Sentenza n.236 del 2009

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SENTENZA N. 236

ANNO 2009

 

Commento alla decisione di

 

Alfonso Celotto, Fuori ruolo dei professori universitari: quando il legislatore cambia idea

 

(su Consulta Online per gentile concessione della Rivista telematica www.giustamm.it)

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco          AMIRANTE                            Presidente

- Ugo                   DE SIERVO                              Giudice

- Paolo                 MADDALENA                              "

- Alfio                  FINOCCHIARO                            "

- Franco               GALLO                                           "

- Luigi                  MAZZELLA                                   "

- Gaetano             SILVESTRI                                    "

- Giuseppe           TESAURO                                      "

- Paolo Maria       NAPOLITANO                              "

- Giuseppe           FRIGO                                            "

- Alessandro        CRISCUOLO                                 "

- Paolo                 GROSSI                                          "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 434, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), promossi dal Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con ordinanza del 30 maggio 2008 e dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con otto ordinanze del 30 luglio 2008, ordinanze rispettivamente iscritte al n. 345 ed ai nn. 350, 351, 352, 353, 354, 355, 356 e 357 del registro ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2008.

     Visti gli atti di costituzione di Maria Pia Albanese, di Antonino Cataudella, di Mario Comporti, di Francesco Salvatore, di Pierfrancesco Grossi, di Gaetano Fara, di Francesco Orlando, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

     udito nell’udienza pubblica del 7 luglio 2009 e nella camera di consiglio dell’8 luglio 2009 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo;

     uditi gli avvocati Massimo Luciani per Pierfrancesco Grossi, Fabio Merusi per Francesco Orlando, Antonio Lamberti per Francesco Salvatore, Eugenio Picozza per Mario Comporti, Maria Alessandra Sandulli per Antonino Cataudella, Mario Sanino e Paola Salvatore per Gaetano Fara, Salvatore Raimondi per Maria Pia Albanese e l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. —  Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con ordinanza del 30 maggio 2008 (r.o. n. 345 del 2008), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 434, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), «nella parte in cui troverebbe applicazione anche per i professori per i quali sia stato già disposto con formale provvedimento amministrativo il collocamento fuori ruolo».

1.1. — La norma impugnata dispone che «A decorrere dal 1° gennaio 2008, il periodo di fuori ruolo dei professori universitari precedente la quiescenza è ridotto a due anni accademici e coloro che alla medesima data sono in servizio come professori nel terzo anno accademico fuori ruolo sono posti in quiescenza al termine dell’anno accademico. A decorrere dal 1° gennaio 2009, il periodo di fuori ruolo dei professori universitari precedente la quiescenza è ridotto a un anno accademico e coloro che alla medesima data sono in servizio come professori nel secondo anno accademico fuori ruolo sono posti in quiescenza al termine dell’anno accademico. A decorrere dal 1° gennaio 2010, il periodo di fuori ruolo dei professori universitari precedente la quiescenza è definitivamente abolito e «coloro che alla medesima data sono in servizio come professori nel primo anno accademico fuori ruolo sono posti in quiescenza al termine dell’anno accademico».

1.2. — Il rimettente riferisce che il giudizio a quo è stato promosso dalla professoressa Maria Pia Albanese, nei confronti dell’Università degli studi di Messina, per l’annullamento (previa misura cautelare): a) della nota rettorale prot. n. 8890 del 6 febbraio 2008, con la quale si comunicava che, in applicazione dell’art. 2, comma 434, della legge n. 244 del 2007, la ricorrente sarebbe cessata anticipatamente dal servizio con effetto dal 1° novembre 2008; b) del decreto rettorale n. 841 del 13 marzo 2008, con il quale si stabiliva che la medesima ricorrente «con effetto dal 1° novembre 2008 cesserà anticipatamente dal servizio».

1.3 — Il giudice a quo riassume l’evoluzione della normativa in tema di collocamento fuori ruolo dei professori universitari, prendendo le mosse dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 26 ottobre 1947, n. 1251 (Disposizioni per il collocamento fuori ruolo dei professori universitari che hanno raggiunto i limiti di età), ratificato, con modificazioni, dalla legge 4 luglio 1950, n. 498, in forza del quale i professori universitari, compiuto il settantesimo anno di età, «assumono la qualifica di professori fuori ruolo fino a tutto l’anno accademico durante il quale compiono il settantacinquesimo anno (art. 1, primo comma)». Secondo tale normativa, le cattedre e i relativi posti di ruolo erano considerati vacanti; i professori fuori ruolo conservavano le prerogative accademiche inerenti allo stato di professori di ruolo, con l’integrale trattamento economico ad esso relativo, ed erano tenuti a svolgere attività scientifica e didattica, avuto riguardo alle disponibilità degli istituti e dei mezzi e specialmente in relazione alle esigenze delle ricerche sperimentali; infine, con l’inizio dell’anno accademico successivo a quello in cui avevano compiuto i settantacinque anni, essi erano collocati a riposo.

Tale disciplina era confermata dalla legge 18 marzo 1958, n. 311 (Norme sullo stato giuridico ed economico dei professori universitari), alla stregua della quale, ai fini della determinazione del numero legale richiesto per la validità delle adunanze del corpo accademico e del Consiglio di facoltà, si teneva conto dei professori fuori ruolo soltanto se intervenuti all’adunanza. Essi potevano essere eletti all’ufficio di rettore o di preside, dal quale cessavano all’atto del collocamento a riposo, se si trattava della carica di preside, mentre, per l’ufficio di rettore, il professore che lo ricopriva al momento del collocamento a riposo poteva continuare a mantenere il suddetto ufficio fino alla scadenza del triennio per il quale era stato eletto (art. 14, quinto comma, della legge citata).

Il TAR rimettente prosegue osservando che, con legge-delega 21 febbraio 1980, n. 28 (Delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica), veniva stabilito tra i criteri direttivi (art. 12, primo comma, lettera p) che, per i professori ordinari da inquadrare in ruolo a seguito di concorsi successivi a quelli banditi alla data di entrata in vigore della legge, il collocamento fuori ruolo decorresse dall’anno accademico successivo al compimento del sessantacinquesimo anno di età, mentre il pensionamento doveva avere luogo cinque anni dopo il collocamento fuori ruolo. Invece, per i professori ordinari in servizio alla data di entrata in vigore della legge e per quelli da inquadrare a seguito di concorsi già banditi alla stessa data, il collocamento fuori ruolo dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età, sarebbe stato disposto soltanto a domanda.

In sede di esercizio della delega, con decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della docenza universitaria, relativa fascia di formazione nonché sperimentazione organizzativa e didattica), in base al richiamato criterio direttivo veniva stabilito il collocamento fuori ruolo dei professori ordinari al compimento del sessantacinquesimo anno di età e il collocamento a riposo cinque anni dopo il collocamento fuori ruolo, mentre, per i professori ordinari in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 28 del 1980 e per quelli nominati in ruolo a seguito di concorsi già banditi alla medesima data, si stabiliva che sarebbero state applicate «le norme già vigenti», salva la richiesta anticipata di collocamento fuori ruolo (art. 110 del d.P.R. citato).

Con legge 7 aprile (recte: agosto) 1990, n. 239 (Disposizioni sul collocamento fuori ruolo dei professori universitari), si stabiliva che il collocamento fuori ruolo dei docenti di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 382 del 1980 «è opzionale, fermo restando il collocamento a riposo dall’inizio dell’anno accademico successivo al compimento del settantesimo anno di età». La norma escludeva dal proprio ambito applicativo i professori già in servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 28 del 1980, o inquadrati in ruolo a seguito di concorso bandito entro tale data, per i quali rimaneva fermo il disposto di cui all’art. 110 del d.P.R. n. 382 del 1980.

Con l’art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell’art. 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), si dava facoltà ai dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici (compresi i professori universitari) di permanere in servizio per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti del collocamento a riposo.

Con legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), la durata del collocamento fuori ruolo dei professori universitari veniva ridotta a tre anni, sia per i vincitori di concorsi successivi all’entrata in vigore della legge n. 28 del 1980, sia per quanti beneficiavano della disposizione transitoria di cui all’art. 110 del d.P.R. n. 382 del 1980, sicché questi ultimi, nel cui novero rientra la parte ricorrente nel giudizio principale, erano collocati fuori ruolo, con il prolungamento del biennio, a settantadue anni, ed in quiescenza a settantacinque anni.

Con legge 4 novembre 2005, n. 230 (Nuove disposizioni concernenti i professori e i ricercatori universitari e delega al Governo per il riordino del reclutamento dei professori universitari), il collocamento a riposo dei professori universitari (ordinari e associati), nominati secondo le disposizioni della legge stessa, era previsto al termine dell’anno accademico nel quale si compiva il settantesimo anno di età, compreso il biennio di cui all’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992. Inoltre, veniva abolito il collocamento fuori ruolo (art. 1, comma 17); ma, per i professori in servizio alla data di entrata in vigore della legge, era fatto salvo lo stato giuridico e il trattamento economico in godimento.

Infine, con la citata legge n. 244 del 2007 (art. 2, comma 434), si stabilisce che il periodo di fuori ruolo dei professori universitari, a decorrere dal 1° gennaio 2008, è ridotto a due anni accademici, a decorrere dal 1° gennaio 2009 è ridotto ad un anno accademico, a decorrere dal 1° gennaio 2010 è abolito.

1.4 — Così ricostruito il quadro normativo nel suo profilo diacronico, il rimettente esclude che la norma da ultimo richiamata possa ritenersi applicabile soltanto per il futuro, quindi eccettuando i soggetti già collocati fuori ruolo, avuto riguardo al chiaro tenore di essa, da cui emerge con evidenza come il legislatore abbia inteso disporre, anche per quanti avessero già ottenuto il fuori ruolo, il progressivo collocamento a riposo anticipato, in coerenza, del resto, con la ratio della normativa, mirante alla progressiva e totale abolizione dell’istituto.

Da ciò deriva, ad avviso del giudice a quo, la rilevanza, sia ai fini della decisione sull’istanza cautelare, sia per la pronunzia sul merito, della questione di legittimità costituzionale in argomento. La norma censurata, infatti, proprio perché applicabile anche ai professori per i quali (come la ricorrente) sia stato già disposto, con formale provvedimento amministrativo, il collocamento fuori ruolo alla fine dell’anno accademico nel quale si raggiungono i settantadue anni di età e il collocamento in quiescenza alla fine dell’anno accademico nel quale si raggiungono i settantacinque anni, si porrebbe in contrasto con i principi di ragionevolezza, d’imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione, introducendo «un regolamento irrazionale ed arbitrario che comporterebbe il travolgimento della situazione sostanziale posta in essere da un formale provvedimento amministrativo adottato alla stregua della disciplina a tale momento vigente, e frustrerebbe l’affidamento dell’interessato nella sicurezza giuridica, elemento fondamentale dello stato di diritto» (sono richiamate varie sentenze di questa Corte).

In particolare, il collocamento a riposo anticipato dell’interessata, e di coloro i quali si trovano nella sua stessa situazione, contrasta, in primo luogo, per le ragioni appena esposte, con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

Contrasta, inoltre, col principio di eguaglianza sancito dallo stesso art. 3, in quanto comporta un eguale trattamento di situazioni differenti (cioè quella di coloro per i quali l’Università di appartenenza non abbia ancora adottato alcun provvedimento e quella di coloro per i quali è stato adottato il provvedimento).

Infine, contrasta col principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., in quanto la parte ricorrente si vedrebbe costretta, con pregiudizio per l’interesse superiore degli studi, ad interrompere i programmi e l’attività di docenza, con danno anche per i giovani studiosi.

2. — La professoressa Albanese, ricorrente nel processo principale, si è costituita nel giudizio davanti alla Corte costituzionale.

Premesso che, con decreto rettorale del 28 febbraio 2003, le era stato concesso il prolungamento del servizio attivo per due anni, previsto dall’art. 16 d.lgs. n. 503 del 1992 ed erano stati disposti il suo collocamento fuori ruolo per un triennio (fino al 31 ottobre 2009) e il suo collocamento a riposo a far data dal 1° novembre 2009, la parte privata osserva che «il Consiglio di facoltà di scienze MM. FF. NN. dell’Università di Messina, con delibera del 9 novembre 2006, aveva approvato la proposta da lei avanzata, relativa all’attività didattica, scientifica e formativa che si proponeva di svolgere quale professore fuori ruolo». La detta Università, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 2, comma 434, della legge n. 244 del 2007, aveva modificato il suddetto decreto rettorale disponendo il suo collocamento in quiescenza a far tempo dal 1° novembre 2008. Conseguentemente ella aveva presentato ricorso al giudice amministrativo, e questi, accogliendo una eccezione dell’interessata, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale in oggetto.

Dopo aver chiarito che il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in accoglimento del suo appello, aveva disposto la sospensione cautelare del provvedimento impugnato, la professoressa Albanese sostiene la fondatezza della suddetta questione, richiamando il principio generale di irretroattività dettato dall’art. 11 delle preleggi, da qualificare come fondamento dello Stato di diritto, elemento essenziale di civiltà giuridica e di certezza del diritto.

La parte privata prosegue osservando di essere consapevole che la Costituzione sancisce l’irretroattività soltanto per le norme penali punitive (art. 25, secondo comma), e tuttavia ricorda, come questa Corte ha già affermato, che l’emanazione di leggi con efficacia retroattiva incontra una serie di limiti, concernenti valori fondamentali di civiltà giuridica, nel cui novero sono compresi il principio di ragionevolezza e di uguaglianza, nonché la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei destinatari.

Tali limiti nel caso in esame sarebbero stati violati, sia perché, in materia di collocamento fuori ruolo e di quiescenza dei professori universitari, sussiste una tradizione normativa – sempre rispettata – secondo la quale le nuove disposizioni non sono applicabili ai professori già in servizio alla data in cui esse sono introdotte (tradizione che verrebbe nella specie irragionevolmente travolta), sia perché i provvedimenti delle Università con i quali era stato disposto il collocamento fuori ruolo degli interessati, e poi, dopo tre anni, il collocamento a riposo, hanno consolidato in capo agli stessi una situazione giuridica qualificabile non in termini di mera aspettativa, bensì come vero e proprio diritto quesito.

Infatti, in base alla giurisprudenza costituzionale, è da ritenere ammissibile un intervento legislativo che modifichi la disciplina del pensionamento dei pubblici dipendenti, ma tale intervento non è consentito ad libitum. In particolare, non può ritenersi consentita una modifica legislativa che, intervenendo in una fase in cui il dipendente ha tutte le ragioni per ritenere certo il collocamento a riposo ad una certa data, muti la disciplina vanificando le sue legittime aspettative, come avvenuto nel caso di specie.

La disposizione censurata, dunque, si risolve in «un regolamento irrazionale ed arbitrario che comporta il travolgimento della situazione sostanziale posta in essere da un formale provvedimento amministrativo, adottato alla stregua della disciplina a tale momento vigente, e frustra l’affidamento dell’interessata nella sicurezza giuridica, elemento fondamentale dello stato di diritto», con conseguente violazione del principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., nonché del principio di eguaglianza dettato dalla stessa norma, in quanto comporta una parità di trattamento di situazioni differenti, tali essendo, rispettivamente, quella di coloro per i quali non sia stato adottato dalle Università alcun provvedimento del tipo di quello sopraindicato e quella di coloro per i quali, viceversa, il provvedimento sia stato adottato.

Inoltre, la norma di cui si tratta contrasterebbe col principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., per il fatto di determinare l’interruzione dei programmi di ricerca di cui era stata prevista la conclusione nel periodo del fuori ruolo e dei progetti di crescita e di affermazione degli allievi dei professori interessati.

3.— Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con otto ordinanze d’identico tenore (r.o. n. 350, n. 351, n. 352, n. 353, n. 354, n. 355, n. 356, n. 357 del 2008), del 30 luglio 2008, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., del medesimo articolo.

Il rimettente espone di essere chiamato a pronunciare su otto separati ricorsi, proposti dai professori universitari Antonino Cataudella, Mario Comporti, Francesco Marmo, Francesco Salvatore, Pierfrancesco Grossi, Gaetano Fara, Romano Cipollini, Luciano Caglioti, Domenico Misiti, Francesco Orlando, tutti già collocati fuori ruolo dal 1° novembre 2006 al 1° novembre 2009, tranne che il professore Comporti, a sua volta, collocato fuori ruolo dal 1° novembre 2007 al 1° novembre 2010. Con tali ricorsi sono stati impugnati i decreti rettorali con i quali, in applicazione del citato art. 2, comma 434, il collocamento a riposo per limiti di età dei ricorrenti è stato anticipato di un anno rispetto a quanto originariamente stabilito.

Il giudice a quo, premesso che tra le varie doglianze è stata anche dedotta la questione di legittimità costituzionale del detto art. 2, comma 434, ritiene che tale questione sia rilevante, perché il provvedimento impugnato si basa soltanto sulla riduzione del periodo di fuori ruolo operata dalla norma censurata, che non può essere interpretata in senso conforme ai principi costituzionali, «avendo un contenuto assolutamente stringente ed una disciplina espressa per i rapporti pendenti».

Il rimettente prosegue sostenendo che la questione è non manifestamente infondata sotto diversi profili.

Infatti, la norma impugnata sembra porsi in violazione dell’art. 3 Cost «per la retroattività dei suoi contenuti precettivi».

Questa Corte ha affermato più volte che l’irretroattività della legge è principio di carattere costituzionale soltanto per le norme penali, in quanto sancito dall’art. 25 Cost. Per le norme non penali la retroattività delle leggi è consentita, ma nel rispetto dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza. In questo quadro sono, in primo luogo, legittimamente retroattive sul piano costituzionale le norme interpretative, in quanto affermano una delle possibili varianti di senso già desumibili dalla lettera della disposizione interpretata. Anche norme innovative con efficacia retroattiva sono legittime (ad eccezione delle norme penali punitive), purché la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, tra i quali, oltre ai principi sopra richiamati, va inclusa anche la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei destinatari, in quanto principio connaturato allo Stato di diritto.

Nella specie, la disposizione ha introdotto una nuova disciplina per il collocamento fuori ruolo dei professori universitari. Ad avviso del rimettente si tratta di una norma a carattere innovativo, della cui retroattività non si può dubitare, perché viene ad incidere su posizioni giuridiche in atto, in quanto i ricorrenti hanno subito la riduzione di un anno del periodo di fuori ruolo già in corso.

La retroattività non può essere giustificata in relazione al fatto che la norma ha spiegato efficacia sul futuro svolgimento del periodo di fuori ruolo, in quanto questo deve ritenersi unitario, sicché la valutazione va compiuta con riguardo alla disciplina vigente al momento in cui è stato disposto.

Il collocamento fuori ruolo determina una posizione giuridica autonoma che comprende il diritto al completamento di tale periodo, sicché la relativa riduzione di un anno incide in maniera irragionevole su un affidamento qualificato degli interessati, riguardante vari aspetti dell’attività professionale svolta nel periodo medesimo.

Né la retroattività può essere giustificata dalla riforma complessiva della disciplina riguardante i professori universitari, operata con legge n. 230 del 2005, la quale ha abolito il periodo di collocamento fuori ruolo e previsto il limite di età di settant’anni per il collocamento a riposo. L’art. 1, comma 17, di tale legge, infatti, ha stabilito l’applicabilità di tale regime soltanto ai professori nominati in base alla nuova disciplina.

Anche la disciplina di diritto transitorio di cui si tratta risulta irragionevole. Invero, da un lato, essa denota – nella parte in cui fa decorrere la completa abolizione del fuori ruolo dal 1° gennaio 2010 – la consapevolezza del legislatore di non potere incidere in maniera immediata sulle situazioni in corso, dall’altro, stabilisce la riduzione del periodo fuori ruolo, sia per coloro che sono già in tale posizione da uno o due anni (applicando ad entrambe le suddette categorie di soggetti la riduzione a due anni), sia per coloro che, al momento di entrata in vigore della legge, sono ancora in servizio di ruolo, essendo previsto il periodo fuori ruolo di un anno, sia per i collocati fuori ruolo nel novembre 2008, sia per i collocati fuori ruolo nel novembre 2009. Peraltro, continua il rimettente, per i professori non ancora posti fuori ruolo al momento di entrata in vigore della legge – non titolari, dunque, di un affidamento qualificato – il periodo fuori ruolo avrebbe potuto anche essere disciplinato diversamente, senza alcuna salvaguardia di posizioni giuridiche, ma simile salvaguardia era invece necessaria nei confronti dei ricorrenti. Ne consegue che la disciplina di diritto transitorio in argomento tratta, dunque, nello stesso modo, salva la differenza della entità della riduzione (rispettivamente di un anno o di due anni), situazioni radicalmente diverse e, precisamente, posizioni di stato in atto (quelle di coloro che già si trovavano in posizione di fuori ruolo) e mere aspettative (quelle dei professori ancora in servizio).

La norma censurata appare altresì in contrasto anche con il principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., perché, anche in relazione all’efficienza organizzativa delle Università, la previsione dell’immediata riduzione del fuori ruolo per tutti i professori ordinari, i quali sono già in detta posizione, comporta l’immediata perdita di risorse intellettuali, l’interruzione di programmi di ricerca, la dispersione dell’attività scientifica.

4. — Il professore Antonino Cataudella si è costituito in giudizio chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata ammissibile e fondata.

Il professore Mario Comporti, a sua volta, ha depositato memoria di costituzione, nella quale, dopo aver richiamato il quadro normativo in cui è intervenuta la norma censurata, sostiene la necessità di ampliare la questione con riferimento all’intera categoria dei professori universitari che hanno acquisito il diritto al collocamento fuori ruolo in forza del d.P.R. n. 382 del 1980, prescindendo dal fatto che il relativo collocamento sia stato già disposto. La parte deduce la fondatezza di detta questione non soltanto per violazione degli artt. 3 e 97 Cost., ma anche per contrasto con gli artt. 1, 2, 4, 9, 11, 38, 98 e 117 della medesima, «ob relationem (cioè quale normativa interposta) alla Convenzione sui diritti e le libertà fondamentali di Roma 4.11.1950 (CEDU), in particolare per violazione degli articoli 1, 6 e 7 della CEDU e violazione dell’art. 6 del Trattato UE, nonché per violazione degli articoli 15 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea».

 Il professor Comporti chiede, infine, che la dichiarazione d’illegittimità costituzionale sia estesa all’art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992; all’art. 1, comma 30, della legge n. 549 del 1995; alla legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).

Anche i professori Francesco Salvatore e Pierfrancesco Grossi si sono costituiti con atti depositati, chiedendo l’accoglimento della questione sollevata dal TAR del Lazio.

Si è pure costituito il professor Gaetano Fara, chiedendo che la questione sia dichiarata fondata, per ragioni nella sostanza analoghe a quelle esposte nell’ordinanza di rimessione.

Infine, si è costituito il professore Francesco Orlando, articolando, anche con richiami a precedenti pronunzie di questa Corte, argomentazioni analoghe a quelle svolte nell’ordinanza di rimessione, cui aggiunge un’ulteriore censura ex art. 3 Cost., per ingiustificata disparità di trattamento rispetto al trattamento pensionistico dei magistrati. Deduce, altresì, che è costituzionalmente illegittima la norma di legge che abolisce l’istituto stesso del fuori ruolo per i professori universitari, individuando come ulteriore parametro costituzionale violato l’art. 38 Cost. In subordine chiede che questa Corte, qualora ritenga di non dover dichiarare l’incostituzionalità della norma censurata, pronunci sentenza interpretativa dell’art. 2, comma 434, della legge n. 244 del 2007, in guisa da renderlo compatibile con gli artt. 3, 38 e 97 Cost.

5. — In tutti i giudizi sopra indicati ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale ha chiesto che la sollevata questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.

Ad avviso dell’interveniente, «la norma censurata è riconducibile alla discrezionalità propria del legislatore, il quale ben può limitare la durata del collocamento fuori ruolo dei professori universitari in applicazione del principio, già affermato dalla Corte costituzionale, secondo cui nel sistema costituzionale è consentito al legislatore di emanare disposizioni le quali modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti», salvo, qualora si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.).

Questa Corte, infatti, ha posto in evidenza al riguardo il solo limite dell’irrazionalità e dell’arbitrio che, nella specie, non ricorre, trattandosi di provvedimento diretto al contenimento delle spese, di carattere riduttivo e non soppressivo.

In altri termini, i giudici rimettenti non hanno colto la ratio della disposizione impugnata, da identificare nell’avvertita esigenza del sistema universitario italiano, di agevolare – nell’ambito di un quadro di finanza pubblica critico – il ricambio generazionale dei docenti universitari, considerato uno degli obiettivi in grado di dare nuovo slancio, tra l’altro, alle attività di ricerca scientifica che si svolgono nelle università.

Il legislatore non si è limitato ad abolire l’istituto del fuori ruolo per tutti i professori universitari, ma, proprio per evitare d’incorrere in censure sotto il profilo della legittimità costituzionale, ha operato una graduale riduzione del relativo periodo fino alla sua totale eliminazione. In tale contesto deve essere considerata la disposizione per la quale la predetta riduzione si applica a coloro che già sono stati collocati fuori ruolo.

La norma, infatti, mira ad evitare la disparità di trattamento tra categorie di docenti che si sarebbe creata se si fosse proceduto ad abolire il fuori ruolo soltanto per i docenti in servizio, senza incidere sulla posizione anche di quelli già collocati fuori ruolo. La disparità sarebbe stata ancor più evidente, in quanto basata soltanto sull’atto di collocamento fuori ruolo. In altri termini, il legislatore, al fine di evitare disparità di trattamento tra professori universitari in servizio e in fuori ruolo, ha abolito l’istituto per tutti i docenti, peraltro prevedendo, per quelli già fuori ruolo, la graduale riduzione del relativo periodo.

Pertanto, la scelta del legislatore non viola il principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., né sotto il profilo della disparità di trattamento, né sotto quello della ragionevolezza.

La norma stessa, non si pone neppure in contrasto con il canone costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione, in quanto i programmi di ricerca ben possono essere proseguiti dalla struttura scientifica di riferimento dei docenti collocati in quiescenza. D’altra parte, la gradualità dell’abolizione dell’istituto in argomento consente alle Università, proprio nell’ottica del buon andamento delle attività accademiche, di programmare le stesse, tenendo conto della posizione lavorativa dei propri docenti.

6. — In prossimità dell’udienza di discussione, i professori Albanese, Cataudella, Orlando, Comporti, Grossi hanno depositato articolate memorie, con le quali riprendono e sviluppano le argomentazioni già esposte negli atti di costituzione.

Inoltre, i ricorrenti professori Grossi e Cataudella chiedono che questa Corte estenda il proprio sindacato di costituzionalità, comprendendo in esso non soltanto la parte della disposizione impugnata relativa ai professori già collocati fuori ruolo al momento dell’entrata in vigore della legge censurata, ma anche quella relativa ai professori nominati in seguito a concorsi banditi in data anteriore all’entrata in vigore della legge n. 28 del 1980, non ancora in posizione di fuori ruolo a quel momento, a loro volta titolari del diritto quesito a rimanere in servizio per un triennio. Essi sostengono, poi, che la norma in questione sarebbe contraria alle prescrizioni della direttiva comunitaria sulla parità di trattamento in materia di occupazione e, in generale, ai principi comunitari di parità di trattamento e di tutela del legittimo affidamento.

L’accertamento del contrasto con la normativa comunitaria sarebbe pregiudiziale all’accertamento del contrasto con la disciplina costituzionale. Pertanto, questa Corte – ove ritenesse di condividere il suddetto profilo di censura - dovrebbe rimetterne l’esame alla Corte di giustizia CE.

Considerato in diritto

1.— Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con l’ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 345 del 2008), dubita, in riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 434, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), nella parte in cui «troverebbe applicazione anche per i professori per i quali sia stato già disposto con formale provvedimento amministrativo il collocamento fuori ruolo».

La norma impugnata stabilisce che il periodo di fuori ruolo dei professori universitari, precedente alla quiescenza, è ridotto a due anni accademici a decorrere dal 1° gennaio 2008 e coloro che, alla data indicata, sono in servizio come professori nel terzo anno accademico fuori ruolo, sono posti in quiescenza al termine dell’anno accademico. A decorrere dal 1°gennaio 2009, il detto periodo di fuori ruolo è ridotto ad un anno accademico e coloro che, alla medesima data, sono in servizio come professori nel secondo anno accademico fuori ruolo, sono posti in quiescenza al termine dell’anno accademico. Infine, a decorrere dal 1° gennaio 2010, il periodo di fuori ruolo dei professori universitari è definitivamente abolito e coloro che, alla medesima data, sono in servizio come professori nel primo anno accademico fuori ruolo sono posti in quiescenza al termine di tale anno.

Il giudice a quo riferisce che davanti a quel Tribunale amministrativo è in corso un giudizio, promosso da una professoressa ordinaria, già collocata fuori ruolo per un triennio a decorrere dal 1° novembre 2006, e perciò fino al 31 ottobre 2009, la quale ha impugnato i provvedimenti rettorali con cui le è stata comunicata – in applicazione dell’art. 2, comma 434, della legge n. 244 del 2007 – la cessazione anticipata dal servizio con effetto dal 1° novembre 2008.

Il rimettente ritiene palese, in base al testuale tenore della disposizione censurata, che il legislatore ha inteso disporre «anche per coloro che avessero già ottenuto il fuori ruolo, il progressivo collocamento a riposo anticipato, e ciò, tra l’altro, in piena coerenza con la ratio della normativa», mirante alla totale abolizione dell’istituto del collocamento fuori ruolo dei professori universitari prima della quiescenza. Da questo assunto il giudice desume l’infondatezza dei primi due motivi del ricorso e la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della norma suddetta.

Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale amministrativo osserva che la disposizione impugnata, per il suo carattere irrazionale ed arbitrario, si pone in contrasto con l’art. 3 Cost. – sotto il profilo del principio di ragionevolezza – in quanto la sua applicazione condurrebbe a travolgere la situazione sostanziale posta in essere da un formale provvedimento amministrativo, adottato nel rispetto della disciplina vigente al momento della sua emanazione e, conseguentemente, frustrerebbe l’affidamento dell’interessato nella sicurezza giuridica, elemento fondamentale dello Stato di diritto. Essa, violerebbe, altresì, il principio di eguaglianza dettato dalla stessa norma, in quanto comporta una parità di trattamento di situazioni differenti, tali essendo, rispettivamente, quella di coloro per i quali non sia stato adottato dalle Università alcun provvedimento del tipo di quello sopraindicato e quella di coloro per i quali, viceversa, il provvedimento sia stato adottato.

Inoltre, ad avviso del rimettente, la disposizione sarebbe lesiva anche del principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all’art. 97 Cost., in quanto determina l’interruzione dei programmi di ricerca intrapresi dal docente e i processi di crescita e di affermazione dei suoi allievi.

2. — Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con le otto ordinanze d’identico tenore indicate in epigrafe, solleva a sua volta, in riferimento agli artt. 3 e 97 Cost., questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 2, comma 434, della legge n. 244 del 2007, nella parte in cui stabilisce la riduzione progressiva del periodo di fuori ruolo per i professori universitari già collocati in tale posizione.

Nei giudizi di cui alle ordinanze di rimessione r.o. n. 350, n. 352, n. 353, n. 354, n. 355, n. 356 e n. 357 del 2008 i ricorrenti, collocati fuori ruolo dal 1° novembre 2006, hanno impugnato i decreti rettorali emessi dalle rispettive Università, con i quali è stata ridotta l’originaria durata triennale del periodo fuori ruolo ed è stato stabilito il loro collocamento a riposo dal 1° novembre 2008. Nel giudizio di cui all’ordinanza r.o. n. 351 del 2008, il ricorrente, collocato fuori ruolo a far data dal 1° novembre 2007, ha impugnato il decreto rettorale col quale l’Università ha ridotto il periodo fuori ruolo già disposto in precedenza, stabilendo il suo collocamento a riposo dal 1° novembre 2009.

Il giudice a quo svolge argomenti analoghi a quelli già esposti nell’ordinanza n. 345 del 2008, ritenendo la norma denunciata in contrasto con l’art. 3 Cost. «per la retroattività dei suoi contenuti precettivi», non suscettibili di essere interpretati in modo conforme ai principi costituzionali. Inoltre, osserva che l’irretroattività della legge trova tutela costituzionale soltanto per le leggi penali, nell’ambito dell’art. 25 Cost. Il legislatore, dunque, in altri settori ben può emanare leggi con efficacia retroattiva, ma è necessario che l’esercizio di tale potere trovi giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti, tra cui l’affidamento legittimamente sorto, quale principio connaturato allo Stato di diritto (è richiamata la sentenza di questa Corte n. 282 del 2005).

Nei casi di specie, la norma censurata sarebbe di carattere innovativo e verrebbe ad incidere su posizioni giuridiche in atto, senza che tale retroattività trovi giustificazione ragionevole, ponendosi anzi in contrasto col principio generale di eguaglianza e con l’affidamento legittimamente sorto negli interessati.

Infine, sussisterebbe anche contrasto col principio di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost.

3. — Entrambi i rimettenti dubitano della legittimità costituzionale della stessa norma di legge, con riferimento ai medesimi parametri costituzionali, e svolgono argomentazioni in larga parte coincidenti. Pertanto, tutti i relativi giudizi devono essere riuniti e definiti con unica pronunzia.

4. — In premessa si deve rilevare che, per giurisprudenza costante di questa Corte, l’oggetto del giudizio di costituzionalità in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione, non potendo essere presi in considerazione, oltre i limiti in queste fissati, ulteriori questioni o profili di costituzionalità dedotti dalle parti, sia che siano stati eccepiti, ma non fatti propri dal giudice a quo, sia che siano diretti ad ampliare o modificare successivamente il contenuto delle stesse ordinanze. Sono quindi inammissibili, e non possono essere prese in esame in questa sede, le deduzioni di alcune parti private (indicate in narrativa), dirette ad estendere il thema decidendum non soltanto attraverso l’invocazione di ulteriori parametri costituzionali, ma anche attraverso la denuncia di disposizioni ulteriori rispetto a quelle sospettate di illegittimità costituzionale dai giudici rimettenti (ex plurimis, sentenze n. 56 del 2009; n. 86 del 2008; n. 244 del 2005; ordinanze n. 174 del 2003 e 379 del 2001).

5. —Nella stessa prospettiva, va osservato che, mentre l’ordinanza del TAR per la Sicilia solleva la questione di legittimità costituzionale del citato art. 2, comma 434, «nella parte in cui troverebbe applicazione anche per i professori per i quali sia stato già disposto con formale provvedimento amministrativo il collocamento fuori ruolo», il petitum delle ordinanze del TAR del Lazio non contiene la stessa precisazione. Da ciò, tuttavia, non può desumersi che in tali ordinanze si sia inteso estendere la questione anche ai docenti universitari non ancora in posizione di fuori ruolo al momento dell’entrata in vigore della legge censurata (1° gennaio 2008). Premesso che, a questa data, tutti i ricorrenti nei giudizi principali erano già collocati in detta posizione ed avevano iniziato il relativo periodo, basta considerare la motivazione delle ordinanze medesime (in riferimento alla quale il dispositivo va interpretato) per convincersi che in esse la questione è stata circoscritta negli stessi limiti del Tribunale amministrativo siciliano.

In particolare, si afferma che la disposizione censurata stabilisce la riduzione del periodo fuori ruolo, sia per coloro che sono già in tale posizione da uno o due anni (applicando ad entrambe le suddette categorie di soggetti la riduzione a due anni), sia per coloro che, al momento di entrata in vigore della legge, sono ancora in servizio di ruolo, essendo previsto il periodo fuori ruolo di un anno, sia per i collocati fuori ruolo nel novembre 2008, sia per i collocati fuori ruolo nel novembre 2009. Peraltro, per i professori non ancora posti fuori ruolo al momento di entrata in vigore della legge – non titolari, dunque, di un affidamento qualificato – il periodo fuori ruolo avrebbe potuto anche essere disciplinato diversamente, senza alcuna salvaguardia di posizioni giuridiche, ma simile salvaguardia era invece necessaria nei confronti dei ricorrenti. Ne consegue che la disciplina di diritto transitorio in argomento tratta, dunque, nello stesso modo, salva la differenza della entità della riduzione (rispettivamente di un anno o di due anni), situazioni radicalmente diverse e, precisamente, posizioni di stato in atto (quelle di coloro che già si trovavano in posizione di fuori ruolo) e mere aspettative (quelle dei professori ancora in servizio). E più avanti si aggiunge che, anche in relazione all’efficienza organizzativa dell’Università, la previsione dell’immediata riduzione della durata del fuori ruolo per tutti i professori universitari che sono già in tale posizione comporta la immediata perdita di risorse intellettuali, la interruzione di programmi di ricerca, la dispersione dell’attività scientifica.

Risulta evidente, dunque, che anche per il TAR del Lazio la questione di legittimità costituzionale è posta con riguardo all’art. 2, comma 434, della legge n. 244 del 2007, nella parte in cui si applica ai professori universitari per i quali sia stato già disposto, con formale provvedimento amministrativo, il collocamento fuori ruolo e questo sia iniziato.

6. — La detta questione di legittimità costituzionale è fondata, nei sensi di seguito precisati.

6.1. — L’istituto del fuori ruolo dei professori universitari – la cui disciplina giuridica, per quanto riguarda i profili diacronici, è stata richiamata in narrativa – presenta caratteri peculiari che lo distinguono dall’analoga posizione di altri dipendenti pubblici.

Il docente universitario in tale posizione, infatti, pur non essendo più titolare di cattedra, durante il triennio di fuori ruolo può svolgere attività didattica, scientifica e di ricerca, conserva le prerogative accademiche e il trattamento economico, interviene alle adunanze del corpo accademico e del Consiglio di facoltà, può essere eletto all’ufficio di rettore o di preside. Si tratta, dunque, di un autonomo, unitario e ben definito status professionale, collegato al successivo collocamento in quiescenza, ma da questo distinto, sul quale la disposizione censurata ha inciso, introducendo per il futuro una modificazione peggiorativa del rapporto di durata, ma determinando anche una contrazione del momento finale di quello status che si riflette negativamente sulla posizione giuridica già acquisita dall’interessato (cosiddetta retroattività impropria).

6.2. — Questa Corte, con riferimento ai rapporti di durata, ha più volte affermato il principio secondo cui il legislatore, in materia di successione di leggi, dispone di ampia discrezionalità e può anche modificare in senso sfavorevole la disciplina di quei rapporti, ancorché l’oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo – in caso di norme retroattive – il limite imposto in materia penale dall’art. 25, secondo comma, Cost., e comunque a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti (ex plurimis, sentenze n. 162 del 2008; n. 74 del 2008; n. 11 del 2007; n. 409 del 2005; n. 374 del 2002 e n. 525 del 2000).

Nella giurisprudenza di questa Corte, poi, è consolidato il principio del legittimo affidamento nella sicurezza giuridica, che costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto e non può essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori (ex plurimis, sentenze n. 24 del 2009; n. 11 del 2007; n. 409 del 2005; n. 446 del 2002; n. 416 del 1999 e n. 390 del 1995).

6.3 — Si tratta quindi di verificare, alla luce dei suddetti orientamenti, la ragionevolezza della disposizione censurata sulla base del principio di tutela dell’affidamento, quale parametro alla stregua del quale scrutinare la legittimità della norma medesima, con riguardo all’art. 3 Cost.

Orbene, fermo quanto esposto in precedenza circa lo stato professionale dei professori universitari in posizione di fuori ruolo, si deve ribadire che esso certamente non si esaurisce in una mera aspettativa, ma si concreta in una posizione giuridica consolidata, in quanto radicata non soltanto su un provvedimento amministrativo che l’ha disposta (peraltro sulla base di una specifica opzione, non più revocabile dopo il collocamento fuori ruolo, ai sensi della legge 7 agosto 1990, n. 239), ma anche sull’esercizio effettivo delle attribuzioni connesse a quella posizione (come si è notato, tutti i ricorrenti nei giudizi principali avevano già intrapreso il corso del triennio fuori ruolo prima dell’entrata in vigore della norma de qua).

Inoltre, la durata del fuori ruolo è breve, essendo contenuta in un triennio, sicché essa non è equiparabile a quella di altri rapporti, come quelli inerenti a trattamenti pensionistici, destinati a protrarsi vita natural durante. Rispetto ad essa, dunque, non sono ravvisabili esigenze, tanto meno inderogabili, idonee a giustificare la compressione del legittimo affidamento nutrito dagli interessati sulla regolare scadenza del relativo periodo.

Proprio sotto questo profilo, anzi, si coglie in modo chiaro il vulnus inferto dalla norma censurata alla ragionevolezza dell’intervento legislativo di cui si tratta.

Invero, come si è detto, ad avviso della Presidenza del Consiglio dei ministri, i rimettenti non avrebbero colto la ratio della disposizione impugnata, «da identificarsi nella avvertita esigenza del sistema universitario italiano nell’ambito di un quadro di finanza pubblica critico, di agevolare il ricambio generazionale, considerato uno degli obiettivi in grado di dare nuovo slancio, tra l’altro, alle attività di ricerca scientifica che si svolgono nelle università». In questa situazione, il legislatore non si sarebbe limitato ad abolire l’istituto del fuori ruolo per tutti i professori universitari, ma «proprio per evitare d’incorrere in censure di illegittimità costituzionale» avrebbe «operato una graduale riduzione del periodo di fuori ruolo fino alla sua totale eliminazione; ed è in tale contesto che deve essere considerata la norma per la quale la predetta riduzione si applica anche a coloro che sono stati già collocati in fuori ruolo».

Al riguardo si deve osservare che, senza dubbio, il fine di abolire per il futuro l’istituto del collocamento fuori ruolo per tutti i professori universitari rientra nella discrezionalità del legislatore e, del resto, s’inserisce in un indirizzo legislativo già in precedenza perseguito (artt. 17 e 19 della legge n. 230 del 2005, la quale tuttavia fece salvo lo stato giuridico e il trattamento economico in godimento per i professori in servizio alla data di entrata in vigore della legge stessa). Qui non è in discussione tale obiettivo, bensì il necessario bilanciamento che si deve compiere tra il suo perseguimento e la tutela da riconoscere al legittimo affidamento nella sicurezza giuridica, nutrito da quanti, sulla base della normativa previgente, hanno conseguito una situazione sostanziale consolidata.

In questa prospettiva va notato che la contrazione del periodo di fuori ruolo, già in corso di svolgimento, operata dalla norma censurata, riguarda una posizione giuridica concentrata nell’arco di un triennio, interessa una categoria di docenti numericamente ristretta, non produce significative ricadute sulla finanza pubblica, non risponde allo scopo di salvaguardare equilibri di bilancio o altri aspetti di pubblico interesse e neppure può definirsi funzionale all’esigenza di ricambio generazionale dei docenti universitari, ove si consideri che essi, con l’inizio del fuori ruolo, perdono la titolarità della cattedra che rimane vacante. Il sacrificio imposto ai docenti interessati, che già si trovano nello stato di fuori ruolo, dunque, si rivela ingiustificato e perciò irragionevole, traducendosi nella violazione del legittimo affidamento – derivante da un formale provvedimento amministrativo – riposto nella possibilità di portare a termine, nel tempo stabilito dalla legge, le funzioni loro conferite e, quindi, nella stabilità della posizione giuridica acquisita (nei sensi sopra indicati).

Né può condividersi l’ulteriore argomento dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui la norma censurata mirerebbe «ad evitare la disparità di trattamento tra categorie di docenti che si sarebbe creata se si fosse proceduto ad abolire il fuori ruolo solo per i docenti in servizio, senza incidere anche sulla posizione dei docenti già collocati in fuori ruolo». È vero il contrario, perché la norma pone sullo stesso piano posizioni giuridiche non omogenee, in quanto trascura di considerare che il professore già in fuori ruolo è titolare in atto di uno specifico stato professionale, sul quale la norma medesima viene ad incidere in senso peggiorativo con effetto immediato, mentre il professore in servizio di ruolo, titolare di uno stato giuridico diverso, può vantare al riguardo soltanto una mera aspettativa. In realtà, quindi, l’equiparazione suddetta realizza una disparità di trattamento (rappresentata dalla previsione dello stesso trattamento per situazioni giuridiche diverse), costituente autonoma violazione dell’art. 3 Cost.

Alla stregua delle considerazioni esposte, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 434, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui si applica ai professori universitari per i quali sia stato disposto il collocamento fuori ruolo con formale provvedimento amministrativo e che hanno iniziato il corso del relativo periodo.

Ogni ulteriore profilo di censura resta assorbito.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, comma 434, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), nella parte in cui si applica ai professori universitari per i quali sia stato disposto il collocamento fuori ruolo con formale provvedimento amministrativo e che hanno iniziato il corso del relativo periodo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 luglio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2009.