Sentenza n. 302 del 2010

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SENTENZA N. 302

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco                AMIRANTE                                                  Presidente

- Ugo                         DE SIERVO                                                    Giudice

- Paolo                       MADDALENA                                                    ”

- Alfio                       FINOCCHIARO                                                  ”

- Alfonso                   QUARANTA                                                        ”

- Franco                     GALLO                                                                 ”

- Luigi                       MAZZELLA                                                         ”

- Gaetano                  SILVESTRI                                                          ”

- Sabino                     CASSESE                                                             ”

- Giuseppe                 TESAURO                                                            ”

- Paolo Maria             NAPOLITANO                                                    ”

- Giuseppe                 FRIGO                                                                  ”

- Alessandro              CRISCUOLO                                                       ”

- Paolo                       GROSSI                                                                ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), promosso dal Tribunale di Sanremo, con ordinanza del 5 gennaio 2009, iscritta al numero 229 del registro ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 38, prima serie speciale, dell’anno 2009.

Visti l’atto di costituzione della Living Garden s.r.l. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 6 ottobre 2010 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

uditi gli avvocati Lorenzo Acquarone e Giovanni Acquarone per la Living Garden s.r.l. e l’avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ordinanza del 5 gennaio 2009, il Tribunale di Sanremo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), per violazione degli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione.

1.1. – In punto di fatto, il giudice a quo riferisce di essere investito di un ricorso, proposto dalla Living Garden s.r.l. ai sensi dell’art. 700 del codice di procedura civile, per ottenere una misura cautelare utile ad evitare il pagamento della somma richiesta da Comune di Sanremo, con atto del 10 ottobre 2007, n. 53894, a seguito del nuovo computo del canone demaniale marittimo dovuto dalla stessa Living Garden per l’anno 2007.

La società ricorrente è titolare di una concessione demaniale marittima per l’occupazione e la conduzione di un bar gelateria su un’area di complessivi mq. 922 (comprendenti un’area scoperta di mq. 259, un’area coperta con opere di facile rimozione di mq. 46, un’area coperta con impianti di difficile rimozione di mq. 142 ed una pertinenza demaniale di circa mq. 475, costituita da un fabbricato incamerato). Per l’intero compendio immobiliare la predetta società ha pagato, fino al 2007, un canone annuo di importo poco superiore a 2.500 euro, periodicamente aggiornato. Per l’anno 2007, il Comune di Sanremo ha richiesto un canone di 2.663,09 euro, oltre all’addizionale regionale del 10% (per un totale di 2.929,40 euro).

Nel giudizio a quo, la società ricorrente ha evidenziato come la norma censurata abbia introdotto nuovi criteri di calcolo dei canoni demaniali (quanto meno per le cosidette pertinenze demaniali), determinando spropositati aumenti degli stessi, addirittura superiori alla misura del 300%, già prevista dal decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326.

In particolare, il censurato art. 1, comma 251, della legge n. 296 del 2006 – che ha sostituito il comma 1 dell’art. 03 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 4 dicembre 1993, n. 494 – ha, tra l’altro, stabilito che «per le concessioni comprensive di pertinenze demaniali marittime si applicano, a decorrere dal 1° gennaio 2007, i seguenti criteri: 2.1) per le pertinenze destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi, il canone è determinato moltiplicando la superficie complessiva del manufatto per la media dei valori mensili unitari minimi e massimi indicati dall’Osservatorio del mercato immobiliare per la zona di riferimento. L’importo ottenuto è moltiplicato per un coefficiente pari a 6,5. Il canone annuo così determinato è ulteriormente ridotto delle seguenti percentuali, da applicare per scaglioni progressivi di superficie del manufatto: fino a 200 metri quadrati, 0 per cento; oltre 200 metri quadrati e fino a 500 metri quadrati, 20 per cento; oltre 500 metri quadrati e fino a 1.000 metri quadrati, 40 per cento; oltre 1.000 metri quadrati, 60 per cento. Qualora i valori dell’Osservatorio del mercato immobiliare non siano disponibili, si fa riferimento a quelli del più vicino comune costiero rispetto al manufatto nell’ambito territoriale della medesima regione».

Ai sensi dell’art. 29 del codice della navigazione, sono considerate pertinenze del demanio marittimo «le costruzioni e le altre opere appartenenti allo Stato, che esistono entro i limiti del demanio marittimo e del mare territoriale».

Con il provvedimento impugnato nel giudizio principale il Comune di Sanremo, in applicazione del citato comma 251 dell’art. 1, ha ricalcolato il canone per l’anno 2007 nella misura di 41.878,92 euro ed ha invitato la società ricorrente a provvedere al pagamento delle somme non corrisposte.

A fronte della nuova quantificazione del canone annuo, la Living Garden s.r.l. ha adito il Tribunale di Sanremo chiedendo l’adozione di una misura cautelare idonea, come accennato, a ricondurre il canone demaniale al precedente importo o comunque ad un livello ragionevole, «tale da consentire la prosecuzione dell’attività».

Nel giudizio a quo, la società ricorrente ha dedotto, in primo luogo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 251, della legge n. 296 del 2006, in quanto la pertinenza demaniale in concessione alla Living Garden s.r.l. non rientrerebbe nelle categorie di destinazione soggette al disposto aumento, trattandosi di un fabbricato destinato ad attività di bar gelateria. In subordine, è stata dedotta l’illegittimità costituzionale del richiamato comma 251, in quanto il nuovo criterio di quantificazione del canone demaniale marittimo violerebbe gli artt. 3, 41 e 97 Cost.

1.2. – Il giudice rimettente ha escluso il fondamento della proposta distinzione tra gli esercizi di ristorazione e di somministrazione di alimenti e bevande e le altre attività commerciali, ed ha invece ritenuto non manifestamente infondata, oltre che rilevante, la prospettata questione di legittimità costituzionale.

Per quanto riguarda la rilevanza, il Tribunale assume che la stessa sarebbe in re ipsa, in quanto il provvedimento impugnato costituirebbe «pedissequa applicazione delle nuove norme che regolano i contestati canoni demaniali».

In merito alla non manifesta infondatezza, il rimettente sottolinea come l’«ampia discrezionalità», di cui gode il legislatore nell’adottare norme modificatrici dei rapporti giuridici di durata, sia censurabile ogni qual volta «emergano profili di manifesta irragionevolezza tali da ledere il buon andamento della pubblica amministrazione o da determinare situazioni di disuguaglianza».

Nel caso di specie, la lesione del principio di ragionevolezza e di uguaglianza sarebbe ravvisabile nel fatto che le nuove norme «determinano immotivate discriminazioni all’interno della medesima categoria delle pertinenze demaniali», assoggettando al nuovo criterio di calcolo dei canoni le sole pertinenze adibite a specifiche destinazioni («attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi») e non anche le altre.

Ad avviso del giudice a quo, il nuovo criterio di calcolo, oltre che discriminatorio, risulterebbe «in netta contraddizione» con i provvedimenti legislativi che, al fine di ricondurre il canone ad una misura equa e ragionevole, avevano dapprima rinviato l’entrata in vigore dell’incremento del canone del 300%, previsto dal d.l. n. 269 del 2003 per le concessioni turistico-balneari, e quindi successivamente abrogato le norme che lo avevano istituito.

Il Tribunale di Sanremo richiama, a sostegno delle proprie argomentazioni, la sentenza della Corte costituzionale n. 264 del 2005, secondo cui «nel nostro sistema costituzionale non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive, il limite imposto in materia penale dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione). Unica condizione essenziale è che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto».

Secondo il rimettente, i dubbi non manifestamente infondati circa la compatibilità della disciplina censurata con il principio di ragionevolezza si risolverebbero, per se stessi, anche in dubbi riguardo alla piena osservanza del canone di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).

Ancora, le norme censurate si porrebbero in contrasto con l’art. 53 Cost., in quanto il canone demaniale non sarebbe predeterminato con atto legislativo ma rimesso alle valutazioni dell’Osservatorio del mercato immobiliare (OMI), così violando il principio costituzionale di capacità contributiva.

Il Tribunale di Sanremo, inoltre, facendo proprie le censure prospettate dalla società ricorrente nel giudizio principale, sottolinea come l’importo del canone delle pertinenze sia di fatto equiparato al valore di mercato del canone di locazione di un corrispondente immobile di proprietà privata. Ciò risulterebbe irragionevole e non conforme ai principi dell’art. 3 Cost., visto che sussisterebbero «plurimi motivi» per escludere siffatta equiparazione. In particolare, il concessionario demaniale, oltre a non poter disporre dell’immobile «per natura incommerciabile e dunque fuori mercato», sarebbe svantaggiato rispetto al conduttore di immobili privati in quanto: è soggetto al pagamento integrale dell’ICI; non ha garanzie di durata del rapporto, che è soggetto a risoluzione in qualsiasi momento, senza necessità di giusta causa ma «per ragioni di interesse pubblico difficilmente sindacabili» (ex art. 42 cod. nav.); è soggetto all’obbligo della manutenzione anche straordinaria dell’immobile demaniale e, secondo le norme censurate, le spese e gli investimenti sostenuti non possono essere computati al fine della determinazione del canone; è soggetto all’assicurazione obbligatoria dell’immobile per il valore commerciale ed al versamento di una cauzione maggiore di quella richiesta al conduttore di un immobile privato (tre mensilità invece di due).

Il giudice a quo aggiunge che, proprio in considerazione di tali elementi, i canoni demaniali sono sempre risultati inferiori rispetto ai canoni di locazione degli immobili di proprietà privata.

Un ulteriore motivo di illegittimità della norma impugnata è individuato nel fatto che quest’ultima assoggetterebbe «del tutto illogicamente» a diverso canone demaniale pertinenze di identico valore, come ad esempio immobili su aree confinanti di uno stesso lungomare ricadenti però nel territorio di Comuni diversi e quindi aventi diverso valore immobiliare medio.

Per le anzidette ragioni il Tribunale di Sanremo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 251, della legge n. 296 del 2006, «nella parte in cui prevede un immotivato incremento (di oltre il 300%) del canone demaniale delle pertinenze demaniali».

2. – Nel giudizio si è costituita la Living Garden s.r.l. chiedendo l’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale.

In particolare la società interveniente, dopo aver riassunto il quadro normativo in materia, svolge le medesime argomentazioni già sviluppate dal giudice a quo nell’ordinanza di rimessione, sottolineando l’irragionevolezza della norma censurata che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto perseguire gli obiettivi di equità e di razionalità nella determinazione dei canoni delle pertinenze demaniali marittime.

Quanto all’asserita violazione dell’art. 97 Cost., la Living Garden s.r.l., oltre a riprendere il contenuto dell’atto introduttivo del presente giudizio, richiama le sentenze n. 393 del 2000 e n. 264 del 2005 della Corte costituzionale e la sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee del 29 aprile 2004, in cause C-487/01 e C-7/02.

In merito alla censura prospettata in relazione all’art. 53 Cost., la società interveniente osserva che la determinazione dei canoni sulla base delle valutazioni di mercato affidate all’OMI, «anziché su criteri fissati normativamente», darebbe luogo all’«assegnazione di un canone astratto e virtuale, destinato a discostarsi, ed anche in larga misura come nel caso di specie, dalle possibilità reddituali del concessionario».

3. – Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

3.1. – La difesa statale sottolinea come la norma denunciata si inserisca in «un complesso percorso legislativo finalizzato alla tutela e alla valorizzazione di tutti i beni di proprietà statale». Questo percorso è iniziato con la legge 3 aprile 1997, n. 94 (Modifiche alla legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni e integrazioni, recante norme di contabilità generale dello Stato in materia di bilancio. Delega al Governo per l’individuazione delle unità previsionali di base del bilancio dello Stato) ed è proseguito con il decreto legislativo 7 agosto 1997, n. 279 (Individuazione delle unità previsionali di base del bilancio dello Stato, riordino del sistema di tesoreria unica e ristrutturazione del rendiconto generale dello Stato). Entrambi i citati provvedimenti, nell’ambito della revisione generale del sistema di bilancio e del rendiconto generale, hanno previsto nel conto la rappresentazione del patrimonio pubblico, con una sua valutazione di mercato comprensiva del demanio, in precedenza escluso.

Siffatta evoluzione legislativa avrebbe interessato, tra l’altro, il demanio marittimo, ormai considerato come uno strumento da valorizzare e da preservare, non solo dal punto di vista ambientale e paesaggistico, ma anche da quello relativo alla sua idoneità a produrre reddito. La ratio della norma censurata sarebbe proprio quella di consentire il superamento del precedente regime tabellare di quantificazione del canone, prima considerato quale corrispettivo riferito al mero utilizzo del bene, senza alcun legame con la tipologia di attività effettivamente svolta dal concessionario e con la redditività economica della stessa.

Pertanto, il peculiare trattamento riservato alle concessioni comprensive di pertinenze demaniali marittime (cioè di opere inamovibili divenute di proprietà dello Stato alla scadenza naturale della concessione), destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi, troverebbe fondamento nella loro capacità di produrre reddito.

D’altra parte, l’introduzione di nuovi criteri di determinazione del canone con riguardo alle sole pertinenze demaniali marittime aventi la specifica destinazione sopra descritta sarebbe giustificabile in ragione della loro maggiore idoneità, rispetto ad altri beni di proprietà statale, a produrre un reddito. In merito, l’Avvocatura generale evidenzia come esclusivamente nei casi in questione (trattandosi di opere non amovibili) lo Stato possa legittimamente pretendere un canone relativo anche al manufatto e non soltanto al suolo. Al contrario, ove le opere insistenti sul suolo risultino suscettibili di rimozione al termine della stagione balneare e quindi non di proprietà dello Stato, il canone viene applicato secondo parametri tabellari diversi, che prendono in considerazione esclusivamente il suolo e non già i manufatti (rimossi).

Le suesposte considerazioni inducono la difesa statale a ritenere la norma censurata del tutto ragionevole, in quanto finalizzata alla valorizzazione di un bene pubblico produttivo di entrate per l’erario, e priva dei denunciati profili discriminatori rispetto alle altre concessioni demaniali, che hanno una differente potenzialità economica e caratteristiche diverse.

3.2. – L’Avvocatura generale ritiene, poi, destituite di fondamento le censure relative all’eccessiva onerosità dei canoni e alla loro riconducibilità ai corrispettivi praticati in regime di libero mercato.

Secondo la difesa statale, la norma denunciata, ancorando il canone alla redditività economica del bene oggetto di concessione, «non poteva non avere l’effetto di un aumento (anche considerevole, a fronte degli importi irrisori precedenti) del canone da corrispondere».

Peraltro, osserva l’Avvocatura, i nuovi canoni sono comunque ben lontani dai corrispettivi praticati nel libero mercato. Infatti, l’art. 1, comma 251, della legge n. 296 del 2006 prevede, per un verso, che si tenga conto nel calcolo della «media dei valori mensili unitari minimi e massimi indicati dall’osservatorio del mercato immobiliare per la zona di riferimento»; per altro verso, l’importo così ottenuto è «oggetto di una serie di temperamenti e abbattimenti» riferiti, da un lato, alla superficie del manufatto, dall’altro, al carattere stagionale (e non continuativo) dell’attività ed ai lavori di manutenzione straordinaria a carico del concessionario. Di conseguenza, l’importo del canone non potrebbe ritenersi equiparato al valore di mercato della locazione di un corrispondente immobile di proprietà privata.

Sul punto, la difesa statale precisa che l’utilizzazione di parametri tecnico-estimativi elaborati dall’osservatorio del mercato immobiliare, cioè da un «organismo super partes gestito dall’Agenzia del Territorio, avente specifica competenza nel campo dei processi estimali riferiti al mercato immobiliare», garantisce «la sostanziale equità dei criteri di determinazione dei canoni in questione ed una definizione sufficientemente equilibrata della redditività del bene pubblico».

3.3. – In definitiva, la norma censurata risulterebbe ragionevole, rispettosa dei principi costituzionali evocati dal giudice a quo e «correttamente attuativa del principio di buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost.», in quanto valorizzerebbe la redditività di beni demaniali dai quali il concessionario trae un profitto commerciale.

L’entità del canone sarebbe, poi, determinata con una «procedura trasparente ed oggettiva, ancorata ai valori di mercato», e potrebbe essere «inglobata nel prezzo del servizio fornito all’utenza», sicché non sarebbero violati gli artt. 3 e 53 Cost.

4. – In prossimità dell’udienza il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria con la quale ribadisce le argomentazioni già sviluppate nell’atto di intervento, soffermandosi ampiamente sulla sentenza n. 264 del 2005 della Corte costituzionale.

4.1. – La difesa statale precisa inoltre come la norma censurata sia rispettosa anche del principio comunitario della concorrenza, inteso nella sua accezione dinamica; in particolare, l’adeguamento dei canoni di concessione dei beni demaniali in questione realizzerebbe quell’intervento dinamico nel mercato imposto dai precetti comunitari. Al contrario, il pagamento di canoni di concessione (relativamente a pertinenze demaniali marittime) notevolmente inferiori a quelli correnti nel mercato delle locazioni private potrebbe essere censurato dalla Commissione europea come misura di effetto equivalente ad un aiuto di Stato.

4.2. – Quanto all’art. 53 Cost., che il rimettente ha compreso tra le norme costituzionali violate dalla disciplina in esame, la difesa statale ritiene che esso sia stato «malamente» evocato, in quanto, nel caso di specie, non si tratta di imposte o di tasse ma di meri corrispettivi dell’uso di un bene. Peraltro, aggiunge l’Avvocatura generale, la norma censurata stabilisce compiutamente i criteri da seguire per l’aggiornamento dei canoni ed individua nell’osservatorio del mercato immobiliare l’organismo pubblico cui è demandato l’accertamento di fatto.

In proposito, l’interveniente evidenzia come l’osservatorio del mercato immobiliare, istituito presso l’Agenzia del territorio, abbia il duplice obiettivo di concorrere alla trasparenza del mercato immobiliare e di fornire elementi informativi per le attività della stessa Agenzia nel campo dei processi estimali, mediante la gestione di una banca dati delle quotazioni immobiliari e la realizzazione di analisi e di studi di settore. Questa attività di rilevazione e di elaborazione di informazioni relative ai valori immobiliari è, inoltre, pubblicata con cadenza semestrale.

La difesa statale ritiene, pertanto, assolutamente condivisibile la scelta del legislatore di affidare ad un siffatto organismo pubblico la rilevazione dei valori immobiliari medi cui parametrare i nuovi canoni di concessione demaniale.

4.3. – L’Avvocatura generale contesta, ancora, le affermazioni contenute nell’ordinanza di rimessione secondo cui i concessionari pubblici sarebbero gravati di maggiori oneri economici rispetto ai locatari di immobili privati, ed il loro rapporto non godrebbe di adeguate garanzie di durata.

Quanto al primo aspetto, si osserva come la norma censurata preveda una serie di meccanismi riduttivi dei valori rilevati dall’Osservatorio del mercato immobiliare, tali da compensare i maggiori oneri. Quanto al secondo aspetto, la difesa statale precisa che la durata delle concessioni demaniali non è affatto minore di quella delle locazioni private ed è anzi sorretta da maggiori garanzie di rinnovo.

4.4. – Infine, in merito alla denunciata violazione del principio dell’affidamento in conseguenza della modifica delle condizioni economiche del rapporto concessorio, l’interveniente osserva che, in generale, l’adeguamento dei relativi canoni ai valori di mercato è in corso da circa venti anni e che, comunque, un aumento dei canoni in parola era stato già disposto dal d.l. n. 269 del 2003. Inoltre, stante la decorrenza dell’aumento del canone di concessione dal 1° gennaio 2007, i concessionari avrebbero ben potuto adeguare i prezzi delle attività da offrire al pubblico al sopravvenuto incremento del canone medesimo.

L’Avvocatura generale conclude richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee sul principio dell’affidamento e sottolineando come siffatto principio non possa certo giustificare la permanenza di una situazione illegittima, sia sotto il profilo del sinallagma contrattuale con la pubblica amministrazione sia sotto quello del rispetto del principio di libera concorrenza con gli altri operatori commerciali del settore.

Considerato in diritto

1. – Con ordinanza del 5 gennaio 2009, il Tribunale di Sanremo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), per violazione degli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione.

2. – Preliminarmente si deve precisare che il giudice rimettente ha motivato in modo non implausibile la rilevanza della questione nel processo principale. Difatti il Tribunale ha ritenuto che la disposizione censurata si applichi anche agli esercizi di ristorazione e di somministrazione di alimenti e bevande, da considerarsi compresi nelle attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi, cui la stessa disposizione esplicitamente si riferisce. In coerenza con tale interpretazione, il giudice a quo ha operato una «previa declaratoria di infondatezza del vizio dedotto con il primo motivo del ricorso», basato appunto sulla asserita non applicabilità della norma di cui sopra alla fattispecie oggetto del suo esame.

3. – La questione non è fondata.

3.1. – Innanzitutto si deve prendere in esame la censura basata sulla presunta lesione dell’affidamento dei cittadini nella sicurezza dei rapporti giuridici, che deriverebbe dall’incidenza sui rapporti in corso dei nuovi criteri di determinazione dei canoni concessori. A tal proposito, giova ricordare come questa Corte abbia chiarito che «nel nostro sistema costituzionale non è affatto interdetto al legislatore di emanare disposizioni le quali vengano a modificare in senso sfavorevole per i beneficiari la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti (salvo, ovviamente, in caso di norme retroattive, il limite imposto in materia penale dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione). Unica condizione essenziale è che tali disposizioni non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello stato di diritto» (sentenza n. 264 del 2005; in senso conforme, ex plurimis, sentenze n. 236 e n. 206 del 2009).

Nel caso oggetto del presente giudizio, la variazione dei criteri di calcolo dei canoni dovuti dai concessionari di beni demaniali, in particolare di beni appartenenti al demanio marittimo, non è frutto di una decisione improvvisa ed arbitraria del legislatore, ma si inserisce in una precisa linea evolutiva della disciplina dell’utilizzazione dei beni demaniali. Alla vecchia concezione, statica e legata ad una valutazione tabellare e astratta del valore del bene, si è progressivamente sostituita un’altra, tendente ad avvicinare i valori di tali beni a quelli di mercato, sulla base cioè delle potenzialità degli stessi di produrre reddito in un contesto specifico.

Tale processo evolutivo è in corso da diversi decenni ed ha indotto questa Corte ad osservare che gli interventi legislativi, volti ad adeguare i canoni di godimento dei beni pubblici, hanno lo scopo, conforme agli artt. 3 e 97 Cost., di consentire allo Stato una maggiorazione delle entrate e di rendere i canoni più equilibrati rispetto a quelli pagati in favore di locatori privati (sentenza n. 88 del 1997).

Del resto, un consistente aumento dei canoni in questione era già stato disposto dall’art. 32, commi 21, 22 e 23, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 24 novembre 2003, n. 326. La concreta applicazione degli aumenti disposti dalle norme citate è stata successivamente rinviata sino a quando la legge finanziaria del 2007 (art. 1, comma 256) ha disposto la loro abrogazione, mentre contestualmente introduceva i nuovi criteri di calcolo. Questi ultimi hanno sostituito gli aumenti generalizzati dei canoni annui per concessioni demaniali marittime, disposti con il citato d.l. n. 269 del 2003, con un nuovo meccanismo, che incide soprattutto sulle aree maggiormente produttive di reddito, cioè quelle su cui insistono pertinenze destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi.

Non si può dire pertanto che l’aumento dei canoni, disposto dalla previsione legislativa censurata, sia giunto inaspettato, giacché esso si è sostituito ad un precedente aumento, di notevole entità, non applicato per effetto di successive proroghe, ma rimasto tuttavia in vigore sino ad essere rimosso, a favore di quello vigente, dalla norma oggetto di censura. Né l’incremento può essere considerato frutto di irragionevole arbitrio del legislatore, tale da indurre questa Corte a sindacare una scelta di indirizzo politico-economico, che sfugge, in via generale, ad una valutazione di legittimità costituzionale. Si tratta infatti di una linea di valorizzazione dei beni pubblici, che mira ad una loro maggiore redditività per lo Stato, vale a dire per la generalità dei cittadini, diminuendo proporzionalmente i vantaggi dei soggetti particolari che assumono la veste di concessionari.

Si deve ricordare in proposito la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, laddove sottolinea che una mutazione dei rapporti di durata deve ritenersi illegittima quando incide sugli stessi «in modo improvviso e imprevedibile», senza che lo scopo perseguito dal legislatore ne imponesse l’intervento (sentenza 29 aprile 2004, in cause C-487/01 e C-7/02). Per i motivi illustrati sopra, l’intervento del legislatore non è stato né improvviso e imprevedibile, né ingiustificato rispetto allo scopo perseguito di assicurare maggiori entrate all’erario e di perequare le situazioni dei soggetti che svolgono attività commerciali, avvalendosi di beni pubblici, e quelle di altri soggetti che svolgono le identiche attività, ma assoggettati ai prezzi di mercato relativi all’utilizzazione di beni di proprietà privata.

3.2. – Quanto detto al paragrafo precedente porta alla logica conseguenza che non si può accogliere la censura basata su una presunta discriminazione tra utilizzatori di pertinenze demaniali marittime e soggetti locatari di aree di proprietà privata. Non solo non vi è discriminazione nel tendenziale avvicinamento delle due situazioni, dal punto di vista del costo dell’utilizzazione, ma si deve riconoscere che l’intervenuto aumento dei canoni riduce l’ingiustificata posizione di vantaggio di chi possa, nel medesimo contesto territoriale, usufruire di concessioni demaniali rispetto a chi, invece, sia costretto a rivolgersi al mercato immobiliare.

Né vale mettere in rilievo – come fanno il rimettente e la parte privata interveniente – che sul concessionario pesano alcuni oneri che non gravano sui locatari privati, giacché la norma censurata prevede un metodo di calcolo dei canoni che non fa coincidere, puramente e semplicemente, i canoni stessi ed i prezzi praticati nel mercato. Infatti «il canone è determinato moltiplicando la superficie complessiva del manufatto per la media dei valori mensili unitari minimi e massimi indicati dall’Osservatorio del mercato immobiliare per la zona di riferimento. L’importo ottenuto è moltiplicato per un coefficiente pari a 6,5». Il canone annuo così ottenuto è ulteriormente ridotto in misura inversamente proporzionale alla superficie del manufatto. Le due situazioni sono da ritenersi pertanto equilibrate; anzi, può dirsi che viene posto rimedio ad un precedente squilibrio, senza tuttavia arrivare ad una completa parificazione.

3.3. – Non è condivisibile neppure l’osservazione, formulata dal rimettente e dalla parte privata, che vi sarebbe una discriminazione tra concessionari di pertinenze demaniali marittime destinate ad attività commerciali, terziario-direzionali e di produzione di beni e servizi e concessionari di beni pubblici dello stesso tipo destinati ad altre utilizzazioni, ad esempio abitative.

La differenza di trattamento trova giustificazione nella diversa attitudine dei beni pubblici a produrre reddito per i concessionari, che certamente è maggiore se gli stessi vengono destinati alle attività considerate dalla norma censurata, piuttosto che a destinazioni diverse, che ne implicano il mero godimento, senza un attivo sfruttamento economico.

3.4. – Occorre infine rimarcare che la determinazione del canone per le pertinenze demaniali marittime è affidata alle stime dell’Osservatorio del mercato immobiliare, organismo tecnico, gestito dall’Agenzia del territorio, ai sensi dell’art. 64, comma 3, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300 (Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59), che offre le necessarie garanzie di obiettività.

4. – La censura riferita all’art. 53 Cost., contenuta sia nell’atto introduttivo del giudizio, sia nella memoria della parte privata interveniente, è del tutto infondata, giacché i canoni demaniali marittimi non hanno natura tributaria, ma sono corrispettivi dell’uso di un bene di proprietà dello Stato e costituiscono quindi un prezzo pubblico calcolato in base a criteri stabiliti dalla legge (ex plurimis, sentenze n. 174 del 1998 e n. 311 del 1995).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 251, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Sanremo con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 ottobre 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 22 ottobre 2010.