Sentenza n. 822 del 1988

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SENTENZA N.822

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), promosso con ordinanza emessa il 15 novembre 1986 dal Pretore di Pisa nel procedimento civile vertente tra Kinsky Vaclav Norberto e I.N.P.S., iscritta al n. 32 del registro ordinanze 1987 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12/I ss. dell'anno 1987;

Visti gli atti di costituzione dell'I.N.P.S. e di Kinsky Vaclav Norberto nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 21 giugno 1988 il Giudice relatore Francesco Greco;

uditi l'avv. Paolo Pafanti-Pellettier per Kinsky Vaclav Norberto e l'avv. Fabrizio Ausenda per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Mario Imponente per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1.- Il pretore di Pisa dubita della legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297, nella parte in cui non fa salva la posizione giuridica del lavoratore il quale, alla data di entrata in vigore della medesima legge, si trovasse ad avere già maturato, nell'ultimo decennio prima del pensionamento, il triennio di migliore retribuzione I.N.P.S., ai sensi dell'art. 26, terzo comma, della legge 3 giugno 1975, n. 160, in riferimento agli artt. 3 Cost., per la evidente irrazionalità, e 36 Cost., perché a detto lavoratore viene attribuita una pensione in misura di gran lunga inferiore a quella cui avrebbe avuto diritto secondo la precedente legge.

2.- Va, anzitutto, rigettata l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura sul rilievo dell'omessa o, quanto meno, insufficiente motivazione del contrasto della norma censurata con i sopra ricordati parametri costituzionali. Dal contesto dell'ordinanza di rimessione si evince, invece, l'esistenza di una motivazione del tutto sufficiente al riguardo.

3. - La questione é fondata.

Questa Corte ha già affermato (sent. n. 349 del 1985) che nel nostro sistema costituzionale il legislatore può emanare disposizioni che modifichino sfavorevolmente la disciplina dei rapporti di durata, anche se il loro oggetto sia costituito da diritti soggettivi perfetti, salvo, quando si tratti di disposizioni retroattive, il limite costituzionale vigente per la materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). Dette disposizioni, pero, al pari di qualsiasi precetto legislativo, non possono trasmodare in un regolamento irrazionale ed arbitrariamente incidere sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti, frustrando così anche l'affidamento del cittadino nella sicurezza pubblica che costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello Stato di diritto (v. sentt. nn. 36 del 1985 e 210 del 1971).

Anche se deve ritenersi ammissibile un intervento legislativo che modifichi l'ordinamento pubblicistico delle pensioni, non può, pero, ammettersi che detto intervento sia assolutamente discrezionale.

In particolare, non può dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo o in una fase avanzata del rapporto di lavoro oppure quando già sia subentrato lo stato di quiescenza, peggiorasse, senza una inderogabile esigenza, in misura notevole ed in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con la conseguente irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività lavorativa.

Nella fattispecie il trattamento pensionistico che, in base alla precedente legge, sarebbe spettato al ricorrente, si e irrimediabilmente ridotto di quasi due terzi.

L'operata riduzione é tanto più grave in quanto lo stesso Istituto previdenziale ha provveduto a determinare la quota di contribuzione volontaria, dovuta per legge interamente dal lavoratore, necessaria per raggiungere l'anzianità contributiva richiesta dalla legge allora in vigore per conseguire il diritto al trattamento pensionistico.

La quota di contribuzione volontaria postula la sussistenza di tassativi ed inderogabili requisiti di legge supportati dalla prescritta anzianità assicurativa e contributiva ed e ragguagliata nella misura alla retribuzione settimanale ed alla correlativa classe contributiva assegnata dall'I.N.P.S. in relazione all'entità di tale retribuzione, percepita prima della cessazione dell'attività lavorativa. In conseguenza dell'eventuale versamento di una somma inferiore, il periodo assicurativo si contrae automaticamente in proporzione.

L'inderogabile esigenza giustificatrice della riduzione del trattamento pensionistico ormai prossimo a maturazione, secondo la legge precedente alla modificazione, non può concretarsi nelle ragioni che hanno determinato la riforma legislativa.

Il precedente trattamento pensionistico era, infatti, calcolato sulla base retributiva collocata, nella fattispecie, in epoca non lontana dalla decorrenza della pensione.

Per effetto della legge di modifica si e inserita, invece, la valutazione dell'apporto contributivo oggettivamente dovuto nel sistema a ripartizione, nel quale i contributi assicurativi sono percentualmente commisurati alle retribuzioni collegate con le variazioni dell'indice del costo della vita, sicché il trattamento di pensione liquidato ai lavoratori che maturano il relativo diritto dopo l'entrata in vigore di detta legge, per effetto della maggiore contribuzione versata, e certamente più congruo. ciò non avviene, invece, per coloro che, pur avendo versato la contribuzione dovuta in base alla legge precedente, dovessero seguire il nuovo sistema.

Sono di ordine secondario le altre ragioni, quali il conseguimento di un gettito fiscale per coprire gli oneri dei trattamenti dovuti anche alle categorie con contribuzione bassa o nulla, secondo il principio solidaristico, nonché l'avvenuta elevazione del tetto pensionabile, l'adeguamento periodico delle pensioni e l'aumento dei trattamenti minimi, in una con le necessita di contenimento della spesa previdenziale: ragioni non idonee a giustificare la decurtazione della pensione in danno di quei lavoratori che hanno versato contributi a loro carico, per l'intero o in parte, nella legittima aspettativa di conseguire un trattamento pensionistico adeguato. Valgono per costoro il principio della garanzia della sicurezza sociale, che e anch'esso di ordine costituzionale (art. 38), oltre che le innegabili ragioni di giustizia sociale e di equità per cui non possono effettuarsi riforme o conseguire risultati a danno di categorie di lavoratori in genere ed in specie di quelli che sono prossimi alla pensione o sono già in pensione.

Pertanto, la questione é fondata nei suddetti sensi, rimanendo assorbito il profilo della violazione dell'art. 36 Cost.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, ottavo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), nella parte in cui non prevede, per i lavoratori prossimi alla pensione al momento della sua entrata in vigore, o già pensionati, il mantenimento in vigore, ai fini della liquidazione della pensione stessa, dei criteri dettati dall'art. 26, terzo comma, della legge 3 giugno 1975, n. 160.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 04/07/88.

 

Francesco SAJA - Francesco GRECO

 

Depositata in cancelleria il 14/07/88.