Sentenza n. 446/2002

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SENTENZA N.446

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Riccardo CHIEPPA  

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Francesco AMIRANTE        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), promosso con ordinanza emessa il 3 ottobre 2001 dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Umbria, sul ricorso proposto da Giovanna Bevilacqua contro l’Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica (INPDAP), iscritta al n. 48 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visto l’atto di costituzione di Giovanna Bevilacqua, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 2 luglio 2002 il Giudice relatore Franco Bile;

uditi l’avvocato Paolo Boer per Giovanna Bevilacqua e l’avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Rilevato in fatto

1. – Con l’ordinanza in epigrafe, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Umbria, ha ritenuto rilevanti e non manifestamente infondate, in riferimento agli artt. 2, 3, 36 e 38 della Costituzione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), secondo cui, fra l’altro, gli importi dei trattamenti pensionistici ai superstiti sono cumulabili con i redditi del beneficiario nei limiti di cui all’allegata tabella F, pari al 75%, al 60% o al 50% della misura ordinaria ove il reddito del beneficiario sia superiore, rispettivamente, a 3, 4 o 5 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti.

La norma è impugnata <<nella parte in cui prevede l’applicazione delle relative disposizioni anche al trattamento di reversibilità spettante al coniuge superstite di lavoratore collocato in pensione prima della data di entrata in vigore della legge stessa ed in particolare per quello deceduto dopo>>, nonché nella parte in cui, <<nell'interpretazione data dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale>>, considera rilevanti ai fini del cumulo fra trattamento pensionistico ai superstiti e redditi del beneficiario i soli redditi soggetti ad IRPEF.

L’ordinanza è stata resa nel corso del giudizio promosso dal coniuge superstite di un lavoratore, collocato in pensione prima dell’entrata in vigore della norma impugnata e deceduto successivamente, contro il provvedimento della Direzione provinciale del tesoro con cui la pensione di reversibilità era stata determinata nei limiti del 60%, in quanto il coniuge superstite era titolare di un reddito superiore a quattro volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti.

1.1. - Secondo il Giudice rimettente, la norma impugnata è applicabile anche ai trattamenti di reversibilità a favore del coniuge afferenti a pensioni dirette liquidate, come nel caso di specie, prima della sua entrata in vigore (17 agosto 1995), e - in ragione di tale efficacia retroattiva - intacca posizioni consolidate: invero, la liquidazione della pensione diretta determina immodificabilmente anche il livello dell’eventuale pensione di reversibilità, che della prima è la prosecuzione; pertanto l'introduzione di una parziale incumulabilità della pensione di reversibilità, estesa alla quota di essa già idealmente entrata nella sfera giuridica del coniuge del pensionato, concreta una lesione di diritti quesiti, in violazione delle garanzie che assistono la retribuzione e la pensione, ex artt. 36 e 38 della Costituzione.

La Corte ritiene che la norma in esame violi anche gli artt. 3 e 2 della Costituzione, sotto il profilo della lesione "dell'affidamento legittimamente posto nella certezza dell'ordinamento giuridico", quale interesse costituzionalmente protetto, correlato al diritto fondamentale del lavoratore (ex art. 2 della Costituzione) di avere per sé ed i suoi familiari <<mezzi adeguati alle loro esigenze di vita>> (ex art. 38, comma 2, della Costituzione).

1.2. – Inoltre, la Corte censura l'art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995 anche per avere accordato rilievo al solo reddito soggetto ad IRPEF, e non anche ai redditi derivanti da fondi comuni di investimento, polizze vita, azioni, obbligazioni che, pur non soggetti ad IRPEF, sono assoggettati all'imposta secca del 12,50%, con la conseguenza che redditi di pari importo determinano o meno una riduzione della pensione dei superstiti solo in ragione della loro provenienza.

La Corte ammette che in realtà la limitazione al solo reddito soggetto ad IRPEF risulta da una nota del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, e precisa che <<ove la norma in questione venga interpretata nel senso voluto dalla citata circolare>> essa sarebbe affetta da irragionevolezza intrinseca.

2. - Si è costituita la parte privata aderendo alle prospettazioni dell'ordinanza di rimessione quanto alla prima questione, e sostenendo che illegittimamente il legislatore ha individuato il discrimine temporale del divieto di cumulo nella data di insorgenza del diritto a pensione del coniuge superstite anziché nella data di decorrenza della pensione diretta.

La stessa difesa ritiene invece inammissibile la seconda questione.

3. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ed ha concluso per la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità.

Ha in particolare rilevato che il diritto alla pensione di reversibilità sorge soltanto al momento del decesso del titolare della pensione diretta, onde non ha alcuna rilevanza la data in cui sia stato attribuito il trattamento diretto; ed anzi una norma che riconoscesse tale rilevanza sarebbe discriminante ed irragionevole.

Considerato in diritto

1. - L'ordinanza di rimessione investe – con due distinte questioni di legittimità costituzionale - l'art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare).

Tale norma – nel contesto di una revisione della materia pensionistica, anche a fini di contenimento della relativa spesa – ha introdotto un parziale divieto di cumulo fra il trattamento di reversibilità spettante ai superstiti ed i redditi di costoro, stabilendo che <<gli importi dei trattamenti pensionistici ai superstiti sono cumulabili con i redditi del beneficiario, nei limiti di cui all’allegata tabella F>>, ossia entro il 75%, il 60% o il 50% della misura ordinaria se il reddito del beneficiario è superiore, rispettivamente, a 3, 4 o 5 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti.

2. - Le questioni sono rilevanti, in quanto – come l’ordinanza sottolinea - la ricorrente contesta la limitazione del trattamento di reversibilità al 60%, derivante dalla norma impugnata, e ritiene che questa leda il suo diritto, costituzionalmente garantito, a percepirlo integralmente.

3. – Con la prima questione la norma è impugnata - in riferimento agli artt. 2, 3, 36 e 38 della Costituzione - <<nella parte in cui prevede l’applicazione delle relative disposizioni anche al trattamento di reversibilità spettante al coniuge superstite di lavoratore collocato in pensione prima della data di entrata in vigore della legge stessa ed in particolare per quello deceduto dopo>>. La questione non concerne quindi tutti i trattamenti pensionistici di reversibilità, ma solo quelli attribuiti al coniuge superstite di lavoratore collocato in pensione prima dell’entrata in vigore della norma (17 agosto 1995) e morto dopo di essa.

4. – La questione è prospettata anzitutto in riferimento agli artt. 36 e 38 della Costituzione.

Secondo il Giudice rimettente, poiché il diritto al trattamento pensionistico matura progressivamente, la liquidazione della pensione diretta comporta anche la determinazione immodificabile dell’eventuale pensione di reversibilità, che della pensione diretta è la prosecuzione: ne consegue che, già durante la vita del pensionato, nella sfera giuridica del coniuge entrano idealmente successive quote di pensione di reversibilità, e che il livello potenzialmente raggiunto da tale trattamento non può essere ridotto da una norma successiva meno favorevole, pena la violazione di diritti quesiti.

Tale violazione si sarebbe verificata nella specie, perché la norma impugnata - estendendo il parziale divieto di cumulo fra pensione di reversibilità e reddito del superstite anche alla quota relativa alla pensione maturata prima della propria entrata in vigore – avrebbe ridotto l’importo di trattamenti di reversibilità già determinati e negato al coniuge superstite i mezzi economici necessari al suo mantenimento.

Il Giudice rimettente deduce inoltre la violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione, sotto il profilo che la sostanziale retroattività del divieto parziale di cumulo lede il legittimo affidamento del coniuge superstite nella certezza dell'ordinamento e, segnatamente, nella stabilità della disciplina del trattamento di reversibilità conseguente ad una pensione diretta già liquidata.

5. - Nel merito, la questione è infondata sotto entrambi i profili, che possono essere esaminati insieme.

Il diritto al trattamento di reversibilità per il coniuge superstite sorge solo al momento della morte dell’altro coniuge, titolare di pensione diretta (reversibilità in senso stretto) o lavoratore ancora in servizio (pensione indiretta).

Pertanto, nell’ipotesi (ricorrente nella specie) di diritto alla pensione di reversibilità in senso stretto sorto dopo l’entrata in vigore della norma impugnata, deve escludersi che questa abbia potuto ledere un affidamento tutelabile nella stabilità della disciplina della reversibilità.

Infatti in quel momento, essendo in corso un trattamento di pensione diretta, un tale affidamento sicuramente non poteva vantare il coniuge del pensionato, la cui qualità di <<superstite>> si configurava allora in termini di mera eventualità.

6. – Tali conclusioni sono del tutto coerenti con i principi affermati da questa Corte in tema di affidamento.

In linea generale, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica - essenziale elemento dello Stato di diritto - non può essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori (sentenza n. 416 del 1999; in precedenza sentenze nn. 211 del 1997 e 390 del 1995, successivamente sentenza n. 525 del 2000 e ordinanze nn. 319 e 327 del 2001).

Da tale principio discende che solo in questi limiti - in presenza di una legge avente, in settori estranei alla previsione dell'art. 25, comma 2, della Costituzione, portata ragionevolmente retroattiva - l'affidamento sulla stabilità della normativa previgente è coperto da garanzia costituzionale.

In materia previdenziale poi deve tenersi anche conto del principio, parimenti affermato da questa Corte, secondo cui il legislatore può – al fine (ricorrente nella specie) di salvaguardare equilibri di bilancio e contenere la spesa previdenziale – ridurre trattamenti pensionistici già in atto (sentenze nn. 417 e 361 del 1996, 240 del 1994, 822 del 1988).

Perciò, il diritto ad una pensione legittimamente attribuita (in concreto e non potenzialmente) – se non può essere eliminato del tutto da una regolamentazione retroattiva che renda indebita l'erogazione della prestazione (sentenze n. 211 del 1997 e n. 419 del 1999) - ben può subire gli effetti di discipline più restrittive introdotte non irragionevolmente da leggi sopravvenute.

Ed allora – se, salvo il controllo di ragionevolezza, è conforme a Costituzione una norma peggiorativa di trattamenti pensionistici in atto - a maggior ragione la conclusione vale per una norma che incida su trattamenti pensionistici non ancora attivati al momento della sua entrata in vigore, quale la pensione di reversibilità che eventualmente spetterà al coniuge superstite del pensionato in quel momento ancora in vita.

Queste considerazioni inducono a ritenere che non possa argomentarsi in termini di diritto quesito (sentenze n. 349 del 1985 e n.9 del 1994).

7. – A sostegno del proprio assunto sulla maturazione progressiva del diritto al trattamento pensionistico - e sulla conseguente impossibilità che il livello potenzialmente raggiunto sia ridotto da una norma successiva meno favorevole - il Giudice rimettente invoca alcune decisioni di questa Corte (sentenze nn. 264 del 1994, 388 del 1995, 427 del 1997, 201 del 1999).

Tali pronunzie hanno però affermato un principio radicalmente diverso, dichiarando costituzionalmente illegittime norme suscettibili di provocare l’inaccettabile effetto per cui – pur essendo stato raggiunto un certo livello di possibile trattamento pensionistico, ancorché non attivato - la prosecuzione della contribuzione, con il correlativo incremento dei versamenti, finiva per operare in senso negativo e comportare una riduzione del trattamento stesso.

8. – E’ del pari ininfluente il richiamo del Giudice rimettente alla sentenza di questa Corte n. 169 del 1986.

Tale pronuncia ha affermato (con riferimento ai trattamenti pensionistici indiretti previsti dalle norme sulla previdenza forense) che il legislatore può ex post porre ad essi <<limitazioni e restrizioni>>, negando che sia configurabile un diritto dell'iscritto, e <<dei suoi aventi causa>>, all'intangibilità del trattamento pensionistico vigente al momento dell'iscrizione.

Nel contempo (con riferimento ai trattamenti pensionistici di reversibilità previsti dalle norme sulla previdenza per gli ingegneri) la sentenza ha ritenuto gravemente discriminatoria e non sorretta da alcuna giustificazione l’esclusione da tali trattamenti sancita a carico dei superstiti di pensionati già iscritti alla Cassa dopo il compimento del quarantesimo anno di età.

La pronuncia di incostituzionalità ha perciò riguardato una norma che, in presenza di date circostanze, precludeva del tutto l’accesso alla pensione di reversibilità al coniuge del titolare di una pensione diretta già attivata.

Diverso è invece il caso della norma impugnata, che – lungi dal <<sottrarre>> la pensione di reversibilità al coniuge del pensionato (a costui sopravvissuto) – ne disciplina l’ammontare in termini bensì restrittivi, ma entro i limiti della ragionevolezza.

9. – Con la seconda questione di costituzionalità, il medesimo art. 1, comma 41, della legge n. 335 del 1995 è censurato, in riferimento al solo art. 3 della Costituzione, per intrinseca irragionevolezza, nella parte in cui - <<nell'interpretazione data dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale>> - considera rilevanti, ai fini della disciplina del cumulo dei trattamenti pensionistici in esame, soltanto i redditi soggetti ad IRPEF e non anche i redditi, quali quelli di capitale, per i quali è invece prevista la ritenuta d'imposta.

La questione è manifestamente inammissibile, sia perché non rilevante, risultando dalla stessa ordinanza di rimessione che alla ricorrente la pensione di reversibilità è stata ridotta in ragione della percezione di soli redditi soggetti ad IRPEF; sia perché ipotetica e perplessa, in quanto sollevata condizionatamente all'esattezza dell'interpretazione data alla disposizione censurata dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale (per l’inammissibilità di questioni sollevate in via ipotetica, ordinanze nn. 579 del 2000, 2 e 34 del 2001, sentenze nn. 32 e 195 del 2002).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 36 e 38 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Umbria, con l'ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Umbria, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 12 novembre 2002.