Sentenza n. 96 del 2016

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SENTENZA N. 96

ANNO 2016

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                          GROSSI                                Presidente

-           Giuseppe                    FRIGO                                    Giudice

-           Alessandro                 CRISCUOLO                                ”

-           Giorgio                       LATTANZI                                   ”

-           Aldo                           CAROSI                                        ”

-           Marta                          CARTABIA                                  ”

-           Mario Rosario             MORELLI                                     ”

-           Giancarlo                    CORAGGIO                                 ”

-           Giuliano                      AMATO                                        ”

-           Silvana                        SCIARRA                                     ”

-           Daria                           de PRETIS                                     ”

-           Nicolò                         ZANON                                         ”

-           Franco                        MODUGNO                                  ”

-           Augusto Antonio       BARBERA                                    ”

-           Giulio                         PROSPERETTI                             ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio nel procedimento vertente tra A.F. ed altri e il Ministero dell’interno, con ordinanza del 28 maggio 2014, iscritta al n. 220 del registro ordinanze 2014 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell’anno 2014.

Visti l’atto di costituzione di A.F. ed altri, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 5 aprile 2016 il Giudice relatore Silvana Sciarra;

udito l’avvocato Luigi Strano per A.F. ed altri e l’avvocato dello Stato Paolo Grasso per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 28 maggio 2014, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36, 53 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui stabilisce, al terzo periodo, che «Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici».

1.1.– Il giudice rimettente riferisce, in punto di fatto, di essere investito del ricorso proposto contro il Ministero dell’interno da alcuni appartenenti al personale della carriera prefettizia, i quali, già viceprefetti aggiunti, erano stati promossi viceprefetti con decorrenza dal 1° gennaio 2012, per l’accertamento del diritto a percepire, a decorrere da tale data, il trattamento economico corrispondente alla superiore qualifica loro conferita, in difetto dell’adozione, da parte dell’amministrazione, di provvedimenti al riguardo.

Il Tribunale amministrativo regionale precisa che i ricorrenti fondano l’azionata pretesa sull’art. 7, comma 4, del decreto legislativo 19 maggio 2000, n. 139 (Disposizioni in materia di rapporto di impiego del personale della carriera prefettizia, a norma dell’articolo 10 della L. 28 luglio 1999, n. 266), secondo cui «Le promozioni alla qualifica di viceprefetto decorrono agli effetti giuridici ed economici dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello nel quale si sono verificate le vacanze», sostenendo, al contempo, l’inapplicabilità ai viceprefetti delle misure di contenimento della spesa in materia di pubblico impiego previste dal censurato art. 9, comma 21, del d.l., n. 78 del 2010. Tale inapplicabilità si fonderebbe, riferisce ancora il rimettente, su due argomenti. In primo luogo, il rapporto di impiego del personale della carriera prefettizia è retto dallo specifico ordinamento dettato dal d.lgs n. 139 del 2000, il cui art. 29 prevede una procedura di negoziazione per la definizione degli aspetti giuridici ed economici, che si conclude con l’approvazione, da parte del Consiglio dei ministri, dell’ipotesi di accordo sottoscritta dalle delegazioni della parte pubblica e delle organizzazioni sindacali, successivamente trasfusa in un decreto del Presidente della Repubblica. Quest’ultimo atto è identificabile, nella specie, nel d.P.R. 23 maggio 2011, n. 105 (Recepimento dell’accordo sindacale relativo al biennio economico 2008-2009, riguardante il personale della carriera prefettizia), successivo al d.l. n. 78 del 2010. Risulterebbe «evidente che la disciplina contrattuale» contenuta in tale d.P.R., «letta in combinato disposto con l’art. 7» del d.lgs. n. 139 del 2000, «si pone quale fonte regolamentare speciale, che stabilisce una disciplina derogatoria rispetto a quella prevista dall’art. 9, comma 21, del D.L. 78/2010». In secondo luogo, la reclamata retribuzione non potrebbe essere negata dal Ministero dell’interno, pena l’incostituzionalità dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, per violazione degli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 Cost.

1.2.– In punto di rilevanza delle questioni, il Tribunale rimettente afferma anzitutto che l’assunto dei ricorrenti circa l’inapplicabilità della disposizione censurata al personale della carriera prefettizia non è condivisibile.

A tale proposito, il giudice a quo asserisce che «non si ravvisano ragioni per ritenere inapplicabile l’art. 9, comma 21», terzo periodo, al detto personale – che è espressamente menzionato dall’art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), al quale la disposizione impugnata fa rinvio – e, in particolare, alle promozioni a viceprefetto, ove si consideri che gli artt. 7, comma 4, e 8, comma 4, del d.lgs. n. 139 del 2000, definiscono espressamente i passaggi dalla qualifica di viceprefetto aggiunto a quella di viceprefetto «promozioni», in termini di progressioni di carriera.

Né potrebbe condurre ad una diversa soluzione – sempre secondo il rimettente – il d.P.R. n. 105 del 2011, atteso che questo ha ad oggetto il recepimento di un accordo sindacale relativo ad un periodo (il biennio economico 2008-2009) precedente e, quindi, diverso da quello cui fa riferimento l’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010.

Il rimettente aggiunge che lo stesso TAR Lazio aveva già affrontato, con l’ordinanza n. 6161 del 2012, una questione simile, ovvero se l’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, potesse o no derogare alla speciale disciplina del rapporto di impiego del personale della carriera diplomatica, affermando come lo stesso «per il tenore delle prescrizioni in esso contenute, e per la finalità che esso persegue […] si prefigga lo scopo di intervenire su tutti i rapporti d’impiego con le pubbliche amministrazioni, quale sia la loro struttura e la fonte principale che li disciplina».

Ritenuta l’applicabilità al personale della carriera prefettizia dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, il giudice a quo sostiene che «acquista rilevanza – ai fini del decidere – la questione prospettata dai ricorrenti sulla costituzionalità del ripetuto art. 9, comma 21, nella parte di interesse […], risultando chiaro come tale previsione non abbia consentito ai ricorrenti di ottenere, a seguito dell’intervenuta promozione a vice prefetto, la retribuzione corrispondente alla nuova qualifica».

1.3.– In punto di non manifesta infondatezza, il Tribunale rimettente ritiene che la disposizione censurata si ponga in contrasto con la Costituzione per vari motivi, «tra loro subordinati».

1.3.1.– Secondo il giudice a quo, l’impugnato art. 9, comma 21, terzo periodo, violerebbe anzitutto l’art. 36 Cost., là dove prevede, al primo comma, che «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro».

A tale proposito, il TAR Lazio, dopo avere premesso che, ai sensi dell’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 139 del 2000, alle tre qualifiche di prefetto, viceprefetto e viceprefetto aggiunto in cui si articola la carriera prefettizia corrispondono compiti e funzioni differenti, caratterizzati dai diversi livelli di responsabilità correlati a ciascuna qualifica, «ai quali non possono non corrispondere retribuzioni differenti», afferma che il mantenimento al personale promosso viceprefetto della retribuzione da esso già percepita nella qualità di viceprefetto aggiunto lede l’invocato principio della necessaria corrispondenza tra la retribuzione spettante e la quantità e qualità del lavoro prestato.

Sempre ad avviso del rimettente, la previsione di differenti livelli di retribuzione in relazione alla qualifica del dipendente e, quindi, alla qualità del servizio da lui prestato, salvaguarderebbe non solo la professionalità del lavoratore ma anche, in ossequio a criteri di ragionevolezza, l’equilibrio del sinallagma tra le prestazioni.

Il giudice a quo afferma ancora che la violazione del principio di proporzionalità della retribuzione non è esclusa dal fatto che il trattamento economico del personale della carriera prefettizia prevede – come risulta anche dal d.P.R. n. 105 del 2011 – oltre a quella stipendiale, anche ulteriori voci retributive quali le retribuzioni di posizione e di risultato, atteso che la voce stipendiale corrisposta ai ricorrenti risulta, in ogni caso, non conforme al detto principio, perché inferiore a quella che gli stessi avrebbero conseguito in mancanza della disposizione impugnata.

Infine, l’esistenza nell’ordinamento di deroghe al principio di proporzionalità della retribuzione previsto dall’art. 36 Cost. non varrebbe – sempre secondo il rimettente – a legittimare l’introduzione di ulteriori previsioni derogatorie, «specie se non ispirate e supportate dal principio della ragionevolezza».

1.3.2.– La disposizione impugnata violerebbe poi l’art. 3 Cost. sotto due profili.

In primo luogo, per il trattamento irragionevolmente deteriore da essa riservato agli appartenenti al personale della carriera prefettizia che conseguono la promozione a viceprefetto negli anni 2011, 2012 e 2013 rispetto agli appartenenti allo stesso personale che la conseguono in un periodo diverso.

Tale irragionevole disparità di trattamento insorgerebbe «non solo in relazione alla data in cui è disposta la promozione – creando un regime differenziato tra i promossi in tale periodo ed i promossi in un periodo diverso – ma anche all’interno stesso della qualifica, nel senso che quest’ultima risulta così caratterizzata da personale che – pur espletando il medesimo servizio – viene retribuito in modo differente e ciò esclusivamente sulla base di circostanze del tutto casuali, ossia pienamente svincolate dal lavoro prestato».

La menzionata disparità di trattamento sarebbe ancora più grave, ove si considerasse la condizione del personale che, oltre a essere promosso nel triennio indicato, fosse anche posto in quiescenza nel corso dello stesso per il raggiungimento del limite di età, atteso che, in tale caso, «il pregiudizio economico subito si riflette anche sul regime pensionistico».

In secondo luogo, l’art. 3 Cost. sarebbe violato anche in ragione del deteriore trattamento riservato dalla disposizione impugnata agli appartenenti al personale della carriera prefettizia che conseguono la promozione a viceprefetto negli anni 2011, 2012 e 2013 rispetto ai dipendenti del settore privato, per i quali le progressioni di carriera disposte nello stesso periodo hanno effetto, per i predetti anni, anche ai fini economici.

Il giudice rimettente sottolinea ancora che l’art. 1, comma 1, lettera a), del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2 e 3, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), ha prorogato le disposizioni dell’impugnato art. 9, comma 21, fino al 31 dicembre 2014. Per effetto di tale proroga, le misure di «sacrificio economico» previste dall’art. 9, comma 21, tenuto conto della loro durata di quattro anni e del fatto che «seri dubbi possono nutrirsi sul periodo in cui [avranno] termine», avrebbero «praticamente perso il carattere di contingibilità», in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui le normative che hanno lo scopo di «realizzare con immediatezza, un contenimento della spesa pubblica» possono ritenersi legittime solo «in quanto eccezionali e temporalmente limitate, ossia a condizione che i sacrifici siano transeunti e non arbitrari» (sono citate la sentenza n. 245 del 1997 e l’ordinanza n. 299 del 1999). Il giudice a quo rammenta al riguardo che, nel corso dell’iter di approvazione della normativa censurata, le Commissioni parlamentari riunite I e IX avevano espresso il parere che, in base agli artt. 3, 36, 39 e 97 Cost., «non [è] ipotizzabile un ulteriore allungamento temporale» delle previste misure, come, invece, è stato successivamente disposto.

1.3.3.– L’impugnato art. 9, comma 21, terzo periodo, si porrebbe in contrasto anche con l’art. 53 Cost., là dove stabilisce, al primo comma, il principio della capacità contributiva, in quanto imporrebbe una prestazione patrimoniale – identificabile con «l’aumento retributivo connesso al conseguimento di una qualifica più alta» – soltanto ad alcuni contribuenti, «prescindendo da criteri di ragionevolezza».

Al riguardo, il Tribunale rimettente asserisce che «alcuni dipendenti – per il solo fatto di essere stati promossi in un determinato periodo – […] risultano privati di somme che altrimenti avrebbero percepito, ai sensi di legge […], subendo così un vero e proprio prelievo, in netto spregio dei criteri di progressività fissati a livello costituzionale».

Lo stesso Tribunale afferma che, ancorché sia a conoscenza dell’orientamento contrario espresso dalla Corte costituzionale con riguardo ad una previsione simile (è citata la sentenza n. 304 del 2013), reputa che la disposizione censurata abbia natura tributaria, in quanto «comporta un’inequivoca decurtazione o prelievo a carico del dipendente pubblico».

1.3.4.– L’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, violerebbe, infine il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., in quanto «determina scontento nel personale, a scapito del corretto e proficuo espletamento delle proprie mansioni e, dunque, a detrimento dell’efficienza nell’Amministrazione».

 2.– Con atto depositato il 30 dicembre 2014, è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili o, comunque, infondate.

La difesa dello Stato rappresenta che l’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 è già stato più volte sottoposto al giudizio della Corte costituzionale che, con le sentenze n. 304 del 2013 (relativa, in particolare, al personale della carriera diplomatica) e n. 154 del 2014 (resa in un giudizio promosso nell’ambito di un procedimento originato dal ricorso di alcuni appartenenti alla Guardia di finanza), ha dichiarato non fondate questioni di legittimità costituzionale sollevate, nei confronti della detta impugnata disposizione, proprio in riferimento agli artt. 3, 36, 53 e 97 Cost. (oltre che all’art. 2 Cost.).

L’Avvocatura generale dello Stato, dopo avere diffusamente esposto il contenuto della motivazione delle citate sentenze, afferma che «Analoghe considerazioni sembrano […] poter interessare anche la presente questione di legittimità costituzionale riferita al medesimo art. 9, comma 21, del richiamato d.l. n. 78/2010».

3.– Con atto depositato lo stesso 30 dicembre 2014, si sono costituiti i ricorrenti nel giudizio a quo, chiedendo alla Corte costituzionale di dichiarare, in via preliminare, l’irrilevanza delle questioni sollevate e, nel merito, «ove occorra», l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, e dell’art. 1 del d.P.R. n. 122 del 2013 per contrasto con gli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 Cost.

3.1.– Quanto all’irrilevanza delle questioni, gli intervenienti deducono che l’impugnato art. 9, comma 21, non è – contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale rimettente – ad essi applicabile.

Tale conclusione troverebbe fondamento, in primo luogo, nella specialità dell’ordinamento della carriera prefettizia e, in particolare, dell’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 139 del 2000 – che, tenendo conto della necessaria corrispondenza, nel detto ordinamento, tra qualifica conferita e funzioni proprie della stessa, prevede che le promozioni alla qualifica di viceprefetto hanno effetto anche ai fini economici – rispetto alla, pur successiva, previsione generale dell’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010.

Alla stessa conclusione si potrebbe inoltre pervenire, in secondo luogo, in ragione dell’applicabilità ai ricorrenti – tutti chiamati a ricoprire, come risulta dalla documentazione presente nel fascicolo di parte del giudizio davanti al Tribunale rimettente, ruoli dirigenziali rimasti vacanti, corrispondenti alla qualifica di viceprefetti – della previsione dell’art. 9, comma 2, ultimo periodo, del d.l. n. 78 del 2010 (secondo cui «A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto e sino al 31 dicembre 2013, nell’ambito delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modifiche e integrazioni, i trattamenti economici complessivi spettanti ai titolari degli incarichi dirigenziali, anche di livello generale, non possono essere stabiliti in misura superiore a quella indicata nel contratto stipulato dal precedente titolare ovvero, in caso di rinnovo, dal medesimo titolare, ferma restando la riduzione prevista nel presente comma»), la quale, derogando al blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera previsto dall’impugnato art. 9, comma 21, terzo periodo, prevede, come unico limite stipendiale applicabile ai ricorrenti, l’importo già corrisposto al precedente titolare del ruolo dirigenziale. La difesa degli intervenienti aggiunge che tale impostazione era stata fatta propria anche dalla circolare del Ministero dell’economia e delle finanze 15 aprile 2011, n. 12 (Applicazione dell’art. 9, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella L. 30 luglio 2010, n. 122, recante “Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica”). La stessa interpretazione era stata condivisa anche dal Ministero dell’interno, Dipartimento per le politiche del personale dell’amministrazione civile, con il decreto del 14 giugno 2012 (concernente i viceprefetti promossi con decorrenza 1° gennaio 2011), ma era stata poi abbandonata in conseguenza del diverso avviso espresso dal suddetto Ministero dell’economia e delle finanze, che aveva successivamente ritenuto – sempre secondo la difesa degli intervenienti – che la disciplina dell’art. 9, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, si riferisce «soltanto alle ipotesi di modifica nella titolarità degli uffici dirigenziali dovute ad “esigenze funzionali ed organizzative” delle amministrazioni, ma non al conferimento di nuovi e diversi incarichi dirigenziali per effetto di promozioni e progressioni di carriera comunque denominate».

3.2.– Quanto al merito delle sollevate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo – qualora ritenuto applicabile nel giudizio a quo – gli intervenienti affermano di fare proprie le argomentazioni prospettate nell’ordinanza di rimessione, con particolare riferimento a quelle relative alla violazione degli artt. 3 e 97 Cost.

Con riguardo alla lesione del primo di tali parametri costituzionali, gli intervenienti sottolineano che il blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera imposto dalla disposizione impugnata e successivamente prorogato, dall’art. 1, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 122 del 2013, sino al 31 dicembre 2014, «appare del tutto sproporzionato rispetto alle invocate esigenze di carattere eccezionale poste a fondamento del D.L. 78/2010».

A sostegno della violazione dell’art. 36 Cost., la difesa degli intervenienti rimarca ancora una volta la «rigida corrispondenza tra grado e funzioni proprie della qualifica, che caratterizza l’ordinamento della carriera prefettizia».

Gli intervenienti deducono poi che le motivazioni poste dalla Corte costituzionale a fondamento delle sentenze n. 310 e n. 304 del 2013 – con le quali è stata dichiarata, tra l’altro,  l’infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, relativamente al blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera del personale, rispettivamente, dell’università “non contrattualizzato” e della carriera diplomatica – non sono estensibili alle questioni qui in considerazione.

A tale proposito, essi precisano che, per i docenti universitari, il «sistema di adeguamento stipendiale» si fonda su un meccanismo di classi e scatti legati esclusivamente all’anzianità di servizio, mentre per il personale della carriera diplomatica la stessa Corte costituzionale ha fondato il rigetto delle questioni scrutinate sul fatto che «nell’ordinamento di tale personale non è prevista l’obbligatoria corrispondenza tra grado e funzioni e, conseguentemente, tra grado e trattamento economico collegato all’esercizio delle funzioni».

La difesa degli intervenienti precisa che, nell’ordinamento della carriera prefettizia, «la posizione funzionale è strettamente vincolata alla qualifica ricoperta, senza possibilità di deroga alcuna» (ai sensi degli artt. 2, 10 e 12 del d.lgs. n. 139 del 2000), neppure eccezionale o provvisoria. Pertanto, diversamente da quanto può avvenire nell’ambito della carriera diplomatica, gli appartenenti al personale della carriera prefettizia che sono stati nominati a una qualifica superiore (nella specie, a quella di viceprefetti) non possono essere adibiti a funzioni proprie della qualifica di provenienza.

La stessa difesa rappresenta ancora la differenza esistente tra i due ordinamenti delle carriere prefettizia e diplomatica quanto all’accesso ad una qualifica superiore. Infatti, mentre nell’ordinamento della carriera prefettizia l’accesso alla qualifica di viceprefetto ha luogo a seguito del corso-concorso disciplinato dall’art. 7 del d.lgs. n. 139 del 2000, per gli appartenenti al personale della carriera diplomatica «è previsto […] un sistema di formazione periodica permanente, cosicché per essi la selezione alle qualifiche superiori avviene nell’ambito di soggetti già precedentemente formati ed accertati idonei, dei quali, dopo la nomina, è legittimo, come rilevato dalla Corte, l’utilizzo provvisorio in funzioni della qualifica di provenienza, a differenza che per i viceprefetti».

Gli intervenienti affermano, inoltre, che la disparità del trattamento economico degli appartenenti alla carriera prefettizia promossi alla qualifica di viceprefetto negli anni 2011, 2012 e 2013 rispetto ai colleghi che hanno conseguito l’identica qualifica prima del 2011 non può trovare giustificazione neppure in ragione dell’ulteriore elemento valorizzato dalla Corte costituzionale nelle menzionate sentenze n. 310 e n. 304 del 2013 costituito dalla maggiore anzianità di servizio di questi ultimi. Al riguardo, essi osservano che «nell’ordinamento della carriera prefettizia di cui al D.Lgs. 139/2000 l’anzianità di servizio non ha alcuna rilevanza, né ai fini della progressione in carriera né per la progressione economica», che è collegata alle diverse posizioni funzionali, non potendosi «escludere il caso di funzionari che, pur in possesso di un’anzianità relativa (nella qualifica) minore, godano di trattamenti superiori rispetto a funzionari più anziani ma ricoprenti posizioni funzionali meno retribuite». In realtà, «l’anzianità di servizio potrebbe giustificare una disparità di trattamento economico soltanto in un sistema di progressione per classi e scatti, che è del tutto estraneo alla disciplina della carriera prefettizia».

Non sarebbe riferibile alla carriera prefettizia neppure l’argomentazione, utilizzata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 304 del 2013, che fa leva sul fatto che il trattamento economico e funzionale del personale della carriera diplomatica non sarebbe uguale per tutti i dipendenti del medesimo grado. Infatti, escluso che al personale della carriera prefettizia siano applicabili speciali indennità e misure di favore quali quelle previste per il personale della carriera diplomatica in relazione al servizio prestato all’estero (ai sensi degli artt. 170 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18, recante «Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri»), «deve peraltro escludersi che la disparità di trattamento tra personale della carriera prefettizia che riveste la medesima qualifica possa fondatamente trovare legittimazione nelle differenze retributive concernenti le voci stipendiali di retribuzione di posizione e di risultato, considerato che si tratta di importi irrisori che non possono in alcun modo compensare il minor trattamento economico corrisposto per la voce relativa allo stipendio tabellare della qualifica inferiore».

4.– Il 26 gennaio 2016, il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria con la quale, anche alla luce delle motivazioni della sopravvenuta sentenza della Corte costituzionale n. 178 del 2015, concernente anch’essa la «tematica in questione», ha ribadito la richiesta di dichiarare l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza delle questioni sollevate.

5.– Il 15 marzo 2016, anche i ricorrenti nel giudizio a quo hanno depositato una memoria con la quale, nel replicare a quanto dedotto nell’atto di intervento e nella memoria del Presidente del Consiglio dei ministri, ribadiscono le deduzioni e le conclusioni già rassegnate nel proprio atto di costituzione in giudizio, con riguardo sia all’inapplicabilità dell’impugnato art. 9, comma 21, terzo periodo, sia alla fondatezza, nel merito, delle questioni sollevate. A tale ultimo proposito, gli intervenienti riaffermano che le motivazioni poste a fondamento delle sentenze della Corte costituzionale n. 154 del 2014, n. 310 e n. 304 del 2013 non sono riferibili alle progressioni di carriera del personale della carriera prefettizia, stante le peculiarità di questa, ed asseriscono che «le medesime ragioni di specificità indicate nella […] sentenza [della stessa Corte n. 178 del 2015] con riferimento a taluni settori [del pubblico impiego] sono certamente riferibili anche alla carriera prefettizia e non consentono in nessun modo accostamenti alla indistinta categoria del pubblico impiego contrattualizzato». La difesa degli intervenienti sottolinea infine che «in un regime pensionistico di carattere contributivo, i minori contributi versati durante il periodo di  blocco, comporteranno una perdita definitiva sulle somme percepite a titolo di pensione».

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 28 maggio 2014, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 36, 53 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, nella parte in cui stabilisce, al terzo periodo, che «Per il personale di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici». Ne consegue che le questioni sollevate hanno a oggetto in via esclusiva il terzo periodo del comma 21 dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010, che tale disposizione detta, non gli altri periodi dello stesso comma 21.

2.– In via preliminare, sono da considerare inammissibili le deduzioni svolte dalle parti private costituite dirette a estendere il thema decidendum – quale definito nell’ordinanza di rimessione – anche alla disposizione dell’art. 1 del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122 (Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16, commi 1, 2 e 3, del d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), nonché alla violazione dell’art. 2 Cost. In base alla costante giurisprudenza di questa Corte, l’oggetto del giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale è limitato alle disposizioni e ai parametri indicati nelle ordinanze di rimessione (ex plurimis, sentenze n. 231 e n. 83 del 2015).

3.– Quanto alla rilevanza delle questioni sollevate e all’ammissibilità delle stesse, si devono ritenere infondate le eccezioni presentate dagli intervenienti circa la non applicabilità dell’impugnato art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, alle promozioni a viceprefetti, in quanto derogato dalla speciale disciplina che regola la carriera prefettizia e, in particolare, dall’art. 7, comma 4, del decreto legislativo 19 maggio 2000, n. 139 (Disposizioni in materia di rapporto di impiego del personale della carriera prefettizia, a norma dell’articolo 10 della L. 28 luglio 1999, n. 266). Quest’ultimo, piuttosto che un’eccezione alla regola sancita dalla disposizione impugnata – che, come già ritenuto da questa Corte, trova applicazione «in tutti i rapporti di impiego con le pubbliche amministrazioni, quale sia la loro struttura e la fonte che li disciplina» (sentenza n. 304 del 2013) – indica una delle situazioni in cui si producono gli effetti economici delle progressioni di carriera e prevede la decorrenza degli stessi «dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello nel quale si sono verificate le vacanze».

Non è condivisibile la posizione dei ricorrenti che individuano un’altra deroga, rispetto alla disposizione censurata, nell’art. 9, comma 2, (quarto periodo), dello stesso d.l. n. 78 del 2010. Per le ipotesi di conferimento – come nella specie – di incarichi dirigenziali vacanti, esso prevede come unico limite del trattamento economico l’importo indicato nel contratto stipulato dal precedente titolare dell’incarico. Il Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, Segretariato generale per gli ordinamenti del personale e l’analisi dei costi del lavoro pubblico, Ufficio IX, con la nota prot. n. 0068772 del 7 agosto 2012, ha valutato che l’essere preposto a un diverso ufficio dirigenziale nel triennio che intercorre fra il 2011 e il 2013 - situazione da cui può dipendere il riconoscimento di un trattamento economico superiore a quello spettante nel 2010 - «va riferita a quelle ipotesi di modifica nella titolarità degli uffici dirigenziali dovute ad esigenze funzionali ed organizzative delle amministrazioni, ma non al conferimento di nuovi e diversi incarichi dirigenziali per effetto di promozioni o progressioni di carriera comunque denominate, per le quali vige il divieto previsto dal citato comma 21, terzo e quarto periodo».

Si può dunque affermare che il Tribunale rimettente ha fornito una valutazione non implausibile sulla rilevanza delle questioni sollevate e sull’applicabilità nel giudizio a quo dell’impugnato art. 9, comma 21, terzo periodo.

4.– Il TAR Lazio ha denunciato la violazione dell’art. 36, primo comma, Cost., nella parte in cui prevede che «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro». L’impugnato art. 9, comma 21, terzo periodo, prevede, per i funzionari della carriera prefettizia che siano stati promossi, negli anni 2011, 2012 e 2013, alla qualifica superiore di viceprefetto, un trattamento economico pari, per tali anni, a quello già percepito nella qualifica inferiore di viceprefetto aggiunto, nonostante alla qualifica superiore corrisponda l’esercizio di funzioni e compiti diversi, connotati da un maggiore livello di responsabilità, e, quindi, una maggiore quantità e qualità del lavoro prestato.

La questione non è fondata.

Questa Corte si è ripetutamente pronunciata sul punto della necessità di una valutazione complessiva della retribuzione, ai fini del giudizio sulla sufficienza e la proporzionalità della stessa al lavoro prestato. A proposito di questioni analoghe, relative al personale delle carriere della Guardia di finanza, dell’università (professori e ricercatori universitari) e della carriera diplomatica (sentenze, rispettivamente, n. 154 del 2014, n. 310 e n. 304 del 2013), tale orientamento è stato confermato e rappresenta un imprescindibile riferimento nella valutazione del caso in esame. Esso induce a escludere che lo svolgimento, in conseguenza della promozione a viceprefetti, di funzioni superiori, in assenza della corresponsione dell’aumento di stipendio previsto in relazione a tale qualifica, renda di per sé – come mostra invece di ritenere il rimettente – il trattamento economico dei detti funzionari non conforme al principio costituzionale di proporzionalità della retribuzione, atteso che il temporaneo blocco degli effetti economici della promozione, previsto dalla disposizione impugnata, non incide sulla struttura della retribuzione dei viceprefetti considerata nel suo complesso.

Nel valutare la conformità del trattamento economico dei viceprefetti promossi nell’arco temporale cha va dal 2011 al 2013 all’anzidetto requisito, oltre che a quello della sufficienza, si deve inoltre tenere conto dell’esistenza di due componenti che, aggiungendosi a quella stipendiale di base, sono volte a compensare l’una le funzioni esercitate e l’altra i risultati conseguiti (artt. 19, 20 e 21 del d.lgs. n. 139 del 2000 e artt. 3, 5 e 6 del d.P.R. 23 maggio 2011, n. 105, recante «Recepimento dell’accordo sindacale relativo al biennio economico 2008-2009, riguardante il personale della carriera prefettizia»). Una valutazione complessiva della retribuzione dei viceprefetti promossi negli anni 2011, 2012 e 2013, anche sotto quest’ultimo aspetto, conduce, perciò, alla conclusione che è rispettato il criterio di corrispettività, poiché i compensi previsti sono specularmente commisurati al contenuto effettivo delle mansioni svolte e degli esiti raggiunti nell’esercitarle.

5.– Con la seconda questione sollevata, il Tribunale rimettente prospetta la violazione dell’art. 3 Cost. sotto il profilo dell’irragionevole deteriore trattamento che l’impugnato art. 9, comma 21, terzo periodo, riserva ai viceprefetti promossi negli anni 2011, 2012 e 2013. Questi, poiché la promozione è inefficace ai fini economici, continuano a percepire il trattamento relativo alla precedente qualifica di viceprefetto aggiunto, mentre i viceprefetti promossi prima del 2011, a parità di qualifica e nell’esercizio di funzioni analoghe, percepiscono un più elevato trattamento economico.

La questione non è fondata.

Nell’affrontare questioni analoghe, questa Corte ha valorizzato il criterio oggettivo che si ricava dalla maggiore anzianità di servizio dei soggetti destinatari di un miglior trattamento economico corrispondente all’ottenuta promozione (sentenza n. 304 del 2013), criterio cui si affianca quello della maggiore anzianità nel grado (sentenza n. 154 del 2014). In entrambi i casi, l’elemento temporale si pone quale discrimine fra due diverse fasi nell’evoluzione della carriera, cui possono corrispondere due diversi trattamenti economici.

Né si può omettere di ricordare che esigenze di politica economica giustificano interventi che, come quello in esame, comprimono solo temporaneamente gli effetti retributivi della progressione in carriera.

6.– Con la terza questione sollevata, il TAR Lazio prospetta la violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’irragionevole deteriore trattamento che l’impugnato art. 9, comma 21, terzo periodo, riserva ai funzionari della carriera prefettizia promossi viceprefetti negli anni dal 2011 al 2013, rispetto ai dipendenti del settore privato, per i quali le progressioni di carriera disposte nel medesimo triennio hanno effetto, per lo stesso periodo, anche ai fini economici.

La questione non è fondata.

Il confronto fra lavoratori del settore privato e dipendenti pubblici, destinatari, questi ultimi, di misure di contenimento della spesa, è già stato oggetto di valutazione da parte di questa Corte, che si è espressa per l’incomparabilità sotto questo profilo delle due categorie, segnate dalla profonda diversità delle discipline rispettivamente applicabili (sentenze n. 154 del 2014 e n. 304 del 2013).

La Corte ha inoltre già affermato la legittimità di misure temporanee e contingenti, che, ispirate a un principio solidaristico che riguarda la totalità dei pubblici dipendenti (sentenza n. 310 del 2013), hanno visto le amministrazioni di volta in volta interessate fronteggiare scelte organizzative immediate e necessitate. Anche i viceprefetti sono stati attirati nell’orbita di tali misure.

7.– Con la quarta questione sollevata, il giudice a quo lamenta la violazione del principio della capacità contributiva che si legge nell’art. 53, primo comma, Cost.. L’impugnato art. 9, comma 21, terzo periodo, imporrebbe una prestazione patrimoniale tributaria – consistente nel (non corrisposto) aumento retributivo che il dipendente pubblico avrebbe avuto il diritto di percepire, a norma di legge, in conseguenza della progressione di carriera – a carico soltanto di alcuni contribuenti, per il solo fatto di essere gli stessi appartenenti al personale di cui all’art. 3 del d.lgs. n. 165 del 2001 promossi negli anni 2011, 2012 e 2013. Ciò comporterebbe l’introduzione di criteri irragionevoli di imposizione.

La questione non è fondata.

Anche in relazione a quest’ultimo parametro invocato dal  giudice rimettente, è opportuno richiamare i precedenti, più volte citati, di questa Corte, che hanno rigettato identiche questioni, in quanto la norma censurata non prevede una decurtazione o un prelievo a carico del dipendente pubblico, né un’acquisizione di risorse al bilancio dello Stato. Essa è priva pertanto degli elementi che connotano indefettibilmente la prestazione tributaria (sentenze n. 70 del 2015; n. 154 del 2014, n. 310 e n. 304 del 2013).

Esclusa quindi la natura di prelievo fiscale della misura prevista dalla disposizione impugnata, cade la censura che riguarda l’art. 53 Cost.

8.– Con la quinta questione sollevata il Tribunale rimettente deduce che l’impugnato art. 9, comma 21, terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, víoli l’art. 97 Cost. perché «determina scontento nel personale, a scapito del corretto e proficuo espletamento delle proprie mansioni e, dunque, a detrimento dell’efficienza nell’amministrazione».

La questione non è fondata.

Con univoca e costante giurisprudenza questa Corte ha affermato che il principio del buon andamento della pubblica amministrazione non può essere associato alle politiche di incrementi retributivi (sentenza n. 273 del 1997; ordinanze n. 263 del 2002, n. 368 del 1999 e n. 205 del 1998). Gli incrementi retributivi del personale dipendente non sono legati da un vincolo funzionale all’efficiente organizzazione dell’amministrazione, poiché si collocano in altra e diversa dimensione evolutiva dei rapporti di lavoro.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 36, 53 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente

Silvana SCIARRA, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 maggio 2016.