SENTENZA
N. 416
ANNO 1999
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori Giudici:
- Dott. Renato GRANATA,
Presidente
- Prof. Giuliano VASSALLI
- Prof. Francesco GUIZZI
- Prof. Cesare MIRABELLI
- Avv. Massimo VARI
- Dott. Cesare RUPERTO
- Dott. Riccardo CHIEPPA
- Prof. Gustavo
ZAGREBELSKY
- Prof. Valerio ONIDA
- Prof. Carlo MEZZANOTTE
- Avv. Fernanda CONTRI
- Prof. Guido
NEPPI MODONA
- Prof. Piero Alberto
CAPOTOSTI
- Prof. Annibale MARINI
ha pronunciato la seguente
nel giudizio di legittimità costituzionale
dell'art. 1, comma 189, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di
razionalizzazione della finanza pubblica), promosso con ordinanza emessa il 5
dicembre 1997 dalla Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione
Lazio, sul ricorso proposto da Biagini Celestino
contro la Direzione Provinciale del Tesoro di Roma, iscritta al n. 604 del
registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1998.
Visto l'atto di costituzione di Biagini Celestino nonché l'atto di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito
nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1999 il Giudice relatore Massimo Vari;
uditi
l'avvocato Federico Rafti per Biagini
Celestino e l'Avvocato dello Stato Michele Di Pace per il Presidente del
Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.¾ Con ordinanza 5 dicembre 1997, la Corte
dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, ha sollevato questione
di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 189,
della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica).
1.1.¾ In punto di rilevanza il giudice
rimettente osserva che il ricorrente nel giudizio principale ¾ già Consigliere di Stato cessato dal
servizio, per dimissioni, a decorrere dal 30 novembre 1996, con un servizio
utile di anni 29 ¾ ha invocato un "accertamento
del regime pensionistico applicabile nella fattispecie sin dal momento del
collocamento a riposo". Si tratta, perciò, di una domanda che muove da un
"interesse diretto ed attuale" del medesimo
ricorrente "alla pronuncia giurisdizionale", considerata l’incidenza,
"sia sull’an
che sul quantum del trattamento da
corrispondere", della norma impugnata, la quale, "entrata in vigore
dal 1° gennaio 1997", ha stabilito che, "con effetto sui trattamenti
liquidati dalla data di cui al comma 185", e cioè dal 30 settembre 1996, "le
pensioni di anzianità a carico della assicurazione generale obbligatoria dei
lavoratori dipendenti e delle forme di essa sostitutive, nonché i trattamenti
anticipati di anzianità delle forme esclusive della medesima, non sono
cumulabili, limitatamente alla quota liquidata con il sistema retributivo, con
redditi da lavoro di qualsiasi natura e il loro conseguimento è subordinato
alla risoluzione del rapporto di lavoro".
1.2.¾ Quanto alla non manifesta infondatezza,
il giudice a quo ritiene che
l’"operatività retroattiva" dell’art. 1,
comma 189, della legge n. 662 del 1996, confligga ¾ soprattutto "dopo il severo e
rigoroso richiamo alla normalità costituzionale di cui alla sentenza n. 360 del
1996" di questa Corte ¾ con il precetto "che fa decadere fin dall’inizio i
decreti legge non convertiti": la norma censurata, nel recuperare "i
contenuti di un decreto-legge decaduto" (decreto-legge 30 settembre 1996,
n. 508), non avrebbe, infatti, tenuto conto di tutte le conseguenze di tale
precetto, che non potrebbero "essere violate o indirettamente
aggirate".
E ciò anche perché, ad opinare il contrario, si otterrebbe, sul piano della
certezza del diritto, un risultato deteriore per il cittadino: difatti, mentre
in presenza di un decreto reiterato vi sarebbe pur sempre la possibilità di
conoscere la normativa di riferimento al momento di operare le proprie scelte,
l’utilizzo di norme ad efficacia retroattiva, tali da elidere diritti a
prestazioni pensionistiche sostanzialmente acquisite, lascerebbe il cittadino
"privo della possibilità di orientare le proprie scelte in relazione al
quadro normativo esistente".
Donde la violazione dell'art.
77 della Costituzione e "delle altre norme
costituzionali (artt. 70 segg.) che disciplinano il procedimento di formazione
delle leggi", come pure dell’art. 3 della Costituzione, sia "per il
contrasto con l’esigenza primaria di tutelare l’affidamento del cittadino,
elemento fondamentale nello Stato di diritto", sia "per la
diversificazione, quanto alla prevista operatività retroattiva" della norma
censurata, "tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi", atteso
che, per questi ultimi, il divieto di cumulo ha effetto soltanto "dalla
data di entrata in vigore della presente legge" (comma 190 dell'art. 1
della legge impugnata).
1.3.¾ Non manifestamente infondata è, secondo
la Corte rimettente, anche l’ulteriore, e distinta, denuncia del comma 189
dell’art. 1 della legge n. 662 del 1996, censurato
"per la parte in cui stabilisce il totale divieto di cumulo del
trattamento pensionistico di attività (recte: anzianità) con ogni tipo di reddito da attività
autonoma libero-professionale".
L'ordinanza osserva,
preliminarmente, che l’art. 1, comma 13, della legge 8
agosto 1995, n. 335, applicabile nella fattispecie oggetto di controversia nel
giudizio principale, assicura, a chi può vantare 18 anni di contribuzione alla
data del 31 dicembre 1995, "la liquidazione della pensione interamente
secondo il sistema retributivo".
Senonché
l’aspettativa derivante
da detta norma è del tutto vanificata ¾ "anche se limitatamente ai trattamenti anticipati di
anzianità" ¾ dalla censurata disposizione, avendo essa introdotto il
criterio della non cumulabilità della quota di pensione liquidata col sistema
retributivo, sì da confondere "il criterio di liquidazione del trattamento
con la qualificazione" dello stesso, tanto da svuotare di contenuto
"posizioni giuridiche ritenute acquisite ad una certa data",
attraverso "limitazioni idonee a divenire discriminatorie".
Il
rimettente precisa,
peraltro, che la sollevata censura attiene "non alla ratio della disposizione ed al principio del criterio limitativo in
sé", bensì "alla omessa previsione di ogni meccanismo correttivo (con
riguardo ad una quota sicuramente contributiva e sicuramente corrisposta dal
dipendente e in parte anche a carico del datore di lavoro) con effetto di
totale esclusione della prestazione pensionistica e senza alcun limite minimo
di mantenimento della prestazione stessa".
Ad avviso del giudice a quo, v'è da dubitare della razionalità
di un sistema che, comportando "il sostanziale annullamento di un
diritto", ignora "ogni criterio di proporzionalità tra contributi,
retribuzioni e pensioni", sì da non potersi più giustificare "neppure
in base a principi solidaristici", ed incide sui
principi di adeguatezza della pensione alle esigenze di vita del pensionato e
di proporzionalità della pensione stessa alla quantità e qualità del lavoro
prestato: donde, il vulnus agli artt.
3, 36 e 38 della Costituzione.
1.4.¾ Secondo il rimettente, sussisterebbe,
altresì, lesione del principio della tutela del diritto al lavoro in tutte le
sue forme ed applicazioni, desumibile dagli artt. 4,
primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione. Posto che pure il
pensionato "conserva il diritto inviolabile e irrinunciabile al libero esplicarsi della sua personalità anche sul piano
economico", viene, nella fattispecie, a porsi un problema di
"effettività" della tutela previdenziale, "addirittura annullata
quando si impongono limitazioni di carattere generale e assoluto come quella in
esame", le quali scoraggiano "il lavoratore (dipendente o autonomo)
... nell’adozione di scelte che coinvolgono la sua libertà lavorativa".
1.5.¾ Osserva ancora l’ordinanza di rimessione
che la norma denunciata ha introdotto ¾ nell’ambito delle soluzioni fornite dal legislatore in
materia di cumulo (art. 10, comma 6, del decreto
legislativo n. 503 del 1992; art. 11, comma 9, della legge n. 537 del 1993) ¾ un criterio che
"può valere come norma a regime per le nuove posizioni previdenziali, non
già applicarsi senza alcun limite a situazioni pregresse diversamente
disciplinate e che scontano un assetto sempre più rigido via via che aumenta l’anzianità di lavoro e contributiva".
Secondo il giudice a quo, non sembra, d'altro canto,
possibile operare raffronti, in tema di cumulo, tra lavoro autonomo e
subordinato, "né porre sullo stesso piano le limitazioni attinenti alla
materia in esame", come conferma la stessa giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 433 nel
1994), la quale ha evidenziato la diversità dei rispettivi rapporti
lavorativi e sistemi contributivi. Ciò non senza rilevare che la finalità di
porre un disincentivo all’attività di lavoro subordinato prestata successivamente al collocamento al riposo "potrebbe
costituire l’espressione di un indirizzo di politica legislativa, inteso a
rimuovere ostacoli all’accesso dei giovani ad occasioni lavorative: ostacoli
che quasi sempre non sono costituiti dall’espletamento di un'attività libero
professionale".
1.6.¾ Ad avviso del rimettente, i sollevati
dubbi di costituzionalità "sembrano trovare indiretta conferma nelle ulteriori modificazioni in materia introdotte"
dall’art. 59, comma 14, della legge 27 dicembre 1997, n. 449, il quale prevede
il divieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro autonomo "solo limitatamente
alla quota del 50% eccedente l’ammontare corrispondente al trattamento minimo
del fondo pensioni lavoratori dipendenti", attraverso un correttivo che
"esclude qualsiasi possibilità di perdita completa della pensione di
anzianità".
Ritiene, peraltro, il giudice
a quo che tale disposizione non
incida (o incida solo parzialmente) sulla rilevanza delle questioni
prospettate, considerato che, a parte ogni altro
problema, il divieto totale di cumulo "permane (a danno del ricorrente)
per tutto il periodo dal collocamento a riposo fino al 1° gennaio 1998 (entrata
in vigore della più favorevole previsione)".
2.¾ Si è costituito il ricorrente nel
giudizio principale, per sentir
dichiarare l’incostituzionalità della normativa denunciata dal giudice a quo.
La parte privata,
soffermandosi, in primo luogo, sul profilo attinente alla dedotta violazione
dell’art. 77 della Costituzione, ritiene che la
disposizione censurata abbia determinato, sostanzialmente, un aggiramento della
"dichiarazione di incostituzionalità della riproposizione dei decreti
leggi, in mancanza di conversione, portata" dalla sentenza della Corte
costituzionale n.
360 del 1996.
Al tempo stesso, la diversità
di decorrenza (30 settembre 1996) della disciplina anticumulo prevista dalla
norma denunciata, per i titolari di trattamenti pensionistici
da lavoro dipendente, rispetto a quella stabilita dal successivo comma 190 per
i titolari di trattamento pensionistico da lavoro autonomo (dalla data di
entrata in vigore della legge n. 662 del 1996) non solo sarebbe "priva di
qualsiasi ragionevole giustificazione", ma anche in contrasto "con i
precedenti normativi esistenti in materia", sì da vulnerare il principio
di eguaglianza e ragionevolezza, di cui all’art. 3 della Costituzione.
Sotto altro profilo, la
retroattività della norma impugnata, colpendo anche coloro che, come la parte
privata, sono andati in pensione quando nessuna norma prevedeva
¾ "ricorrendo nella fattispecie la
condizione del raggiungimento, alla data del 31 dicembre 1994, dei requisiti
contributivi minimi, ex art. 10,
comma 8, del decreto legislativo n. 503 del 1992"
¾ l’incumulabilità tra il trattamento di quiescenza ed il nuovo
reddito da lavoro autonomo, confligge con il
principio di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), violando
"l’esigenza primaria di tutelare l’affidamento del cittadino".
Ad avviso della parte
privata, vi sarebbe anche violazione degli artt. 36 e
38 della Costituzione, "per mancato riconoscimento della pensione maturata
con conseguente difetto dei mezzi di sostentamento proporzionati a quelli
ottenuti nel corso dell’attività di servizio".
Si rileva, in particolare,
che, nei casi in cui la pensione risulta calcolata per
intero in base al sistema retributivo, il menzionato art. 1, comma 189,
"determina in sostanza la privazione completa (per tutto il periodo di
svolgimento di una attività che produce reddito) del diritto ormai acquisito e
perfetto alla pensione di anzianità". E ciò nonostante che la prestazione pensionistica costituisca una retribuzione differita e un
diritto costituzionalmente garantito, caratterizzato "da una connotazione
assicurativa, che impone, comunque, la corresponsione di un importo a titolo di
rendimento dei contributi versati, quale che sia la condizione reddituale del
destinatario della prestazione e, quindi, in ipotesi anche in totale assenza di
uno stato di bisogno".
Ulteriore profilo di illegittimità costituzionale
della norma impugnata viene ravvisato, inoltre, nel "contrasto con gli
artt. 3 e 38 della Costituzione per disparità di trattamento e per violazione
del principio della adeguatezza della pensione al regime di vita sostenuto nel
corso dell’attività lavorativa, in relazione alla mancata prefissione
di un limite minimo di reddito al di sotto del quale la pensione deve essere comunque
riconosciuta".
La norma censurata
contrasterebbe anche con l’art. 4 della Costituzione
"per violazione del diritto al libero esplicarsi della attività
lavorativa". L’incertezza del libero professionista sull’ammontare del
reddito futuro lo porrebbe, infatti, nella "frustrante condizione di
rinunciare al reddito professionale ... per accontentarsi, invece, della sola
pensione", con "innegabile, grave affievolimento del diritto alla
libera scelta del lavoro".
Secondo la parte costituita ulteriori elementi di conferma del contrasto dell’art. 1,
comma 189, della legge n. 662 del 1996 con i principi costituzionali sarebbero
desumibili dalle nuove disposizioni anticumulo di cui all’art. 59, comma 14,
della legge n. 449 del 1997.
3.¾ E’ intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, che ha concluso per l’inammissibilità o,
comunque, l’infondatezza della questione.
4.¾ Nell’imminenza dell’udienza, sia la
parte costituita, che quella intervenuta, hanno
depositato memorie illustrative.
4.1.¾ La difesa erariale, nel rilevare che la
legge n. 662 del 1996 contempla, al comma 216 dell'art. 1,
la validità degli atti e la salvezza degli effetti prodottisi e dei rapporti
giuridici sorti sulla base del decreto-legge 30 settembre 1996, n. 508, non
convertito, osserva come tale disposizione sia "pienamente in linea con il
dettato" dell’art. 77 della Costituzione e traduca la volontà del
Parlamento di "legiferare in continuità con il decaduto
decreto-legge", recependone ¾ nella connessione fra la norma censurata e il predetto
comma 216 ¾ i contenuti e
precisandone taluni aspetti, sì da completare "razionalmente e
formalmente" la disciplina posta, "in funzione anticipatoria",
dal provvedimento governativo, tramite una soluzione di tecnica legislativa già
praticata, del resto, in occasione della nota vicenda dei "blocchi"
delle pensioni di anzianità (decreti-legge n. 384 del 1992 e n. 553 del 1994),
"allo scopo di contenere gli altissimi costi, per il sistema previdenziale
pubblico", delle pensioni medesime.
Secondo l’Avvocatura dello
Stato, "a tutto ciò non sembra ostare l’insegnamento fornito" dalla sentenza n. 360 del
1996, trattandosi, nella specie, non di reiterazione di un decreto-legge,
bensì di "una legge approvata dal Parlamento, ...
a nulla valendo che" quest’ultimo "abbia liberamente ritenuto di
ispirarsi ... ad una disposizione già contenuta in un decreto-legge
decaduto".
Riguardo, poi, al secondo profilo di incostituzionalità sollevato dal
giudice a quo (investente il totale
divieto di cumulo della pensione di anzianità con ogni tipo di reddito da
lavoro autonomo), si osserva che, nella specie, non vi è la perdita del
trattamento pensionistico, ma la sua sospensione per il periodo in cui "il
pensionato decida, liberamente, di dedicarsi ad un lavoro retribuito".
Pertanto, in costanza di misure che incidano "sull’importo della pensione
in corso di pagamento" non è dato apprezzare alcun vulnus all’art. 38 della Costituzione.
Nel rilevare, poi, che la
giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente riconosciuto la legittimità
"di norme legislative dotate di efficacia retroattiva", la memoria
osserva come il vero limite di tali norme sia da ricercarsi nel rispetto
"del principio di ragionevolezza", che, peraltro, non è contraddetto dalla disposizione denunciata che ha operato
"in direzione di un contenimento della spesa previdenziale", senza
pregiudizio per "il livello di vita complessivo del pensionato".
Quanto alla prospettata
violazione degli artt. 4, primo comma, e 35, primo
comma, della Costituzione, si rileva che il richiamo al diritto del pensionato
alla libertà lavorativa deve essere valutato anche in relazione alle
distorsioni che provocherebbe, nel mercato del lavoro, la presenza "di
soggetti, i pensionati, comunque garantiti da un reddito (proveniente,
oltretutto, dal sistema previdenziale pubblico)".
Non sussisterebbe, inoltre,
disparità di trattamento tra lavoratori dipendenti ed
autonomi per il diverso momento di entrata in vigore della rispettiva normativa
anticumulo, tenuto conto, da un lato, della sostanziale differenza tra le
relative discipline previdenziali e, dall’altro, della circostanza per cui le
disposizioni dettate, in materia di cumulo, per i lavoratori autonomi sono
state introdotte direttamente dalla legge n. 662 del 1996.
Per altro verso, quanto ai
pensionati soggetti al "sistema retributivo", la memoria osserva che,
per il regime del cumulo, non rilevano le "variabili" dell’anzianità
contributiva o del sistema di calcolo della pensione, bensì quelle concernenti
"tipo di pensione (vecchiaia, anzianità, ecc.) e tipo di attività
lavorativa (lavoro dipendente o autonomo)".
Circa, poi, l’omessa
previsione di "ogni meccanismo correttivo" con effetto di esclusione
della prestazione pensionistica, l'interveniente
evidenzia che il rigore della disposizione censurata è stato mitigato dalla
disciplina introdotta, a decorrere dal 1° gennaio 1998, dall’art. 59, comma 14,
della legge 27 dicembre 1997, n. 449, frutto di una "evoluzione normativa",
che, seppure "può sembrare invero convulsa e talvolta altalenante",
si spiega, in ogni caso, con l’"evidente tentativo di mettere a punto gli
interventi più efficaci per contemperare, da un lato, le esigenze di un
bilancio previdenziale pubblico pesantemente deficitario e, dall’altro, la
necessità di garantire, nella misura del possibile, la libertà lavorativa del
soggetto".
4.2.¾ Con la memoria illustrativa, la parte
privata, nel ribadire la violazione dell’art. 77 della
Costituzione, come pure degli artt. 3 e 38 della Costituzione, osserva che gli
effetti retroattivi della disposizione denunciata risultano vieppiù
irrazionali se si tiene conto del fatto che, al 30 novembre 1996 (data di
collocamento in quiescenza a domanda del ricorrente stesso), non solo non
sussisteva, per la parte medesima, alcun divieto di cumulo tra pensione e
reddito da lavoro autonomo, ma era anche esclusa la possibilità di revocare la
domanda di pensionamento di anzianità (come invece consentito dall’art. 1,
comma 188, della stessa legge n. 662 del 1996, per le domande presentate
antecedentemente al 30 settembre 1996). In tal senso, "nessuna libertà di
scelta e di ponderazione della propria convenienza è
stata data" al pensionato.
Rileva, ancora, la parte
privata, in riferimento alle avverse argomentazioni
sul "rispetto dell’art. 3 della Costituzione ", che la norma
censurata, "nel momento in cui comporta la ... perdita totale della
pensione" interamente liquidata con il sistema retributivo,
"determina una irragionevole disparità di trattamento tra le posizioni di
pensionati andati in pensione nel medesimo periodo con una anzianità,
rispettivamente, maggiore e minore di 18 anni alla data del 31 dicembre
1995".
Ne consegue, peraltro,
"uno stravolgimento della entità della
prestazione previdenziale dei pensionati medesimi rispetto alle stesse
previsioni della citata legge n. 335 del 1995"; difatti, con la normativa
anticumulo posta dalla disposizione denunciata, il pensionato con anzianità
maggiore ¾ favorito, "in termini
assoluti", dal calcolo della pensione con il sistema retributivo ¾ verrebbe a godere di "un
trattamento economico peggiore del pensionato con anzianità minore" (la
cui pensione risulti calcolata in parte con il sistema retributivo ed in parte
con quello contributivo).
Il principio di eguaglianza e
ragionevolezza sarebbe vulnerato anche in considerazione del fatto che la norma
denunciata contraddice alla sua intrinseca finalità e cioè di "escludere
la possibilità di cumulare il nuovo reddito solo con una parte della prestazione
previdenziale".
Secondo la parte privata non
possono condividersi, infine, gli assunti dell’Avvocatura dello Stato sugli
effetti del sopravvenuto art. 59, comma 14, della
legge n. 449 del
Considerato in diritto
1.¾ Con l’ordinanza in epigrafe, la Corte
dei conti, Sezione giurisdizionale per la Regione Lazio, ha sollevato questione
di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 189,
della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza
pubblica).
La
disposizione impugnata stabilisce che, "con effetto sui trattamenti
liquidati dalla data di cui al comma 185", e cioè dal 30 settembre 1996,
"le pensioni di anzianità a carico della assicurazione
generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti e delle forme di essa
sostitutive, nonché i trattamenti anticipati di anzianità delle forme esclusive
della medesima, non sono cumulabili, limitatamente alla quota liquidata con il
sistema retributivo, con redditi da lavoro di qualsiasi natura e il loro
conseguimento è subordinato alla risoluzione del rapporto di lavoro".
1.1.¾ Il giudice rimettente pone in dubbio,
anzitutto, la legittimità dell’"operatività retroattiva" della
disposizione censurata (entrata in vigore il 1° gennaio 1997), ritenendo che
essa violi:
¾ l’art. 77 e le
"altre norme costituzionali (artt. 70 segg.) che disciplinano il
procedimento di formazione delle leggi", essendo stati recuperati i
contenuti di un decreto-legge non convertito (il decreto-legge 30 settembre
1996, n. 508), così contraddicendo il precetto costituzionale che fa decadere
fin dall’inizio tali decreti, con conseguenze che ¾ "dopo la sentenza della Corte
costituzionale" n. 360 del 1996 ¾ non possono
"essere violate o indirettamente aggirate";
¾ l’art. 3 della
Costituzione, a causa, da un lato, della disparità posta in essere tra titolari
di pensione da lavoro dipendente e titolari di pensioni da lavoro autonomo, con
la differente decorrenza del divieto di cumulo, fissata per questi ultimi ¾ alla stregua del successivo comma 190 ¾ dall’entrata in
vigore della legge n. 662 del 1996 e, dall'altro, del "contrasto con
l’esigenza primaria di tutelare l’affidamento del cittadino, elemento
fondamentale nello Stato di diritto".
1.2.¾ Nel denunciare, poi, la disposizione
"per la parte in cui stabilisce il totale divieto di cumulo del
trattamento pensionistico di attività (recte: anzianità)
con ogni tipo di reddito da attività autonoma libero-professionale", il
giudice a quo lamenta l’irrazionalità
di una disciplina che, in violazione degli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione,
comporta "il sostanziale annullamento di un diritto", quale quello
alla pensione di anzianità liquidata interamente con il sistema retributivo; e
cioè per coloro che, giusta l'art. 1, comma 13, della legge n. 335 del 1995,
possono, alla data del 31 dicembre 1995, far valere un'anzianità contributiva
di almeno diciotto anni. Quanto sopra a causa, tra l'altro, della
omessa previsione di qualsiasi meccanismo correttivo da parte della
norma, la quale, trascurando "ogni criterio di proporzionalità tra
contributi, retribuzioni e pensioni", vulnera, conseguentemente, anche il
principio "di adeguatezza della pensione alle esigenze di vita del
pensionato e di proporzionalità della pensione medesima alla quantità e qualità
del lavoro prestato durante il servizio attivo".
1.3.¾ L'ordinanza prospetta, altresì, un
possibile vulnus degli artt. 4, primo comma, e 35, primo comma, della Costituzione. Il
rimettente, muovendo dal presupposto che pure il pensionato "conserva il
diritto inviolabile e irrinunciabile al libero esplicarsi
della sua personalità anche sul piano economico", ritiene che una
disposizione quale quella denunciata, ponendo in discussione
l’"effettività" della tutela previdenziale, da reputare
"addirittura annullata", abbia un effetto dissuasivo sul lavoratore
(dipendente o autonomo) quanto all’"adozione di scelte che coinvolgono la
sua libertà lavorativa".
1.4.¾ Nel rilevare, infine, che la norma
censurata viene ad applicarsi senza alcun limite a situazioni pregresse "che scontano un assetto sempre più rigido
via via che aumenta l’anzianità di lavoro e
contributiva", il giudice a quo
esclude che, in tema di cumulo, si possano "porre sullo stesso piano le
limitazioni attinenti alla materia in esame", confrontando tra loro
posizioni concernenti, rispettivamente, il lavoro autonomo e quello
subordinato.
2.¾ Le censure sono da reputare solo in
parte fondate, secondo quanto appresso si dirà.
2.1.¾ Prima di affrontarne il merito, conviene
richiamare, sia pure per sommi capi e per quanto ha rilievo ai fini del
presente giudizio, l'evoluzione legislativa verificatasi in materia di ordinamento
previdenziale; evoluzione che ha secondato una tendenza intesa ad ampliare
progressivamente l'ambito del divieto di cumulo tra pensione e redditi da
attività lavorativa.
Per quel che concerne, in
particolare, la pensione di anzianità dei lavoratori dipendenti, va rammentato
che l'art. 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, ne
prevedeva ¾ con disposizione estesa, in un secondo
momento, anche al pensionamento anticipato dei pubblici dipendenti (art. 10 del
decreto-legge n. 17 del 1983, convertito, con modificazioni, nella legge n. 79
del 1983) ¾ il divieto di
cumulo con i soli redditi da lavoro subordinato.
Esigenze di maggiore
organicità e rigore in materia vennero, in seguito, ad
ispirare la legge 23 ottobre 1992, n. 421, la quale, nel conferire al Governo
la delega, tra l'altro, per il riordino del sistema previdenziale, indicò, fra
i vari principi e criteri direttivi, quelli dell'"armonizzazione ed
estensione della disciplina in materia di limitazioni al cumulo delle pensioni
con i redditi da lavoro subordinato ed autonomo per tutti i lavoratori pubblici
e privati" (art. 3, comma 1, lettera m),
stabilendo espressamente che la concessione della pensione di anzianità
avvenisse "dopo l’effettiva cessazione dell’attività lavorativa,
dipendente o autonoma, con identici criteri di non cumulabilità tra pensione e
retribuzione o reddito da lavoro autonomo" (art. 3, comma 1, lettera n, punto 4).
Seguì l’art. 10 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, che,
nel testo modificato dall’art. 11 della legge n. 537 del 1993, dispose, per
tutte le forme previdenziali dei lavoratori dipendenti, il divieto totale di
cumulo fra pensione di anzianità (o trattamenti anticipati di anzianità) e
redditi da lavoro subordinato, stabilendo, nel contempo, una parziale incumulabilità con i redditi da lavoro autonomo, limitata
alle quote di pensione eccedenti l'ammontare del trattamento minimo del Fondo
pensioni lavoratori dipendenti; quote rese non cumulabili nella misura del 50
per cento, sino a concorrenza dei redditi stessi.
Il predetto articolo, nel fare salve (comma 8) le disposizioni della precedente
normativa, ove più favorevoli, per coloro che al 31 dicembre 1994 fossero
titolari di pensione ovvero avessero raggiunto i requisiti contributivi minimi
per la pensione di vecchiaia o di anzianità, subordinò, inoltre, per i
lavoratori dipendenti, il conseguimento del trattamento alla risoluzione del
rapporto di lavoro (comma 6).
A parte la legge 8 agosto
1995, n. 335, con la quale, in sede di riforma generale pensionistica,
furono dettati i principi generali anticumulo applicabili a regime alla nuova
prestazione denominata "pensione di vecchiaia" (sostitutiva, sulla
base del sistema contributivo, delle precedenti pensioni di vecchiaia ed
anzianità), un successivo intervento normativo si rinviene nel decreto-legge 30
settembre 1996, n. 508, con il quale furono introdotte misure di maggiore
rigore per le quote di pensione liquidate ancora con il sistema retributivo.
Detto decreto, infatti, stabilì (art. 1, comma 4), con effetto sui trattamenti
liquidati dalla data di entrata in vigore del decreto stesso, che le pensioni
di anzianità a carico dell'assicurazione obbligatoria dei lavoratori dipendenti
e dei lavoratori autonomi e, in genere, i trattamenti anticipati di anzianità ¾ con esclusione di quelli liquidati con
almeno 40 anni di contribuzione, nonché di quelli
rientranti nelle eccezioni previste dall'art. 10 del decreto-legge 28 febbraio
1986, n. 49 (convertito, con modificazioni, nella legge 18 aprile 1986, n. 120)
¾ non fossero
cumulabili, quanto alla quota calcolata in base al sistema retributivo, con
redditi da lavoro di qualsiasi natura.
Dopo la mancata conversione
in legge del predetto decreto, la disposizione denunciata, e cioè il comma 189
dell'art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n.
Ulteriore sviluppo del descritto quadro normativo
è rappresentato, infine, dall'art. 59, comma 14, della legge 27 dicembre 1997,
n. 449 (menzionato anche dal rimettente), il quale (tornando alla regola
dell’art. 10 del decreto legislativo n. 503 del 1992) ha stabilito, a partire
dal 1° gennaio 1998, l’incumulabilità delle quote dei
trattamenti pensionistici di anzianità dei lavoratori dipendenti, eccedenti il
"trattamento minimo", con i redditi da lavoro autonomo nella misura
del 50% e sino a concorrenza dei redditi stessi, riconfermando, nel contempo,
per i trattamenti liquidati antecedentemente, la previgente disciplina "se
più favorevole".
3.¾ Tanto premesso, va pregiudizialmente
ritenuto, in punto di ammissibilità della proposta questione, che del tutto
plausibilmente il giudice a quo
esclude che la rilevanza della stessa sia elisa dalla disciplina legislativa da
ultimo ricordata, tenuto conto che il comma 14
dell’art. 59 della legge n. 449 del 1997 spiega i suoi effetti soltanto a
decorrere dal 1° gennaio 1998.
4.¾ Quanto al merito delle sollevate
censure, la Corte ritiene di muovere, per ragioni di priorità logica, da quelle
di portata più generale, volte a porre in dubbio la legittimità in sé del
divieto di cumulo, per contrasto, da un canto, con gli artt. 3,
36 e 38 della Costituzione e, dall'altro, con gli artt. 4, primo comma, e 35,
primo comma, della Costituzione.
4.1.¾ Dette censure non sono fondate.
Quanto alla prima, va
rammentato che la giurisprudenza di questa Corte ha, in passato, ritenuto che
la garanzia dell'art. 38 della Costituzione, proprio
perché legata allo stato di bisogno, fosse da reputare di per sé riservata alle
pensioni che trovavano la loro causa nella cessazione dell'attività lavorativa
per ragioni di età e non anche a quelle il cui presupposto consisteva nel mero
avvenuto svolgimento dell'attività stessa per un tempo predeterminato (sentenza n. 194 del
1991), così come nel caso dei trattamenti pensionistici di anzianità.
Nella
vigenza dell'ordinamento pensionistico anteriore alla
riforma del 1995, è stato, pertanto, espresso l'avviso che il godimento dei
menzionati trattamenti di pensione, rappresentando un beneficio
discrezionalmente concesso dal legislatore a prescindere dall’età pensionabile,
potesse "essere limitato al solo caso di cessazione effettiva del
lavoro" (sentenza
n. 155 del 1969). Al tempo stesso, sono stati considerati privi di
fondamento (sentenze
nn.
576 del 1989 e 155 del 1969;
v. anche sentenza
n. 433 del 1994 e ordinanza n. 47 del
1994) i dubbi di legittimità costituzionale che erano stati sollevati
(evocandosi i parametri degli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione), avverso
normative che prevedevano il totale divieto di cumulo dei suddetti trattamenti
pensionistici di anzianità con il reddito da lavoro dipendente.
Alla stregua dei ricordati
orientamenti, non può, pertanto, reputarsi impedito al legislatore di stabilire
che le quote di pensione di anzianità liquidate secondo il sistema retributivo
(quale criterio di calcolo per giunta più favorevole, nella specie, di quello
contributivo, come evidenziato dallo stesso giudice a quo) non sono cumulabili con "redditi da lavoro di qualsiasi
natura".
Una misura siffatta, espressione
di un non irragionevole esercizio della discrezionalità spettante al
legislatore, trova la sua spiegazione oltre che nella tendenza legislativa a
disincentivare il conseguimento di una prestazione anticipata rispetto all’età
pensionabile (prestazione destinata oltretutto ad una
graduale eliminazione, secondo la linea riformatrice seguita dal legislatore
del 1995), anche nella considerazione delle esigenze di bilancio (tra le altre,
v. sentenza n.
417 del 1996), nell'ambito della globale riforma del sistema previdenziale
in corso di attuazione. E ciò anche se la riforma appare ancora suscettibile di
adattamenti, in attesa della sua operatività a "regime", sì da
comportare a volte il susseguirsi di misure anticumulo differenti tra loro, come
dimostra per l'appunto la vicenda legislativa qui esaminata, nella quale, alla
disciplina originariamente posta dall’art. 10 del
decreto legislativo n. 503 del 1992 (modificato dalla legge n. 537 del 1993),
ha fatto seguito, per i casi quali quello in questione, la più rigorosa regola
dell’art. 1, comma 189, della legge n. 662 del 1996, salvo il successivo
ritorno al precedente criterio, per effetto dell’art. 59, comma 14, della legge
n. 449 del 1997, e salvo altresì ¾ per venire alle più recenti innovazioni normative ¾ quanto disposto dall'art. 77 della legge
23 dicembre 1998, n. 448, che ha ricondotto le pensioni liquidate con anzianità
contributiva di almeno quarant'anni nella disciplina anticumulo propria delle
pensioni di vecchiaia. Ma tali interventi, per quanto possano apparire non del
tutto omogenei, lungi dal corroborare, così come ritiene
il giudice a quo, la tesi
dell'incostituzionalità della denunciata disposizione, si spiegano proprio per
la mutabile incidenza che su di essi hanno le contingenti emergenze
finanziarie.
4.2.¾ La scelta così operata non può reputarsi
arbitraria nemmeno sotto l’ulteriore profilo
prospettato dal rimettente in punto di non equiparabilità, in tema di attività
incompatibili con il trattamento di pensione, fra quelle di lavoro dipendente e
quelle di lavoro autonomo, non sembrando a questa Corte che, dal punto di vista
delle esigenze alle quali si è voluto ovviare con la disposizione denunciata,
sia possibile ravvisare, tra le due figure, differenze tali da richiedere un
diverso trattamento in materia di cumulo, sì da rendere irragionevole una
disciplina volta, oltretutto, ad assicurare, in condizioni di parità fra i
suddetti pensionati di anzianità e i non pensionati, l’accesso al mercato del
lavoro globalmente considerato e, dunque, comprensivo non solo dell’occupazione
tradizionale e stabile del lavoro dipendente.
4.3.¾ Altrettanto infondato è il dubbio che il
rimettente prospetta sotto il profilo del contrasto della denunciata
disposizione con gli artt. 4, primo comma, e 35, primo
comma, della Costituzione.
Invero, il riconoscimento del
diritto al lavoro e la tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni non sono pregiudicati dal fatto che il
titolare di pensione di anzianità non possa godere di due diversi trattamenti,
quello di lavoro e quello pensionistico (per altre applicazioni dello stesso
principio v. la sentenza
n. 155 del 1969; analogamente le sentenze nn. 30 del 1976 e 105 del 1963).
5.¾ Fondata è da
ritenere, invece, la censura relativa all’"operatività retroattiva"
dell’art. 1, comma 189, della legge n. 662 del 1996, benché non sotto il
profilo della asserita "violazione dell'art. 77 della Costituzione e delle
altre norme costituzionali (artt. 70 segg.) che disciplinano il procedimento di
formazione delle leggi", ma sotto quello del contrasto con l’art. 3 della
Costituzione.
Infatti,
il dubbio sollevato dall’ordinanza, in ordine alla
sussistenza di un vizio "formale", censurabile alla stregua dei
principi desumibili dalla sentenza di questa Corte n. 360 del 1996 sulla
non consentita iterazione o reiterazione dei decreti-legge, appare del tutto
privo di ragione.
Va considerato
che il decreto-legge 30 settembre 1996, n. 508, non è stato oggetto,
dopo la sua decadenza, di alcuna iterazione, ma è stato, invece, seguito da una
legge che, adottata con l’ordinario procedimento, ha mutuato, parzialmente, con
la norma oggetto di censura (comma 189 dell’art. 1), il contenuto già proprio
dell'art. 1, comma 4, dello stesso decreto; e, al tempo stesso, ha disposto (al
comma 216) che restano validi gli atti e sono fatti salvi gli effetti
prodottisi e i rapporti giuridici sorti sulla base del medesimo.
Giova, peraltro, osservare
che, innanzi al giudice a quo, si
controverte di un pensionamento decorrente dal 30 novembre 1996, allorché era già scaduto il termine per la conversione del
decreto-legge n. 508 del 1996 (del quale era così venuto meno ogni effetto),
sicché è evidente che la disposizione denunciata rileva, sotto il profilo qui
considerato, solo in quanto norma destinata ad incidere, retroattivamente, su
una situazione che è rimasta estranea alla disciplina a suo tempo prevista dal
decreto-legge stesso.
6.1.¾ Ciò premesso, mentre non appare
pertinente l’evocazione del parametro dell’art. 77,
nessun dubbio sussiste circa il potere spettante al legislatore di regolare
autonomamente, sulla base dell’art. 70, le situazioni testè
accennate, assumendo eventualmente come proprio il contenuto di un
decreto-legge a suo tempo decaduto.
Quanto ai limiti di tale
potere, questa Corte ha più volte affermato che il divieto di retroattività
della legge ¾ pur costituendo fondamentale valore di
civiltà giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore
deve in linea di principio attenersi ¾ non è stato tuttavia elevato a dignità costituzionale, se
si eccettua la previsione dell'art. 25 della
Costituzione, relativa alla legge penale. Al legislatore ordinario, pertanto,
fuori della materia penale, non è inibito emanare norme con efficacia
retroattiva, a condizione però che la retroattività trovi adeguata
giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con
altri valori e interessi costituzionalmente protetti (da ultimo, v. sentenza n. 229 del
1999).
Tra questi la giurisprudenza
costituzionale annovera, come è noto, l’affidamento
del cittadino nella sicurezza giuridica che, quale essenziale elemento dello
Stato di diritto, non può essere leso da disposizioni retroattive, le quali
trasmodino in un regolamento irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi
precedenti (v. sentenze
nn. 211 del 1997 e 390 del 1995).
Nel
caso di specie, va considerato che, allorché, per
inutile decorso dei termini di conversione, è decaduto il decreto-legge n. 508 del
1996, i pensionati di anzianità potevano, in generale, confidare in un
trattamento di quiescenza soltanto parzialmente inciso ¾ per effetto di quanto previsto dall’art.
10, comma 6, del decreto legislativo n. 503 del 1992, come modificato dall’art.
11, comma 9, della legge n. 537 del 1993 (e cioè, nella misura del 50 per cento
della quota eccedente il trattamento minimo della pensione) ¾ dalla
concorrenza con un’eventuale percezione di redditi da lavoro autonomo; se non,
addirittura, godere, al riguardo, di un regime di piena cumulabilità, ove, alla
data del 31 dicembre 1994, fossero già titolari di pensione oppure in possesso
dei requisiti minimi contributivi per la relativa liquidazione (art. 10, comma
8, del decreto legislativo n. 503 del 1992, come modificato dal comma 10 del
menzionato art. 11).
Va,
pertanto, in parte condivisa la censura avanzata dal rimettente in riferimento all’art. 3 della Costituzione, anche se non
sotto il profilo dell’asserita disparità di trattamento (quanto alla decorrenza
del divieto di cumulo fra titolari di pensioni da lavoro dipendente e titolari
di pensioni da lavoro autonomo), bensì sotto quello del contrasto con la
esigenza di tutelare l’affidamento del cittadino.
Sotto
il primo profilo va, infatti, osservato che si tratta di situazioni non
comparabili, in quanto riconducibili a regimi
previdenziali tuttora differenziati per taluni essenziali aspetti, sebbene si
assista, attualmente, ad un processo di progressiva omologazione.
Sotto
il secondo aspetto non può, invece, non reputarsi affetta da irragionevolezza
una disciplina, quale quella della censurata
disposizione, la quale è venuta a determinare, in modo retroattivo, per i
trattamenti liquidati dal 30 novembre in poi, l’elisione dei ratei di pensione
maturati a decorrere da detta data, nei casi in cui i relativi titolari
abbiano, oramai decaduto il ricordato decreto-legge n. 508 del 1996, intrapreso
un’attività libero professionale o, comunque, avente natura di prestazione
autonoma.
6.2.¾ La detta esigenza di garanzia non può,
peraltro, non arrestarsi nel momento a partire dal
quale le disposizioni della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (in Gazzetta Ufficiale n. 303, supplemento
ordinario n. 233, del 28 dicembre 1996) sono entrate in vigore (1° gennaio
1997, secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 217) e cioè, in definitiva,
nel momento in cui la regola contemplata dall’art. 1, comma 189, della citata
legge, risulta incidere ormai sull’attualità di rapporti di durata, rispetto ai
quali il legislatore è abilitato, sia pure nei limiti della ragionevolezza
(che, per le ragioni precedentemente illustrate, non risultano superati nel
caso in esame), a dettare disposizioni che modifichino sfavorevolmente la disciplina
in atto (v. sentenze
nn. 211 del 1997 e 409 del 1995).
La data sopra indicata vale, pertanto, a definire anche il termine entro il
quale va limitata la pronunzia di incostituzionalità
della denunciata disposizione.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art.
1, comma 189, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione
della finanza pubblica), nella parte in cui, con effetto sui trattamenti
liquidati dal 30 novembre 1996 al 31 dicembre 1996, prevede, quanto alla quota
liquidata con il sistema retributivo, il totale divieto di cumulo dei ratei
della pensione di anzianità e dei trattamenti anticipati di anzianità, maturati
in detto periodo, con redditi da lavoro autonomo.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta,
il 27 ottobre 1999.
Renato
GRANATA, Presidente
Massimo VARI,
Redattore
Depositata in cancelleria il
4 novembre 1999.