamento, escluderebbe l’applicazione di tutti gli articoli che recepiscano condizioni volontariamente offerte o accettate dal concessionario e non derivino da obblighi legislativi o regolatori, in particolare del successivo art. 28, ove si prevede il corrispettivo offerto a favore dell’ente locale. Il gestore sarebbe invece tenuto a continuare a retrocedere all’ente solo la remunerazione tariffaria del capitale investito dall’ente stesso per la realizzazione della parte di impianto di sua proprietà, ossia il corrispettivo dovuto per l’utilizzo della rete o porzione di rete di proprietà dello stesso ente locale (di cui all’art. 27 del medesimo contratto-tipo).

Orbene, il canone offerto da Centria srl per la sola durata pattizia del rapporto concessorio supererebbe nettamente la quota della tariffa che il Comune potrebbe esigere, in assenza di una espressa volontà negoziale del concessionario, assorbendo circa il 94 per cento dell’intero ricavo tariffario di località. Se, in costanza del periodo contrattuale, un tale canone avrebbe potuto trovare giustificazione nell’offerta volontariamente formulata dalla concessionaria, analoga giustificazione non potrebbe permanere dopo la scadenza, se non accettando una manifesta alterazione del sinallagma contrattuale.

Inoltre, il pregiudizio per il gestore sarebbe aggravato dalla limitazione della gestione, nella fase transitoria, all’ordinaria amministrazione, con l’esclusione degli investimenti e della correlata remunerazione, il che determinerebbe l’ineluttabile continua diminuzione del ricavo tariffario di località.

7.4.2.2.− Il vulnus al sinallagma contrattuale non sarebbe poi risolvibile dagli istituti previsti dall’ordinamento per tali casi.

La proroga legale del contratto, infatti, su un piano puramente astratto renderebbe applicabili gli istituti in materia di contratti pubblici previsti già dall’art. 19, comma 2-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), poi dall’art. 143, comma 8, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) e infine dall’art. 165, comma 6, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici).

Ai sensi di tali disposizioni la tutela sinallagmatica scatterebbe quando si siano verificati, nel corso del rapporto, sopravvenienze non imputabili al concessionario, tali da modificare l’equilibrio del piano economico­finanziario posto alla base della concessione; in presenza di questi presupposti, il concessionario può richiedere la revisione del piano e, in mancanza di tale revisione, ha il diritto di recedere dal contratto.

Nel caso di specie, però, il principale fattore di squilibrio non sarebbe costituito da modifiche in peius (di fatto o di diritto) intervenute nel corso del rapporto, bensì dall’obbligo di pagare un canone di entità decisamente superiore rispetto allo standard di congruità definito in sede regolatoria, ben oltre la scadenza del suo impegno negoziale e senza limiti di tempo definiti ex ante. Tra l’altro, tale forma di tutela, ove le parti non trovino un accordo sulla revisione delle condizioni del rapporto, si risolve nel diritto di recesso del concessionario; recesso che non potrebbe comunque intervenire, in quanto l’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000 impone al distributore uscente di garantire la continuità del pubblico servizio sino al subentro del nuovo concessionario d’ambito.

Discorso analogo potrebbe farsi per l’istituto generale dell’eccessiva onerosità sopravvenuta ex art. 1467 del codice civile. Anche qui la norma codicistica appresterebbe tutela a fronte di sopravvenienze verificabili nel corso del rapporto contrattuale, non già rispetto alla scelta legale di dilatare senza limiti definiti la durata di tale rapporto.

Qualora, invece, si ritenesse che la proroga riguardi la sola gestione ope legis, le conseguenze potrebbero essere le medesime, se la formulazione della disposizione impugnata fosse intesa nel senso di escludere una riconduzione del canone nei limiti di congruità posti dalla regolazione, laddove non vi sia un impegno volontario dell’operatore economico ad erogare importi superiori.

Tali conseguenze sarebbero superabili solo dando una più ragionevole interpretazione del disposto normativo, in conformità anche alla giurisprudenza della Corte di cassazione sulla clausola generale di correttezza e buona fede (sono richiamate: sezione terza civile, sentenza 30 settembre-10 novembre 2010, n. 22819; sezione prima civile, sentenza 16 dicembre 2008-22 gennaio 2009, n. 1618; sezioni unite civili, sentenza 11-25 novembre 2008, n. 28056; sezione prima civile, sentenza 20 giugno-6 agosto 2008, n. 21250; sezione prima civile, sentenza 11 luglio-27 ottobre 2006, n. 23273).

7.4.2.3.− Nella giurisprudenza di merito sarebbero riscontrabili, sul punto, tre posizioni.

In primo luogo, quella espressa dall’ordinanza di rimessione che, interpretando la norma nel senso della proroga cogente e incondizionata, per un tempo indeterminabile ex ante, dell’obbligo di pagamento del canone previsto nel contratto scaduto, conclude per la sua illegittimità costituzionale.

In secondo luogo, l’indirizzo che esclude l’ipotesi della proroga ex lege del contratto di concessione e, in particolare, afferma il diritto del concessionario alla determinazione di un canone equo secondo i principi generali e le norme di settore (si richiama la pronuncia del Tribunale ordinario di Lucca, sentenza n. 1374 del 2019).

Da ultimo, il filone giurisprudenziale formatasi in misura crescente dopo l’entrata in vigore della disposizione censurata (richiamato dalle altre parti costituite), che riconosce la proroga ex lege del contratto di concessione. Filone che sembrerebbe limitarsi a prendere in esame l’alternativa tra l’estinzione dell’obbligo di pagamento del canone durante la fase transitoria e l’invarianza pura e semplice del canone contrattuale durante tale fase, scegliendo la seconda alternativa. Interpretazione che non potrebbe superare il sindacato di ragionevolezza ex art. 3, primo comma, Cost., come correttamente affermato dal giudice a quo.

7.4.2.4.− Infine, la difesa di Centria srl aggiunge che la mera possibilità per il gestore uscente di sollecitare l’indizione della gara, chiedendo anche l’attivazione dell’intervento sostitutivo regionale, con la nomina di un commissario ad acta, non costituirebbe affatto un rimedio idoneo a tutelare effettivamente la sua posizione giuridica e a evitare la violazione degli evocati parametri costituzionali.

L’ente competente a indire la gara, infatti, sarebbe tenuto ad attivarsi d’ufficio, così come le autorità investite ex lege dei poteri d’intervento sostitutivo. La colpevole inerzia della pubblica amministrazione, anzi, farebbe persino venire meno i presupposti per l’applicazione della proroga tecnica, posto che una delle condizioni di ammissibilità della stessa sarebbe che il ritardo nell’indizione della gara non sia imputabile alla pubblica amministrazione, ma dipenda da ragioni oggettive (sul punto è richiamata la deliberazione dell’ANAC 28 luglio 2021, n. 591).

In ogni caso, anche ove fossero attivati i ricordati rimedi, permarrebbe per il gestore l’obbligo di continuare ad applicare le gravose condizioni economiche previste dal contratto scaduto per un tempo comunque incerto, la cui durata resterebbe al di fuori dalla sua sfera di controllo e, soprattutto, in presenza di una situazione che in alcun modo deriverebbe da proprie negligenze o dall’inadempimento dei propri obblighi (contrattuali e normativi).

Nel caso specifico, come già evidenziato in atti, il canone preteso dai Comuni in forza del contratto scaduto sarebbe significativamente superiore al canone massimo ottenibile post gara ai sensi del contratto-tipo, costituito dalla remunerazione del capitale investito dall’ente concedente per l’impianto di sua proprietà, a cui si potrebbe aggiungere, al massimo, se l’operatore economico lo offre in gara, un ulteriore corrispettivo non superiore al 10 per cento delle componenti tariffarie relative ai costi di capitale, ferma restando l’intangibilità delle componenti tariffarie destinate a coprire i costi operativi per la gestione ordinaria.

La norma in questione, in tal modo, incentiverebbe i Comuni a ritardare le gare, contraddicendo anche il principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost.

Considerato in diritto

1.− Il Collegio arbitrale presso la Camera arbitrale dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC), con ordinanza iscritta al n. 105 del registro ordinanze 2020, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 453, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019).

2.− La disposizione censurata, concernente l’attività di distribuzione del gas naturale, prevede che «[l]’articolo 14, comma 7, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, si interpreta nel senso che il gestore uscente resta obbligato al pagamento del canone di concessione previsto dal contratto. Le risorse derivanti dall’applicazione della presente disposizione concorrono al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica da parte degli enti locali».

L’art. 14, comma 7, del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164 (Attuazione della direttiva 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale, a norma dell’articolo 41 della legge 17 maggio 1999, n. 144), oggetto d’interpretazione autentica, prevede a sua volta che «[g]li enti locali avviano la procedura di gara non oltre un anno prima della scadenza dell’affidamento, in modo da evitare soluzioni di continuità nella gestione del servizio. Il gestore uscente resta comunque obbligato a proseguire la gestione del servizio, limitatamente all’ordinaria amministrazione, fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento. Ove l’ente locale non provveda entro il termine indicato, la regione, anche attraverso la nomina di un commissario ad acta, avvia la procedura di gara».

2.1.− Secondo il rimettente la disposizione censurata violerebbe l’art. 3 Cost., in relazione ai principi di ragionevolezza e di certezza del diritto, nonché di legittimo affidamento, poiché introdurrebbe una proroga sine die per lo svolgimento del servizio di distribuzione del gas naturale, non prevedibile dall’impresa affidataria, nelle more di una nuova gara per il suo affidamento, con un’estensione potenzialmente illimitata delle condizioni originarie previste dal contratto-concessione.

2.2.− Altresì violato sarebbe l’art. 97 Cost., in riferimento al principio di buon andamento dell’amministrazione, poiché l’inerzia della pubblica amministrazione, o comunque i ritardi e le inadempienze, nel bandire la gara per l’affidamento del servizio, non dovrebbero essere «scaricati» sull’imprenditore aggiudicatario del servizio in una epoca diversa e con condizioni diverse, né tantomeno sugli operatori economici che attendono l’indizione di una nuova procedura di gara per l’affidamento del servizio.

3.− In primis deve essere confermata l’ordinanza dibattimentale, allegata alla presente sentenza, con cui è stato dichiarato inammissibile l’intervento del Comune di Urgnano.

4.− Altresì inammissibili, in quanto tardivi ex art. 4, comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti la Corte costituzionale (tra le più recenti, sentenze n. 78 del 2019 e n. 99 del 2018 l’ordinanza n. 24 del 2021), sono gli interventi dei Comuni di Inveruno, di San Giorgio su Legnano, di Bernate Ticino, di Cuggiono, di Marcallo con Casone, di Busto Garolfo, di Peschiera Borromeo e del Comune di Nerviano, dell’IGAS Imprese gas, dell’Assogas - Associazione nazionale industriali privati gas e servizi energetici, dell’Utilitalia - Federazione delle imprese ambientali, energetiche ed idriche, della società Sei - Servizi energetici integrati srl (già Tea Sei srl) e della società 2i rete GAS spa.

5.− In via preliminare debbono essere esaminate le numerose eccezioni d’inammissibilità delle questioni proposte.

5.1.− In primo luogo, i Comuni costituiti eccepiscono il difetto di rilevanza delle questioni, poiché nel giudizio a quo non si discuterebbe dell’obbligo di Centria srl di continuare la gestione del servizio dopo la scadenza della concessione, non avendo il concessionario contestato tale obbligo, bensì quello di corrispondere il canone previsto nel contratto; inoltre, come eccepito anche dall’Avvocatura generale dello Stato, sarebbe inesatta l’individuazione della norma censurata, in quanto le doglianze avrebbero dovuto essere rivolte contro la norma oggetto di interpretazione autentica (l’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000) e non (o perlomeno non soltanto) contro la norma interpretativa (l’art. l, comma 453, della legge n. 232 del 2016).

5.1.1.− L’eccezione non è fondata.

Dall’ordinanza di rimessione, infatti, risulta sufficientemente chiaro che l’asserita lesione dei parametri costituzionali evocati è imputata alla previsione della corresponsione del canone contrattuale anche dopo la scadenza del contratto. Sarebbe ciò, secondo il rimettente, a rendere la gestione ope legis una vera e propria proroga a tempo indeterminato, lesiva dell’equilibrio contrattuale e del legittimo affidamento del concessionario, che si troverebbe costretto a corrispondere un canone sulla base di un contratto scaduto e per un periodo potenzialmente illimitato.

5.2.− In secondo luogo, sempre in relazione alla rilevanza, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, eccepisce il difetto di motivazione, poiché l’azione sarebbe stata proposta da Centria srl non per contestare la proroga illimitata del rapporto concessorio, bensì l’accertamento del diritto a non corrispondere il canone o a corrispondere un canone rideterminato per le annualità coperte dall’accordo quinquennale del 14 novembre 2014.

5.2.1.− L’eccezione non è fondata, tenuto conto anche dei limiti del sindacato di questa Corte sull’ordinanza di rimessione e sui presupposti del giudizio a quo (tra le tante, si vedano le sentenze n. 224 del 2020, n. 126 e n. 99 del 2018, n. 35 del 2017 e n. 270 del 2010),

Sebbene l’ordinanza di rimessione risulti piuttosto succinta sul punto, infatti, essa dà conto della richiesta di accertamento effettuata dalla società Centria srl del suo diritto a non corrispondere il canone per tutta la durata del periodo transitorio, sino al nuovo affidamento, prescindendo dunque dalle annualità oggetto di contestazione.

5.3.− Secondo i Comuni costituiti le questioni sarebbero poi inammissibili per difetto di motivazione, poiché l’ordinanza non conterrebbe alcun concreto riferimento alle asserite conseguenze negative che la società concessionaria dovrebbe sopportare in virtù della proroga ex lege e mancherebbe qualsiasi valutazione in ordine alla convenienza per la stessa a continuare la gestione alle stesse condizioni.

5.3.1.− Seppure anche sotto tale profilo l’ordinanza sia piuttosto sintetica, essa non può ritenersi priva di una adeguata e autonoma illustrazione delle ragioni per le quali la normativa censurata integrerebbe una violazione del parametro costituzionale evocato (ex plurimis, si vedano le sentenze n. 240 del 2017, n. 219 del 2016, n. 120 del 2015 e n. 236 del 2011).

Il Collegio rimettente, infatti, argomenta la modificazione del sinallagma contrattuale dovuto alla proroga, asserita sine die, sottolineando come la protrazione degli impegni contrattuali confligga con la valutazione che la società avrebbe potuto fare al momento della sottoscrizione del contratto. Inoltre, sarebbe la stessa limitazione del servizio all’ordinaria amministrazione a far presumere un minor vantaggio economico per il concessionario.

Da qui la non fondatezza dell’eccezione.

5.4.− Un ulteriore profilo d’inammissibilità, eccepito dall’Avvocatura generale dello Stato, deriverebbe dal mancato esame da parte del rimettente delle eccezioni di Centria srl relative al contrasto della disposizione censurata con il diritto dell’Unione europea.

5.4.1.− Pur nella laconicità della motivazione dell’ordinanza di rimessione sul punto, l’eccezione deve essere rigettata.

La società concessionaria, in effetti, ha eccepito nel giudizio a quo il contrasto della disposizione impugnata con le norme poste a tutela della libertà d’impresa dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 (artt. 49, 56 e 106) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007 (artt. 16 e 17), oltre che dagli artt. 41 e 42 Cost., nonché la lesione dei principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento, garantiti, sia dal diritto europeo – in particolare in virtù dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea (TUE), firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009 – sia dagli artt. 3 e 41 Cost.

Il Collegio arbitrale, nondimeno, ha ritenuto di prendere in considerazione solo la questione relativa alla violazione dei limiti costituzionali alla retroattività della legge (oltre che del principio di buon andamento dell’amministrazione); ed è solo in relazione a tali limiti, sebbene essi si incontrino anche nel diritto europeo, che è richiesta una pronuncia di questa Corte.

5.5.− Senz’altro inammissibili, invece, sono le questioni sollevate da Centria srl in riferimento agli artt. 41, primo comma, 42 e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 16 e 17 CDFUE, all’art. 6 TUE e agli artt. 49, 56 e 106 TFUE.

5.5.1.− Com’è noto, infatti, l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nell’ordinanza di rimessione, con esclusione della possibilità di ampliare il thema decidendum proposto dal rimettente, fino a ricomprendervi questioni formulate dalle parti, che tuttavia egli non abbia ritenuto di fare proprie (ex plurimis, sentenze n. 49 del 2021, n. 27 del 2019, n. 14 del 2018, n. 29 del 2017 e n. 96 del 2016).

6.− Ciò premesso, una non superabile ragione d’inammissibilità delle questioni sollevate dal Collegio arbitrale rimettente emerge, invece, da una più completa ricostruzione del quadro normativo, che risulta assai più articolato di quanto prospettato dall’ordinanza di rimessione.

6.1.− Il censurato art. 1, comma 453, della legge n. 232 del 2016 interviene in materia di affidamento dell’attività di distribuzione di gas naturale, oggetto di numerosi interventi normativi, che si sono succeduti nel tempo in modo non sempre ordinato e con vari ritardi nell’attuazione dei processi di riforma; ritardi che motivano almeno in parte le doglianze alla base delle questioni di legittimità costituzionale oggetto d’esame.

6.1.1.− L’art. 14 del d.lgs. n. 164 del 2000 definisce l’attività di distribuzione di gas naturale quale attività di servizio pubblico, stabilendo che il servizio venga affidato esclusivamente mediante gara dagli enti locali, anche in forma aggregata, per periodi non superiori a dodici anni (comma 1). Tali gare devono essere avviate entro un anno prima della scadenza dell’affidamento e nelle more il gestore uscente resta obbligato a proseguire la gestione del servizio, limitatamente all’ordinaria amministrazione. Ove l’ente locale non provveda entro il termine indicato, la Regione, anche attraverso la nomina di un commissario ad acta, avvia la relativa procedura (comma 7).

L’intervento legislativo ha lo scopo di superare il sistema all’epoca vigente, spesso basato sull’affidamento diretto, introducendo un meccanismo di affidamento mediante gara e fissando altresì termini precisi per la cessazione delle concessioni già in corso (art. 15), che sono stati oggetto di successive proroghe.

Sulla materia è poi intervenuto l’art. 46-bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159 (Interventi urgenti in materia economico-finanziaria, per lo sviluppo e l’equità sociale), convertito, con modificazioni, in legge 29 novembre 2007, n. 222, ove si è previsto che le suddette gare vengano bandite per ambiti territoriali minimi (Atem), con l’identificazione di bacini ottimali di utenza, individuati dai Ministri dello sviluppo economico e per gli affari regionali e le autonomie locali, su proposta dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas e sentita la Conferenza unificata.

Si è passati, pertanto, a un sistema di gare per ambiti territoriali, mediante l’individuazione di apposite stazioni appaltanti da parte dei Comuni. Tale regime, inizialmente concorrente con quello previgente, è poi divenuto il regime obbligatorio per l’affidamento del servizio in virtù dell’art. 24, comma 4, del decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93 (Attuazione delle direttive 2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE relative a norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, del gas naturale e ad una procedura comunitaria sulla trasparenza dei prezzi al consumatore finale industriale di gas e di energia elettrica, nonché abrogazione delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE).

La riforma non ha avuto immediata attuazione, in particolare perché non sono stati tempestivamente individuati gli Atem, con conseguente stallo delle procedure di gara.

Successivamente, l'art. 1 del decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i rapporti con le Regioni e la coesione territoriale, 19 gennaio 2011 (Determinazione degli ambiti territoriali nel settore della distribuzione del gas naturale) ha individuato 177 Atem. In seguito, l'art. 1 del decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i rapporti con le Regioni e la coesione territoriale, 18 ottobre 2011 (Determinazione dei Comuni appartenenti a ciascun ambito territoriale del settore della distribuzione del gas naturale) ha definito i confini degli ambiti (inserendo i Comuni di Montevarchi e di Cavriglia nell’Atem Arezzo e il Comune di Figline e Incisa Valdarno nell’Atem Firenze 2 - Provincia). Ancora, il decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro per i rapporti con le Regioni e la coesione territoriale, 12 novembre 2011, n. 226 (Regolamento per i criteri di gara e per la valutazione dell’offerta per l’affidamento del servizio della distribuzione del gas naturale, in attuazione dell’articolo 46-bis del decreto-legge 1° ottobre 2007, n. 159, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222), all’art. 3, ha fissato i termini per l’individuazione della stazione appaltante da parte degli enti locali concedenti, nonché per la pubblicazione del bando di gara, in mancanza del quale si attiva il già ricordato potere sostitutivo regionale. Infine, il decreto del Ministro dello sviluppo economico 5 febbraio 2013 (Approvazione dello schema di contratto tipo relativo all’attività di distribuzione del gas naturale) ha adottato lo schema di contratto-tipo per l’affidamento del servizio, in attuazione del citato d.m. n. 226 del 2011.

Nondimeno, i termini per avviare le gare sono stati oggetto di numerose proroghe, a partire dal decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, in legge 9 agosto 2013, n. 98, che all’art. 4, commi 2 e 4, ha chiarito la natura perentoria dei termini di cui al d.m. n. 226 del 2011 e aveva previsto una nuova disciplina del potere sostitutivo ex art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000. In particolare, si era previsto che, decorsi quattro mesi dalla scadenza dei suddetti termini, in caso d’inerzia anche della Regione, il Ministero dello sviluppo economico, sentita la stessa Regione, interviene per dare avvio alla gara nominando un commissario ad acta. All’art. 4, comma 5, si era introdotto anche un regime sanzionatorio per gli enti locali, nei casi di mancato rispetto da parte degli stessi dei termini per la scelta della stazione appaltante, disponendo che il 20 per cento degli oneri di cui all'art. 8, comma 4, del d.m. n. 226 del 2011, corrisposti annualmente dal gestore come quota parte della remunerazione del capitale fosse versato dal concessionario subentrante, con modalità stabilite dall’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico – AEEGSI (oggi Autorità di regolazione per energia reti e ambiente – ARERA), in uno specifico capitolo della cassa per i servizi energetici ed ambientali, destinato alla riduzione delle tariffe di distribuzione dell’ambito corrispondente.

Il decreto del Ministro dello sviluppo economico 20 maggio 2015, n. 106 (Regolamento recante modifica al decreto 12 novembre 2011, n. 226, concernente i criteri di gara per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale) ha quindi modificato il d.m. n. 226 del 2011, al fine di allinearlo al ricordato intervento legislativo.

L’art. 3, comma 2-ter, lettera a), del decreto-legge 30 dicembre 2015, n. 210 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, in legge 25 febbraio 2016, n. 21 – che ha sostituito l'art. 4, comma 2, secondo periodo, del d.l. n. 69 del 2013, come convertito – ha ulteriormente prorogato i termini per l’avvio delle gare, ha eliminato il citato regime sanzionatorio e ha modificato nuovamente la disciplina del potere sostitutivo. Pertanto, scaduti i termini previsti dal d.m. n. 226 del 2011 (come prorogati), la Regione competente sull’ambito assegna ulteriori sei mesi per adempiere, decorsi i quali avvia la procedura di gara attraverso la nomina di un commissario ad acta. Decorsi due mesi dalla scadenza di tale termine senza che la Regione competente abbia proceduto alla nomina del commissario, il Ministero dello sviluppo economico, sentita la Regione, interviene per dare avvio alla gara nominando un commissario ad acta.

Successivi provvedimenti legislativi, infine, hanno nuovamente prorogato i termini per l’effettuazione delle gare.

6.1.2.− Risulta evidente che tale progressivo differimento delle gare ha portato, di fatto, a una dilatazione della fase di gestione ope legis del servizio, facendo emergere i problemi connessi alla regolamentazione di tale fase, da cui il contenzioso legato all’obbligo di corresponsione del canone originario.

Anche per tali ragioni l’AEEGSI, con il comunicato del 19 maggio 2016 (Chiarimenti in relazione alla sussistenza dell'obbligo di pagamento del canone per il servizio di distribuzione del gas naturale da parte del concessionario del servizio nel periodo di prosecuzione del servizio), ha precisato come il silenzio dell’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000 in punto di canone per l’affidamento non sia di per sé sufficiente a escludere l’obbligo di pagamento dello stesso. Mentre, in assenza di previsioni specifiche o contrarie, la gestione del servizio deve continuare a essere disciplinata come in precedenza e, quindi, secondo le previsioni della concessione scaduta. Ciò anche in base alla facoltà per i Comuni di aumentare il canone sino al 10 per cento nelle more delle nuove gare, di cui all’art. 46-bis, comma 4, del d.l. n. 159 del 2007, come convertito; la possibilità d’intervenire sul canone concessorio, infatti, confermerebbe la necessità di corrispondere lo stesso anche nel periodo di prosecuzione del rapporto ex lege, non escluso dall’ambito di applicazione del citato comma 4.

La censurata disposizione interpretativa di cui all’art. 1, comma 453, della legge n. 232 del 2016, in tal senso, si è allineata a siffatto parere, precisando che nella fase di gestione ope legis resta dovuto il canone di concessione previsto dal contratto.

6.2.− Da tale ricostruzione emerge senz’altro un’anomalia nell’effettuazione delle gare per l’affidamento del servizio di distribuzione del gas, con un percorso di riforma ancora non attuato a più di quindici anni dalla sua entrata in vigore e a dieci dall’adozione dei provvedimenti attuativi. Anomalia che l’ARERA non ha mancato di segnalare, stigmatizzandola, nelle sue relazioni annuali.

Ragioni per cui la proroga ex lege, ricorrendo determinate circostanze, potrebbe effettivamente determinare un irragionevole squilibrio delle prestazioni contrattuali.

Ebbene, per ovviare a tali possibili conseguenze negative l’ordinamento prevede appositi strumenti, generali e specifici.

Così è, quando ne ricorrano i presupposti, per i ricordati poteri sostitutivi, già previsti dall’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000 e successivamente riformulati dall’art. 46-bis del d.l. n. 159 del 2007, come convertito. Così anche per i rimedi ex artt. 30 e 31 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo) avverso il silenzio e l’inerzia della pubblica amministrazione, che possono portare anche a una condanna della stessa e al risarcimento del danno patito dal concessionario.

L’ordinanza di rimessione, che non ricostruisce in modo dettagliato il quadro normativo in materia di gare per l’affidamento dell’attività di distribuzione del gas naturale, non si sofferma sui poteri sostitutivi e non dà conto, pertanto, della possibilità che gli eventuali effetti negativi imputati alla disposizione impugnata trovino un rimedio attraverso gli strumenti predisposti dal legislatore per garantire l’avvio delle procedure di gara. Né vi è alcun cenno ai ricordati istituti previsti dal d.lgs. n. 104 del 2010, restando irrisolto il dubbio se non sia in tale sede che debba trovare tutela la pretesa del concessionario.

Per tali aspetti, pertanto, il quadro normativo non è stato pienamente esaminato dal Collegio rimettente, anche al solo fine di ritenere inadeguati gli strumenti predisposti dal legislatore, come sostenuto, invece, dalla difesa di Centria srl.

6.3.− Va ricordato, inoltre, che le concessioni per la distribuzione del gas rientrano tra le concessioni di servizi, definite dall’art. 3, comma 1, lettera vv), del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) come contratti pubblici aventi ad oggetto la fornitura e la gestione di servizi diversi dall’esecuzione di lavori, disciplinate nello specifico ai successivi articoli da 164 a 178.

In particolare, l’art. 165, comma 1, cod. contratti pubblici precisa che, pur trasferendosi in capo al concessionario il rischio operativo, debba pur sempre essere salvaguardato l’equilibrio economico-finanziario nel rapporto regolato dalla concessione (ossia la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria). A tal fine, il comma 6 del medesimo articolo – riprendendo quanto già previsto dall’art. 19, comma 2-bis, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici) e dall’art. 143, comma 8, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE) – stabilisce che «[i]l verificarsi di fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario può comportare la sua revisione da attuare mediante la rideterminazione delle condizioni di equilibrio. La revisione deve consentire la permanenza dei rischi trasferiti in capo all’operatore economico e delle condizioni di equilibrio economico finanziario relative al contratto» e «[i]n caso di mancato accordo sul riequilibrio del piano economico finanziario, le parti possono recedere dal contratto».

Va considerato, inoltre, che ai sensi dell’art. 216, comma 27-quinquies, cod. contratti pubblici alle procedure di aggiudicazione dei contratti di concessione del servizio di distribuzione del gas naturale si applicano le disposizioni di cui al d.lgs. n. 164 del 2000, all’art. 46-bis del d.l. n. 159 del 2007, come convertito, e all’art. 4 del d.l. n. 69 del 2013, come convertito, in quanto compatibili con la Parte III dello stesso codice dei contratti pubblici (in cui rientra, appunto, l’art. 165).

In tal senso, la proroga del rapporto limitatamente all’ordinaria amministrazione, ivi compresa l’obbligazione del canone concessorio previsto dal contratto, non escluderebbe la possibilità per le parti di ottenere una revisione degli obblighi contrattuali, compatibilmente con il vincolo per le stesse parti di non poter recedere dal rapporto sino al nuovo affidamento, che resterebbe fermo in forza della previsione di legge speciale di cui all’art. 14, comma 7, del d.lgs. n. 164 del 2000.

Il giudice a quo, nondimeno, non svolge alcuna valutazione, neppure al fine di escluderla, riguardo alla possibilità di qualificare i ritardi nell’avvio delle gare quali «fatti non riconducibili al concessionario che incidono sull’equilibrio del piano economico finanziario» di cui all’art. 165, comma 6, cod. contratti pubblici. La qual cosa, ove ovviamente sia dimostrato dal concessionario un sopravvenuto squilibrio contrattuale, potrebbe legittimare una richiesta di revisione dello stesso piano; richiesta che, in caso di mancata o negativa risposta dell’amministrazione, potrebbe anche essere fatta valere nelle competenti sedi giurisdizionali.

D’altronde, anche quella giurisprudenza di merito che ha escluso un’incompatibilità con la Costituzione della disposizione censurata non ha negato, in via generale, la possibilità di esperire i rimedi previsti dall’ordinamento, ivi compresi quelli civilistici, compatibilmente con la disciplina di settore.

6.4.− In conclusione, il Collegio arbitrale rimettente non solo non ha preso in considerazione gli strumenti legislativi verso l’inerzia della pubblica amministrazione, ma neppure ha tenuto conto della possibilità di applicare gli istituti posti a presidio dell’equilibrio contrattuale nelle concessioni.

Alla luce di tali carenze dell’ordinanza di rimessione in punto di adeguata ricostruzione del quadro normativo, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità delle questioni (sentenze n. 123 e n. 114 del 2021 e n. 102 del 2019).

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara inammissibili gli interventi dei Comuni di Inveruno, di San Giorgio su Legnano, di Bernate Ticino, di Cuggiono, di Marcallo con Casone, di Busto Garolfo, di Peschiera Borromeo e del Comune di Nerviano, della IGAS Imprese gas, della Assogas - Associazione nazionale industriali privati gas e servizi energetici, dell’Utilitalia - Federazione delle imprese ambientali, energetiche ed idriche, della società Sei - Servizi energetici integrati srl (già Tea Sei srl) e della 2i Rete Gas spa;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 453, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Collegio arbitrale costituito presso la Camera arbitrale dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 novembre 2021.

F.to:

Giancarlo CORAGGIO, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 7 dicembre 2021.

 

Allegato:

Ordinanza Letta All'udienza Del 9 Novembre 2021