SENTENZA N. 409
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE
SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 22
della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali
in materia di pubblica amministrazione), promosso dal Tribunale amministrativo
regionale della Calabria, sede di Catanzaro, sul ricorso proposto da F. F. ed
altre contro l'Università della Calabria, con ordinanza del 27 aprile 2004,
iscritta al n. 659 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.
32, prima serie speciale, dell'anno 2004.
Visto
l'atto di costituzione di F. F. ed altre;
udito
nell'udienza pubblica del 27 settembre 2005 il Giudice relatore Francesco Amirante;
uditi
gli avvocati Rinaldo Talarico e Giuseppe Carratelli per F. F. ed altre.
Ritenuto in fatto
1.— Nel corso di
un giudizio amministrativo – promosso da alcune assistenti sociali avverso il
decreto col quale il Rettore dell'Università degli studi della Calabria aveva
annullato l'iscrizione delle medesime al corso di laurea specialistica in
programmazione e gestione delle politiche e dei servizi sociali – il Tribunale
amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro, ha sollevato, in
riferimento agli artt. 3, 33, 34 e 35 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 16 gennaio 2003, n. 3
(Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica
amministrazione).
In punto di fatto
il TAR osserva che l'Università della Calabria aveva bandito, in data 17
dicembre 2002, un concorso per l'accesso al corso di laurea specialistica sopra
menzionata, stabilendo tra i requisiti di ammissione il possesso del diploma di
assistente sociale; le ricorrenti avevano partecipato con successo alla
selezione, iscrivendosi al relativo corso di studi, partecipando alle attività
didattiche e sostenendo gli esami prescritti. A seguito dell'entrata in vigore
dell'art. 22 della legge n. 3 del 2003 – norma di carattere interpretativo in
base alla quale i diplomi di assistente sociale validi ai fini dell'accesso ai
corsi di laurea specialistica, ai master
ed agli altri corsi di formazione post-base sono soltanto i diplomi
universitari di assistente sociale – il Rettore dell'Università aveva emanato
il provvedimento impugnato, col quale aveva annullato l'iscrizione delle
ricorrenti, in quanto esse avevano sì conseguito il diploma di assistente
sociale, ma non quello universitario, risultando quindi prive dei requisiti di
accesso richiesti in via retroattiva dalla norma in esame.
Impugnato il
provvedimento, il TAR remittente ne aveva accolto incidentalmente la richiesta
di sospensiva, ma tale pronuncia era stata annullata dal Consiglio di Stato.
Ciò posto, il
giudice a quo rileva che la norma in
questione costituisce, per espressa previsione legislativa, l'interpretazione
autentica dell'art. 1, comma 10, del decreto-legge 12 novembre 2001, n. 402,
convertito con modificazioni nella legge 8 gennaio 2002, n. 1, il quale
stabilisce che i diplomi conseguiti in base alla precedente normativa dagli
appartenenti alle professioni sanitarie, nonché i diplomi di assistente
sociale, siano validi ai fini dell'accesso ai corsi di laurea specialistica, ai
master ed agli altri corsi di
formazione post-base di cui al decreto ministeriale 3 novembre 1999, n. 509,
del Ministro dell'università e della ricerca scientifica. In base a tale norma,
quindi, non c'era alcun dubbio sul fatto che le ricorrenti avessero diritto
all'iscrizione al corso di laurea specialistica; la norma impugnata, invece,
interpretando autenticamente (e, perciò, con efficacia retroattiva) quella
precedente, ha fatto sì che le medesime ricorrenti non avessero più tale
diritto, donde la rilevanza della presente questione di legittimità costituzionale,
dal cui esito dipende la decisione del giudizio a quo.
Il TAR rileva che
l'art. 22 della legge n. 3 del 2003, nonostante la sua qualificazione di norma
interpretativa, è in realtà una norma innovativa, poiché la scelta del
legislatore di riconoscere validità, a determinati fini, al solo diploma
universitario di assistente sociale non rientra tra le possibili
interpretazioni del testo della norma interpretata, in base alla quale era
invece chiaro che il diploma di assistente sociale, senza distinzioni di sorta,
desse diritto di accesso al corso di laurea specialistica in oggetto.
Richiamando,
quindi, la giurisprudenza costituzionale in materia di leggi interpretative, il
giudice remittente osserva che il legislatore può porre norme che retroattivamente
precisino il significato di altre preesistenti, ovvero impongano una delle
possibili varianti di senso nel testo interpretato, purché compatibilmente col
tenore letterale di questo; nel caso specifico, però, il significato della
norma interpretata fissato dalla legge di interpretazione rappresenta una
novità, sicché non sarebbe corretto parlare di semplice legge interpretativa.
E, per dimostrare tale assunto, il TAR della Calabria compie un rapido richiamo
di altre norme del settore. Innanzitutto, il giudice a quo cita il d.P.R. 15 gennaio 1987, n.
14, che, nel razionalizzare la disciplina del diploma di assistente sociale
riconoscendo il diploma rilasciato dalle scuole dirette a fini speciali
universitarie come «unico titolo abilitante per l'esercizio della professione
di assistente sociale», ha tuttavia espressamente previsto (artt. 3, 4, 5 e 6)
la salvaguardia, a determinate condizioni, dei diplomi di assistente sociale
conseguiti presso le scuole universitarie all'epoca già esistenti (art. 3),
ovvero dei diplomi comunque conseguiti da coloro che, alla data di entrata in
vigore del decreto, fossero già in servizio come assistenti sociali
nell'amministrazione dello Stato o in altre amministrazioni pubbliche (art. 4),
ovvero, in via transitoria, dei diplomi conseguiti all'esito del completamento
di corsi già iniziati e svolti presso scuole dichiarate idonee tramite decreto
ministeriale (art. 6). L'art. 5 del d.P.R. n. 14 del
1987, infine, con norma di chiusura, ha consentito l'equipollenza dei diplomi
conseguiti in precedenza, in situazioni diverse da quelle dianzi elencate, a
condizione che gli aspiranti avessero sostenuto con esito positivo un apposito
esame di convalida presso le università.
Dalla lettura
della suddetta normativa – coordinata con l'art. 5 della successiva legge 23
marzo 1993, n. 84, istitutiva dell'albo professionale e dell'ordine degli
assistenti sociali, e con gli artt. 22 e seguenti del d.P.R.
5 giugno 2001, n. 328 – risulterebbe chiaramente, a detta del giudice
remittente, la preoccupazione del legislatore di salvaguardare i diplomi di
assistente sociale conseguiti in virtù delle precedenti discipline. Nell'ambito
di un sistema così delineato, quindi, si inserisce in modo del tutto coerente
la norma dell'art. 1, comma 10, del d.l. n. 402 del 2001, convertito nella
legge n. 1 del 2002, mentre risulta nuovo e dissonante l'effetto che viene a
crearsi in forza della norma impugnata la quale, a detta del TAR della
Calabria, avrebbe «mascherato norme effettivamente innovative dotate di
efficacia retroattiva». Nel caso specifico, inoltre, la norma di
interpretazione autentica non sarebbe rispettosa dei canoni individuati dalla
giurisprudenza di questa Corte, in base alla quale tale tipo di legge si
giustifica per la necessità di chiarire uno dei possibili sensi della norma
interpretata o per eliminare eventuali incertezze interpretative o contrasti
giurisprudenziali, esigenze che non sorgevano per la norma oggetto di
interpretazione.
L'art. 22 della
legge n. 3 del 2003, inoltre, appare al remittente viziato da irragionevolezza
ed in contrasto con alcuni fondamentali valori costituzionali. Esso, infatti,
sarebbe lesivo dell'affidamento delle posizioni soggettive maturate in capo
alle ricorrenti che avevano già superato la fase di ammissione al corso di
laurea specialistica nel momento in cui la norma è entrata in vigore. Essa,
inoltre, determinerebbe anche una violazione del principio della parità di
trattamento, poiché coloro i quali, come le ricorrenti, hanno conseguito
diplomi di assistente sociale non universitari ma rientranti nelle ipotesi dei
menzionati artt. 3, 4 e 6 del d.P.R. n. 14 del 1987
non hanno dovuto usufruire della procedura di convalida di cui all'art. 5 del
decreto stesso in quanto ritenuta superflua; con la paradossale conseguenza che
i diplomi convalidati dalle scuole universitarie (in base al citato art. 5)
consentirebbero la partecipazione alle lauree specialistiche ed ai corsi
post-base di cui alla norma impugnata, mentre altrettanto non potrebbe avvenire
per i diplomi che erano ab origine equiparati a quelli
universitari e che perciò erano esclusi dal procedimento di convalida.
Oltre alle
molteplici violazioni dell'art. 3 Cost., infine, il TAR osserva che la norma
impugnata, stabilendo un rigido ed automatico divieto di accesso alla laurea
specialistica, del tutto svincolato da «requisiti negativi di capacità e di
merito», si pone altresì in contrasto con gli artt. 33, 34 e 35 Cost.,
comportando violazione del diritto all'accesso ai gradi più elevati degli studi
ed al mondo del lavoro e delle professioni.
2.— Si sono
costituite in giudizio tutte le parti private ricorrenti, con un'unica memoria
difensiva, chiedendo che la prospettata questione venga dichiarata fondata, con
argomentazioni analoghe a quelle dell'ordinanza di rimessione.
Considerato in
diritto
1.— Il Tribunale
amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro, dubita, in
riferimento agli artt. 3, 33, 34 e 35 della Costituzione, della legittimità
costituzionale dell'art. 22 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione),
recante la rubrica «Disposizione interpretativa».
Secondo il
remittente l'autoattribuzione della qualifica di
disposizione interpretativa ed il suo tenore letterale comportano che alla
norma sia riconosciuta efficacia retroattiva e ciò, oltre ad accentuare la sua
intrinseca irragionevolezza, è di per sé causa di illegittimità in quanto lede
il principio dell'affidamento, fondato sulla equipollenza dei titoli richiesti
dalla disciplina preesistente per l'attribuzione della qualifica di assistente
sociale. Nella norma censurata sarebbero pertanto da ravvisare profili di
violazione dell'art. 3 della Costituzione.
Il remittente
sostiene, inoltre, che l'art. 22 citato viola anche gli artt. 33, 34 e 35
Cost., i quali garantiscono il diritto allo studio ed all'accesso ai gradi più
alti degli studi, oltre che al mondo del lavoro e delle libere professioni in
base alle proprie capacità e ai propri meriti.
2.— Si rileva,
anzitutto, l'inammissibilità degli ultimi profili di censura, che si
esauriscono nella mera evocazione dei parametri costituzionali, non sorretta da
congrua motivazione.
3.— La questione
deve invece essere scrutinata nel merito riguardo alla denuncia di contrasto
della norma impugnata con l'art. 3 della Costituzione.
Si premette che
va condivisa la tesi del remittente, conforme al costante indirizzo di questa
Corte, secondo la quale la disposizione censurata ha efficacia retroattiva. Confortano,
infatti, tale opinione la rubrica, che la definisce «Disposizione
interpretativa», e il suo tenore letterale: «il comma 10 del decreto-legge 12
novembre 2001, n. 402 … s'interpreta nel senso che …».
Ora, al di fuori
della materia penale, rientrante nel precetto dell'art. 25, secondo comma,
Cost., ciò che conta precipuamente ai fini del giudizio di legittimità
costituzionale di una legge retroattiva non è l'esistenza dei presupposti, del
resto discutibili e discussi, per l'emanazione di una legge interpretativa,
quanto piuttosto la non irragionevolezza della sua efficacia retroattiva e
l'inesistenza di violazioni di altri principi costituzionali.
E' stato infatti
affermato che «il legislatore può porre norme che retroattivamente precisino il
significato di altre norme preesistenti, ovvero impongano una delle possibili
varianti di senso del testo originario, purché compatibile con il tenore
letterale di esso». E la Corte ha anche chiarito che «in tali casi il problema
da affrontare riguarda non tanto la natura della legge, quanto piuttosto i
limiti che la sua portata retroattiva incontra alla luce del principio di
ragionevolezza e del rispetto di altri valori ed interessi costituzionalmente
protetti» (v., ex plurimis,
sentenze n. 376
e n. 421 del 1995,
n. 229 del 1999,
n. 525 del 2000,
n. 291 del 2003
e n. 168 del
2004).
Con riguardo ai
limiti della legittimità costituzionale di una legge cui dal legislatore è
stata attribuita efficacia retroattiva, e, per concludere sul punto, con più
specifico riferimento alla motivazione dell'ordinanza di rimessione, questa
Corte ha ritenuto che «in linea generale, l'affidamento del cittadino nella
sicurezza giuridica – essenziale elemento dello Stato di diritto – non può
essere leso da disposizioni retroattive, che trasmodino in regolamento
irrazionale di situazioni sostanziali fondate su leggi anteriori» (v., ex plurimis, sentenza n. 446 del
2002).
Nel caso in esame
il remittente, nell'affermare la non manifesta infondatezza della questione,
sostiene che la norma censurata, in quanto dotata di efficacia retroattiva,
lederebbe l'affidamento nella equipollenza ai diplomi universitari dei diplomi
non universitari rilasciati da istituzioni diverse in determinate situazioni o
in possesso di soggetti parti di rapporti di lavoro nella qualità di assistenti
sociali. La norma interpretata dalla disposizione impugnata dovrebbe infatti
essere letta alla luce di tutta la precedente vicenda normativa che siffatte
equipollenze aveva stabilito e ribadito. L'espressione «diplomi di assistente
sociale» contenuta nel comma 10 dell'art. 1 del d.l. n. 402 del 2001,
convertito nella legge n. 1 del 2002, non sarebbe, secondo il remittente,
suscettibile in via interpretativa di alcuna specificazione, sicché non vi
sarebbe stata alcuna ragione per dettare una norma come quella impugnata.
4.— La normativa
in tema di attribuzione della qualifica di assistente sociale, cui il
remittente si riferisce per sorreggere la propria tesi, può essere ricostruita
nel modo seguente.
L'art. 12, ultimo
comma, della legge 21 febbraio 1980, n. 28, attribuì al Governo la delega ad
emanare norme per rivedere gli ordinamenti, tra l'altro, delle scuole dirette a
fini speciali universitarie e delle scuole di perfezionamento e di
specializzazione.
In attuazione
della delega fu emanato il d.P.R. 10 marzo 1982, n.
162, il cui art. 9 stabilì che «con decreti del Presidente della Repubblica,
previa deliberazione del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro della
pubblica istruzione, di concerto con il Ministro di grazia e giustizia ed i
Ministri interessati, possono essere determinati i diplomi delle scuole dirette
a fini speciali che, in relazione a specifici profili professionali, hanno
valore abilitante per l'esercizio delle corrispondenti professioni ovvero di
titolo per l'accesso a determinati livelli funzionali del pubblico impiego per
i quali non sia previsto il diploma di laurea».
L'art. 19 del
citato d.P.R. – recante la rubrica «Convalida dei
titoli conseguiti nel precedente ordinamento» – prescrisse che i decreti
presidenziali di cui al precedente art. 9 avrebbero dovuto contenere
«disposizioni transitorie per disciplinare il passaggio dal precedente al nuovo
ordinamento e le condizioni e le modalità per ammettere all'esercizio delle corrispondenti
attività professionali coloro che hanno conseguito il titolo in base al
precedente ordinamento».
Da quanto detto
emerge che il legislatore, intendendo ricondurre nell'ambito dell'istruzione
universitaria la formazione degli assistenti sociali, ritenne di dover tenere
conto della vicenda sia normativa sia di fatto che si era svolta, considerando
la varietà di origine delle scuole e dei corsi per assistenti sociali via via istituiti, oltre che da università, anche da altri enti
pubblici, nonché da organizzazioni private.
Tale intendimento
venne realizzato nella disciplina successiva. Infatti il d.P.R.
15 gennaio 1987, n. 14 – emanato in ottemperanza alla prescrizione del citato
art. 9 e intitolato, appunto, «Valore abilitante del diploma di assistente
sociale in attuazione dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica
10 marzo 1982, n. 162» – dopo aver dettato la regola che «il diploma rilasciato
dalle scuole dirette a fini speciali universitarie costituisce l'unico titolo
abilitante per l'esercizio della professione di assistente sociale» (art. 1),
stabilì l'equipollenza a tale diploma di diverse situazioni nate nel corso
degli anni. In particolare, per quel che qui interessa, attribuì la stessa
efficacia giuridica ai diplomi di coloro che erano in servizio, al momento
dell'entrata in vigore della legge, alle dipendenze di amministrazioni o enti
pubblici o vi avevano lavorato per cinque anni (art. 4); ai diplomi, comunque
conseguiti, convalidati entro tre anni – termine poi prorogato per un anno (d.P.R. 5 luglio 1989, n. 280) – dalle scuole speciali
universitarie (art. 5); ai diplomi rilasciati, fino al completamento dei corsi,
agli allievi già iscritti, da scuole dichiarate idonee con decreto del Ministro
della pubblica istruzione che avrebbe vigilato avvalendosi eventualmente delle
università (art. 6).
La legge 19
novembre 1990, n. 341 (Riforma degli ordinamenti didattici universitari) ha
previsto la soppressione o la trasformazione delle scuole dirette a fini
speciali (art. 7), ma non ha modificato la disciplina delle indicate
equipollenze né ha inciso sul regime scaturente dalla normativa emanata fino ai
d.P.R. n. 14 del 1987 e n. 280 del 1989.
La successiva
legge 23 marzo 1993, n. 84, istitutiva dell'albo e dell'ordine degli assistenti
sociali, non soltanto non ha cambiato la suddetta normativa, ma l'ha
espressamente richiamata, stabilendo che «fino alla soppressione delle scuole
dirette a fini speciali universitarie, di cui all'articolo 1 del decreto del
Presidente della Repubblica 15 gennaio 1987, n. 14, o fino alla trasformazione
delle medesime in corsi di diploma universitario, ai sensi dell'art. 7, comma
1, lettera a), della legge 19
novembre 1990, n.
5.— Dalla esposta
vicenda normativa risulta che le equivalenze al possesso del diploma
universitario di altre posizioni – equivalenze volute dal legislatore al fine
di soddisfare aspettative nate in un'epoca nella quale le attività rientranti
successivamente nella professione di assistente sociale non erano state oggetto
di specifica, organica disciplina – concernevano l'esercizio della professione
di assistente sociale, ma non tale qualifica come titolo abilitante al
prosieguo degli studi. A tal proposito è opportuno sottolineare che il d.P.R. n. 162 del 1982 concerne i diplomi abilitanti «per
l'esercizio delle corrispondenti professioni» nonché «le condizioni e le
modalità per ammettere all'esercizio delle corrispondenti attività professionali
coloro che avevano conseguito il titolo in base al precedente ordinamento»
(art. 19); che il d.P.R. n. 14 del 1987 stabilisce
espressamente che il diploma rilasciato dalle scuole dirette a fini speciali
costituisce l'unico titolo abilitante per l'esercizio della professione di
assistente sociale, sicché l'equipollenza a
tale diploma di diverse situazioni va intesa come riferentesi
all'esercizio professionale e quindi a questo limitata; che, infine, la legge
n. 84 del 1993 disciplina l'iscrizione all'albo tenendo conto dell'abilitazione
all'esercizio della professione ai sensi del d.P.R.
n. 14 del 1987.
D'altra parte va
considerato che la riforma dell'ordinamento universitario, con l'istituzione
delle lauree di primo livello e delle lauree specialistiche, ha ricevuto la sua
prima attuazione solo con il d.m. 3 novembre 1999, n.
509, sicché è evidente che nella normativa precedente non potessero esservi
norme che ad essa facessero riferimento.
Non esisteva,
pertanto, il contesto normativo tale da giustificare l'affidamento che
l'equipollenza di situazioni, stabilita ai fini dell'esercizio della
professione di assistente sociale, valesse anche al diverso fine della
considerazione delle situazioni stesse quali titoli abilitanti per il prosieguo
degli studi.
La disposizione
interpretata da quella oggetto di censura concerne appunto i diplomi di
assistente sociale come titoli «validi ai fini dell'accesso ai corsi di laurea
specialistica, ai master ed agli
altri corsi di formazione post-base di cui al decreto ministeriale 3 novembre
1999, n. 509, del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e
tecnologica».
Si deve perciò
dedurre la non omogeneità della finalità (esercizio della professione di
assistente sociale) riguardo alla quale è stata riconosciuta l'equipollenza
delle posizioni in questione al diploma rilasciato in ambito universitario,
rispetto a quella (accesso a corsi di istruzione universitaria superiore)
prevista dalla norma interpretata. E, d'altra parte, non può ritenersi
intrinsecamente irragionevole il fatto che l'accesso ad un corso di laurea
specialistica (o ad altri corsi di istruzione superiore) venga, nel sistema
delineato dalla legge n. 341 del 1990, ristretto a coloro i quali sono già
titolari di un diploma universitario.
Ne consegue che
la norma, censurata per la sua efficacia retroattiva, non può essere
considerata irragionevole nel contesto della normativa esistente, perché il
significato da essa attribuito alla disposizione del comma 10 dell'art. 1 del
d.l. n. 402 del 2001 rientra nelle varianti di senso a questo attribuibili
nella sua letterale formulazione.
PER QUESTI MOTIVI
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 22 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 (Disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione),
sollevata in riferimento agli artt. 33, 34 e 35 della Costituzione, dal
Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sede di Catanzaro, con
l'ordinanza in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 22 della legge n. 3 del 2003, sollevata, in riferimento all'art. 3
della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria, sede
di Catanzaro, con l'ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte
costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2005.
Piero Alberto
CAPOTOSTI, Presidente
Francesco AMIRANTE,
Redattore
Depositata in Cancelleria il 3 novembre 2005.