Sentenza n. 73 del 2017

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SENTENZA N. 73

ANNO 2017

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:                                                                       

-          Paolo                           GROSSI                                            Presidente

-          Alessandro                  CRISCUOLO                                      Giudice

-          Giorgio                        LATTANZI                                               ”

-          Aldo                            CAROSI                                                    ”

-          Marta                           CARTABIA                                              ”

-          Mario Rosario             MORELLI                                                 ”

-          Giancarlo                    CORAGGIO                                              ”

-          Giuliano                      AMATO                                                    ”

-          Silvana                        SCIARRA                                                 ”

-          Daria                           de PRETIS                                                ”

-          Nicolò                         ZANON                                                    ”

-          Franco                         MODUGNO                                              ”

-          Augusto Antonio         BARBERA                                                ”

-          Giulio                          PROSPERETTI                                         ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 42, 44, commi 1, 2 e 3, e 63, comma 1, della legge della Regione Basilicata 4 marzo 2016, n. 5 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2016), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 3-6 maggio 2016, depositato in cancelleria il 4 maggio 2016 ed iscritto al n. 27 del registro ricorsi 2016.

Udito nell’udienza pubblica del 22 febbraio 2017 il Giudice relatore Augusto Antonio Barbera;

udito l’avvocato dello Stato Pietro Garofoli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con il ricorso in epigrafe, notificato il 3-6 maggio 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 42, 44 e 63, comma 1, della legge della Regione Basilicata 4 marzo 2016, n. 5 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2016), pubblicata nel BUR Basilicata n. 9 del 4 marzo 2016, in riferimento agli artt. 3 e 117, terzo comma, della Costituzione.

2.– Evidenzia il ricorrente che l’art. 42 della legge regionale impugnata interpreta autenticamente l’art. 3 della legge regionale 7 agosto 2009, n. 25 (Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente). La norma interpretata prevede, nella sua prima parte, che: «La Regione Basilicata, per le finalità di cui all’art. 1, in deroga agli strumenti urbanistici comunali vigenti e all’art. 44 della legge regionale n. 23/1999, promuove il rinnovamento e la sostituzione del patrimonio edilizio esistente realizzato dopo il 1942 che non abbia un adeguato livello di protezione sismica rispetto alle norme tecniche vigenti o che non abbia adeguati livelli di prestazione energetica». La stessa norma, ancora, prevede, sempre nel primo comma, che in ragione di siffatte finalità «[…] sono consentiti interventi straordinari di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti, autorizzati o condonati, con aumento della superficie complessiva entro il limite max del 30%».

Ciò premesso, la disposizione impugnata recita testualmente: «1. L’articolo 3, comma 1 della legge regionale 7 agosto 2009, n. 25, come modificato dall’articolo 4 della legge regionale 3 dicembre 2012, n. 25, nella parte in cui prevede che: “A tal fine sono consentiti interventi straordinari di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti, autorizzati o condonati, con aumento della superficie complessiva entro il limite max del 30%”, va interpretato con continuità temporale nel senso che: “tra gli edifici esistenti sono ricompresi anche gli edifici residenziali in fase di realizzazione in forza di titolo abilitativo in corso di validità”».

2.1.– Ad avviso del Governo la disposizione censurata, seppure qualificata dallo stesso legislatore regionale in termini di norma di interpretazione autentica, non si pone in linea con le indicazioni offerte dalla Corte Costituzionale nello scrutinare, attraverso il parametro offerto dall’art. 3 Cost., la legittimità delle norme di interpretazione autentica o comunque delle norme dotate di efficacia retroattiva: non assegna, infatti, alla norma interpretata un significato già in questa contenuto, riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario; né, ancora, vale a chiarire situazioni di oggettiva incertezza del dato normativo in ragione di un dibattito giurisprudenziale irrisolto, o consente di ristabilire un’interpretazione più aderente alla originaria volontà del legislatore a tutela della certezza del diritto e della eguaglianza dei cittadini, principi di preminente interesse costituzionale. Piuttosto, lungi dal fornire un’interpretazione possibile del testo della legge impugnata, ne amplia all’evidenza l’estensione, così da legittimare le relative deroghe volumetriche ad interventi su edifici (quelli residenziali in fase di realizzazione) che non ne avrebbero in alcun modo potuto beneficiare a mente della predetta disciplina regionale del 2009.

Né, ancora, si rimarca da parte del ricorrente, la retroattività della disposizione de qua finisce comunque per trovare giustificazione nella tutela di principi, diritti e beni di rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti motivi imperativi di interesse generale, ai sensi della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848; si mostra, per contro, lesiva dei principi prima richiamati ed in particolare della certezza dell’ordinamento giuridico e dell’affidamento dei soggetti destinatari.

3.– Il Governo muove analoghe contestazioni nei confronti dell’art. 44 della legge regionale in esame.

3.1.– Segnala, a tal fine, il ricorrente che con i primi due commi della norma censurata si interpretano autenticamente le disposizioni rispettivamente contenute nell’art. 8, commi 1-bis e 1-ter, della citata legge n. 25 del 2009. In particolare, si precisa che tali ultime due disposizioni, dettate in relazione ai titoli abilitativi funzionali alle opere di ristrutturazione con demolizione e successiva ricostruzione considerate dall’art. 3 della stessa legge, nel riferirsi ai relativi interventi edilizi in deroga, devono ritenersi applicabili «[…] anche agli edifici in fase di realizzazione in forza di titolo abilitativo in corso di validità, compreso quelli aventi ad oggetto nuove costruzioni, così come definito dal D.P.R. n. 380/2001»

Ne consegue, secondo quanto prospettato nel ricorso, che tramite le due disposizioni impugnate ed in ragione del significato interpretativo dalle stesse dettato, viene estesa retroattivamente, sin dalla entrata in vigore della legge regionale n. 25 del 2009, la possibilità di assentire interventi in deroga anche su edifici in fase di realizzazione, comprese le nuove costruzioni.

3.2.– Con il ricorso si censura anche il comma 3 dell’art. 44 della legge impugnata, con il quale il legislatore regionale ha attribuito, in via generalizzata, natura di norme di «interpretazione normativa» a tutte le modifiche della citata legge n. 25 del 2009 apportate dalla legge regionale 27 gennaio 2015, n. 4 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2015).

In particolare, nel ricorso si fa riferimento alle modifiche apportate al comma 3-bis dell’art. 2 della legge n. 25 del 2009, dall’art. 9 della legge n. 4 del 2015, destinata ad operare retroattivamente perché avente natura assertivamente interpretativa; a quelle previste dall’art. 10 della legge n. 4 del 2015, cadute sugli artt. 2, commi 1 e 3-quinquies, e 9 della legge n. 25 del 2009; ancora, alle modifiche dettate dall’art. 11 della legge n. 4 del 2015, relative all’art. 2, comma 3-quater, della legge n. 25 del 2009; alle modifiche apportate dall’art. 12 della citata legge del 2015, con il quale è stato innovato il comma 5 dell’art. 3 della legge del 2009 e sono stati introdotti i commi 5-sexies e 5-septies dello stesso articolo; infine, alle modifiche apportate dall’art. 13 della legge n. 4 del 2015 a modifica del comma 1-ter dell’art. 5 della richiamata legge n. 25 del 2009.

Anche in questo caso, si rimarca nel ricorso, le predette disposizioni sarebbero illegittime perché fanno retroagire l’efficacia di tali norme in contrasto con l’art. 3 Cost., violazione parimenti sostanziata dalle medesime ragioni di doglianza in precedenza rassegnate per le altre norme censurate.

4.– Gli artt. 42 e 44 oggetto di impugnazione, secondo il ricorrente, travalicano inoltre i limiti della potestà legislativa regionale, invadendo l’ambito assegnato alla legge dello Stato in materia di «governo del territorio» ex art. 117, terzo comma, Cost.

4.1.– Segnatamente, le disposizioni impugnate, una volta che se ne riconosca la legittima natura retroattiva, sarebbero in conflitto con gli artt. 36 e 37, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)», evocati quali parametri interposti; norme, queste ultime, cui questa Corte ha in precedenza ascritto la natura di principi fondamentali in materia di «governo del territorio» e che presuppongono, ai fini del rilascio del titolo abilitativo in sanatoria, la c.d. “doppia conformità”, intesa come conformità dell’intervento sia al momento della realizzazione sia al momento della presentazione della domanda. Per contro, grazie alla retroattività delle norme in contestazione, la portata derogatoria della legge regionale n. 25 del 2009 finirebbe per rendere legittimi ex post interventi che, eseguiti medio tempore, al momento della loro realizzazione non erano conformi agli strumenti urbanistici all’epoca vigenti.

4.2.– Le disposizioni censurate, se ritenute legittimamente retroattive, sarebbero inoltre in conflitto con il disposto dell’art. 5 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 12 luglio 2011, n. 106, che, al comma 10, esclude che gli interventi edilizi in deroga, oggetto della normativa di interesse, possano «riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria».

5.– Il ricorrente censura altresì l’art. 63, comma 1, della legge regionale n. 5 del 2016. Tale disposizione sarebbe in contrasto con i principi di coordinamento della finanza pubblica, riservati alla competenza statale ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., dettati in materia di contenimento della spesa per il personale degli enti del servizio sanitario.

5.1.– Nel ricorso si evidenzia che la norma impugnata detta disposizioni in materia di limiti di spesa per il personale delle Aziende sanitarie. In particolare, prevede che: «Il comma 4 dell’articolo 20 della legge regionale 8 agosto 2012, n. 16 come modificato dall’articolo 1 della legge regionale 13 agosto 2015, n. 36 è così sostituito: “4. In ogni caso la spesa complessiva del personale per le Aziende Sanitarie provinciali di Potenza e Matera nonché per l’Azienda Ospedaliera Regionale San Carlo di Potenza, al netto dei rinnovi contrattuali intervenuti successivamente all’anno 2004, non può essere superiore a quella dell’anno precedente, così come risultante da idonea attestazione aziendale. In attuazione delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 584, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, la Giunta regionale adotta un programma pluriennale di graduale riduzione della spesa del personale delle Aziende ed Enti del servizio sanitario regionale, al fine di garantire l’obiettivo, previsto per l’anno 2020, di una spesa complessiva del personale pari a quella sostenuta nell’anno 2004 ridotta dell’1,4% al netto della spesa per il personale del sistema dell’emergenza urgenza 118 e dell’IRCCS CROB di Rionero in Vulture non ancora strutturata alla data del 31 dicembre 2004, individuando il limite di spesa annuale per ciascuna Azienda.”».

5.2.– Il ricorrente rimarca che, ai sensi dell’art. 2, comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2010)», era previsto che «Fermo restando quanto previsto dall’articolo 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, per il triennio 2007-2009, gli enti del Servizio sanitario nazionale concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando, anche nel triennio 2010-2012, misure necessarie a garantire che le spese del personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’imposta regionale sulle attività produttive, non superino per ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012 il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1,4 per cento. A tale fine si considerano anche le spese per il personale con rapporto di lavoro a tempo determinato, con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, o che presta servizio con altre forme di rapporto di lavoro flessibile o con convenzioni. Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui al presente comma, le spese per il personale sono considerate al netto: a) per l’anno 2004, delle spese per arretrati relativi ad anni precedenti per rinnovo dei contratti collettivi nazionali di lavoro; b) per ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012, delle spese derivanti dai rinnovi dei contratti collettivi nazionali di lavoro intervenuti successivamente all’anno 2004. Sono comunque fatte salve, e devono essere escluse sia per l’anno 2004 sia per ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012, le spese di personale totalmente a carico di finanziamenti comunitari o privati, nonché le spese relative alle assunzioni a tempo determinato e ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa per l’attuazione di progetti di ricerca finanziati ai sensi dell’articolo 12-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni». 

Si segnala, ancora, che, ai sensi del successivo comma 72, gli enti destinatari delle disposizioni di cui al comma 71 – nell’ambito degli indirizzi fissati dalle Regioni, anche in connessione con i processi di riorganizzazione, ivi compresi quelli di razionalizzazione ed efficientamento della rete ospedaliera, per il conseguimento degli obiettivi di contenimento della spesa previsti dal medesimo comma – predispongono un programma annuale di revisione delle consistenze di personale dipendente a tempo indeterminato, determinato, che presta servizio con contratti di collaborazione coordinata e continuativa o con altre forme di lavoro flessibile o con convenzioni, finalizzato alla riduzione della spesa complessiva per il personale, con conseguente ridimensionamento dei pertinenti fondi della contrattazione integrativa.

Le disposizioni citate da ultimo, evidenzia ancora il ricorrente, benché riferite al triennio 2010-2012, sono state successivamente estese agli anni dal 2013 al 2020, ai sensi dell’art. 17, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall’art. 1, comma 584, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)».

5.3.– Ciò premesso, la disposizione censurata, nella parte in cui esclude, dal computo della spesa cui applicare il predetto obiettivo di risparmio, il «personale del sistema dell’emergenza urgenza 118 e dell’IRCCS CROB di Rionero in Vulture», finisce per compromettere, a livello regionale, l’osservanza degli obiettivi di contenimento della spesa di personale previsti dall’art. 2, commi 71 e 72, della legge n. 191 del 2009 e dall’art. 17, comma 3, del d.l. n. 98 del 2011, le cui disposizioni si configurano quali principi di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost.

Di qui la addotta violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost., per effetto del contrasto della disciplina regionale con la disciplina statale evocata come parametro interposto.

6.– La Regione Basilicata non si è costituita in giudizio.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questioni di legittimità costituzionale degli artt. 42, 44 e 63, comma 1, della legge della Regione Basilicata 4 marzo 2016, n. 5 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2016), per violazione degli artt. 3 e 117, terzo comma, della Costituzione.

In particolare, le prime due disposizioni, per quanto definite di interpretazione autentica, avrebbero un contenuto innovativo retroattivo, non giustificato ex art. 3 Cost., e sarebbero in conflitto con i principi fondamentali dettati, in materia di governo del territorio, dagli artt. 36 e 37 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (Testo A)» (di seguito: TUE), nonché dal comma 10 dell’art. 5 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia), convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106.

L’ultima delle disposizioni censurate sarebbe, invece, in conflitto con i principi fondamentali dettati dalla legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica sul tema del contenimento delle spese del personale sanitario.

Di qui il riferimento al terzo comma dell’art. 117 Cost., evocato in ragione del rilevato contrasto con i principi dettati dall’art. 2, commi 71 e 72, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2010)».

2.– Le disposizioni contenute negli artt. 42 e 44 della legge impugnata sono qualificate dallo stesso legislatore regionale norme di interpretazione autentica. Mirano, in particolare, a fornire il senso, vincolante per l’interprete, da assegnare ad alcune disposizioni contenute nella legge regionale 7 agosto 2009, n. 25 (Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell’economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente).

2.1.– L’art. 42 della legge regionale n. 5 del 2016 avrebbe il compito di offrire l’effettivo significato da ascrivere alla locuzione «edifici esistenti» contenuta nel comma 1 dell’art. 3 della legge regionale n. 25 del 2009. In particolare, in forza della norma censurata, il disposto del citato art. 3, nella parte in cui si riferisce agli «[…] interventi straordinari di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti, autorizzati o condonati, con aumento della superficie complessiva entro il limite max del 30%», realizzati, in deroga agli strumenti urbanistici, per le finalità di cui all’art. 1 della stessa legge n. 25 del 2009 e nell’ottica di promuovere «[…] il rinnovamento e la sostituzione del patrimonio edilizio esistente realizzato dopo il 1942 che non abbia un adeguato livello di protezione sismica rispetto alle norme tecniche vigenti o che non abbia adeguati livelli di prestazione energetica», deve essere «[….] interpretato con continuità temporale nel senso che: “tra gli edifici esistenti sono ricompresi anche gli edifici residenziali in fase di realizzazione in forza di titolo abilitativo in corso di validità”».

2.2.– Il Governo impugna anche l’art. 44 della legge regionale in esame, i cui primi due commi si pongono in evidente continuità con la disposizione di cui all’art. 42.

Con tali commi, come esplicitato nella rubrica, si afferma di voler procedere ad una interpretazione autentica rispettivamente relativa ai commi 1-bis e 1-ter dell’art. 8 della legge n. 25 del 2009, disposizione, quest’ultima, diretta a regolare il profilo inerente i titoli abilitativi strumentali agli interventi edilizi previsti dalla stessa legge regionale del 2009. In particolare, si precisa che le previsioni relative a tali due commi, immediatamente inerenti le opere di ristrutturazione con demolizione e successiva ricostruzione, considerate dall’art. 3 della legge regionale n. 25 del 2009, devono ritenersi applicabili «[…] anche agli edifici in fase di realizzazione in forza di titolo abilitativo in corso di validità, compreso quelli aventi ad oggetto nuove costruzioni, così come definito dal D.P.R. n. 380/2001».

2.3.– Infine, adduce il Governo, con il terzo comma dell’art. 44 della legge impugnata si qualificano in termini di interpretazione autentica tutte le modifiche, analiticamente indicate nel ricorso, apportate alla legge regionale n. 25 del 2009 dalla legge della Regione Basilicata 27 gennaio 2015, n. 4 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2015) in quanto ritenute di «[….] esplicitazione dell’interpretazione normativa del combinato disposto di quanto stabilito nel D.P.R. n. 380/2001 […] e nella legge regionale n. 25/2009 [… ]».

3.– Le censure rivolte agli artt. 42 e 44 della legge impugnata hanno un contenuto sostanzialmente identico.

3.1.– Il Governo, avuto riguardo a dette disposizioni, lamenta, in primo luogo, la violazione dell’art. 3 Cost., perché le norme impugnate, piuttosto che avere effettiva natura di interpretazione autentica, introducono, in via retroattiva, principi innovativi destinati a ledere valori garantiti dal citato parametro, segnatamente indicati nella esigenza di certezza del diritto ed in quella afferente la tutela dell’affidamento dei soggetti destinatari, la cui violazione disvela l’irragionevolezza della scelta di far retroagire nel tempo l’efficacia delle disposizioni oggetto di censura.

3.2.– In ogni caso, se ritenute legittimamente retroattive, le disposizioni dovrebbero ritenersi in conflitto con i principi fondamentali dettati nella materia del «governo del territorio» dagli artt. 36 e 37, comma 4 del TUE: utilizzando le deroghe previste dalla legge n. 25 del 2009, tali disposizioni finirebbero, infatti, per legittimare retroattivamente, interventi che, eseguiti medio tempore, al momento della loro realizzazione non erano conformi ai vigenti strumenti urbanistici, in aperto contrasto con il principio della “doppia conformità” dettato dal parametro interposto all’uopo evocato. Ancora, sarebbero in conflitto con il comma 10 dell’art. 5 del d.l. n. 70 del 2011, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 106 del 2011, nella parte in cui esclude che misure premiali in deroga come quelle previste dalla legge regionale in disamina possano riguardare edifici abusivi.

4.– La censura proposta in riferimento all’art. 3 Cost. è fondata.

4.1.– La legge regionale n. 25 del 2009 – inquadrata nel programma nazionale per l’edilizia (meglio noto con il sintagma “Piano Casa”), delineato dall’intesa stipulata in data 31 marzo 2009 in sede di Conferenza unificata Stato-Regioni e autonomie locali – prevede alcuni interventi edilizi straordinari in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, per la durata di 24 mesi (poi prorogata fino al 31 dicembre 2016 ai sensi della legge regionale n. 4 del 2015).

Interventi in deroga, quelli in disamina, che la stessa legge regionale n. 25 del 2009, in linea con il citato programma nazionale, descrive come funzionali «[…] a migliorare la qualità e la sicurezza del patrimonio edilizio esistente, a favorire il risparmio energetico e l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile, nonché a ridurre il consumo dei suoli attraverso il riuso del patrimonio edilizio esistente» (art. 1, comma 1, lettera a).

4.2.– Sono tre le categorie cui possono essere ricondotti gli interventi in deroga tipizzati dalla citata legge n. 25 del 2009. È consentito, in particolare, un ampliamento volumetrico, in deroga alle norme urbanistiche vigenti, destinato a riguardare edifici residenziali esistenti aventi tipologia monofamiliare isolata, bifamiliare isolata o plurifamiliare (art. 2, comma 1); sono consentiti in deroga, inoltre, aumenti di volume legati agli interventi di demolizione e ricostruzione del patrimonio edilizio esistente, finalizzati a garantire un adeguamento alle vigenti disposizioni antisismiche ed a favorire migliori prestazioni energetiche (art. 3, comma 1); infine, è consentito il «riuso e recupero del patrimonio edilizio esistente» al verificarsi di determinati presupposti, attraverso il mutamento di destinazione d’uso, sempre in deroga alle disposizioni urbanistiche vigenti (art. 5).

4.3.– Ciò premesso, va escluso che le disposizioni impugnate costituiscano norme di interpretazione autentica.

4.3.1.– Questa Corte si è ripetutamente espressa nel senso della sostanziale indifferenza, quanto allo scrutinio di legittimità costituzionale, della distinzione tra norme di interpretazione autentica – retroattive, salva una diversa volontà in tal senso esplicitata dal legislatore stesso – e norme innovative con efficacia retroattiva. Ciò che assume rilievo, piuttosto, è la compatibilità di tali disposizioni con il divieto di retroattività che, «pur costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata riservata dall’art. 25 Cost. esclusivamente alla materia penale» (ex plurimis, sentenza 156 del 2014).

Al legislatore non è preclusa la possibilità di emanare norme retroattive sia innovative che di interpretazione autentica. La retroattività deve, tuttavia, trovare adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza attraverso un puntuale bilanciamento tra le ragioni che ne hanno motivato la previsione e i valori, costituzionalmente tutelati, al contempo potenzialmente lesi dall’efficacia a ritroso della norma adottata (sentenza n. 170 del 2013, che riassume sul tema le costanti indicazioni di principio espresse dalla Corte).

Questa Corte ha, pertanto, individuato alcuni limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla salvaguardia di principi costituzionali tra i quali sono ricompresi «il rispetto del principio generale di ragionevolezza, che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico; il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario» (sentenza n. 170 del 2013, nonché sentenze n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010).

4.3.2.– L’affermazione di principio in forza della quale la distinzione tra norme interpretative e disposizioni retroattive deve ritenersi priva di rilievo al fine che occupa merita, tuttavia, una ulteriore precisazione.

In più occasioni, infatti, avuto riguardo alle norme che pretendono di avere natura meramente interpretativa, questa Corte ha ritenuto che la palese erroneità di tale auto-qualificazione può costituire un indice, sia pure non dirimente, della  irragionevolezza della disposizione impugnata (in tal senso, sentenze n. 103 del 2013 e n. 41 del 2011).

Per contro, l’individuazione della natura interpretativa della norma non può ritenersi in sé indifferente nel bilanciamento di valori sotteso al giudizio di costituzionalità che cade sulle norme retroattive. Se, ad esempio, i valori costituzionali in gioco sono quelli dell’affidamento dei consociati e della certezza dei rapporti giuridici, è di tutta evidenza che l’esegesi imposta dal legislatore, assegnando alle disposizioni interpretate un significato in esse già contenuto, riconoscibile come una delle loro possibili varianti di senso, influisce sul positivo apprezzamento sia della sua ragionevolezza « […] sia della non configurabilità di una lesione dell’affidamento dei destinatari» (sentenza n. 170 del 2008).

4.3.3.– Occorre dunque procedere alla corretta individuazione della natura delle norme oggetto di censura in parte qua.

Sul punto va ribadito (ex plurimis, sentenza n. 314 del 2013) che «va riconosciuto carattere interpretativo alle norme che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo». Il legislatore, del resto, può adottare norme di interpretazione autentica non soltanto in presenza di incertezze sull’applicazione di una disposizione o di contrasti giurisprudenziali, ma anche quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, così rendendo vincolante un significato ascrivibile ad una norma anteriore (in termini, oltre al precedente già citato, anche le  sentenze n. 271 del 2011, n. 209 del 2010 e n. 170 del 2008).

4.3.4.– Nella specie, diversi indici portano ad escludere che alle disposizioni in questione possa ascriversi natura di norme di interpretazione autentica.

Prendendo le mosse dall’art. 42 della legge regionale impugnata, va subito ribadito che gli interventi edilizi presi in considerazione dall’art. 3 della legge n. 25 del 2009, in linea con le connotazioni complessive della stessa, sono destinati al patrimonio edilizio esistente: le relative deroghe volumetriche, assentite rispetto agli strumenti urbanistici vigenti, limitate nel tempo perché straordinarie, trovano una ragion d’essere  nella finalità di adeguare dal punto di vista antisismico ed energetico realtà immobiliari preesistenti fatte oggetto di ricostruzione previa demolizione.

Utilizzando l’espressione «edifici residenziali in fase di realizzazione in forza di un titolo abilitativo in corso di validità», che la disposizione interpretativa vorrebbe ascrivere come contenuto della disposizione interpretata, si intendono, dunque, le demolizioni con ricostruzione in corso di realizzazione alla data di entrata in vigore della legge regionale n. 25 del 2009; ma il significato che il legislatore regionale ha deciso di imporre con l’intervento normativo contestato coincide con quello in precedenza espresso dal tenore originario della norma interpretata, prima di venire modificata sul punto dall’art. 4 della legge della Regione Basilicata 3 dicembre 2012, n. 25, recante «Modifiche alla legge regionale 7 agosto 2009, n. 25 (Misure urgenti e straordinarie volte al rilancio dell'economia e alla riqualificazione del patrimonio edilizio esistente), alla legge regionale 11 agosto 1999, n. 23 (Tutela, governo ed uso del territorio), alla legge regionale 7 agosto 1996, n. 37 (Procedure per l’approvazione degli strumenti attuativi in variante agli strumenti urbanistici generali), alla legge regionale 27 luglio 1979, n. 23 (Disciplina transitoria delle procedure di approvazione degli strumenti urbanistici di attuazione), in attuazione dell’art. 5 comma 9 del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70 convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 2011, n. 106».

Appare pertanto evidente che si tratta di una reintroduzione del medesimo significato in precedenza espunto dallo stesso legislatore regionale: il relativo intervento normativo, dunque, non può avere altra natura che quella della innovazione.

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi in riferimento ai primi due commi dell’art. 44 della legge impugnata, i quali non solo ribadiscono che gli edifici interessati dai relativi interventi sono anche quelli «in fase di realizzazione», ma precisano, altresì, che questi ultimi possono avere ad oggetto anche «nuove costruzioni», individuate in termini coincidenti con la definizione all’uopo espressa nel TUE.

Una lettura complessiva delle tre citate disposizioni, favorita dal comune denominatore di riferimento, induce, quindi, l’interprete a ritenere che con l’intervento normativo in questione il legislatore, avuto riguardo agli interventi edilizi di cui all’art. 3 della legge regionale n. 25 del 2009, ha inteso assegnare alla locuzione «edifici esistenti» un significato comprensivo anche degli interventi aventi ad oggetto «nuove costruzioni». Esegesi, questa, che conferma il carattere innovativo della norma in questione, giacché vengono evocate categorie di intervento edilizio che, nella loro massima espansione, hanno un contenuto non coerente con la ratio sottesa alla legge regionale in oggetto.

Infine, guardando anche al comma 3 dello stesso art. 44, non può non rimarcarsi che le modifiche apportate alla legge regionale n. 25 del 2009 dalla legge regionale n. 4 del 2015, cui si fa riferimento nella disposizione censurata, non hanno interpretato, ma solo innovato la pregressa disciplina. La stessa previsione in blocco e indistinta del riferimento alle disposizioni della detta legge del 2015 svela, infatti, l’effettiva intenzione perseguita con la norma censurata: spostare nel tempo il portato delle modifiche introdotte nel 2015 sino a ricondurle alla data di entrata in vigore della legge n. 25 del 2009.

4.4.– Una volta chiarita la natura retroattiva delle disposizioni impugnate, occorre scrutinarne la ragionevolezza ai sensi dell’art. 3 Cost.

4.4.1.– La erroneità della auto-qualificazione delle norme impugnate come interpretative costituisce, si è detto, un primo indice, per quanto non dirimente, della irragionevolezza del loro retroagire nel tempo, ulteriormente corroborato dalla constatazione che le stesse introducono innovazioni, destinate, per lo più, ad ampliare facoltà in deroga ai relativi strumenti urbanistici, peraltro non necessariamente in termini di logica continuità con il quadro generale di riferimento sul quale le stesse sono destinate ad incidere.

Relativamente a quest’ultimo profilo basta limitarsi al dato offerto dal riferimento alle “nuove costruzioni” cui si fa cenno nei primi due commi dell’impugnato art. 44 ed alle possibili interpretazioni che lo stesso potrebbe favorire, potenzialmente distoniche rispetto alle finalità perseguite dalla legge regionale n. 25 del 2009, tesa ad una valorizzazione del patrimonio esistente attraverso le deroghe ai vigenti strumenti urbanistici.

4.4.2.– Si tratta dunque di disposizioni (in particolar modo l’art. 42 e i primi due commi dell’art. 44) innovative con efficacia retroattiva, in grado di rendere legittime condotte che, non considerate tali al momento della loro realizzazione (perché non conformi agli strumenti urbanistici di riferimento), lo divengono per effetto dell’intervento successivo del legislatore. Ciò impone uno stringente rigore di giudizio nel procedere allo scrutinio di ragionevolezza, dovendosi considerare a tal fine le esigenze sovra-individuali sottese alla valutazione dei carichi urbanistici in uno al rilievo complessivo dei valori in gioco nonché alla straordinarietà delle previsioni in deroga fatte retroagire nel tempo.

4.4.3.– Anche a voler ritenere che, nella specie, le disposizioni impugnate possano trovare una loro giustificazione nell’esigenza della Regione di assicurare una maggiore omogeneità alle norme in oggetto per fare fronte al sovrapporsi delle modifiche intervenute nel tempo, siffatta finalità deve ritenersi recessiva rispetto al valore della certezza del diritto, nel caso messo in discussione in una materia, quella urbanistica,  rispetto alla quale assume una peculiare rilevanza l’affidamento che la collettività ripone nella sicurezza giuridica (sentenza n. 209 del 2010).

Del resto, pur guardando alla potenziale incidenza delle norme impugnate sui rapporti interprivati, va osservato che le stesse, per quanto prevalentemente di favore rispetto agli interessi dei singoli destinatari, retroagendo nel tempo sacrificano, in linea di principio, le posizioni soggettive dei potenziali controinteressati che facevano affidamento sulla stabilità dell’assetto normativo vigente all’epoca delle singole condotte.

4.4.4.– Infine, la ritenuta violazione dell’art. 3 Cost. è confortata dagli argomenti desumibili dalla seconda censura, riferita al terzo comma dell’art. 117 Cost. con riguardo alla materia «governo del territorio» e ai parametri interposti offerti dagli artt. 36 e 37 del TUE; argomenti che, in larga misura, tuttavia, sostanzialmente integrano e chiariscono le ragioni della lesione del primo di detti parametri.

4.4.5.– La previsione della retroattività, nella specie, consente di regolarizzare ex post, rendendole legittime, opere che, al momento della loro realizzazione, sono in contrasto con gli strumenti urbanistici di riferimento, dando corpo, in definitiva, ad una surrettizia ipotesi di sanatoria, in linea con iniziative legislative analoghe puntualmente sanzionate da questa Corte (sentenze n. 233 del 2015, n. 209 del 2010, n. 290 e n. 54 del 2009).

Ciò che rileva, per quel che qui immediatamente interessa, è che in tema di condono edilizio “straordinario”, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che spettano alla legislazione statale, oltre ai profili penalistici (integralmente sottratti al legislatore regionale: sentenze n. 49 del 2006, n. 70 del 2005 e n. 196 del 2004), le scelte di principio sul versante della sanatoria amministrativa, in particolare quelle relative all’an, al quando e al quantum. Esula, infatti, dalla potestà legislativa concorrente delle Regioni il potere di «ampliare i limiti applicativi della sanatoria» (sentenza n. 290 del 2009) oppure, ancora, di «allargare l’area del condono edilizio rispetto a quanto stabilito dalla legge dello Stato» (sentenza n. 117 del 2015). A maggior ragione, esula dalla potestà legislativa regionale il potere di disporre autonomamente una sanatoria straordinaria per il solo territorio regionale (sentenza n. 233 del 2015).

Realizzando un sostanziale intervento in sanatoria, la Regione Basilicata ha dunque finito per invadere un ambito legislativo estraneo ai titoli di sua legittimazione, rendendo ancor più evidente la marcata incoerenza sistematica da ascrivere alle disposizioni impugnate.

5.– In breve, il confronto tra le disposizioni regionali censurate ed i principi costituzionali più volte richiamati da questa Corte porta alla conclusione che le stesse non solo non possono essere ritenute interpretative, nel senso prima chiarito, ma ledono, oltre alle norme della legislazione statale in materia edilizia, il canone generale della ragionevolezza ex art. 3 Cost., correttamente evocato dal ricorso, con ulteriori, potenziali, ricadute in ordine alla effettività del diritto dei cittadini di agire in giudizio a tutela dei propri diritti (art 24, primo comma, Cost.) nonché in punto alla integrità delle attribuzioni costituzionali dell’autorità giurisdizionale (art. 102 Cost.).

5.1.– Resta assorbita ogni altra censura rivolta nei confronti delle stesse disposizioni ma riferita all’art 117, terzo comma, Cost.

6.– Il Governo ricorrente ha anche impugnato l’art. 63, comma 1, della legge della Regione Basilicata n. 5 del 2016.

6.1.– La norma impugnata, nel sostituire il comma 4 dell’art. 20 della legge regionale 8 agosto 2012, n. 16 (Assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2012 e del bilancio pluriennale per il triennio 2012/2014), detta disposizioni in materia di limiti di spesa per il personale delle aziende e degli enti del servizio sanitario.

In particolare, abrogato – dopo la proposizione del ricorso – il relativo primo capoverso (dall’art. 2 della legge regionale 4 agosto 2016, n. 17, recante «Modifiche a norme in materia di sanità»), il cui disposto era comunque indifferente all’oggetto della questione prospettata, l’attuale testo della norma modificata da quella censurata  prevede che: «In attuazione delle disposizioni di cui all’art. 1, comma 584, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, la Giunta regionale adotta un programma pluriennale di graduale riduzione della spesa del personale delle Aziende ed Enti del servizio sanitario regionale, al fine di garantire l’obiettivo, previsto per l’anno 2020, di una spesa complessiva del personale pari a quella sostenuta nell’anno 2004 ridotta dell’1,4% al netto della spesa per il personale del sistema dell’emergenza urgenza 118 e dell’IRCCS CROB di Rionero in Vulture non ancora strutturata alla data del 31 dicembre 2004, individuando il limite di spesa annuale per ciascuna Azienda».

6.2.– Tale disposizione, secondo il Governo, sarebbe in contrasto con i limiti di spesa imposti dai commi 71 e 72 dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009, per gli enti del servizio sanitario. In particolare, il citato comma 71 prevede che «[…] gli enti del Servizio sanitario nazionale concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica adottando, anche nel triennio 2010-2012, misure necessarie a garantire che le spese del personale, al lordo degli oneri riflessi a carico delle amministrazioni e dell’imposta regionale sulle attività produttive, non superino per ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012 il corrispondente ammontare dell’anno 2004 diminuito dell’1,4 per cento. […]».

La stessa disposizione evocata quale parametro interposto esclude dal computo dell’importo massimo di spesa assentita «[…] sia per l’anno 2004 sia per ciascuno degli anni 2010, 2011 e 2012, le spese di personale totalmente a carico di finanziamenti comunitari o privati, nonché le spese relative alle assunzioni a tempo determinato e ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa per l’attuazione di progetti di ricerca finanziati ai sensi dell’articolo 12-bis del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni». Rimarca, inoltre, il ricorrente, che le previsioni di contenimento della spesa sopra indicate, in origine riferite al triennio 2010-2012, sono state successivamente estese agli anni dal 2013 al 2020, ai sensi dell’art. 17, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, così come modificato dall’art. 1, comma 584, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)».

6.3.– Ciò premesso, la norma impugnata, secondo l’assunto del Governo, compromette il rispetto, a livello regionale, degli obiettivi di contenimento della spesa di personale fissati dalle disposizioni statali evocate quali parametri interposti, cui va ascritta natura di principi di coordinamento della finanza pubblica: escludendo dal computo della spesa cui applicare il predetto obiettivo di risparmio il personale del sistema «dell’emergenza urgenza», nonchè quello dell’IRCCS CROB di Rionero in Vulture, la norma censurata si pone in deroga al limite di spesa riferito al 2004, ridotto dell’1,4 %, da ritenersi applicabile anche a tale personale.

Di qui la addotta violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost.

6.4.– La censura merita l’accoglimento nei termini precisati di seguito.

6.4.1.– Pur se nominalmente riferita all’intero primo comma dell’art. 63, la censura, nel suo portato effettivo, risulta esclusivamente limitata alla mancata previsione – nel computo da considerare per ritenere rispettata la soglia di contenimento stabilita dai parametri interposti all’uopo evocati – degli importi di spesa previsti per il «personale del sistema dell’emergenza urgenza 118 e dell’IRCCS CROB di Rionero in Vulture»; e ciò fissa i confini della valutazione rimessa a questa Corte nello scrutinare la norma impugnata.

6.4.2.– Secondo il consolidato orientamento espresso in materia (ex plurimis, sentenza n. 110 del 2014) «“l’autonomia legislativa concorrente delle Regioni nel settore della tutela della salute ed in particolare nell’ambito della gestione del servizio sanitario può incontrare limiti alla luce degli obiettivi della finanza pubblica e del contenimento della spesa”, peraltro in un “quadro di esplicita condivisione da parte delle Regioni della assoluta necessità di contenere i disavanzi del settore sanitario”». Il legislatore statale può in coerenza «legittimamente imporre alle Regioni vincoli alla spesa corrente per assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica complessiva, in connessione con il perseguimento di obiettivi nazionali, condizionati anche da obblighi comunitari (sentenze n. 91 del 2012, n. 163 del 2011 e n. 52 del 2010)».

In questa cornice va considerata e letta l’affermazione, ribadita nel tempo dalla Corte, in forza della quale la spesa per il personale costituisce «una delle voci del bilancio regionale, caratterizzata sia dal peso preponderante che vi riveste, sia dalla storica ritrosia delle Regioni a porvi adeguati limiti» (sentenze n. 182 del 2011). In linea con tale orientamento, questa Corte (sentenze n. 182 del 2011, n. 68 del 2011 e n. 333 del 2010) ha già riconosciuto, al limite stabilito dal comma 71 dell’art. 2 della legge di stabilità del 2010, la natura di principio fondamentale, diretto al contenimento della spesa sanitaria, ritenuto, come tale, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica. Del resto, ad analoga soluzione si era già pervenuti (sentenza n. 120 del 2008) allorquando ad essere sottoposto a scrutinio era stato l’art. 1, comma 565, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007), che della evocata norma interposta ebbe a costituire l’antecedente con analogia di contenuti.

6.4.3.– Messa in chiaro la natura dell’art. 2, comma 71, della legge n. 191 del 2009, non pare revocabile in dubbio, in linea con la doglianza prospettata, che la norma regionale impugnata consenta l’indebito superamento della soglia di contenimento fissata dalla citata disposizione, perché esclude, dal computo del totale della spesa consentita, i costi di riferimento relativi ad alcune categorie di dipendenti che non sono immediatamente riconducibili a quelle per le quali lo stesso parametro interposto ammette una deroga di principio. Il tutto, peraltro, in ragione di una giustificazione di fondo – quella in forza della quale tali ragioni di spesa non erano ancora strutturate nell’anno 2004 – evidentemente inconferente, perché in aperta contraddizione logica con l’esigenza di revisione al ribasso della spesa per siffatta voce, una volta definito il relativo parametro massimo di riferimento.

Di qui l’illegittimità costituzionale della norma censurata, nei limiti del petitum prospettato dal ricorso.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli artt. 42 e 44, commi 1, 2 e 3, della legge della Regione Basilicata 4 marzo 2016, n. 5 (Collegato alla Legge di stabilità regionale 2016);

2) dichiara l’illegittimità costituzionale del comma 4 dell’art. 20 della legge della Regione Basilicata 8 agosto 2012, n. 16 (Assestamento del bilancio di previsione per l’esercizio finanziario 2012 e del bilancio pluriennale per il triennio 2012/2014), come sostituito dall’art. 63, comma 1, della legge della Regione Basilicata n. 5 del 2016, limitatamente alle parole «al netto della spesa per il personale del sistema dell’emergenza urgenza 118 e dell’IRCCS CROB di Rionero in Vulture non ancora strutturata alla data del 31 dicembre 2004».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 febbraio 2017.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Augusto Antonio BARBERA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2017.