Sentenza n. 26 del 2008

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SENTENZA  N. 26

ANNO 2008

 

Commento alla decisione di

 

Domenica Ludione

Il “caso Alpi” davanti al giudice dei conflitti ed i suoi inediti profili (procedurali e sostanziali)

 

(per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Franco               BILE                                        Presidente

-  Giovanni Maria   FLICK                                       Giudice

-  Francesco          AMIRANTE                                    ”

-  Ugo                   DE SIERVO                                    ”

-  Paolo                 MADDALENA                                 ”

-  Alfio                  FINOCCHIARO                              ”

-  Alfonso              QUARANTA                                   ”

-  Franco               GALLO                                           ”

-  Luigi                  MAZZELLA                                    ”

-  Gaetano             SILVESTRI                                     ”

-  Maria Rita          SAULLE                                         ”

-  Giuseppe            TESAURO                                       ”

-  Paolo Maria       NAPOLITANO                                ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della nota del 21 settembre 2005 (prot. n. 2005/0001389/SG-CIV) emessa dalla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, nonché dell’atto del 17 settembre 2005 (prot. n. 3490/ALPI) del Presidente della medesima Commissione, onorevole Carlo Taormina, promosso con ricorso della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma notificato il 10 marzo 2006, depositato in cancelleria il 22 marzo 2006 ed iscritto al n. 37 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di merito.

Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;

udito nell’udienza pubblica del 29 gennaio 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

uditi il dott. Franco Ionta per la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma e l’avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1.¾ La Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma ha promosso, con ricorso depositato pressa la cancelleria della Corte il 5 ottobre 2005, conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

1.1.¾ La ricorrente premette di aver appreso da organi di stampa «dell’arrivo in Italia della vettura Toyota a bordo della quale, presumibilmente, furono uccisi Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, il 20 marzo 1994», e di aver pertanto avviato – nel settembre del 2005 – uno scambio di corrispondenza con la citata Commissione parlamentare, segnalando «l’opportunità dello svolgimento congiunto degli accertamenti tecnici» sul predetto veicolo, necessari a ciascuna delle due autorità per l’espletamento dell’attività di indagine di rispettiva competenza.

Deduce, tuttavia, la ricorrente che il Presidente della predetta Commissione – dopo aver informato la Procura che l’organo parlamentare in questione aveva «preso in carico, previo sequestro, l’autovettura», disponendo «anche a norma dell’art. 360 c.p.p.» «accertamenti tecnici», taluni dei quali «di natura irripetibile» – comunicava, con nota (prot. n. 2005/0001389/SG-CIV) pervenuta alla stessa Procura il 21 settembre 2005, di non potere «aderire alla richiesta» formulata, «significando che, tra l’altro, l’atto deliberativo di istituzione della Commissione», dal medesimo presieduta, «impone accertamenti non solo sul fatto e sui responsabili, ma anche sulle carenze istituzionali, comprese quelle attribuibili ai molteplici passaggi giudiziari che hanno interessato la vicenda».

Per l'annullamento di tale nota – e dell’atto, adottato dal Presidente della citata Commissione parlamentare in data 17 settembre 2005 (prot. n. 3490/ALPI), con il quale è stato conferito «incarico peritale» al dott. Alfredo Luzi, «volto allo svolgimento di accertamenti tecnici, anche di natura irripetibile, sulla vettura in questione» – la Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma ha proposto il presente conflitto di attribuzione, svolgendo le seguenti considerazioni.

1.2.¾ La ricorrente evidenzia, innanzitutto, come la possibilità di configurare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato postuli – ex art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 – che esso insorga «tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono».

Tra detti organi sono stati inclusi – prosegue la ricorrente – tanto i «singoli giudici, in considerazione segnatamente del carattere “diffuso” che contrassegna il potere giudiziario», quanto gli «organi requirenti», relativamente «all’attribuzione, costituzionalmente individuata, dell’esercizio dell'azione penale» (vengono richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 150 del 1981 e n. 231 del 1975, nonché l’ordinanza n. 132 del 1981).

Egualmente indubbia – secondo la Procura ricorrente – è la legittimazione passiva della Commissione parlamentare di inchiesta, avendo precisato la Corte, «fin dal 1975», che «a norma dell'art. 82 Cost., la potestà riconosciuta alle Camere di disporre inchieste su materie di pubblico interesse non è esercitabile altrimenti che attraverso la interposizione di Commissioni a ciò destinate, delle quali può ben dirsi perciò che, nell’espletamento e per la durata del loro mandato, sostituiscono ope constitutionis lo stesso Parlamento, dichiarandone perciò e definitivamente la volontà ai sensi del primo comma dell’art. 37» della legge n. 87 del 1953 (sono richiamate la sentenza n. 231 del 1975 e le ordinanze n. 229 e n. 228 del 1975).

Alla stregua, quindi, delle considerazioni che precedono «è possibile concludere» – si legge ancora nel ricorso – che la Procura di Roma e la Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin «sono soggetti legittimati, rispettivamente dal lato attivo e dal lato passivo, ad essere parti di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato».

1.3.¾ «Quanto ai requisiti di ordine oggettivo», prosegue la ricorrente, deve rilevarsi come la Corte costituzionale abbia «da tempo superato la restrittiva nozione di conflitto di attribuzione come vindicatio potestatis, riconoscendo l’ammissibilità del cosiddetto “conflitto per interferenza” o “conflitto da menomazione”» (sono richiamate le sentenze n. 126 del 1994, n. 473 del 1992, n. 204 del 1991 e n. 731 del 1988), ipotizzabile «quando un organo, pur non rivendicando a sé la competenza a compiere un determinato atto, denuncia che un atto oppure un comportamento omissivo di un altro organo abbiano menomato la sua competenza o ne abbiano impedito l’esercizio».

Orbene, siffatta evenienza – nella prospettiva della ricorrente – sussisterebbe proprio nel caso di specie, in quanto, se è innegabile che la Commissione parlamentare ha «il potere di compiere atti di indagine» (ex art. 82, secondo comma, della Costituzione), la decisione dalla stessa assunta «di procedere autonomamente ad accertamenti sul veicolo», con esclusione della possibilità di analogo intervento dell’autorità giudiziaria, «provoca un pregiudizio alla Procura perché le impedisce di esercitare le funzioni che le attribuisce la Costituzione», e segnatamente di orientare quell’indagine tecnica in modo da poter «raccogliere tutti gli elementi necessari ai fini delle proprie determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale», con palese violazione del principio della obbligatorietà della stessa, «sancito dall’art. 112 della Costituzione», oltre che di quelli «di indipendenza ed autonomia della magistratura» (ex artt. 101, 104 e 107 Cost.).

Risulta, in particolare, preclusa la possibilità «di sottoporre a sequestro l'autovettura a bordo della quale viaggiavano Ilaria Alpi e Miran Hrovatin», e con essa quella «di effettuare rilevamenti ed accertamenti sul veicolo stesso ai fini dell'esatta ricostruzione della dinamica dei fatti, attività queste tutte essenziali nell'ambito del procedimento penale in oggetto e la cui mancata effettuazione ha determinato una vera e propria paralisi» del procedimento medesimo.

In tal modo, oltretutto, si contravviene a quella «opportunità di un effettivo coordinamento tra la Commissione e le strutture giudiziarie» presa in considerazione «all’atto dell'istituzione della stessa Commissione con Deliberazione della Camera dei Deputati del 31 luglio 2003 (art. 6, comma 3) nonché nel regolamento interno approvato dalla Commissione nella seduta del 4 febbraio 2004 (art. 22, comma 1)».

1.4.¾ Su tali basi, pertanto, la suindicata Procura ha proposto il presente conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, chiedendo – previa declaratoria di non spettanza, alla predetta Commissione, del potere di adottarla – l’annullamento della nota del 21 settembre 2005 (prot. n. 2005/0001389/SG-CIV) emessa dalla medesima Commissione (con la quale quest’ultima ha rifiutato di aderire alla richiesta della ricorrente di valutare «l’opportunità dello svolgimento congiunto di accertamenti tecnici»), nonché l’annullamento, per l’effetto, anche dell'atto del 17 settembre 2005 (prot. n. 3490/ALPI) con cui la stessa – in persona del suo Presidente – ha conferito incarico peritale al dott. Alfredo Luzi.

2.¾ All’esito della camera di consiglio del 20 febbraio 2006, il conflitto è stato dichiarato ammissibile con l’ordinanza n. 73 del 24 febbraio 2006.

In data 10 marzo 2006 il ricorso introduttivo e la predetta ordinanza sono stati notificati – come da richiesta del giorno 1° marzo della Procura della Repubblica di Roma – alla Commissione parlamentare di inchiesta, in persona del suo Presidente.

3.¾ Con memoria depositata presso la cancelleria della Corte il 29 marzo 2006 si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, dichiaratamente allo scopo di «far constatare l’avvenuta cessazione della Commissione parlamentare d’inchiesta» suddetta (essendosi svolta in data 23 febbraio 2006 l’ultima sua seduta, all’esito della quale è stata approvata la relazione finale e sono state date disposizioni per gli incombenti amministrativi del caso), nonché per «fare emergere le circostanze in virtù delle quali sembrano essere ormai venute meno le ragioni stesse del conflitto», su tali basi, dunque, chiedendo che il proposto conflitto sia «dichiarato irricevibile, improcedibile ovvero inammissibile».

4.— La Camera dei deputati, nell’imminenza dell’udienza pubblica di discussione del 5 giugno 2007, ha depositato un’ulteriore memoria, ribadendo le conclusioni già rassegnate.

5.— In tale udienza pubblica è comparsa – ai sensi dell’art. 37, ultimo comma, della legge 11 marzo del 1953, n. 87 – la ricorrente autorità giudiziaria, in persona del dott. Franco Ionta, all’uopo delegato dal Procuratore della Repubblica.

Ribadite le ragioni a sostegno dell'iniziativa assunta, la ricorrente ha replicato alle eccezioni preliminari svolte dalla Camera dei deputati.

6.— Con sentenza n. 241 del 2007, questa Corte ha dichiarato «non fondate le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità del conflitto per nullità assoluta della notificazione, nonché di improcedibilità dello stesso per sopravvenuta carenza di interesse, sollevate dalla Camera dei deputati».

La predetta sentenza ha assegnato, nel contempo, «alla Camera dei deputati ed alla ricorrente Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma il termine di giorni sessanta» – decorrente dalla data della pubblicazione della decisione nella Gazzetta Ufficiale – «per la eventuale presentazione di memorie difensive», ravvisandone la necessità proprio in ragione della «scelta operata dalla Camera dei deputati, in relazione alla novità ed alla particolarità della vicenda, di non svolgere difese di merito in ordine al thema decidendum», scelta compiuta «sul presupposto di non rivestire la qualità di contraddittore necessario nel presente giudizio».

7.— In data 27 luglio 2007 la Camera dei deputati ha depositato una memoria, chiedendo che il ricorso sia «dichiarato improcedibile e inammissibile», ovvero, in subordine, che lo stesso sia rigettato.

7.1.— Sul presupposto che «eccezioni in rito possono essere formulate in ogni stato del processo costituzionale», nonché evidenziando come quelle sollevate con la suddetta memoria si fondino sul «verificarsi di fatti nuovi, successivi ai primi scritti difensivi», ovvero sulle stesse domande di merito della ricorrente, le quali – come riconosciuto dalla stessa sentenza n. 241 del 2007 – «non erano state vagliate nelle precedenti difese», la Camera dei deputati eccepisce, gradatamente, «l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse», nonché l’inammissibilità dello stesso «per la contraddizione del petitum e della causa petendi».

Ed invero, dal momento che la medesima autorità giudiziaria ricorrente ha chiesto – successivamente alla pronuncia della sentenza n. 241 del 2007 – «l’archiviazione del procedimento penale relativo all’individuazione dei mandanti dell’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin», appare evidente che l’eventuale «annullamento degli atti impugnati sarebbe inutiliter datum», tenuto conto che il giudizio per conflitto di attribuzione deve vertere «su conflitti non astratti o ipotetici, ma attuali e concreti» (viene citata la sentenza della Corte costituzionale n. 404 del 2005). Infatti, la descritta evenienza, specie se si considera che è proprio il ricorso ad istituire «un nesso di logica consequenzialità tra il fatto che le indagini siano in corso» (o meglio, che lo fossero) «ed il vulnus subíto» dalla ricorrente, denoterebbe la sopravvenuta carenza di interesse alla definizione del giudizio.

Un profilo, invece, di inammissibilità del ricorso è ravvisato in relazione all’individuazione dell’oggetto del conflitto de quo.

Premesso, infatti, che esso ruota «tutto e solo intorno al tema se quegli accertamenti» – effettuati sulla vettura a bordo della quale si trovavano la Alpi ed il Hrovatin – «dovessero essere sottoposti ad uno “svolgimento almeno congiunto”, così come richiesto dalla Procura della Repubblica di Roma», risulterebbe evidente come le considerazioni svolte dalla ricorrente – e con esse anche la domanda di annullamento che integra il petitum dell’atto di promovimento del presente conflitto – non possano «avere ingresso in un conflitto da menomazione», come è stato qualificato dalla ricorrente. Ed invero, è quest’ultima ad affermare espressamente «che solo un suo provvedimento di sequestro avrebbe potuto soddisfare le esigenze di giustizia», atteso che, unicamente grazie ad esso, essa «avrebbe potuto “effettuare rilevamenti e accertamenti”» indispensabili alle indagini. In tal modo, però, la ricorrente «svolge argomenti e, nel merito, formula domande che avrebbero senso solo in un conflitto da vindicatio potestatis».

7.2.— In via di subordine, per quanto attiene al merito del ricorso, la Camera dei deputati ha concluso per il rigetto dello stesso sulla base dei seguenti rilievi.

Si evidenzia, in primo luogo, come gli atti compiuti dalle Commissioni parlamentari d’inchiesta siano «perfettamente utilizzabili dall’Autorità giudiziaria», e ciò in conseguenza del pieno «parallelismo tra i poteri e le limitazioni» che le prime come la seconda incontrano nell’esercizio delle rispettive funzioni (è citata, in proposito, la sentenza n. 231 del 1975).

Nella specie, poi, la Commissione parlamentare d’inchiesta «non solo non ha opposto ostacoli» alla trasmissione delle risultanze dell’indagine peritale espletata, «ma ha messo a disposizione della ricorrente la stessa vettura sulla quale gli accertamenti erano stati eseguiti», senza che, dunque, si rendesse necessario gravare il veicolo di un provvedimento di sequestro «per compiere tutti i rilievi e gli accertamenti supplementari ritenuti utili dalla stessa ricorrente». A tal fine, infatti, sarebbe stata sufficiente – secondo la Camera dei deputati – la semplice «messa a disposizione» del bene, atto idoneo a “conservare” in capo alla ricorrente «i propri poteri giurisdizionali» (è citata la sentenza n. 149 del 2007), e dunque a salvaguardare le «attribuzioni costituzionali in campo».

Né, d’altra parte, a conclusioni diverse potrebbe pervenirsi – contrariamente a quanto assume la ricorrente – attraverso l’evocazione del principio di leale collaborazione, giacché, assecondando l’impostazione del ricorso, si finirebbe con il conferire a tale principio un contenuto costituzionalmente vincolato, laddove, invece, il suo funzionamento dipende da «scelte che il legislatore può operare fra diversi modelli in astratto possibili», purché dirette a conseguire un «equilibrio razionale e misurato» tra «le istanze dello Stato di diritto, che tendono ad esaltare i valori connessi all’esercizio della giurisdizione», e «la salvaguardia di ambiti di autonomia sottratti al diritto comune, che valgono a conservare alla rappresentanza politica un suo indefettibile spazio di libertà» (è citata, sul punto, la sentenza n. 149 del 2007; sono richiamate anche le sentenze n. 451 del 2005, n. 263 del 2003, n. 225 del 2001).

Del resto, se l’esistenza di «svariate misure di raccordo o di coordinamento paritario», finalizzate a dare concreta attuazione al principio di leale collaborazione, è stata affermata in termini generali dalla giurisprudenza costituzionale (è citata la sentenza n. 214 del 1998), quando, addirittura, manchino – come nella specie – delle regole da integrare, «la flessibilità dei modelli di leale collaborazione è ancora più evidente e necessaria», non potendo la Corte costituzionale – sottolinea la Camera dei deputati – introdurre «in via interpretativa un complesso di regole procedurali del tutto nuovo». A tale esito, per contro, si perverrebbe nel caso in esame, giacché l’accoglimento delle domande della ricorrente finirebbe con l’imporre «una ed una sola forma di leale collaborazione» e ciò, appunto, «in assoluta carenza di regole che dettino anche semplicemente un quadro di riferimento».

Pertanto, contrariamente a quanto ipotizzato dalla ricorrente Procura della Repubblica presso il Tribunale, deve escludersi che, nel caso di specie, «il principio di leale collaborazione potesse essere osservato solo con la rinuncia della Commissione a procedere “autonomamente”, ben potendo essere seguite – invece – altre strade, esse pure capaci di salvaguardare le prerogative di entrambi i poteri a confronto». Del resto, anche in quello che la Camera dei deputati indica come il leading case in materia (la sentenza n. 231 del 1975), si è riconosciuta l’ammissibilità di «accertamenti svolti o direttamente disposti dalla Commissione», ovvero di «atti da questa formati o direttamente disposti ai propri fini e secondo i propri metodi di lavoro». Diversamente opinando, e dunque imponendo alla Camera (e per essa alla Commissione d’inchiesta) «di declinare il principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato non già nei termini dell’informazione e della trasmissione o messa a disposizione di atti, documenti e beni», bensì «in quelli della congiunta esecuzione degli eventuali accertamenti», si finirebbe con il confondere tale principio «con l’interferenza in corso d’opera di un potere sull’altro».

8.¾ La Camera dei deputati ha depositato il 16 gennaio 2008 un’ulteriore memoria difensiva, e ciò sul presupposto che la sentenza n. 241 del 2007 «non precluda alle parti la produzione di scritti difensivi nell’imminenza dell’udienza», ai sensi di quanto previsto dagli artt. 10 e 26, comma 4, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Ciò premesso, la Camera rammenta di aver formulato eccezione di improcedibilità del conflitto per sopravvenuta carenza di interesse, e ciò in ragione del fatto che la ricorrente Procura della Repubblica risultava aver formulato una richiesta di archiviazione del procedimento finalizzato all’individuazione dei mandanti dell’omicidio della Alpi e del Hrovatin.

Orbene, le argomentazioni addotte a sostegno di tale eccezione – prosegue la Camera – debbono essere confermate, sebbene risulti da notizie di stampa che il Giudice per le indagini preliminari abbia «respinto la richiesta di archiviazione, concedendo sei mesi per lo svolgimento di ulteriori accertamenti». Difatti, nei giudizi per conflitto di attribuzione «l’interesse alla pronuncia sul conflitto si può desumere solo ed unicamente dagli atti e dai comportamenti delle parti del conflitto stesso».

Rilevante, invece, è la circostanza – sempre ad avviso della Camera dei deputati – che il G.i.p. romano sia stato indotto ad assumere la propria decisione sulla base degli elementi raccolti – all’esito dell’indagine tecnica espletata dal dr. Luzi – dalla Commissione parlamentare d’inchiesta. In tal modo il G.i.p. avrebbe, infatti, confermato quanto affermato dalla Camera – a sostegno della richiesta di rigetto del ricorso – in ordine alla piena utilizzabilità, nel procedimento penale, degli atti posti in essere dalla Commissione stessa.

All’udienza del 29 gennaio 2008 le parti hanno ribadito le rispettive conclusioni. In particolare, la ricorrente Procura della Repubblica ha chiesto che sia disposta l’acquisizione del provvedimento adottato dal G.i.p., a norma dell’art. 409, comma 4, del codice di procedura penale, ed ha chiesto, altresì, la secretazione del documento limitatamente a taluni punti.

La Corte costituzionale si è riservata di decidere in ordine all’acquisizione di tale documento, del quale ha disposto, comunque, la conservazione in plico presso la Cancelleria.

Considerato in diritto

1.— Viene nuovamente all’esame di questa Corte il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, già dichiarato ammissibile con ordinanza n. 73 del 2006, nonché oggetto di decisione non definitiva, adottata con sentenza n. 241 del 2007, quanto alle pregiudiziali eccezioni, sollevate dalla Camera dei deputati, di inammissibilità del conflitto «per nullità assoluta della notificazione, nonché di improcedibilità dello stesso per sopravvenuta carenza di interesse». Il conflitto è stato promosso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma nei confronti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Oggetto del giudizio è la richiesta di declaratoria di non spettanza alla predetta Commissione parlamentare – e per essa, ormai, alla Camera dei deputati, essendosi riconosciuto, nella citata sentenza n. 241 del 2007, che «nell’ipotesi di cessazione, per qualsiasi causa, del funzionamento della Commissione (quali, ad esempio, la scadenza del suo termine di durata o l’esaurimento della sua funzione), la legittimazione processuale ad agire o a resistere è riassunta dalla Camera medesima» – del potere di interferire nell’esercizio delle attribuzioni demandate dalla Costituzione alla ricorrente autorità giudiziaria, in particolare precludendole lo svolgimento congiunto degli accertamenti tecnici non ripetibili sulla vettura a bordo della quale la Alpi ed il Hrovatin si trovavano in occasione dell’attentato nel quale persero la vita.

La ricorrente, difatti, promuovendo un conflitto da menomazione, assume che il predetto organismo parlamentare abbia interferito – negandole la possibilità di partecipare all’accertamento tecnico non ripetibile disposto sulla vettura costituente “corpo di reato” – nell’attività ad essa istituzionalmente demandata e consistente nel «raccogliere tutti gli elementi necessari ai fini delle proprie determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale», con palese violazione del principio della obbligatorietà della stessa, «sancito dall’art. 112 della Costituzione», oltre che di quelli «di indipendenza ed autonomia della magistratura» (ex artt. 101, 104 e 107 Cost.).

Su tali basi, quindi, la ricorrente ha chiesto l’annullamento degli atti con i quali la predetta Commissione, in persona del suo Presidente, dopo aver conferito – con atto del 17 settembre 2005 (prot. n. 3490/ALPI) – incarico peritale per l’espletamento di accertamenti tecnici anche non ripetibili sulla autovettura, ha rifiutato di acconsentire alla partecipazione della ricorrente, agli accertamenti tecnici da espletarsi sulla stessa autovettura (nota del 21 settembre 2005, prot. n. 2005/0001389/SG-CIV).

2.— Così ricostruito l’oggetto del contendere, devono essere preliminarmente esaminate le ulteriori eccezioni pregiudiziali sollevate in questa fase di giudizio dalla Camera dei deputati.

La resistente assume, per un verso, che, dopo la richiesta della Procura della Repubblica di archiviazione del procedimento penale relativo all’individuazione dei mandanti del duplice omicidio (e ciò indipendentemente dal fatto che tale richiesta sia stata rigettata, a norma dell’art. 409, comma 4, del codice di procedura penale, dal Giudice per le indagini preliminari, giacché nei giudizi per conflitto di attribuzione «l’interesse alla pronuncia sul conflitto si può desumere solo ed unicamente dagli atti e dai comportamenti delle parti del conflitto stesso»), l’eventuale «annullamento degli atti impugnati sarebbe inutiliter datum». Ciò tenuto conto sia del fatto che il giudizio per conflitto di attribuzione deve riguardare «conflitti non astratti o ipotetici, ma attuali e concreti» (è citata, sul punto, l’ordinanza n. 404 del 2005), sia della circostanza che la Commissione parlamentare ha, comunque, messo a disposizione della ricorrente le risultanze dell’espletata consulenza.

Per altro verso, poi, è eccepita l’inammissibilità del ricorso in ragione di una presunta «contraddizione del petitum e della causa petendi», atteso che la ricorrente – sebbene lamenti di essere stata ostacolata nell’esercizio delle proprie attribuzioni costituzionalmente rilevanti – «svolge argomenti e, nel merito, formula domande che avrebbero senso solo in un conflitto da vindicatio potestatis», e non da menomazione, come lo stesso è stato invece espressamente qualificato nel ricorso.

3.— Entrambe le eccezioni sono destituite di fondamento.

3.1.— Quanto alla prima, infatti, è sufficiente osservare che, costituendo oggetto del conflitto proprio il riconoscimento della non spettanza alla Commissione parlamentare di inchiesta di interferire – attraverso la negazione della possibilità della ricorrente di partecipare agli accertamenti tecnici non ripetibili sulla vettura – nell’esercizio delle funzioni di indagini istituzionalmente spettanti all’autorità giudiziaria, le vicende successive all’assunzione di tale determinazione da parte dell’organo parlamentare si presentano prive di rilevanza rispetto al thema decidendum. E ciò vale tanto per la scelta compiuta dalla Procura della Repubblica di chiedere l’archiviazione a norma dell’art. 415, comma 1, cod. proc. pen. (e che giustifica la determinazione di questa Corte di non prendere neppure visione, attesa la sua irrilevanza ai fini della decisione, dell’ordinanza adottata dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma ex art. 409, comma 4, cod. proc. pen., atto di cui va disposta la restituzione in plico chiuso alla ricorrente), quanto per quella assunta dalla Commissione parlamentare di mettere a disposizione della Procura le risultanze della indagine tecnica autonomamente disposta.

In relazione, in particolare, a questa seconda circostanza, deve nuovamente ribadirsi che attraverso il presente conflitto la ricorrente autorità giudiziaria si duole di essere stata privata del potere di partecipare allo svolgimento dell’accertamento tecnico disposto dalla Commissione parlamentare (ciò che avrebbe permesso alla Procura di orientarne lo svolgimento anche verso temi d’indagine più immediatamente riconducibili a quelli oggetto delle proprie attribuzioni costituzionalmente rilevanti); sicché la possibilità di avvalersi ex post delle risultanze dell’indagine svolta dal tecnico nominato dall’organo parlamentare non può ritenersi idonea a soddisfare la pretesa fatta valere con il ricorso.

Sotto questo profilo è, quindi, evidente la diversità che intercorre tra la fattispecie ora in esame e quella in relazione alla quale è intervenuta l’ordinanza di questa Corte n. 404 del 2005, richiamata nelle sue difese dalla Camera dei deputati. In tale pronuncia, difatti, si è rilevato che «il compimento dell’ispezione, ai sensi dell’art. 244 e seguenti del codice di procedura penale, da parte dell’autorità giudiziaria ricorrente» – atto al quale il Presidente del Consiglio dei ministri si era inizialmente opposto, salvo successivamente mutare avviso, consentendo in via espressa al «Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tempio Pausania di accedere all’area già oggetto del provvedimento di apposizione del segreto di Stato» – «ha rimosso l’ostacolo frapposto all’esercizio del potere d’indagine spettante alla stessa autorità giudiziaria, così da far venir meno, allo stato, l’oggetto del conflitto».

Un’evenienza differente è, viceversa, quella verificatasi nel caso di specie, atteso che, pur a seguito della messa a disposizione dei risultati dell’accertamento espletato e della vettura oggetto dello stesso (recte: di ciò che resta di essa all’esito dell’indagine tecnica, anche in ragione della sua natura irripetibile), l’atto con cui la Commissione parlamentare ha rifiutato di accogliere la richiesta della ricorrente conserva inalterata la sua idoneità a menomare le attribuzioni della ricorrente.

3.2.— Né, d’altra parte, sussiste – con riferimento all’altra eccezione pregiudiziale sollevata dalla Camera dei deputati – alcuna «contraddizione» tra petitum e causa petendi del ricorso: la Procura della Repubblica di Roma non mira, infatti, né a contestare la competenza della Commissione di inchiesta, né a “rivendicare” per sé una competenza esclusiva, bensì solo a far accertare la menomazione delle proprie attribuzioni costituzionali derivante dalla scelta della Commissione parlamentare di negarle qualunque forma di partecipazione allo svolgimento di accertamenti tecnici che (anche) la ricorrente avrebbe potuto effettuare ai sensi dell’art. 360 cod. proc. pen.

4.— Nel merito il ricorso è fondato, nei limiti di seguito precisati.

4.1.— La Commissione d’inchiesta – certamente legittimata a disporre lo svolgimento di accertamenti tecnici non ripetibili, potendo nell’espletamento delle indagini e degli esami ad essa demandati esercitare gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria ex art. 82, secondo comma, Cost. (ciò che, quindi, esclude l’annullabilità della nota adottata il 17 settembre 2005 dal Presidente della predetta Commissione parlamentare e relativa al conferimento dell’incarico peritale) – avrebbe dovuto, però, salvaguardare le prerogative della ricorrente autorità giudiziaria, anch’essa titolare di un parallelo potere d’investigazione, costituzionalmente rilevante.

Del resto, non è senza significato – in tale prospettiva – che a norma dell’art. 371 cod. proc. pen., in caso di indagini collegate svolte da uffici diversi del pubblico ministero (e dunque da soggetti ordinariamente titolari di poteri investigativi), sia previsto non solo un reciproco coordinamento, al fine di assicurare «la speditezza, economia ed efficacia delle indagini medesime», ma anche la possibilità di «procedere, congiuntamente, al compimento di singoli atti». E alla suddetta disposizione del codice di rito penale deve essere, per certo, riconosciuta valenza di principio generale, come tale, applicabile ben oltre l’àmbito specifico suo proprio.

Che poi l’espletamento congiunto dell’atto di indagine fosse addirittura doveroso, nel caso di specie, è conclusione imposta dalla necessità di rispettare il principio di leale collaborazione.

4.2.— Rilevano in tale prospettiva, innanzitutto, le previsioni contenute sia nell’atto istitutivo della Commissione (art. 6, comma 3, della deliberazione della Camera 31 luglio 2003), sia nel suo regolamento interno (art. 22, comma 1, reg. interno approvato dalla Commissione nella seduta del 4 febbraio 2004), le quali, nel contemplare un «opportuno coordinamento» della Commissione «con le strutture giudiziarie», in particolare proprio per quanto concerne la nomina di consulenti ed esperti, hanno inteso confermare la necessità che anche le attività di indagine peritale dovessero essere espletate in applicazione del suddetto principio.

L’osservanza dello stesso avrebbe, dunque, imposto di accogliere la richiesta avanzata dalla Procura della Repubblica di Roma; ciò al fine evidente di consentire il più ampio spettro di indagine nella ricerca della verità dei fatti.

D’altronde, detta soluzione appariva come la sola conforme anche alla diversità di àmbiti e di funzioni che caratterizza i poteri d’indagine delle Commissioni parlamentari d’inchiesta e degli organi giudiziari; diversità che fa sì che, se anche il loro esercizio possa sovrapporsi, restino tuttavia sempre distinte le finalità al perseguimento delle quali i poteri stessi sono preordinati.

Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di chiarire che il compito delle Commissioni parlamentari d’inchiesta «non è di “giudicare”, ma solo di raccogliere notizie e dati necessari per l’esercizio delle funzioni delle Camere», attingendo così «lo scopo di mettere a disposizione delle Assemblee tutti gli elementi utili affinché queste possano, con piena cognizione delle situazioni di fatto, deliberare la propria linea di condotta, sia promuovendo misure legislative, sia invitando il Governo a adottare, per quanto di sua competenza, i provvedimenti del caso» (così, incisivamente, la sentenza n. 231 del 1975).

Orbene, è appunto la diversità degli scopi propri dei poteri d’indagine spettanti, rispettivamente, alle Commissioni parlamentari d’inchiesta ed agli organi della magistratura requirente, che impone di ritenere che l’esercizio degli uni non possa mai avvenire a danno degli altri (e viceversa); e dunque impone, altresì, di ribadire quanto già affermato da questa Corte, ovvero che «il normale corso della giustizia (…) non può essere paralizzato a mera discrezione degli organi parlamentari» (come, invece, avvenuto nel presente caso), «potendo e dovendo arrestarsi unicamente nel momento in cui l’esercizio di questa verrebbe illegittimamente ad incidere su fatti soggettivamente ed oggettivamente ad essa sottratti e in ordine ai quali sia stata ritenuta la competenza degli organi parlamentari» (sentenza n. 13 del 1975).

4.3.— Né, d’altra parte, può sostenersi – come invece ipotizzato dalla resistente Camera dei deputati – che l’accoglimento della richiesta di partecipazione agli accertamenti tecnici, formulata dalla Procura della Repubblica, equivarrebbe a snaturare il principio di leale collaborazione, finendo con il legittimare una «interferenza in corso d’opera di un potere sull’altro».

Se è vero, infatti, che il principio di leale collaborazione «per la sua elasticità consente di avere riguardo alla peculiarità delle singole situazioni» (sentenza n. 50 del 2005), deve rilevarsi come proprio le specifiche caratteristiche della presente fattispecie – e segnatamente il fatto che la Commissione di inchiesta avesse tra i propri compiti (art. 1 dell’atto istitutivo) anche quello, tipicamente investigativo, di «verificare la dinamica dei fatti» che «portarono all’omicidio» della Alpi e del Hrovatin – imponessero di accogliere la richiesta avanzata dalla Procura di semplice partecipazione agli accertamenti tecnici, non essendo la richiesta stessa diretta a “rivendicare” alcuna potestà esclusiva di indagine (interferendo, così, sulle prerogative costituzionali della Commissione), bensì solo a garantire l’integrità delle attribuzioni che, per dettato costituzionale, spettano all’autorità giudiziaria.

Alla luce delle considerazioni che precedono risulta violato il principio di leale collaborazione che deve sempre permeare di sé il rapporto tra poteri dello Stato e violati, di conseguenza, anche i parametri costituzionali, evocati nel ricorso, di cui agli artt. 101, 104, 107 e 112 Cost. Si deve pertanto riconoscere che non spettava alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin precludere lo svolgimento – che, come richiesto dalla ricorrente, avrebbe dovuto compiersi congiuntamente da parte dei due soggetti – di quell’attività di accertamento, il cui mancato espletamento, proprio per il suo carattere “non ripetibile” ex art. 360 cod. proc. pen., si è tradotto in una menomazione delle prerogative dell’organo requirente, con evidenti riflessi sul «normale corso» del procedimento ad esso demandato.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin adottare la nota del 21 settembre 2005 (prot. n. 2005/0001389/SG-CIV), con la quale è stato opposto il rifiuto alla richiesta, avanzata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Roma, di acconsentire allo svolgimento di accertamenti tecnici congiunti sull’autovettura corpo di reato, ed annulla, per l’effetto, tale atto.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 febbraio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 febbraio 2008.