Sentenza n. 185 del 2018

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SENTENZA N. 185

ANNO 2018

Commenti alla decisione di

 

I. Sandro De Gotzen, Inconvenienti del sistema centralizzato, parte pubblicistico e parte privatistico, di vigilanza indirizzo e promozione del terzo settore, per g. c. del Forum di Quaderni Costituzionali

 

II. Luca Gori, Terzo settore, fra misure di promozione e autonomia regionale, per g. c. del Forum di Quaderni Costituzionali

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Giorgio                       LATTANZI                           Presidente

-      Aldo                           CAROSI                                  Gudice

-      Marta                          CARTABIA                                  

-      Giuliano                      AMATO                                        

-      Silvana                        SCIARRA                                     

-      Daria                           de PRETIS                                    

-      Nicolò                         ZANON                                        

-      Franco                        MODUGNO                                 

-      Augusto Antonio       BARBERA                                    

-      Giovanni                     AMOROSO                                  

-      Francesco                   VIGANÒ                                       

-      Francesco, Luca         ANTONINI                                   

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 61, comma 2, 62, comma 7, 64, 65 e 72, quest’ultimo anche in relazione all’art. 73, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo l, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106», promossi con ricorsi della Regione Veneto e della Regione Lombardia, notificati il 29 settembre - 5 ottobre 2017, depositati in cancelleria il 9 ottobre 2017, iscritti rispettivamente ai nn. 79 e 80 del registro ricorsi 2017 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2017.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 25 settembre 2018 il Giudice relatore Giuliano Amato;

uditi gli avvocati Ezio Zanon per la Regione Veneto, Andrea Manzi per la Regione Veneto e per la Regione Lombardia, Piera Pujatti per la Regione Lombardia e l’avvocato dello Stato Marina Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con due ricorsi, di contenuto sostanzialmente identico, spediti per la notificazione il 29 settembre 2017 e depositati il 9 ottobre 2017, la Regione Veneto (reg. ric. n. 79 del 2017) e la Regione Lombardia (reg. ric. n. 80 del 2017) hanno promosso, in riferimento agli artt. 3, 76, 97, 114, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 61, comma 2, 62, comma 7, 64, 65 e 72, quest’ultimo anche in relazione all’art. 73, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo l, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106».

2.– Premettono le parti ricorrenti che l’art. l della legge 6 giugno 2016, n. 106 (Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale) ha delegato il Governo al riordino e alla revisione organica della disciplina speciale e delle altre disposizioni vigenti relative al "Terzo settore”, mediante la redazione di un apposito codice, secondo i principi e i criteri direttivi di cui all’art. 20, commi 3 e 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa, e successive modificazioni).

In attuazione della delega, il Governo ha circoscritto l’ambito dell’intervento normativo, individuando le attività d’interesse generale che devono essere esercitate per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Il vasto orizzonte di tali attività determinerebbe un rilevante impatto su numerosi ambiti materiali affidati alle cure delle Regioni, oltre a testimoniare la stretta correlazione esistente tra le stesse attività e il territorio, con la conseguente necessità di conformare i servizi d’interesse generale in ragione delle specifiche e particolari esigenze territoriali. Ciò, a sua volta, comporterebbe il riconoscimento in capo alle Regioni di un ruolo centrale, anche e soprattutto nella definizione delle priorità d’intervento e della politica sociale da attuare per il soddisfacimento dei bisogni delle popolazioni locali.

In via preliminare, dunque, sarebbe necessario valutare: da un lato, per quali aspetti la disciplina di cui al d.lgs. n. 117 del 2017 afferisca alle competenze esclusive dello Stato in materia di «ordinamento civile», «tutela della concorrenza», «sistema tributario» e «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»; dall’altro lato, invece, per quali profili essa competa all’autonomia legislativa e amministrativa, oltreché politica, delle Regioni.

In particolare, la disciplina regolatoria che definisce la natura, il funzionamento e la strutturazione degli enti facenti parte del Terzo settore, quali soggetti di diritto privato, sembrerebbe senza dubbio ricadere nell’ambito dell’«ordinamento civile». Allo stesso modo, la disciplina tributaria, pur ove determini in via indiretta indirizzi di politica sociale in grado di limitare l’autonomia regionale, potrebbe ritenersi afferente al sistema tributario. Parimenti, le varie disposizioni dirette a evitare che il regime di favore per i soggetti del Terzo settore possa alterare la libera concorrenza sarebbero annoverabili nell’ambito della «tutela della concorrenza». E analoghe considerazioni potrebbero farsi per la definizione dei livelli minimi ed essenziali dei servizi sociali da assicurare sull’intero territorio nazionale.

Diversamente, le disposizioni che configurano un modello di amministrazione articolata sarebbero estranee agli ambiti materiali di competenza esclusiva dello Stato. Tali disposizioni, infatti, inciderebbero sull’autonomia delle Regioni nelle scelte di politica sanitaria, turistica, sociale, culturale, che alle stesse competono. E ciò varrebbe soprattutto nei casi in cui non sia previsto un adeguato coinvolgimento delle autonomie territoriali, che subirebbero così un pregiudizio senza alcuna forma di compensazione.

2.1.– Ciò premesso, in primo luogo sarebbero illegittimi gli artt. 61, comma 2, 62, comma 7, e 64 del d.lgs. n. 117 del 2017, per violazione degli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., oltreché del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

L’art. 64 del d.lgs. n. 117 del 2017 disciplina l’Organismo nazionale di controllo (da qui: ONC), definito quale fondazione con personalità giuridica di diritto privato, costituita con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il compito di esercitare, per finalità di interesse generale, funzioni d’indirizzo e di controllo sui Centri di servizio per il volontariato (da qui: CSV), enti associativi di secondo grado preposti allo svolgimento di attività di supporto tecnico, formativo e informativo del Terzo settore. Tra le funzioni dell’ONC rientrano, in particolare: l’amministrazione del Fondo unico nazionale (da qui: FUN), costituito per il finanziamento dei CSV (art. 62 del d.lgs. n. 117 del 2017); l’individuazione del numero di enti accreditabili come CSV nel territorio nazionale; la definizione degli indirizzi strategici generali da perseguirsi attraverso le risorse del FUN; la determinazione dell’ammontare del finanziamento stabile triennale dei CSV, con la relativa ripartizione annuale e territoriale, su base regionale.

2.1.1.– A detta delle ricorrenti, l’ONC, pur qualificato alla stregua di una fondazione con personalità giuridica di diritto privato, rivestirebbe un ruolo decisorio nel sistema del Terzo settore, sia sotto il profilo gestorio e finanziario, sia per quanto riguarda la definizione degli indirizzi strategici generali da perseguire attraverso le risorse del FUN. Il che, unito alla sua costituzione mediante atto amministrativo, alla sua compagine rigorosamente predeterminata ex lege e ai rilevanti poteri sanzionatori attribuitigli e giustiziabili avanti al giudice amministrativo (art. 66 del d.lgs. n. 117 del 2017), renderebbe la natura di tale soggetto sostanzialmente pubblicistica.

Di tale natura sarebbero indice, altresì, quelle attribuzioni idonee a incidere significativamente sulla strutturazione dell’intero sistema del Terzo settore, influenzando in modo rilevante ambiti materiali di competenza regionale.

Verrebbe in rilievo, in particolare, la previsione dell’art. 61, comma 2, che attribuisce all’ONC la determinazione del numero di enti accreditabili come CSV nel territorio nazionale, secondo criteri quantitativi eccezionalmente derogabili solo in ragione di specifiche esigenze territoriali. Il sistema dei CSV, infatti, costituirebbe la chiave di volta dell’intera disciplina del Terzo settore e, pertanto, la potestà attribuita all’ONC di determinarne la distribuzione territoriale avrebbe un’assoluta rilevanza in ordine al concreto svolgimento delle politiche pubbliche a esso afferenti. Il che renderebbe indispensabile riconoscere in capo alle Regioni uno specifico ruolo partecipativo, istruttorio e codecisorio, concorrendo le stesse al funzionamento del sistema.

La rappresentanza delle Regioni nell’ONC, invece, sarebbe del tutto marginale e irrilevante, poiché l’art. 64, comma 2, lettera e), del d.lgs. n. 117 del 2017 prevede un solo membro di derivazione regionale, designato dalla Conferenza Stato-Regioni. Nessun rilievo assumerebbe, inoltre, la previsione degli organismi territoriali di controllo (da qui: OTC) di cui all’art. 65 del d.lgs. n. 117 del 2017; tali organismi, infatti, non solo sarebbero privi di autonoma soggettività giuridica, ma svolgerebbero compiti meramente esecutivi e istruttori, senza rilevanza decisoria.

La denunciata illegittimità costituzionale si manifesterebbe, per tali ragioni, sia riguardo all’art. 64, nella parte in cui non prevede un’adeguata partecipazione degli enti territoriali, sia con riferimento all’art. 61, comma 2, nella parte in cui non è stabilito che la determinazione dell’ONC sia assunta previo parere o intesa in sede di «conferenze intergovernative».

Analoghe considerazioni si potrebbero prospettare riguardo all’art. 62, comma 7, del d.lgs. n. 117 del 2017, che affida all’ONC la determinazione dell’ammontare del finanziamento stabile triennale dei CSV, nonché il compito di stabilirne la ripartizione annuale e territoriale, su base regionale. Infatti, determinazioni amministrative dell’ONC, aventi un rilevante impatto sulle politiche regionali nei vari ambiti del Terzo settore, verrebbero assunte senza un adeguato coinvolgimento delle Regioni.

Da tali considerazioni si dovrebbe concludere per l’illegittimità costituzionale dell’intero art. 64, nella parte in cui non prevede un’adeguata partecipazione regionale all’organo di amministrazione dell’ONC ovvero non impone che l’esercizio delle funzioni di cui al comma 5 avvenga previo parere o intesa con le Regioni, quanto meno mediante il sistema delle conferenze.

2.1.2.– Non varrebbe a sanare il deficit di costituzionalità delle disposizioni impugnate il riferimento al principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, quarto comma, Cost., in quanto il riconoscimento di un ruolo attivo del cittadino nello svolgimento di attività d’interesse generale non potrebbe assumere un carattere tale da espropriare o confliggere con la naturale cura dell’interesse pubblico affidato alle Regioni e agli enti pubblici in generale.

Il fatto che le attività d’interesse generale possano essere svolte anche da privati, non implicherebbe, infatti, una sostituzione da parte di questi ai pubblici poteri. Invece, proprio il riconoscimento di una rilevanza pubblica dell’attività privata imporrebbe una regolamentazione, anche autoritativa, che assicuri il coordinamento degli sforzi pubblici e privati nel soddisfacimento del superiore interesse generale.

Un organismo quale l’ONC, apparentemente privato ma sostanzialmente pubblico, proprio al fine di garantire tale coordinamento e un adeguato sistema di esercizio dei compiti di controllo, dovrebbe avere una composizione in cui siano rappresentati gli enti territoriali, che vedono coinvolte numerose competenze proprie nell’ambito del Terzo settore. Ragion per cui sarebbe lo stesso art. 118, quarto comma, Cost. a comprovare come la scarsa rappresentatività delle Regioni nell’ONC costituisca motivo d’illegittimità costituzionale dell’art. 64 del d.lgs. n. 117 del 2017.

2.1.3.– Tale carenza strutturale dell’ONC sarebbe idonea, inoltre, a determinare una violazione del principio di eguaglianza ex art. 3 Cost., nonché del principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost. Infatti, il riconoscimento in capo alle Regioni di un ruolo attivo nel sistema amministrativo del Terzo settore costituirebbe un requisito essenziale per il proficuo e sostanziale soddisfacimento degli interessi generali sottesi alle attività in parola, garantendo prestazioni sociali che assicurino l’eguaglianza dei cittadini, in termini di materiale soddisfacimento dei loro bisogni, nonché l’efficiente coordinamento tra l’esercizio dei pubblici poteri e l’iniziativa privata.

2.2.– In secondo luogo, sarebbero altresì illegittimi gli artt. 64 e 65 del d.lgs. n. 117 del 2017, in quanto lesivi degli artt. 3, 76, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

2.2.1.– La disciplina contenuta nell’art. 64, relativo all’ONC, e nell’art. 65, concernente gli OTC, in particolare, violerebbe l’art. 76 Cost., con una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente riconosciute (a tal proposito si richiama la sentenza n. 236 del 2013).

L’art. 5, comma l, lettera f), della legge n. 106 del 2016, infatti, ha previsto, quali principi e criteri direttivi, la revisione del sistema di programmazione e di controllo delle attività e della gestione dei CSV, svolta mediante organismi regionali o sovraregionali, tra loro coordinati sul piano nazionale. Dunque, il legislatore delegante avrebbe indicato l’attribuzione di poteri decisori in capo a organismi regionali o sovraregionali, affidando al livello centrale statale unicamente un ruolo di coordinamento.

Il tradimento dei principi e dei criteri direttivi della legge di delegazione sarebbe evidente e si riverbererebbe in una lesione delle competenze legislative e amministrative delle Regioni, di cui agli artt. 114, 117 e 118 Cost., oltreché in una violazione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost. Infatti, come già evidenziato, gli artt. 64 e 65 del d.lgs. n. 117 del 2017 avrebbero attribuito i sopra enunciati poteri in capo all’ONC, lasciando agli organismi regionali un ruolo meramente esecutivo e privo di ogni autonomo rilievo decisorio. Tra l’altro, la stessa distribuzione territoriale degli OTC sarebbe irragionevole, se si tiene conto che la Regione Veneto, con riferimento a un’area demografica di oltre sei milioni di abitanti, parteciperebbe a un organismo che accorpa Veneto e Friuli-Venezia Giulia, mentre la Liguria e la Calabria, con popolazioni notevolmente inferiori, avrebbero un organismo territorialmente dedicato.

2.2.2.– Tale accentramento a livello statale, non previsto e non voluto dal legislatore delegante e in grado di sacrificare e marginalizzare i bisogni specifici e peculiari dei diversi territori, si porrebbe irragionevolmente in contraddizione anche con gli artt. 3 e 97 Cost. Il che, anche in questo caso, si tradurrebbe in una menomazione delle competenze regionali.

2.3.– Da ultimo, sarebbe illegittimo l’art. 72 (secondo la Regione Veneto anche in relazione all’art. 73) del d.lgs. n. 117 del 2017, per violazione degli artt. 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

2.3.1.– L’art. 72 disciplina le modalità di funzionamento e di utilizzo delle risorse del «Fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale nel terzo settore», istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al fine di sostenere lo svolgimento di attività d’interesse generale rientranti nell’ambito del Terzo settore, attraverso il finanziamento d’iniziative e di progetti promossi da organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e fondazioni comprese tra i soggetti del Terzo settore.

Siffatto fondo, finanziando con rilevanti risorse lo svolgimento di attività di interesse generale di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 117 del 2017, sotto forma di puntuali iniziative e progetti, inciderebbe significativamente su numerosi settori di competenza regionale, alterando la capacità e comprimendo l’autonomia degli enti territoriali nell’amministrare i correlati interessi pubblici.

Come sottolineato dalla giurisprudenza costituzionale in materia di fondi statali, «[l]’esigenza di rispettare il riparto costituzionale delle competenze legislative fra Stato e Regioni comporta altresì che, quando tali finanziamenti riguardino ambiti di competenza delle Regioni, queste siano chiamate ad esercitare compiti di programmazione e di riparto dei fondi all’interno del proprio territorio» (sentenza n. 16 del 2004; nello stesso senso è richiamata la sentenza n. 189 del 2015). Ove ciò non avvenga, il ricorso a finanziamenti ad hoc potrebbe divenire uno strumento indiretto, ma pervasivo, d’ingerenza dello Stato nell’esercizio delle funzioni degli enti territoriali, nonché di sovrapposizione di politiche e di indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti materiali di propria competenza.

Nel caso di specie, invece, sarebbe il solo Ministero del lavoro e delle politiche sociali a determinare gli obiettivi generali, le aree prioritarie d’intervento e le linee di attività finanziabili, nonché quali debbano essere i soggetti attuatori, senza alcuna forma d’intervento, né istruttorio, né decisorio, né programmatorio, da parte delle Regioni. Le concrete modalità di funzionamento del fondo, quindi, si porrebbero in aperto contrasto con l’autonomia amministrativa e legislativa delle Regioni, laddove si vengano a finanziare interventi o progetti afferenti a materie di competenza regionale. La mancata previsione di ogni apporto partecipativo da parte delle Regioni determinerebbe, inoltre, una lesione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost.

Quanto sin qui affermato troverebbe conferma nell’art. 73 del d.lgs. n. 117 del 2017, ove il legislatore, nel destinare altre risorse finanziarie al sostegno del Terzo settore, ha fatto espresso riferimento al finanziamento di «interventi in materia di Terzo settore di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali». Il che consentirebbe, nel caso specifico, di giustificare la previsione di un potere decisorio unilaterale in capo allo stesso Ministero, non afferendo né interferendo il vincolo di destinazione delle risorse finanziarie del fondo nazionale per le politiche sociali rispetto ad ambiti materiali attribuiti alla competenza delle Regioni.

2.3.2.– La denunziata alterazione del riparto di competenze, peraltro, sarebbe idonea a ledere il principio di buon andamento dell’agire pubblico di cui all’art. 97 Cost. – a detrimento dell’interesse dei cittadini e del proficuo svolgimento delle attività sociali d’interesse generale afferenti al Terzo settore – e il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., poiché vi sarebbero severi rischi di sovrapposizioni, se non contrapposizioni, nell’ambito delle politiche sociali da perseguire a soddisfacimento dei bisogni emersi nei vari territori.

3.– Con due atti d’identico contenuto, depositati il 13 novembre 2017, si è costituito in entrambi i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni promosse dalle Regioni ricorrenti siano dichiarate infondate.

3.1.– In via preliminare la difesa statale asserisce che, com’è noto, il complesso delle materie di competenza esclusiva dello Stato è definito dall’art. 117 Cost. e si caratterizzerebbe per la presenza di elementi dinamici, che manterrebbero in capo allo Stato stesso un ruolo di rilievo, in forza del loro carattere trasversale. È il caso, ad esempio, della competenza a determinare i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, anche in ragione della forte connotazione sociale che ispira tutte le norme costituzionali.

La materia del Terzo settore – più di ogni altra – ricomprenderebbe in sé una pluralità di competenze, che investono anche altri settori, con i quali s’intersecherebbero strettamente. Al pari dell’ambiente e della concorrenza, dunque, il Terzo settore costituirebbe una di quelle materie per le quali la giurisprudenza costituzionale riconosce allo Stato il potere di fissare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, potendo così interessare molte delle materie di competenza concorrente o primaria regionale. Secondo la giurisprudenza costituzionale, infatti, non tutti gli ambiti indicati nel secondo comma dell’art. 117 Cost. sarebbero configurabili come materie in senso stretto, poiché «in alcuni casi si tratta più esattamente di competenze del legislatore statale idonee a investire una pluralità di materie» (sentenza n. 407 del 2002).

Alla competenza esclusiva statale è assegnata, tra l’altro, anche la tutela della libera concorrenza del mercato, settore su cui inciderebbe la disciplina regolatoria del Terzo settore, nella parte in cui definisce il regime fiscale e di favore dei relativi soggetti. Proprio con particolare riferimento al tema della tutela della concorrenza, con la sentenza n. 14 del 2004 questa Corte ha sottolineato l’intendimento del legislatore costituzionale del 2001 di unificare in capo allo Stato strumenti di politica economica che attengono allo sviluppo dell’intero Paese, «strumenti che, in definitiva, esprimono un carattere unitario e, interpretati gli uni per mezzo degli altri, risultano tutti finalizzati a equilibrare il volume di risorse finanziarie inserite nel circuito economico».

3.2.– Venendo alle censure relative agli artt. 61, comma 2, 62, comma 7, e 64 del d.lgs. n. 117 del 2017, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, con riferimento all’asserita lesione dell’autonomia regionale nelle materie di cui all’art. 117, terzo comma, Cost., la sovrapposizione dei due piani di riparto delle competenze andrebbe considerata alla luce, da un lato, del principio di salvaguardia della centralità dell’intervento programmatorio statale, dall’altro, del riconoscimento della possibilità d’integrazione delle disposizioni statali da parte delle Regioni (è richiamata la sentenza n. 282 del 2002).

Riguardo all’asserita lesione dell’art. 117, quarto comma, Cost., invece, la giurisprudenza costituzionale sarebbe costante nel ritenere che non si possa ricondurre una disciplina legislativa alla potestà residuale regionale per il solo fatto che il suo oggetto non sia immediatamente riferibile a una delle materie elencate nei commi secondo e terzo dell’art. 117 Cost. (sono richiamate le sentenze n. 370 e n. 303 del 2003).

Proprio in tale ottica, pertanto, le disposizioni censurate dalle Regioni troverebbero giustificazione, con conseguente superamento delle doglianze attinenti a tutti i parametri costituzionali invocati.

3.3.– Quanto alla violazione dell’art. 76 Cost., asseritamente prodotta dalla disciplina contenuta negli artt. 64 e 65 del d.lgs. n. 117 del 2017, la difesa statale osserva che la rappresentanza delle Regioni all’interno dell’ONC risponderebbe pienamente ai criteri di cui all’art. 5, comma l, lettera f), della legge n. 106 del 2016, atteso che la necessità di garantire l’uniformità della qualità dei servizi erogati dai soggetti del Terzo settore su tutto il territorio nazionale non consentirebbe di frazionare in maniera netta le attribuzioni dello Stato e delle Regioni.

Il nuovo codice del Terzo settore, infatti, offrirebbe, per la prima volta, una disciplina organica della materia, a beneficio di tutte le realtà territoriali.

3.4.– Da ultimo, riguardo all’art. 72 del d.lgs. n. 117 del 2017 varrebbero le osservazioni sopra articolate in merito alla necessità d’interpretare la sovrapposizione dei piani di riparto delle competenze tra Stato e Regioni, da un lato, con la salvaguardia della centralità dell’intervento programmatorio statale, dall’altro, con il riconoscimento alle Regioni della possibilità d’integrazione delle disposizioni statali.

4.– Entrambe le parti ricorrenti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza, confermando e integrando le conclusioni rassegnate nei ricorsi.

4.1.– In particolare, in relazione al primo e al secondo gruppo di censure, secondo la Regione Veneto le ragioni d’illegittimità costituzionale del d.lgs. n. 117 del 2017 non sarebbero state superate dall’adozione da parte del Consiglio dei ministri del decreto legislativo, intitolato «Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante "Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106”». Non avrebbero trovato accoglimento, infatti, i rilevi della Commissione affari costituzionali del Senato, che aveva chiesto la soppressione degli artt. 61, comma 2, e 62, comma 7, del d.lgs. n. 117 del 2017, sottolineando altresì che, nel regolare l’ONC e gli OTC, la disciplina legislativa non avrebbe valorizzato adeguatamente il ruolo delle strutture di controllo territoriali, alle quali verrebbero affidate funzioni meramente esecutive o istruttorie, in contrasto con quanto previsto dalla delega.

Riguardo all’art. 72 del d.lgs. n. 117 del 2017, invece, la Regione Veneto sottolinea che il decreto correttivo avrebbe sì previsto l’introduzione della previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni sull’atto d’indirizzo relativo al «Fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale nel Terzo settore». Tuttavia, allo stato non vi sarebbero elementi per escludere che si sia provveduto, senza il coinvolgimento della Conferenza Stato-Regioni, all’adozione di tale atto d’indirizzo. Il che renderebbe tuttora sussistente l’interesse a ricorrere.

Considerato in diritto

1.– La Regione Veneto (reg. ric. n. 79 del 2017) e la Regione Lombardia (reg. ric. n. 80 del 2017) hanno promosso, in riferimento agli artt. 3, 76, 97, 114, 117, terzo e quarto comma, 118, 119 e 120 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 61, comma 2, 62, comma 7, 64, 65 e 72, quest’ultimo anche in relazione all’art. 73, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo l, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106».

2.– In considerazione dell’identità delle norme denunciate e delle censure proposte i due giudizi devono essere riuniti per essere trattati congiuntamente e decisi con un’unica pronuncia.

3.– Un primo gruppo di censure riguarda gli artt. 61, comma 2, 62, comma 7 e 64 del d.lgs. n. 117 del 2017, che disciplinano l’Organismo nazionale di controllo (da qui: ONC), attribuendo allo stesso funzioni di governo del sistema del "Terzo settore”, tra cui, in particolare, l’individuazione del numero di enti accreditabili come Centri di servizio per il volontariato (da qui: CSV) nel territorio nazionale, nonché la determinazione dell’ammontare del finanziamento stabile triennale dei CSV, con la relativa ripartizione annuale e territoriale, su base regionale.

3.1.– Secondo le ricorrenti tali disposizioni violerebbero gli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., oltreché il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., nella parte in cui non prevedono un’adeguata partecipazione regionale all’organo di amministrazione dell’ONC, ovvero non impongono che l’esercizio delle funzioni svolte dallo stesso avvenga previo parere o intesa con le Regioni, quanto meno attraverso le «conferenze intergovernative».

4.– Un secondo gruppo di censure concerne, invece, gli artt. 64 e 65 del d.lgs. n. 117 del 2017, che disciplinano l’ONC e gli organismi territoriali di controllo (da qui: OTC).

4.1– Asseriscono le Regioni ricorrenti che tali disposizioni sarebbero lesive degli artt. 3, 76, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., nonché del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., in quanto il legislatore delegato avrebbe accentrato in capo all’ONC tutte le funzioni di governo del sistema del Terzo settore, in contrasto con i principi di cui alla legge 6 giugno 2016, n. 106 (Delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale), che prevederebbe, invece, l’attribuzione di poteri decisori in capo a organismi regionali o sovraregionali, con conseguente lesione delle competenze costituzionali delle Regioni di cui agli artt. 114, 117 e 118 Cost.

5.– Infine, è impugnato l’art. 72 del d.lgs. n. 117 del 2017 (secondo la Regione Veneto anche in relazione all’art. 73), che disciplina le modalità di funzionamento e di utilizzo delle risorse del «Fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale nel terzo settore», istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, al fine di sostenere lo svolgimento di attività di interesse generale rientranti nell’ambito del Terzo settore, attraverso il finanziamento d’iniziative e progetti promossi da organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e fondazioni.

5.1.– Tale disciplina violerebbe gli artt. 97, 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., nonché il principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., poiché inciderebbe significativamente su numerosi settori di competenza regionale, comprimendo l’autonomia degli enti territoriali nell’amministrare i correlati interessi pubblici, senza che siano previste modalità di coinvolgimento delle Regioni riguardo alla determinazione dei criteri di ripartizione del fondo sui rispettivi territori e di distribuzione delle relative risorse.

6.– In via preliminare, va evidenziato che le Regioni, nell’epigrafe e nelle conclusioni dei rispettivi ricorsi, censurano tutte le disposizioni impugnate anche in relazione all’art. 119 Cost. Tale parametro, tuttavia, non è poi richiamato espressamente in relazione alle specifiche questioni, né le parti ricorrenti svolgono alcuna puntuale argomentazione riguardo alle ragioni per le quali le disposizioni impugnate violerebbero lo stesso parametro. Siffatta carenza di motivazione, pertanto, rende le questioni promosse in riferimento all’art. 119 Cost. inammissibili (ex plurimis, sentenze n. 245 e n. 105 del 2017, n. 251 e n. 153 del 2015).

7.– Devono quindi essere esaminate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 61, comma 2, 62, comma 7, 64 e 65 del d.lgs. n. 117 del 2017, promosse in riferimento agli artt. 3, 97, 114, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 Cost. e al principio di leale collaborazione.

7.1.– In via preliminare, va precisato che l’art. 18 del decreto legislativo 3 agosto 2018, n. 105, intitolato «Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante: "Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106”» ha parzialmente modificato l’art. 65, comma 2, del d.lgs. n. 117 del 2017, rideterminando il numero degli OTC. Per quanto qui d’interesse, in particolare con riferimento al ricorso della Regione Veneto, l’attuale formulazione della disposizione non prevede più un unico OTC per Veneto e Friuli-Venezia Giulia, ma un organismo per ciascuna Regione.

Tale modifica non rileva ai fini dello scrutinio delle disposizioni impugnate, tenuto conto che oggetto di censura è il complessivo assetto organizzativo del sistema degli OTC e dell’ONC disciplinato dagli artt. 64 e 65 del d.lgs. n. 117 del 2017, di cui la disposizione modificata costituisce soltanto un limitato aspetto (richiamato dalle ricorrenti più che altro a scopo esemplificativo).

Si tratta di modifiche marginali e prive di carattere satisfattivo, tra l’altro limitate a profili d’interesse di una sola delle ricorrenti, che non mutano i termini delle questioni, le quali, pertanto, possono trasferirsi sul testo dell’art. 65 del d.lgs. n. 117 del 2017 oggi in vigore (tra le tante, sentenze n. 219 del 2013 e n. 193 del 2012).

7.2.– Nel merito le questioni non sono fondate.

7.2.1.– La legge n. 106 del 2016 e il d.lgs. n. 117 del 2017 delineano il Terzo settore come il complesso dei soggetti di diritto privato che esercitano, in via esclusiva o principale, una o più attività d’interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, mediante forme di azione volontaria e gratuita o di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi, in attuazione del principio di sussidiarietà.

Siffatte attività, con specifico riferimento al volontariato – prima ancora che venisse enunciato nella Costituzione il principio di sussidiarietà, ora inscritto nell’art. 118 Cost. – erano state già ricondotte da questa Corte all’ambito delle libertà sociali garantite dall’art. 2 Cost., in quanto poste in essere da soggetti privati che operano per scopi di utilità collettiva e di solidarietà sociale (sentenze n. 500 del 1993, n. 355, n. 202 e n. 75 del 1992). Si tratta di attività assai eterogenee e, pertanto, risulta evidente che il Terzo settore, come già il volontariato, non possa essere configurato quale "materia” in senso stretto. La relativa disciplina, quindi, sfugge a una rigida classificazione, poiché le attività in questione sono destinate a svolgersi nei più diversi ambiti materiali, sia di competenza dello Stato, sia di competenza regionale.

Se questo vale per le attività, è tuttavia innegabile che i soggetti del Terzo settore, in quanto soggetti di diritto privato, per quanto attiene alla loro conformazione specifica, alla loro organizzazione e alle regole essenziali di correlazione con le autorità pubbliche, ricadono tipicamente nell’«ordinamento civile». L’«ordinamento civile», com’è noto, comprende tali discipline, allo scopo di garantire l’uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale, in ossequio al principio costituzionale di eguaglianza (ex plurimis, sentenze n. 287 del 2016, n. 97 del 2014, n. 290 del 2013, n. 123 del 2010 e n. 401 del 2007), oltreché di assicurare l’«essenziale e irrinunciabile autonomia» che deve caratterizzare i soggetti del Terzo settore (sentenza n. 75 del 1992), nel rispetto dell’art. 118, quarto comma, Cost. (sentenze n. 301 e n. 300 del 2003).

7.2.2.– Ciò premesso, nel sistema disegnato dal d.lgs. n. 117 del 2017 un ruolo peculiare è attribuito ai CSV (artt. 61 e 63), enti costituiti in forma di associazione riconosciuta da organizzazioni di volontariato e da altri soggetti del Terzo settore. A tali soggetti spetta la funzione di organizzare, gestire ed erogare servizi di supporto tecnico, formativo e informativo per promuovere e rafforzare la presenza e il ruolo dei volontari, con particolare riferimento alle organizzazioni di volontariato. Per lo svolgimento di tali attività i soggetti che vogliono essere riconosciuti quali CSV sono accreditati presso le pubbliche amministrazioni, sulla base di specifici requisiti e caratteristiche. Le attività dei CSV, infine, sono finanziate attraverso un fondo (il FUN), alimentato da contributi annuali delle fondazioni di origine bancaria (art. 62).

L’art. 64 del d.lgs. n. 117 del 2017 ha previsto l’istituzione di un apposito organismo, l’ONC, al fine di svolgere le funzioni d’indirizzo, controllo e vigilanza sui CSV. Si tratta di una fondazione con personalità giuridica di diritto privato, costituita con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, a cui spettano, in particolare l’amministrazione del FUN, la fissazione degli indirizzi strategici generali da perseguirsi attraverso le relative risorse, il riparto su base regionale del finanziamento dei CSV, nonché l’accreditamento degli stessi.

La natura di organismo di controllo e di supporto dell’attività di soggetti di diritto privato si riverbera sulla struttura dello stesso ONC. I suoi componenti, infatti, sono designati principalmente dai vari attori sociali del Terzo settore, con particolare rilievo per le fondazioni di origine bancaria (sette membri su un totale di tredici). Solo due membri sono designati dalle amministrazioni pubbliche, nello specifico uno dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali e uno dalla Conferenza Stato-Regioni.

Le funzioni dell’ONC, inoltre, sono esercitate in raccordo con gli OTC (art. 65). Tali organismi, sebbene privi di autonoma personalità giuridica, svolgono rilevanti funzioni di controllo sui CSV del territorio di riferimento. Essi sono disciplinati dando rappresentanza maggioritaria anche in questo caso ai soggetti del Terzo settore (sempre con una predominanza delle designazioni da parte delle fondazioni di origine bancaria, lasciando alle Regioni e alle Province autonome la scelta di due componenti degli organismi). Gli OTC effettuano attività di tipo istruttorio per l’accreditamento dei CSV e hanno poteri rilevanti nel controllo sugli stessi, vigilando sulla permanenza dei requisiti di accreditamento e più in generale sulla legittimità e sulla correttezza dell’attività di tali soggetti in relazione all’uso delle risorse del FUN. Inoltre, spettano agli OTC anche il riparto tra i CSV collocati in ciascuna Regione del finanziamento deliberato dall’ONC, nonché l’ammissione al finanziamento della relativa programmazione.

La natura dei CSV quali soggetti di diritto privato che interagiscono con tutta la rete del Terzo settore, al fine di promuoverne e facilitarne le attività, porta la disciplina del loro regime giuridico entro la potestà esclusiva statale in materia di «ordinamento civile».

Tali conclusioni devono essere estese anche alla disciplina dell’ONC. Il legislatore statale, infatti, ha attribuito a una fondazione di diritto privato funzioni d’indirizzo, controllo e vigilanza su soggetti che agiscono nell’ambito dei rapporti privatistici. Ancorché la fondazione sia costituita con atto ministeriale, non si tratta di una forma di governo pubblico del Terzo settore, bensì della regolamentazione di assetti che concernono i rapporti tra soggetti di diritto privato, in attuazione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, quarto comma, Cost.; principio che si realizza anche attraverso la collocazione di funzioni di vigilanza e di controllo entro la trama dei rapporti interprivati.

Non c’è dubbio che la scelta del legislatore statale, nell’attuazione della delega di cui all’art. 5, comma 1, lettera f), della legge n. 106 del 2016, sia stata caratterizzata da una impostazione più accentrata di altre parimenti possibili. La qual cosa può aver generato la pur erronea opinione che ci si trovi innanzi a un organismo pubblico. Ma così non è, poiché rimane pur sempre la disciplina di organismi privati, secondo un modello organizzativo che si riconduce alla tematica del Libro primo, Titolo II, del codice civile.

7.2.3.– Quanto rilevato palesa l’infondatezza delle doglianze regionali, in primo luogo riguardo alla composizione dell’ONC. All’interno di tale organismo, infatti, vi è un’elevata prevalenza di rappresentanti privati, con una minima, ma paritaria, rappresentanza di Stato e Regioni. Una maggiore rappresentanza delle autonomie territoriali contrasterebbe con la natura dell’organismo, che non appartiene all’amministrazione pubblica.

7.2.4.– In secondo luogo, per quanto concerne le funzioni dell’ONC, queste si risolvono essenzialmente nella regolamentazione del sistema dei CSV, attraverso la vigilanza e il controllo sugli stessi e l’amministrazione del FUN. Pertanto, esse non ineriscono agli ambiti materiali in cui si realizzano le attività del Terzo settore, che possono anche rientrare – e in più casi rientrano – nelle competenze regionali.

Ciò vale sia per il complesso delle funzioni di cui all’art. 64, comma 5, del d.lgs. n. 117 del 2017, genericamente richiamate dalle Regioni ricorrenti, sia per le specifiche funzioni oggetto di censura.

Riguardo alla determinazione del numero di enti accreditabili come CSV nel territorio nazionale – affidata all’ONC dall’art. 61, comma 2, del d.lgs. n. 117 del 2017 – essa risulta vincolata da criteri legislativi rigidi, nell’applicazione dei quali non può che esservi uniformità (e sulla base comunque di un’istruttoria compiuta dagli OTC). Un margine di apprezzamento, invece, sussiste per le eventuali deroghe ai predetti criteri, previste dal comma 3 del medesimo art. 61, ma tale disposizione non è stata impugnata.

Analoghe considerazioni possono effettuarsi in riferimento all’art. 62, comma 7, del d.lgs. n. 117 del 2017, che affida all’ONC la determinazione dell’ammontare del finanziamento stabile triennale dei CSV, nonché il compito di stabilirne la ripartizione annuale e territoriale, su base regionale (lasciando agli OTC, tra l’altro, la ripartizione del finanziamento tra i CSV del territorio). Il FUN, infatti, è teso a finanziare non le attività propriamente inerenti al Terzo settore, ma il funzionamento del sistema dei CSV, tanto che lo stesso è alimentato dai contributi delle fondazioni di origine bancaria. Ne consegue, pertanto, che la relativa disciplina spetta allo Stato, afferendo anch’essa all’«ordinamento civile».

7.2.5.– Non si comprende, infine, per quali ragioni le disposizioni censurate sarebbero idonee a determinare una violazione del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nonché del principio di buon andamento ex art. 97 Cost. Tali disposizioni, anzi, sono espressione proprio di quell’esigenza di uniformità che questa Corte ha ritenuto imprescindibile in tale settore, senza che ciò comporti, tuttavia, un irragionevole sacrificio delle specificità territoriali. Il che consente di ritenere infondate le doglianze regionali anche sotto tale profilo.

8.– Non sono fondate le questioni relative agli artt. 64 e 65 del d.lgs. n. 117 del 2017 promosse in riferimento all’art. 76 Cost., per violazione dei principi e criteri direttivi di cui all’art. 5, comma l, lettera f), della legge n. 106 del 2016, in virtù dell’eccessiva "centralizzazione” delle funzioni di controllo nell’ONC, con un ruolo del tutto secondario degli OTC.

8.1.– L’art. 5, comma l, lettera f), della legge n. 106 del 2016 ha previsto la revisione del sistema di programmazione e di controllo delle attività e della gestione dei CSV, da realizzare mediante organismi regionali o sovraregionali, tra loro coordinati sul piano nazionale. Tali organismi, da costituirsi con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, provvedono «alla programmazione del numero e della collocazione dei centri di servizio, al loro accreditamento e alla verifica periodica del mantenimento dei requisiti, anche sotto il profilo della qualità dei servizi dagli stessi erogati, nonché all’attribuzione delle risorse finanziarie anche in applicazione di elementi di perequazione territoriale».

La legge di delegazione, dunque, delinea una rete tra organismi regionali, sovraregionali e nazionale da costituirsi con decreto ministeriale, così come poi previsto dagli artt. 64 e 65 del d.lgs. n. 117 del 2017. La composizione dei vari organismi tiene conto principalmente dei soggetti del Terzo settore, nel rispetto, nel caso degli OTC, delle esigenze territoriali.

Agli OTC è attribuita l’attività propedeutica all’accreditamento dei CSV, la verifica sul mantenimento dei relativi requisiti, il riparto delle risorse assegnate agli stessi, nonché la generica vigilanza sulle attività dei CSV. All’ONC, invece, oltre allo stesso accreditamento, spettano le già ricordate funzioni d’indirizzo sui soggetti accreditabili, sugli obiettivi strategici da perseguirsi tramite le risorse del FUN e più in generale sull’attività dei CSV. Funzioni d’indirizzo e di pianificazione strategica appunto, che sono espressione di quel «coordinamento» nazionale previsto dalla disposizione di delega.

È bensì vero che, come già osservato, si tratta di una forma accentuata di coordinamento dal centro. Ciò, tuttavia, attiene ad aspetti di merito, che rientrano nella discrezionalità del legislatore delegato, non a profili di legittimità costituzionale. E si tenga sempre presente, d’altronde, che il ruolo svolto al centro non è attribuito a un ente pubblico, ma a un organismo di diritto privato con funzioni di vigilanza su soggetti privati.

9.– Da ultimo, devono essere esaminate le questioni relative all’art. 72 del d.lgs. n. 117 del 2017, impugnato dalla Regione Veneto anche in relazione all’art. 73.

9.1.– In via preliminare va rilevato che l’art. 19 del d.lgs. n. 105 del 2018 ha parzialmente modificato la disposizione impugnata. In particolare, è ora previsto che l’atto d’indirizzo del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di cui all’art. 72, comma 3, del d.lgs. n. 117 del 2017 sia adottato previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni, intesa assente nell’originaria formulazione.

Tale modifica appare di per sé satisfattiva delle ragioni delle ricorrenti, ma non è idonea a determinare la cessazione della materia del contendere. Infatti, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 13 novembre 2017, è stato adottato l’atto d’indirizzo per l’anno 2017, tra l’altro attuato dal decreto del Direttore generale del terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese 14 novembre 2017 (recante l’avviso per il finanziamento di iniziative e progetti di rilevanza nazionale). La disposizione impugnata, quindi, ha avuto applicazione per l’anno 2017.

Pertanto, sebbene lo ius superveniens abbia carattere satisfattivo delle doglianze mosse con il ricorso, non vi è l’ulteriore presupposto per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere, ovvero la mancata applicazione medio tempore della disposizione censurata (ex plurimis, sentenze n. 44 e n. 5 del 2018, n. 191, n. 170, n. 59 e n. 8 del 2017). Ne deriva che la disposizione impugnata deve essere scrutinata nella formulazione antecedente alle modifiche di cui al d.lgs. n. 105 del 2018.

9.2.– Nel merito le questioni sono fondate.

9.2.1.– L’art. 72 del d.lgs. n. 117 del 2017 disciplina il «Fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale nel terzo settore». Tale fondo, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è previsto allo scopo di sostenere lo svolgimento di attività d’interesse generale rientranti nell’ambito del Terzo settore, attraverso il finanziamento d’iniziative e di progetti promossi da organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e fondazioni comprese tra i soggetti del Terzo settore. A tal fine, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto, adotta annualmente un atto d’indirizzo con cui sono determinati gli obiettivi generali, le aree prioritarie di intervento e le linee di attività finanziabili nei limiti delle risorse disponibili sul fondo medesimo. Sulla base di tale atto d’indirizzo sono quindi individuati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali i soggetti attuatori degli interventi finanziabili attraverso le risorse del fondo.

Il fondo interviene a finanziare le attività d’interesse generale svolte dai soggetti del Terzo settore, inerenti a diversi ambiti materiali, che possono spettare anche alla competenza regionale, concorrente o residuale (si pensi alle politiche sociali, allo sport, alla sanità o al turismo).

Com’è noto, questa Corte ha più volte sottolineato che la disciplina con legge statale di finanziamenti in materie spettanti alla potestà legislativa regionale risulta compatibile con l’assetto costituzionale delle competenze solo ove siano previste, in ossequio al principio di leale collaborazione, forme di coinvolgimento delle Regioni nella gestione dei relativi fondi (ex plurimis, sentenze n. 189 del 2015, n. 168 e n. 50 del 2008, n. 222 del 2005, n. 424 e n. 16 del 2004). La sede di tale coinvolgimento regionale, per costante giurisprudenza costituzionale, va individuata nella Conferenza Stato-Regioni, attraverso lo strumento dell’intesa sulle modalità di utilizzo e di gestione del fondo in questione (ex plurimis, sentenze n. 211 del 2016 e n. 273 del 2013).

Nel caso di specie, invece, le disposizioni impugnate attribuiscono allo Stato la disciplina del ricordato fondo, in particolare attraverso la selezione delle aree prioritarie d’intervento e delle linee di attività finanziabili con le risorse dello stesso. L’incidenza sulle competenze delle Regioni, in assenza di una qualsiasi forma di coinvolgimento delle stesse, pertanto, determina una lesione del principio di leale collaborazione di cui all’art. 120 Cost., con assorbimento delle censure riferite agli altri parametri evocati.

9.2.2.– La declaratoria d’illegittimità costituzionale può essere limitata al solo comma 3 dell’art. 72 del d.lgs. n. 117 del 2017, nella parte in cui non prevede la previa intesa con la Conferenza Stato-Regioni sull’atto d’indirizzo con cui sono determinati gli obiettivi generali, le aree prioritarie di intervento e le linee di attività finanziabili nei limiti delle risorse disponibili sul «Fondo per il finanziamento di progetti e attività di interesse generale nel terzo settore».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 72, comma 3, del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo l, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106», nel testo antecedente alle modifiche di cui all’art. 19 del decreto legislativo 3 agosto 2018, n. 105, intitolato «Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante: "Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106”», nella parte in cui non prevede che l’atto d’indirizzo con cui il Ministro del lavoro e delle politiche sociali determina annualmente «gli obiettivi generali, le aree prioritarie di intervento e le linee di attività finanziabili nei limiti delle risorse disponibili sul Fondo medesimo» sia adottato previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;

2) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 61, comma 2, 62, comma 7, 64, 65 e 72, quest’ultimo anche in relazione all’art. 73, del d.lgs. n. 117 del 2017, promosse dalla Regione Veneto e dalla Regione Lombardia, in riferimento all’art. 119 della Costituzione, con i ricorsi indicati in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 61, comma 2, 62, comma 7, 64 e 65 – quest’ultimo nel testo introdotto dall’art. 18 del d.lgs. n. 105 del 2018 – del d.lgs. n. 117 del 2017, promosse dalla Regione Veneto e dalla Regione Lombardia, in riferimento agli artt. 3, 97, 114, 117, terzo e quarto comma, 118 e 120 Cost. e al principio di leale collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 64 e 65 – quest’ultimo nel testo introdotto dall’art. 18 del d.lgs. n. 105 del 2018 – del d.lgs. n. 117 del 2017, promosse dalla Regione Veneto e dalla Regione Lombardia, in riferimento all’art. 76 Cost., con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 settembre 2018.

F.to:

Giorgio LATTANZI, Presidente

Giuliano AMATO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 12 ottobre 2018.