Sentenza n. 289 del 2008

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SENTENZA N. 289

ANNO 2008

 

Commento alla decisione di

 

Antonio Brancasi

Continua l’inarrestabile cammino verso una concezione statalista del coordinamento finanziario?

 

(per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                             BILE               Presidente

- Giovanni Maria                 FLICK            Giudice

- Francesco                        AMIRANTE               "

- Ugo                                 DE SIERVO               "

- Paolo                               MADDALENA           "

- Alfio                                 FINOCCHIARO        "

- Alfonso                            QUARANTA              "

- Franco                             GALLO                      "

- Luigi                                 MAZZELLA               "

- Gaetano                           SILVESTRI                "

- Sabino                             CASSESE                   "

- Maria Rita                        SAULLE                     "

- Giuseppe                          TESAURO                  "

- Paolo Maria                     NAPOLITANO          "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 22, 26, 27 e 29 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, promossi con ricorsi delle Regione Veneto (2 ricorsi), Toscana e Friuli-Venezia Giulia, notificati il 31 agosto, il 26 settembre, il 5 e il 9 ottobre 2006, depositati in cancelleria l’11 e il 26 settembre, l’11 e 14 ottobre 2006 ed iscritti ai nn. 96, 99, 103 e 105 del registro ricorsi 2006.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 giugno 2008 il Giudice relatore Paolo Maddalena;

uditi gli avvocati Mario Bertolissi e Andrea Manzi per la Regione Veneto, Andrea Manzi per la Regione Toscana, Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia e l’avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Con ricorso notificato il 31 agosto 2006 e depositato nella cancelleria di questa Corte l’11 settembre 2006 (reg. ric. n. 96 del 2006), la Regione Veneto ha promosso questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), e, tra esse, degli artt. 22, 26 e 29.

L’art. 22 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, contiene disposizioni che stabiliscono la riduzione delle spese di funzionamento per enti ed organismi pubblici non territoriali.

Sancisce il comma 1 di tale articolo che «Gli stanziamenti per l’anno 2006 relativi a spese per consumi intermedi dei bilanci di enti ed organismi pubblici non territoriali, che adottano contabilità anche finanziaria, individuati ai sensi dell’art. 1, commi 5 e 6, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, con esclusione delle Aziende sanitarie ed ospedaliere, degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, dell’Istituto superiore di sanità, dell’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, dell’Agenzia italiana del farmaco, degli Istituti zooprofilattici sperimentali e delle istituzioni scolastiche, sono ridotti nella misura del 10 per cento, comunque nei limiti delle disponibilità non impegnate alla data di entrata in vigore del presente decreto. Per gli enti ed organismi pubblici che adottano una contabilità esclusivamente civilistica, i costi della produzione, individuati all’art. 2425, primo comma, lett. b), nn. 6), 7) e 8), del codice civile, previsti nei rispettivi budget 2006, concernenti i beni di consumo e servizi ed il godimento di beni di terzi, sono ridotti del 10 per cento. Le somme provenienti dalle riduzioni di cui al presente comma sono versate da ciascun ente, entro il mese di ottobre 2006, all’entrata del bilancio dello Stato, con imputazione al capo X, capitolo 2961».

Il comma 2 dello stesso art. 22 prevede poi che «Per le medesime voci di spesa e di costo indicate al comma 1, per il triennio 2007-2009, le previsioni non potranno superare l’ottanta per cento di quelle iniziali dell’anno 2006, fermo restando quanto previsto dal comma 57 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311. Le somme corrispondenti alla riduzione dei costi e delle spese per effetto del presente comma sono appositamente accantonate per essere versate da ciascun ente, entro il 30 giugno di ciascun anno, all’entrata del bilancio dello Stato, con imputazione al capo X, capitolo 2961. E’ fatto divieto alle Amministrazioni vigilanti di approvare i bilanci di enti ed organismi pubblici in cui gli amministratori non abbiano espressamente dichiarato nella relazione sulla gestione di avere ottemperamento alle disposizioni del presente articolo».

Ad avviso della ricorrente, tali disposizioni non sarebbero applicabili agli enti pubblici non territoriali regionali.

Se così non fosse, la disposizione denunciata si porrebbe in contrasto con gli artt. 117 e 119 della Costituzione.

Ad avviso della Regione Veneto, con la disposizione in oggetto il decreto-legge impugnato avrebbe posto per le Regioni vincoli puntuali ad una singola voce di spesa, eccedendo in tal modo dai limiti della competenza statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, e violando l’autonomia finanziaria di spesa delle Regioni di cui all’art. 119 della Costituzione.

La ricorrente ricorda che la Corte in numerose pronunce (ad esempio, nelle sentenze n. 376 del 2003, nn. 4, 36 e 390 del 2004, nn. 417 e 449 del 2005) ha avuto modo di precisare, dichiarando l’illegittimità costituzionale di norme statali, che lo Stato può legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio – anche se con ciò si determina inevitabilmente una limitazione indiretta dell’autonomia di spesa degli enti – purché ciò avvenga attraverso una disciplina di principio e per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari. Più precisamente, se l’imposizione di vincoli alle politiche di bilancio di Regioni ed enti locali vuole rimanere nell’ambito della legittimità costituzionale, essa dovrebbe avere ad oggetto o l’entità del disavanzo di parte corrente, oppure, ma solo in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale, la crescita della spesa corrente. Alla legge statale, pertanto, viene consentito di stabilire unicamente un limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa. La previsione da parte della legge statale di limiti all’entità di una singola voce di spesa non può essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica, in quanto pone un precetto specifico e puntuale sull’entità della spesa e si risolve perciò in una indebita invasione, da parte dello Stato, dell’area riservata alle autonomie regionali e locali, alle quali il legislatore nazionale può prescrivere criteri ed obiettivi, come, ad esempio, il contenimento della spesa pubblica, ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi.

Secondo la Regione Veneto, l’art. 22 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recando disposizioni che stabiliscono la riduzione delle spese di funzionamento per enti ed organismi pubblici non territoriali, se ritenuto applicabile agli enti non territoriali regionali, oltrepasserebbe i limiti imposti al legislatore statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, in violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.

Con l’art. 26 del medesimo decreto-legge sono stati previsti controlli e sanzioni per il mancato rispetto della regola sul contenimento delle spese da parte degli enti inseriti nel conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni.

La disposizione prevede che «In caso di mancato rispetto del limite di spesa annuale di cui all’art. 1, comma 57, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, da parte degli enti individuati ai sensi dei commi 5 e 6 del medesimo articolo, fatte salve le esclusioni previste dal predetto comma 57, i trasferimenti statali a qualsiasi titolo operati a favore di detti enti sono ridotti in misura pari alle eccedenze di spesa risultanti dai conti consuntivi relativi agli esercizi 2005, 2006 e 2007. Gli enti interessati che non ricevono contributi a carico del bilancio dello Stato sono tenuti a versare all’entrata del bilancio dello Stato, con imputazione al capo X, capitolo 2961, entro il 30 settembre rispettivamente degli anni 2006, 2007 e 2008, un importo pari alle eccedenze risultanti dai predetti conti consuntivi. Le amministrazioni vigilanti sono tenute a dare, rispettivamente, entro il 31 luglio degli anni 2006, 2007 e 2008, comunicazione delle predette eccedenze di spesa al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato».

Osserva la ricorrente che tale norma impone anche agli enti che non hanno ricevuto contributi statali il versamento delle eccedenze di spesa risultanti dai consuntivi degli anni 2005, 2006 e 2007 entro il 30 settembre di ogni anno. Si tratterebbe di una disposizione irragionevole, dato che essa stabilisce il medesimo obbligo sia per gli enti che hanno ricevuto i contributi statali sia per quelli che non li hanno ricevuti. Siffatta disciplina, sottraendo risorse al bilancio dell’ente senza una base logica giustificativa, violerebbe la sfera di autonomia finanziaria e contabile riconosciuta alle Regioni e agli enti locali e sarebbe contraria al principio di buon andamento dell’azione amministrativa.

Secondo la ricorrente, la norma in oggetto conterrebbe un precetto preciso (il versamento delle eccedenze di spesa, espressamente individuate, entro un termine stabilito), che richiede ai fini della propria concreta applicazione soltanto un’attività di materiale esecuzione. Non potrebbe quindi essere in alcun modo riconosciuta alla stessa la natura di norma di principio. Pertanto, l’art. 26 del decreto-legge impugnato violerebbe gli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.

Ad avviso della Regione Veneto, si porrebbe in contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione anche l’art. 29 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223.

Tale disposizione contiene norme di contenimento della spesa per commissioni, comitati ed organismi, che, ai sensi del comma 6, non trovano diretta applicazione alle Regioni, alle Province autonome, agli enti locali e agli enti del Servizio sanitario nazionale, ma per i quali costituiscono comunque «disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica».

Secondo la ricorrente, la formulazione di quest’ultima norma non sarebbe comunque in grado di impedire che le norme contenute nell’articolo citato abbiano la natura di disposizioni puntuali, capaci di porre in essere vincoli precisi alla spesa di Regioni ed enti locali.

Il comma 1 dell’art. 29 citato stabilisce che la spesa complessiva sostenuta dalle amministrazioni per organi collegiali e altri organismi, anche monocratici, comunque denominati, venga ridotta del trenta per cento rispetto a quella sostenuta nell’anno 2005 e prevede, da un lato, che le amministrazioni adottino con immediatezza, e comunque entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, le necessarie misure di adeguamento ai nuovi limiti di spesa, dall’altro lato, che tale riduzione si aggiunga a quella prevista dall’art. 1, comma 58, della legge 23 dicembre 2005, n. 266. Nei successivi commi 2 e 3 si stabiliscono, rispettivamente, per le amministrazioni statali e per quelle non statali, le modalità specifiche di riordino degli organismi con la individuazione della natura degli atti con cui le amministrazioni dovranno procedere e la statuizione dei relativi criteri. Si prevede inoltre che «gli organismi non individuati dai provvedimenti previsti dai commi 1 e 2 sono comunque soppressi» (comma 4) e che «scaduti i termini di cui ai commi 1, 2 e 3 senza che si sia provveduto agli adempimenti ivi previsti è fatto divieto alle amministrazioni di corrispondere compensi ai componenti degli organismi di cui al comma 1» (comma 5).

Ad avviso della Regione Veneto, le norme in oggetto, prevedendo riduzioni percentuali precise ad una singola voce di spesa e indicando le modalità di contenimento della medesima, stabilirebbero limiti precisi e stringenti all’autonomia finanziaria e di organizzazione delle Regioni e degli enti locali e sarebbero del tutto inidonee a svolgere la funzione di principi di coordinamento della finanza pubblica.

Non basterebbe, per ritenere conforme a Costituzione la relativa disciplina, che la norma si definisca disposizione di principio di coordinamento della finanza pubblica. Secondo la ricorrente, autoqualificazioni di tal fatta non esimono il legislatore statale dal rispettare i limiti costituzionali ad esso imposti a tutela dell’autonomia regionale. Affermare che le norme contenute nell’art. 29 del decreto-legge n. 223 del 2006, di natura estremamente puntuale, non si applicano a Regioni ed enti locali, qualificandole subito dopo come principi di coordinamento della finanza pubblica, significherebbe semplicemente – conclude la ricorrente – tentare di superare con un artifizio retorico i confini del potere legislativo statale in materia.

1.1. Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

Premette la difesa erariale che le disposizioni impugnate rispondono ad evidenti finalità di razionalizzazione e di contenimento della spesa pubblica, anche nella prospettiva del rispetto dei vincoli derivanti dal patto di stabilità, e trovano dunque generale fondamento nella competenza legislativa in materia di coordinamento della finanza pubblica.

In particolare, la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 22 del decreto-legge, relativo alla riduzione di spese di funzionamento per enti ed organismi non territoriali, sarebbe inammissibile, in quanto basata sulla mera eventualità (peraltro negata dalla Regione) che si tratti di disposizione applicabile agli enti pubblici non territoriali regionali.

Con riguardo alle censure mosse all’art. 26, concernente controlli e sanzioni per il mancato rispetto della regola sul contenimento della spesa, sarebbe inammissibile, ad avviso della difesa erariale, la questione prospettata in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, giacché la dedotta violazione dei principi di eguaglianza e di buon andamento non comporterebbe alcuna incisione, neppure indiretta, delle competenze attribuite dalla Costituzione alla Regione.

Con riferimento alla supposta violazione dell’art. 119 della Costituzione, l’Avvocatura osserva che l’art. 26 sanziona il mancato rispetto del limite di spesa annuale al fine, legittimo in sede di coordinamento della finanza pubblica, di assicurare la compatibilità con i vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale. Tale strumentalità escluderebbe qualsiasi violazione del principio – che si pretende di desumere dall’art. 119 della Costituzione – secondo il quale l’autonomia di spesa riconosciuta alle Regioni implicherebbe l’esclusione di ogni ingerenza statuale anche sotto forma di procedure e criteri di controllo della spesa pubblica regionale (sentenza n. 4 del 2004).

Con riguardo alla prospettata violazione dell’art. 118 della Costituzione, la difesa erariale esclude che una norma volta al contenimento della spesa pubblica intacchi l’autonomia amministrativa delle Regioni. La stessa Regione Veneto, del resto, non specificherebbe in quali aspetti l’art. 26 del decreto-legge n. 223 del 2006 sarebbe lesivo dell’art. 118 della Costituzione: il che renderebbe la censura inammissibile, prima ancora che infondata.

Infondata sarebbe la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 del decreto-legge, perché il comma 6 del medesimo articolo, riconducibile alla materia del coordinamento della finanza pubblica, riconosce che la puntuale disciplina contenuta nella disposizione non si applica in maniera diretta alle Regioni, per le quali essa rappresenta al contrario una mera norma di principio, con ciò rispettando la competenza concorrente.

2. Con ricorso notificato il 28 settembre 2006 e depositato nella cancelleria di questa Corte il 26 ottobre 2006 (reg. ric. n. 99 del 2006), la Regione Toscana ha promosso questione di legittimità costituzionale del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, impugnandone, tra gli altri, gli artt. 22 e 26.

L’art. 22 si porrebbe in contrasto con gli artt. 117 e 119 della Costituzione.

Nella disposizione denunciata, l’individuazione degli enti soggetti agli obblighi di riduzione delle spese è effettuata con il rinvio all’art. 1, commi 5 e 6, della legge 30 dicembre 2004, n. 311; la norma esclude espressamente le Aziende sanitarie ed ospedaliere, gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, l’Istituto superiore di sanità, l’Istituto superiore per la prevenzione e sicurezza del lavoro, l’Agenzia italiana del farmaco, gli Istituti zooprofilattici sperimentali, le istituzioni scolastiche, gli enti e gli organismi gestori delle aree naturali protette.

Osserva la ricorrente che l’elenco di cui al citato art. 1, comma 5, della legge n. 311 del 2004 ricomprende anche gli enti e le agenzie regionali (ad esempio: enti regionali per la ricerca e per l’ambiente, enti regionali di sviluppo, agenzie regionali del lavoro); pertanto, poiché il campo di applicazione della norma è definito mediante il rinvio agli enti ed organismi non territoriali di cui al suddetto elenco, le disposizioni dell’art. 22 in esame troverebbero applicazione anche per gli enti e le agenzie regionali, vale a dire per quegli enti che sono costituiti dalla Regione per lo svolgimento di propri compiti e funzioni. Questi enti, infatti, a differenza della Regione e degli enti locali, non sono enti territoriali – esclusi dall’ambito di operatività della norma – perché il territorio non è elemento costitutivo dei medesimi.

Il citato art. 22 – se si applica, come la sua letterale formulazione lascerebbe intendere, anche agli enti e alle agenzie regionali – sarebbe lesivo delle attribuzioni regionali. Con esso si porrebbe infatti un vincolo puntuale e specifico all’autonomia di spesa degli enti regionali, per i quali sono le Regioni competenti ad intervenire in via legislativa. In base allo statuto regionale, detti enti ed agenzie regionali sono strumenti per lo svolgimento di compiti della Regione e quindi rientrerebbe nella potestà organizzativa della Regione stessa disciplinare l’assetto e l’autonomia di spesa di tali organismi.

Incidere con vincoli puntuali di spesa sull’azione di tali enti significherebbe limitare l’attività della Regione stessa, della quale gli enti in questione costituiscono un braccio operativo.

L’art. 22 interferirebbe in primo luogo con l’autonomia organizzativa regionale costituzionalmente garantita ai sensi dell’art. 117 della Costituzione, il quale, al secondo comma, riserva alla potestà legislativa esclusiva statale la materia dell’ordinamento ed organizzazione amministrativa unicamente con riferimento allo Stato e agli enti pubblici nazionali; conseguentemente, competerebbe alle Regioni disciplinare, nell’esercizio della potestà legislativa residuale ai sensi dell’art. 117, quarto comma, l’ordinamento e l’organizzazione amministrativa della Regione e degli enti regionali.

L’art. 22, inoltre, lederebbe anche l’autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti regionali. La disposizione sarebbe analoga a quella che prevedeva simile riduzione nel 2004 (comma 11 dell’art. 1 della legge n. 191 del 2004), giudicata costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 417 del 2005. In particolare, in tale pronuncia è stata sottolineata – conformemente ad un orientamento già in precedenza espresso dalla Corte (sentenze nn. 36 e 390 del 2004) – l’illegittimità costituzionale delle norme che stabiliscono limiti specifici alle spese perché pongono vincoli che «non costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ma comportano una inammissibile ingerenza nell’autonomia degli enti quanto alla gestione della spesa».

Ricorda la ricorrente che, più di recente, la Corte (sentenza n. 449 del 2005) ha ribadito che la previsione, da parte della legge statale, di limiti all’entità di una singola voce di spesa della Regione non può essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica (ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.), perché pone un precetto specifico e puntuale sull’entità della spesa e si risolve perciò in una indebita invasione dell’area riservata dall’art. 119 Cost. alle autonomie delle Regioni e degli enti locali, cui la legge statale può prescrivere criteri ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica), ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi.

I suddetti principi non sarebbero rispettati nel caso in esame, perché le impugnate disposizioni limiterebbero in modo puntuale (con riduzioni del 10 e del 20) le spese per consumi intermedi anche degli enti ed aziende regionali. Tale violazione sarebbe ulteriormente confermata ed aggravata dalla previsione secondo cui i risparmi derivanti dalle imposte riduzioni di spesa devono essere versati al bilancio dello Stato. Quindi gli enti e le agenzie regionali devono ridurre le spese, ma non sono autonomi neppure nel decidere come utilizzare le somme accantonate, dovendo obbligatoriamente versarle al bilancio dello Stato. La violazione del predetto obbligo determina che l’ente vigilante (cioè la Regione, in rapporto agli enti regionali) non possa approvare i bilanci degli enti dipendenti. Si estenderebbe così una norma valevole per gli enti nazionali anche agli enti regionali, con conseguente violazione dell’autonomia finanziaria riconosciuta dall’art. 119 della Costituzione.

Anche l’art. 26 violerebbe gli artt. 117 e 119 della Costituzione.

In base a questa disposizione, gli enti che non hanno rispettato il limite di spesa di cui all’art. 1, comma 57, della legge n. 311 del 2004 devono riversare al bilancio dello Stato l’eccedenza risultante dai conti consuntivi.

L’art. 26, come il precedente art. 22, per il suo tenore letterale verrebbe ad applicarsi anche agli enti regionali, giacché gli enti destinatari dell’obbligo sono individuati con il richiamo agli enti di cui ai commi 5 e 6 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004, ed il comma 5 indica anche gli enti e le agenzie regionali.

Secondo la Regione Toscana, l’impugnato art. 26 sarebbe lesivo dell’autonomia organizzativa e finanziaria del sistema regionale, perché – al pari dell’art. 22 del medesimo decreto-legge – porrebbe obblighi e vincoli specifici alla spesa degli enti ed aziende regionali e perché imporrebbe di versare al bilancio statale i risparmi di tali organismi, in violazione degli articoli 117 e 119 della Costituzione.

2.1. Nel giudizio dinanzi alla Corte si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

La questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 sarebbe inammissibile, in quanto la disposizione impugnata non sarebbe applicabile agli enti pubblici non territoriali regionali, non contenendo la norma alcun riferimento espresso a questi ultimi, né potendosi ritenere che essa li riguardi in considerazione del loro inserimento nell’elenco richiamato.

In ogni caso la questione sarebbe infondata, giacché le misure introdotte dalla disposizione sarebbero motivate dalla necessità di far fronte alla situazione di emergenza dei conti pubblici, consistente nella semplice fissazione di limiti generali, sia all’entità del finanziamento che alla spesa corrente, la quale sarebbe perfettamente compatibile con i principi già enunciati in casi analoghi dalla Corte (è citata la sentenza n. 36 del 2004).

Analoghe considerazioni varrebbero, sia in termini di inammissibilità (essendo l’ambito soggettivo della norma identico a quello di cui all’art. 22) che di infondatezza, per quanto riguarda la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 del decreto-legge. In particolare, la sanzione per il mancato rispetto del limite di spesa annuale sarebbe giustificata dal fine, legittimo in sede di coordinamento della finanza pubblica, di assicurare la compatibilità con i vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale. Tale strumentalità escluderebbe qualsiasi violazione del principio – che si pretende di desumere dall’art. 119 della Costituzione – secondo il quale l’autonomia di spesa riconosciuta alle Regioni implicherebbe l’esclusione di ogni ingerenza statuale anche sotto forma di procedure e criteri di controllo della spesa pubblica regionale (sentenza n. 4 del 2004).

3. Con ricorso notificato il 5 ottobre 2006 e depositato nella cancelleria di questa Corte l’11 ottobre 2006 (reg. ric. n. 103 del 2006), la Regione Veneto ha promosso questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, impugnandone, tra gli altri, gli artt. 22, 26, 27 e 29.

Reiterando censure già mosse con il ricorso iscritto al n. 96 del registro ricorsi del 2006, la Regione Veneto sostiene che l’art. 22 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, recando disposizioni che stabiliscono la riduzione delle spese di funzionamento per enti ed organismi pubblici non territoriali, se ritenuto applicabile agli enti non territoriali regionali, oltrepasserebbe i limiti imposti al legislatore statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, in violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.

Ad avviso della ricorrente, l’art. 26 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, con cui sono stati previsti controlli e sanzioni per il mancato rispetto della regola sul contenimento delle spese da parte degli enti inseriti nel conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni, sarebbe dettato in violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 Cost.

La norma, imponendo anche agli enti che non hanno ricevuto contributi statali il versamento delle eccedenze di spesa risultanti dai consuntivi degli anni 2005, 2006 e 2007 entro il 30 settembre di ogni anno, sarebbe irragionevole, dato che stabilisce il medesimo obbligo sia per gli enti che hanno ricevuto i contributi statali sia per quelli che non li hanno ricevuti. Ribadendo quanto sostenuto in sede di impugnativa della medesima disposizione, anteriormente alla conversione in legge del decreto-legge, la ricorrente sostiene che un tal genere di disciplina, sottraendo risorse al bilancio dell’ente senza una base logica giustificativa, non sarebbe rispettosa della sfera di autonomia finanziaria e contabile riconosciuta alle Regioni e agli enti locali e sarebbe contraria al principio di buon andamento dell'azione amministrativa.

L’art. 27 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, prevede una ulteriore riduzione rispetto a quella prevista dalla finanziaria per il 2006 del limite di spesa annua per studi e incarichi di consulenza, per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e di rappresentanza sostenute dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, con l’esclusione di università, enti di ricerca e organismi equiparati. Con la modifica dei commi 9 e 10 dell’art. 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, l’ammontare delle spese in discorso non potrà infatti essere superiore al 40 per cento di quelle sostenute per il 2004.

Secondo la Regione ricorrente, questa norma, che fissa vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle Regioni e degli enti locali, non costituirebbe un principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione, e lederebbe pertanto l’autonomia finanziaria di spesa garantita dall’art. 119 della Costituzione. Al riguardo, la ricorrente richiama i principi espressi da questa Corte con la sentenza n. 417 del 2005.

La Regione Veneto impugna altresì, per contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, l’art. 29 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, reiterando le identiche censure sollevate, con il ricorso n. 96 del 2003, nei confronti del testo della medesima disposizione contenuta nel decreto-legge, anteriormente alla conversione in legge.

3.1. Anche in questo giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato.

La difesa erariale ribadisce le considerazioni già formulate, a confutazione delle doglianze della Regione, con l’atto di costituzione nel giudizio promosso nei confronti del decreto-legge, anteriormente alla conversione in legge.

Con riguardo alla censura relativa all’art. 27, l’Avvocatura rileva che nessuna doglianza era stata rivolta nei confronti della stessa disposizione contenuta nel decreto-legge, il quale sul punto non risulta modificato in sede di conversione, ed esprime il dubbio che la norma abbia inteso ridurre le spese in questione anche per Regioni ed enti locali.

4. Con ricorso notificato il 9 ottobre 2006 e depositato il successivo 14 ottobre (reg. ric. n. 105 del 2006), anche la Regione Friuli-Venezia Giulia ha impugnato, tra l’altro, l’art. 22, commi 1 e 2, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, deducendone il contrasto con gli artt. 3, 97, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, con l’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 e con gli artt. 4, numeri 1, 1-bis, 2, 3, 9, 10, 12, 13 e 14, 5, numeri 6, 8 e 9, e 48 dello statuto speciale.

Premette la Regione che la legge di conversione ha aggiunto nell’art. 1 del decreto-legge n. 223 del 2006 il comma 1-bis, recante una clausola di salvaguardia, in virtù della quale «le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano in conformità agli statuti speciali e alle relative norme di attuazione».

Secondo la ricorrente, ove si ritenga che, per effetto di tale clausola, l’impugnato art. 22 non debba applicarsi nella Regione Friuli-Venezia Giulia, vengono meno le ragioni di doglianza avanzate con il ricorso.

Ad avviso della ricorrente, l’art. 22, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 223 del 2006 introduce un vincolo puntuale di spesa ad enti pubblici collegati alla Regione Friuli-Venezia Giulia: così per l’Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA), una parte rilevante della cui dotazione finanziaria proviene dal bilancio regionale; per l’Agenzia regionale per il turismo, finanziata in via esclusiva con fondi del bilancio regionale; per gli Enti regionali per il diritto allo studio universitario di Trieste e Udine, la cui dotazione finanziaria comprende risorse finanziarie assegnate dalla Regione in via ordinaria e straordinaria; per l’Agenzia regionale del lavoro e della formazione professionale, anch’essa finanziata in gran parte dalla Regione.

La riduzione del 10 per cento delle spese di funzionamento di tali enti, per il 2006, e del 20 per cento, per il triennio 2007-2009, rappresenterebbe una rilevante ingerenza nella gestione di questi enti, sia per l’entità della riduzione sia per il carattere puntuale di essa, dato che la norma va a colpire una specifica categoria di spesa.

La ricorrente ricorda che la giurisprudenza costituzionale già più volte ha dichiarato l’illegittimità di vincoli puntuali di spesa, anche in relazione alle Regioni ordinarie, affermando che essi esorbitano dalla funzione di porre principi di coordinamento della finanza pubblica (sentenze n. 417 del 2005, n. 390 del 2004, n. 449 del 2005 e n. 88 del 2006).

Ad avviso della ricorrente, nei confronti della Regione Friuli-Venezia Giulia lo Stato non può stabilire vincoli alla spesa più stringenti di quelli che può disporre nei confronti delle Regioni ordinarie: in base all’art. 48 dello statuto, infatti, «la Regione ha una propria finanza, coordinata con quella dello Stato, in armonia con i principi della solidarietà nazionale».

Secondo la Regione Friuli-Venezia Giulia, le norme impugnate, comprimendo le spese di funzionamento degli enti collegati alla Regione e agli enti locali, ledono l’autonomia legislativa della Regione, dato che il finanziamento degli enti in questione è regolato con leggi regionali. Le materie di riferimento sarebbero, da un lato, l’«ordinamento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione» (art. 4, numero 1, dello statuto), e l’«ordinamento degli enti locali» (n. 1-bis), dall’altro le «istituzioni culturali, ricreative e sportive; musei e biblioteche di interesse locale e regionale» (art. 4, numero 14), le «istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza» (art. 5, numero 6), l’«ordinamento delle Casse di risparmio, delle Casse rurali; degli Enti aventi carattere locale o regionale per i finanziamenti delle attività economiche nella Regione» (numero 8) e l’«istituzione e ordinamento di Enti di carattere locale o regionale per lo studio di programmi di sviluppo economico» (numero 9). Rileverebbero, poi, in relazione all’ARPA, la competenza primaria in materia di ambiente (art. 4, numeri 2, 3, 9, 12 e 13); in relazione all’Agenzia regionale per il turismo, la competenza primaria in materia di turismo (art. 4, numero 10); in relazione agli Enti per il diritto allo studio universitario, la competenza piena nella relativa materia, spettante alla Regione Friuli-Venezia Giulia ex art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, e, in relazione all’Agenzia regionale del lavoro e della formazione professionale, la competenza concorrente in materia di tutela del lavoro e la competenza piena in materia di formazione professionale, spettanti ex art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001.

Le norme impugnate lederebbero anche l’autonomia organizzativa e finanziaria della Regione, in relazione all’organizzazione e all’attività degli enti collegati ad essa e agli enti locali. Il vincolo puntuale alle spese, infatti, si porrebbe in diretta contraddizione con il principio di autonomia delle scelte, a base sia dello statuto che del sistema costituzionale dell’autonomia finanziaria regionale.

Infine, la norma contenuta nell’art. 22, comma 2, ultimo periodo (che vieta «alle Amministrazioni vigilanti di approvare i bilanci di  enti ed organismi pubblici in cui gli amministratori non abbiano espressamente dichiarato nella relazione sulla gestione di avere  ottemperato alle disposizioni del presente articolo») lederebbe l’autonomia legislativa ed amministrativa della Regione, nelle materie sopra indicate, perché verrebbe a sanzionare un dovere  introdotto in modo illegittimo.

L’art. 22, commi 1 e 2, del decreto-legge n. 223 del 2006 recherebbe anche una lesione indiretta delle prerogative regionali, in quanto comprimerebbe l’autonomia regionale violando norme costituzionali non specificamente poste a garanzia dell’autonomia regionale.

La compressione dell’autonomia della Regione e degli enti ad essa collegati sarebbe operata in violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) e del principio di buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). Infatti, il comma 1 ha previsto una forte riduzione delle spese di funzionamento previste per il 2006 quando si era già nella seconda metà del 2006: con gravi e irragionevoli ripercussioni sulla funzionalità dell’ente. Il comma 2 ha disposto una riduzione ancora più forte (il 20) delle spese di funzionamento, assumendo come unico parametro la previsione fatta per il 2006 (che potrebbe essere appena sufficiente per il funzionamento dell’ente), senza alcun riferimento ad eventuali avanzi o alla congruità della quota assegnata alle spese di finanziamento o all’andamento delle gestioni passate. Si tratta di un taglio «secco», per dirottare risorse nelle casse statali, senza alcuna  considerazione delle esigenze di buon andamento degli enti interessati: di qui la violazione degli artt. 3 e 97 Cost.

In altre parole, il comma 1 ed il comma 2 sarebbero irragionevoli in  quanto richiedono la riduzione delle spese di funzionamento in una misura percentuale assoluta sull’importo di tale voce, senza la minima considerazione dei parametri oggettivi in base ai quali deve essere giudicata la consistenza di tale voce, parametri quali il rapporto con le spese non di funzionamento, la natura dell’ente, i risparmi di spesa in tale voce da esso già realizzati nel passato, i fattori di flessibilità o rigidità della voce stessa (se ad esempio l’intera voce si riferisse al pagamento degli stipendi del personale di ruolo la riduzione sarebbe impossibile o si tradurrebbe nell’obbligo di licenziare parte del personale, con lesione anche dell’autonomia organizzativa).

Infine, le norme impugnate risulterebbero irragionevoli perché colpirebbero una specifica voce di spesa, mentre sarebbe stato legittimo soltanto operare – semmai – una riduzione della spesa complessiva, lasciando all’ente e alla Regione la scelta delle specifiche spese da tagliare. Il mezzo scelto dal legislatore  statale, cioè, non rispetterebbe neppure il criterio di proporzionalità, in quanto si sarebbe potuto utilizzare un mezzo meno restrittivo per ottenere lo stesso fine.

4.1. L’Avvocatura generale dello Stato, costituitasi per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha concluso per l’inammissibilità e l’infondatezza della questione. La questione sarebbe inammissibile in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, trattandosi di parametri non relativi al riparto di competenze. Le disposizioni impugnate, ad avviso della difesa erariale, rispondono ad evidenti finalità di razionalizzazione e di contenimento della spesa pubblica, anche nella prospettiva del rispetto dei vincoli derivanti dal patto di stabilità, e trovano dunque generale fondamento nella competenza legislativa in materia di coordinamento della finanza pubblica. L’intervento legislativo sarebbe motivato dalla necessità di far fronte alla situazione di emergenza dei conti pubblici, e consiste nella semplice fissazione di limiti generali, sia all’entità del finanziamento sia alla spesa corrente.

In ogni caso, l’Avvocatura dubita della ammissibilità della censura sotto altro profilo, in quanto «non sembra trattarsi di disposizioni applicabili agli enti pubblici non territoriali regionali, non contenendo la norma alcun riferimento espresso a questi ultimi e, pertanto, non potendosi ritenere che la norma li riguardi in considerazione del loro inserimento nell’elenco in essa contemplato».

5. In prossimità dell’udienza pubblica, la Regione Veneto, la Regione Friuli-Venezia Giulia e il Presidente del Consiglio dei ministri hanno depositato memorie illustrative.

La Regione Veneto, nel sottolineare che la previsione da parte della legge statale di limiti all’entità di una singola voce di spesa non può essere considerata un principio fondamentale in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e di coordinamento della finanza pubblica, ribadisce che l’art. 22 individua quale oggetto del taglio non la crescita della spesa corrente, ma solo le spese per consumi intermedi.

A sua volta, l’art. 26 conterrebbe un precetto specifico, che richiede ai fini della propria concreta applicazione soltanto un’attività di materiale esecuzione.

Costituzionalmente illegittimo sarebbe altresì l’art. 27, per le stesse ragioni già espresse dalla Corte con la sentenza n. 417 del 2005.

Con riguardo all’art. 29, la Regione osserva che l’autoqualificazione come norma di principio è incompatibile con le statuizioni recate dalla disposizione denunciata, aventi un basso grado di astrattezza e contenenti una disciplina in sé compiuta.

Replicando alla difesa erariale, la Regione Friuli-Venezia Giulia osserva che il nesso dell’art. 22 con il patto di stabilità è del tutto generico, perché i limiti introdotti dalla norma denunciata colpiscono indiscriminatamente tutti gli enti pubblici non territoriali, eccetto quelli espressamente esclusi dalla disposizione.

La Regione prende atto che l’Avvocatura ha prospettato una interpretazione adeguatrice dell’art. 22, secondo la quale le norme impugnate non sarebbero applicabili agli enti pubblici non territoriali regionali. Ove tale fosse il senso da attribuire alla disposizione, verrebbe meno la ragione della censura.

L’Avvocatura dello Stato, ribadite le eccezioni preliminari di inammissibilità, osserva che, per le questioni aventi ad oggetto l’art. 22, comma 2, del decreto-legge, la materia del contendere deve ritenersi cessata, perché la norma denunciata – che per l’anno finanziario 2007 non ha avuto applicazione – è stata abrogata dall’art. 2, comma 625, della legge 24 dicembre 2007, n. 296.

Il comma 1 dell’art. 22 sarebbe una norma di contenimento della spesa, necessitata dalla situazione di emergenza dei conti pubblici, la cui legittimità è già stata riconosciuta ed affermata dalla giurisprudenza costituzionale.

Quanto all’art. 26, la norma non si riferirebbe alle Regioni, attesa l’espressa previsione contenuta nell’art. 1, comma 57, della legge n. 311 del 2004.

Secondo l’Avvocatura, l’art. 27 non si applicherebbe alle Regioni e agli enti locali, per espressa previsione dell’art. 1, comma 12, della legge n. 266 del 2005. La norma impugnata, comunque, risponde ad evidenti finalità di razionalizzazione e di contenimento della spesa pubblica.

Lo stesso varrebbe per l’art. 29, che, per espressa previsione contenuta nel comma 6, non trova diretta applicazione alle Regioni, alle Province autonome e agli enti locali.

Considerato in diritto

1. La Regione Veneto (reg. ric. nn. 96 e 103 del 2006), la Regione Toscana (reg. ric. n. 99 del 2006) e la Regione Friuli-Venezia Giulia, con quattro distinti ricorsi, hanno promosso questioni di legittimità costituzionale di numerose disposizioni del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), nel testo originario o nel testo risultante dalla legge di conversione 4 agosto 2006, n. 248.

In particolare, la Regione Veneto ha proposto in via principale, tra le altre, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 22, 26 e 29 del decreto-legge n. 223 del 2006, denunciando la violazione degli artt. 3, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.

Successivamente alla conversione in legge del menzionato decreto-legge, la medesima Regione Veneto ha proposto analoghe questioni contro le norme prima citate così come convertite dalla legge n. 248 del 2006 e contro l’art. 27.

La Regione Toscana ha proposto questioni di legittimità costituzionale degli artt. 22 e 26 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito in legge, denunciando la violazione degli artt. 117 e 119 della Costituzione.

Infine, la Regione Friuli-Venezia Giulia ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 del decreto-legge n. 223 del 2006, nel testo risultante dalla conversione in legge, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, agli artt. 4, numeri 1, 1-bis, 2, 3, 9, 10, 12, 13 e 14, 5, numeri 6, 8 e 9, e 48 dello statuto speciale, e agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

2. La trattazione delle indicate questioni di legittimità costituzionale viene qui separata da quella delle altre, promosse con i medesimi ricorsi, per le quali è opportuno procedere ad un esame distinto.

I giudizi, così separati e delimitati nell’oggetto, vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi in considerazione della analogia delle questioni prospettate.

3. Gli artt. 22, 26 e 29 del decreto-legge n. 223 del 2006 – impugnati dalla Regione Veneto con il primo ricorso – sono stati soltanto in parte modificati dalla legge di conversione, la quale ha introdotto innovazioni che, tuttavia, non incidono sul contenuto precettivo delle disposizioni, nei punti qui di interesse. Pertanto, lo scrutinio di costituzionalità va condotto avendo riguardo al testo di dette norme risultante dalla legge di conversione, tenendo conto delle argomentazioni svolte in entrambi i ricorsi (sentenza n. 430 del 2007), peraltro sostanzialmente identiche.

4. L’art. 22 del decreto-legge n. 223 del 2006, impugnato da tutte le Regioni ricorrenti, detta disposizioni per la riduzione delle spese di funzionamento di enti ed organismi pubblici non territoriali.

La disposizione si compone di due commi.

Il comma 1 prevede che gli stanziamenti per l’anno 2006 relativi a spese per consumi intermedi dei bilanci di enti ed organismi pubblici non territoriali che adottano contabilità anche finanziaria sono ridotti del 10 per cento, comunque nei limiti delle disponibilità non impegnate alla data di entrata in vigore del decreto-legge. Per gli enti ed organismi che adottano una contabilità esclusivamente civilistica i costi di produzione concernenti i beni di consumo e servizi ed il godimento di beni di terzi sono ridotti del 10 per cento. Le somme provenienti dalle suddette riduzioni sono versate da ciascun ente entro il mese di ottobre 2006 all’entrata del bilancio dello Stato.

Il comma 2, a sua volta, prevede, per le stesse voci di spesa di cui al comma precedente e per il triennio 2007-2009, l’obbligo di riduzione del 20 per cento delle previsioni di bilancio, rispetto alla spesa stanziata per l’anno 2006; è altresì stabilito che le amministrazioni vigilanti non possono approvare i bilanci degli enti ed organismi soggetti al suddetto obbligo, se i relativi amministratori non abbiano dichiarato nella relazione sulla gestione di aver ottemperato alle specifiche disposizioni introdotte. Anche in tale ipotesi le somme corrispondenti alla riduzione dei costi e delle spese sono accantonate da ciascun ente e poi versate, entro il 30 giugno di ogni anno, all'entrata del bilancio dello Stato.

Tutte le ricorrenti, nel prospettare la questione in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, lamentano che la norma denunciata porrebbe vincoli puntuali ad una singola voce di spesa, eccedendo dai limiti della competenza statale in materia di "coordinamento della finanza pubblica” e violando l’autonomia finanziaria di spesa degli enti regionali, per i quali sono le Regioni competenti ad intervenire in via legislativa. La Regione Friuli-Venezia Giulia, oltre a denunciare il contrasto con lo statuto speciale, prospetta la questione di costituzionalità in riferimento, altresì, agli artt. 3 e 97 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza e del buon andamento della pubblica amministrazione.

4.1. Ai fini dell’esame delle questioni aventi ad oggetto l’art. 22, occorre prendere preliminarmente in esame l’eccezione di inammissibilità formulata dall’Avvocatura generale dello Stato, basata sul rilievo che le stesse sarebbero prospettate in via meramente ipotetica, in ragione della mera eventualità (peraltro negata dalle Regioni) che si tratti di disposizione applicabile agli enti pubblici non territoriali regionali.

L’eccezione va respinta.

Questa Corte ha infatti già chiarito che, a differenza di quanto accade per il giudizio in via incidentale, il giudizio in via principale può concernere questioni sollevate sulla base di interpretazioni prospettate dal ricorrente come possibili. Il principio vale soprattutto nei casi in cui su una legge non si siano ancora formate prassi interpretative in grado di modellare o restringere il raggio delle sue astratte potenzialità applicative e le interpretazioni addotte dal ricorrente non siano implausibili e irragionevolmente scollegate dalle disposizioni impugnate così da far ritenere le questioni stesse del tutto astratte o pretestuose (sentenze n. 228 del 2003, n. 412 del 2004 e n. 449 del 2005).

Poiché nella specie il testo della disposizione impugnata consente, tra le altre, l’interpretazione censurata dalle ricorrenti, non v’è ostacolo allo scrutinio nel merito delle questioni.

4.2. Sempre in via preliminare, con riferimento alla questione promossa dalla Regione Friuli-Venezia Giulia, va escluso che la denunciata lesione delle competenze della ricorrente sia impedita dal comma 1-bis del decreto-legge n. 223 del 2006, introdotto dalla legge di conversione, ai cui sensi «Le disposizioni del presente decreto si applicano alle Regioni a statuto speciale e alle Province autonome di Trento e Bolzano in conformità agli statuti speciali e alle relative norme di attuazione». In proposito, deve ritenersi che la clausola di salvaguardia contenuta nel suddetto comma 1-bis è troppo generica per giustificare questa conclusione, tanto che in tale disposizione del decreto-legge non risulta neppure precisato quali norme dovrebbero considerarsi non applicabili alla ricorrente per incompatibilità con lo statuto speciale e con le relative norme di attuazione e quali, invece, dovrebbero ritenersi applicabili.

4.3. Ancora in via preliminare, va rilevato che le ragioni della controversia sono venute meno in relazione al comma 2 dell’art. 22, che riguarda la riduzione delle spese di funzionamento per enti ed organismi pubblici non territoriali nel triennio 2007-2009.

Successivamente alla proposizione dei ricorsi, infatti, l’art. 2, comma 625, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2008), ha abrogato il citato comma 2 dell’art. 22. Inoltre, la medesima disposizione censurata, sin dal momento della sua entrata in vigore e fino alla data della sua abrogazione, non ha prodotto alcun effetto, perché l’art. 4, comma 2, del decreto-legge 2 luglio 2007, n. 81 (Disposizioni urgenti in materia finanziaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2007, n. 127, ne aveva sospeso l’applicazione per tutto il 2007.

In ordine al citato comma 2, pertanto, deve constatarsi che è venuto meno l’interesse delle ricorrenti a coltivare l’impugnativa, sicché, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 451 del 2007), deve dichiararsi cessata la materia del contendere.

4.4. Quanto al comma 1 dell’art. 22, concernente la riduzione degli stanziamenti relativi a spese per consumi intermedi per l’anno 2006, occorre premettere, nel merito, che, per quanto concerne l’ambito soggettivo di applicazione, la disposizione denunciata fa riferimento agli enti e agli organi pubblici non territoriali individuati ai sensi dell’art. 1, commi 5 e 6, della legge finanziaria per il 2005 (legge 30 dicembre 2004, n. 311), ai fini dell’applicazione della regola generale di contenimento dell’incremento della spesa della pubblica amministrazione nel triennio 2005-2007. Si tratta degli enti ed organismi inseriti nel conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni, individuati, a decorrere dal 2006, da un elenco dell’ISTAT, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 31 luglio di ogni anno, con esclusione degli organi costituzionali e del Consiglio superiore della magistratura.

L’elenco delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato compilato dall’ISTAT, da considerarsi operante per il 2006, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 175 del 29 luglio 2005, e comprende espressamente anche enti ed organismi pubblici non territoriali regionali.

La disposizione, contenuta nel denunciato art. 22, volta a ridurre gli stanziamenti di spesa per consumi intermedi, deve, pertanto, intendersi riferita, salve le eccezioni tassativamente previste, a tutti gli enti ed organismi pubblici non territoriali, compresi quelli regionali.

Ciò posto, nella giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidato l’orientamento secondo cui norme statali che fissano limiti alla spesa di enti pubblici regionali possono qualificarsi princípi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 120 del 2008; n. 412 e n. 169 del 2007; n. 88 del 2006).

Contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, la disposizione denunciata risponde a entrambe dette condizioni.

La prima è soddisfatta, perché il censurato limite fissato dal legislatore ha natura transitoria, operando solo per l’anno 2006, e riguarda la spesa complessiva per consumi intermedi, cioè un rilevante aggregato della spesa di parte corrente, che costituisce una delle più frequenti e rilevanti cause del disavanzo pubblico. Il legislatore, dunque, ha perseguito generali obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, incidendo temporaneamente su una complessiva e non minuta voce di spesa (per una analoga fattispecie: sentenza n. 169 del 2007).

La seconda condizione è soddisfatta, perché la norma censurata non determina gli strumenti e le modalità per il perseguimento del predetto obiettivo, ma lascia liberi gli enti destinatari della prescrizione di individuare le misure necessarie al fine del contenimento della spesa per consumi intermedi.

La disposizione di cui al comma 1 dell’art. 22 del decreto-legge n. 223 del 2006 va qualificata, dunque, come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica: principio che, come più volte affermato da questa Corte, deve ritenersi applicabile anche alle autonomie speciali, in considerazione dell’obbligo generale di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, di contribuire all’azione di risanamento della finanza pubblica (sentenze n. 190 del 2008; n. 169 e n. 82 del 2007).

Né rileva il fatto che la riduzione degli stanziamenti sia imposta per lo stesso esercizio finanziario in corso. Il necessario concorso degli enti pubblici regionali alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, adottati con l’adesione al patto di stabilità e crescita definito in sede di Unione Europea, postula, infatti, che il legislatore statale possa intervenire sugli stanziamenti per l’anno in corso, qualora lo richieda il complessivo andamento dei conti pubblici, con il solo limite della palese arbitrarietà o della manifesta irragionevolezza della variazione. Tale limite nella specie non è superato, perché la norma denunciata, accanto al tetto del 10 per cento, prevede che in ogni caso la riduzione debba avvenire «nei limiti delle disponibilità non impegnate alla data di entrata in vigore» del decreto-legge.

Conseguentemente, vanno dichiarate non fondate le proposte questioni di legittimità costituzionale.

Deve essere dichiarata inammissibile la questione prospettata dalla Regione Friuli-Venezia Giulia in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Questa Corte ha più volte affermato che le Regioni possono far valere il contrasto con norme costituzionali diverse da quelle attributive di competenza solo ove esso si risolva in una lesione di sfere di competenza regionali (sentenze n. 190 del 2008, n. 401 del 2007 e n. 116 del 2006). Nella specie, le censure sono proposte in relazione a parametri non attinenti al riparto di competenze, senza che sia desunta la compressione di sfere di attribuzione regionale.

5. L’art. 26 del decreto-legge n. 223 del 2006 introduce un meccanismo sanzionatorio in caso di mancato rispetto del limite all’incremento delle spese degli enti pubblici non territoriali introdotto dall’art. 1, comma 57, della legge finanziaria per il 2005 (legge n. 311 del 2004). In particolare, si dispone che le amministrazioni vigilanti diano comunicazione al Ministero dell’economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, entro il 31 luglio di ciascuno degli anni 2006, 2007 e 2008, delle eccedenze di spese risultanti dai conti consuntivi, rispettivamente, del 2005, 2006 e 2007, riferiti agli enti tenuti al rispetto della indicata regola di contenimento delle spese. I trasferimenti erariali a qualsiasi titolo erogati in favore dei medesimi enti sono ridotti in misura pari alle eccedenze di spesa risultanti dai predetti conti consuntivi. Qualora gli enti interessati non risultino destinatari di trasferimenti, essi sono tenuti a versare l’importo corrispondente alle eccedenze stesse all’entrata del bilancio dello Stato (con imputazione al capo X, cap. 2961) entro il 30 settembre dell’anno successivo a quello in cui si è registrata l’eccedenza.

Le questioni di legittimità costituzionale – sollevate dalla Regione Veneto e dalla Regione Toscana in riferimento, rispettivamente, agli artt. 117, 118 e 119 e agli artt. 117 e 119 della Costituzione – non sono fondate.

Infatti, la norma denunciata si limita a prevedere, al fine di assicurare il rispetto in concreto di una legittima misura di coordinamento finanziario fissata dalla legge finanziaria per il 2005, una sanzione a carico degli enti che non rispettino il limite all’incremento delle spese degli enti non territoriali. Questa Corte ha più volte affermato che costituiscono principi di coordinamento della finanza pubblica le previsioni di sanzioni volte ad assicurare il rispetto di limiti complessivi di spesa, operanti nei confronti degli enti che abbiano superato i predetti limiti (sentenze n. 190 del 2008 e n. 412 del 2007).

Il versamento, poi, al bilancio dello Stato di un importo corrispondente alle maggiori spese effettuate rispetto al limite previsto, è giustificato dal fatto che gli enti in questione sono inseriti nel conto economico consolidato delle pubbliche amministrazioni.

Inammissibile è la questione sollevata dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, essendo evidente che si tratta di parametri estranei alle competenze della Regione.

6. E’ inammissibile per difetto di interesse la questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 27 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito dalla legge n. 248 del 2006, sollevata, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto.

L’art. 27 dispone una riduzione ulteriore del 10 per cento, rispetto a quella prevista dalla legge finanziaria per il 2006 (art. 1, comma 9, della legge n. 266 del 2005), delle spese delle pubbliche amministrazioni per: (a) studi ed incarichi di consulenza conferiti a soggetti estranei all’amministrazione; (b) relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità e rappresentanza.

Ma il comma 9 dell’art. 1 della legge finanziaria per il 2006, per previsione normativa, non si applica né alle Regioni né agli enti locali, secondo quanto dispone l’art. 1, comma 12, della legge n. 266 del 2005.

7. L’art. 29 del decreto-legge n. 223 del 2006 prevede la riduzione, a decorrere dal 2006, del 30 per cento della spesa complessiva sostenuta nel 2005 dalle amministrazioni pubbliche per il funzionamento degli organi collegiali. A tal fine le amministrazioni adottano entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge le necessarie misure di adeguamento ai nuovi limiti di spesa. Inoltre, con appositi atti regolamentari da emanare entro tre mesi dalla data medesima, si procede al riordino degli organismi operanti, anche mediante soppressione od accorpamento, con la finalità di realizzare le economie di spesa previste dalla norma in questione. Decorsi i termini predetti senza che si sia provveduto agli adempimenti relativi, è fatto divieto alle amministrazioni di corrispondere compensi ai componenti degli organi in esame.

La questione, promossa dalla Regione Veneto in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, è inammissibile per difetto di interesse.

Difatti, per espressa previsione normativa (comma 6 del denunciato art. 29), «Le disposizioni del presente articolo non trovano diretta applicazione alle Regioni, alle Province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica».

Ne deriva che i precetti specifici e puntuali previsti dalla disposizione denunciata non si riferiscono alle Regioni, le quali, mentre sono tenute a rispettare il solo obiettivo finanziario globale da essa disposto, sono libere nello stabilire strumenti e modalità per il conseguimento dello scopo divisato dal legislatore statale.

In quest’ambito la norma denunciata, che incide temporaneamente su una complessiva e non minuta voce di spesa, va qualificata come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione delle restanti questioni di legittimità costituzionale sollevate con i ricorsi indicati in epigrafe;

riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 1, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 26 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, promossa, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Regione Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe;

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, promossa, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 29 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, promosse, in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe;

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 1, del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, promosse: in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe; in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe; in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 e agli artt. 4, numeri 1, 1-bis, 2, 3, 9, 10, 12, 13 e 14, 5, numeri 6, 8 e 9, e 48 dello statuto speciale, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia con il ricorso indicato in epigrafe;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 26 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, promosse: in riferimento agli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe; e, in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe;

7) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma 2, del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 2006, promosse: in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe; in riferimento agli artt. 117 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso indicato in epigrafe; e, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, all’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 e agli artt. 4, numeri 1, 1-bis, 2, 3, 9, 10, 12, 13 e 14, 5, numeri 6, 8 e 9, e 48 dello statuto speciale, dalla Regione Friuli-Venezia Giulia con il ricorso indicato in epigrafe.

       Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 luglio 2008.