Sentenza n. 121 del 1966
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SENTENZA N. 121

ANNO 1966

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Antonino PAPALDO, Presidente

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI, 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, secondo comma, e 6, primo e secondo comma, del decreto legislativo del Presidente della Repubblica 6 maggio 1948, n. 655, promosso con ordinanza emessa il 1 luglio 1965 dalle Sezioni riunite della Corte dei conti per la Regione siciliana nel giudizio di parificazione dei rendiconti generali della Regione siciliana per gli esercizi finanziari 1958-59 e 1959-60 e dei rendiconti annessi, iscritta al n. 168 del Registro ordinanze 1965 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 223 del 4 settembre 1965.

Visti l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri e l'atto di costituzione del Presidente della Regione siciliana;

udita nell'udienza pubblica del 23 novembre 1966 la relazione del Giudice Aldo Sandulli;

uditi gli avvocati Francesco Santoro Passarelli, Salvatore Orlando Cascio e Massimo Severo Giannini, per il Presidente della Regione siciliana, e il sostituto avvocato generale dello Stato Giuseppe Guglielmi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza pronunciata e letta nell'udienza del 1 luglio 1965 le Sezioni della Corte dei conti per la Regione siciliana riunite in seduta congiunta in sede di giudizio di parificazione dei rendiconti generali di quella Regione per gli esercizi finanziari 1958-59 e 1959-60 e dei rendiconti annessi, rilevato che negli esercizi stessi erano stati sottoposti alla registrazione con riserva - con riflessi negativi sulle risultanze dei rendiconti - rispettivamente 164 e 1046 decreti dell'Amministrazione regionale, oltre a un decreto a contenuto normativo del Presidente della Regione (complessivamente 1211 decreti), ha sottoposto a questa Corte, su conforme richiesta del Procuratore generale, talune questioni circa la legittimità costituzionale degli artt. 2, secondo comma, e 6, primo e secondo comma, del decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 655, i quali prevedono la registrazione con riserva dei provvedimenti regionali da parte delle Sezioni riunite della Corte dei conti istituite presso la Regione siciliana e la comunicazione, quindicinale, da parte di tali sezioni, all'Assemblea regionale, dell'elenco delle registrazioni eseguite con riserva.

Osserva l'ordinanza che la riferita estensione ai provvedimenti della Regione siciliana dell'istituto della registrazione con riserva - il quale ha una sua ragion d'essere di ordine politico costituzionale per gli atti del Governo e si raccorda alla previsione costituzionale di una relazione da parte della Corte dei conti al Parlamento circa i risultati del controllo (art. 100 della Costituzione) - contrasta con le regole costituzionali riguardanti la Regione. Aquest'ultima é fatta, rispetto allo Stato, una posizione di sottordine, che investe la stessa Assemblea regionale (la quale non dispone - a differenza del Parlamento - di poteri di indirizzo politico generale, é soggetta, nell'esercizio della funzione legislativa, al controllo di merito del Parlamento, e inoltre può essere sciolta dal Governo: artt. 127 della Costituzione e 8 dello Statuto siciliano): onde l'Assemblea stessa non può essere collocata sullo stesso piano del Parlamento ai fini di un riesame politico dei provvedimenti sottoposti a registrazione con riserva. Per di più l'imporre alla Corte dei conti di riferire all'Assemblea regionale i risultati del controllo operato viene ad alterare la posizione fatta alla Corte dall'art. 100 della Costituzione, il quale stabilisce che essa riferisca al Parlamento circa l'esercizio del controllo.

Aggiunge l'ordinanza che le disposizioni impugnate si pongono altresì in contrasto con l'art. 125 della Costituzione, con il più generale principio costituzionale risultante anche dal carattere unitario dello Stato e con l'art. 23 dello Statuto siciliano, in base ai quali l'attività amministrativa della Regione non può sottrarsi al controllo dello Stato.

Le disposizioni impugnate appaiono poi tanto più evidentemente illegittime - osserva l'ordinanza -, in quanto attraverso la registrazione con riserva la Regione potrebbe sfuggire alle conseguenze delle dichiarazioni di illegittimità costituzionale delle proprie leggi e operare impunemente in ambiti assolutamente preclusi alla sua azione.

2. - L'ordinanza é stata notificata il 7 luglio 1965 al Presidente della Regione siciliana e l'8 luglio al Presidente del Consiglio dei Ministri; é stata comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento il 7 luglio; é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 223 del 4 settembre 1965.

Davanti a questa Corte si é costituito il Presidente della Regione siciliana con deduzioni depositate il 23 settembre 1965. Nel giudizio é altresì intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, con atto depositato l'8 settembre.

3. - La Regione eccepisce l'inammissibilità del presente giudizio costituzionale, stante la mancanza del procedimento a quo del carattere giurisdizionale: il giudizio di parificazione, avendo finalità di controllo nonostante che si svolga - secondo il disposto dell'art. 40 del T.U. sulla Corte dei conti - con le formalità della giurisdizione contenziosa, non sarebbe, ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sede idonea a promuovere un giudizio di legittimità costituzionale.

Nel merito, poi, la questione proposta non sarebbe fondata. Ciò in quanto nessuna disposizione costituzionale riserva allo Stato la possibilità di chiedere la registrazione con riserva escludendo la medesima possibilità per le Regioni. Al pari dello Stato anche le Regioni hanno potestà legislativa e di indirizzo politico; e quella della registrazione con riserva non é materia costituzionale. Di conseguenza allo stesso modo che una legge ordinaria può autorizzare la registrazione con riserva dei provvedimenti dello Stato, così una legge ordinaria può legittimamente autorizzarla per i provvedimenti regionali.

4. - Nell'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri l'Avvocatura dello Stato, pur riconoscendo la delicatezza della questione, e anzi aggiungendo che il punto di vista della incostituzionalità delle disposizioni che consentono alla Regione di chiedere la registrazione con riserva dei propri provvedimenti amministrativi potrebbe esser sostenuta anche con ulteriori argomenti, tra i quali quello secondo cui le disposizioni impugnate sarebbero praeter statutum, mostra tuttavia una certa propensione per la tesi che le disposizioni impugnate trarrebbero legittimazione dall'art. 23 dello Statuto siciliano, il quale, nell'istituire apposite Sezioni della Corte dei conti - opportunamente raccordate con gli organi centrali di tale organismo - per l'esercizio delle competenze d'istituto nei confronti della Regione siciliana, implicitamente avrebbero previsto che in tale sede la Regione possa avvalersi - come del resto si é avvalsa ormai per circa un ventennio - della registrazione con riserva.

Sulla base di tali considerazioni, e dopo avere aggiunto che la questione in esame "rischia di creare una breccia nell'intero sistema normativo" instaurato in Sicilia per dare attuazione all'art. 23 dello Statuto regionale, e di porre così" le premesse per la revisione integrale di tale sistema, con gravi ripercussioni e turbative dell'equilibrio raggiunto, nelle materie in esame, nei non facili rapporti tra lo Stato e la Regione Siciliana", l'Avvocatura suggerisce una soluzione ispirata al concetto di "conservare al massimo l'ordinamento giuridico esistente, quante volte sia possibile interpretare norme, di cui si denuncia l'illegittimità, in termini che ne consentano la compatibilità con la Costituzione". Obbiettivo che potrebbe esser conseguito nella specie attraverso l'affermazione che le disposizioni impugnate sarebbero non incompatibili coi precetti costituzionali sempre che - non diversamente dalla prassi seguita dallo Stato - l'istituto della registrazione con riserva venisse considerato come "un mezzo eccezionalissimo per attuare i supremi interessi della Regione in quelle materie nelle quali essa ha attribuzioni esclusive", senza trasformarsi invece in "un mezzo normale per eludere il controllo di legittimità che la Costituzione prevede".

Secondo l'Avvocatura la Corte potrebbe trarre ispirazione, in tale direzione, dai precedenti rappresentati dalla sentenza n. 78 del 1958, collegata con la precedente ordinanza n. 128 del 1957, nonché dalla sentenza n. 11 del 1965, collegata con la susseguente sentenza n. 52 dello stesso anno. Una pronunzia siffattamente concepita - essa conclude - "consentirebbe di mantenere in vita le norme denunciate, la cui conservazione risponderebbe anche ad esigenze politiche, evitando che la loro erronea interpretazione da parte degli organi regionali, con conseguente uso abnorme del potere conferito, determini una sostanziale permanente elusione del controllo affidato dalla Costituzione e dallo Statuto siciliano alla Corte dei conti".

5. - All'udienza di trattazione i difensori delle parti hanno illustrato le rispettive tesi e insistito nelle conclusioni già prese.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione non può essere attesa.

Con la sentenza n. 165 del 1963 questa Corte ebbe già a ritenere ammissibile, e decise nel merito, una questione di legittimità costituzionale proposta dalla Corte dei conti nel corso di un giudizio "di parificazione" ai sensi degli artt. 38 e seguenti del testo unico approvato con R.D. 12 luglio 1934, n. 1214. Invitata ora espressamente a pronunciarsi sul punto, essa non ritiene di modificare il proprio orientamento.

L'art. 40 del ricordato testo unico (le cui regole risalgono all'art. 32 della legge 14 agosto 1862, n. 800, e all'art. 84 del R.D. 5 ottobre 1862, n. 884) dispone che la pronuncia di competenza della Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato viene adottata da quel consesso a sezioni riunite "e con le formalità della sua giurisdizione contenziosa", e perciò, tra l'altro, previa trattazione in udienza pubblica, con la partecipazione del procuratore generale, in contraddittorio dei rappresentanti dell'Amministrazione.

La funzione di tale pronuncia risulta analiticamente specificata nell'art. 39, e consiste nel verificare se le entrate riscosse e versate, ed i resti da riscuotere e da versare risultanti dal rendiconto redatto dal Governo siano conformi ai dati esposti nei conti periodici e nei riassunti generali trasmessi alla Corte dai singoli Ministeri, e se le spese ordinate e pagate durante l'esercizio concordino con le scritture tenute o controllate dalla stessa Corte, nonché nell'accertare i residui passivi in base alle dimostrazioni allegate ai decreti ministeriali di impegno e alle scritture tenute dalla Corte. La pronuncia della Corte dei conti é definitiva e insindacabile, e viene trasmessa direttamente al Parlamento dalla Corte stessa (art. 100 della Costituzione), accompagnata da una relazione motivata (prevista dall'art. 41 del testo unico citato e dall'art. 79 della cosiddetta legge sulla contabilità generale dello Stato, R.D. 18 novembre 1923, n. 2440). Il Parlamento viene successivamente chiamato ad approvare a sua volta - nell'esercizio della sua autonoma funzione politica - il rendiconto governativo (art. 81, primo comma, della Costituzione), senza che ciò possa significare ingerenza nell'opera di riscontro giuridico espletata dalla Corte dei conti. Né potrebbe essere invocata in contrario la disposizione regolamentare riflettente il rendiconto, contenuta nell'art. 150 del R.D. 23 maggio 1924, n. 827, secondo la quale quell'atto, "una volta chiuso ed approvato per legge, é intangibile, né può essere modificato in nessuna delle sue parti".

Tali essendo la funzione e i caratteri della pronuncia della Corte dei conti e la procedura, non ritiene questa Corte di poter escludere nel giudizio in esame la presenza delle condizioni ipotizzate dall'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, per la proposizione davanti ad essa di questioni di legittimità costituzionale. Condizioni già riscontrate, tra l'altro, nei procedimenti di giurisdizione volontaria (sentenze nn. 4 del 1956, 5, 40, 129 del 1957, 24 del 1958) e nei procedimenti relativi ai ricorsi elettorali pendenti davanti ai Consigli comunali e provinciali (sentenze nn. 42, 43 e 44 del 1961, 92 del 1962, 93 del 1965), nonostante che in ordine al carattere giurisdizionale di essi fossero avanzati, nella dottrina, dubbi non meno sostanziosi di quelli avanzati per i procedimenti di cui ora si discute.

In proposito anzi questa Corte ritiene di dover ricordare l'affermazione, enunciata nella sentenza n. 129 del 1957, che "il preminente interesse pubblico della certezza del diritto (che i dubbi di costituzionalità insidierebbero), insieme con l'altro dell'osservanza della Costituzione, vieta che dalla distinzione tra le varie categorie di giudizi e processi (categorie del resto dai confini sovente incerti e contrastanti), si traggano conseguenze così gravi", quale l'esclusione della proponibilità di questioni di legittimità costituzionale.

Ciò premesso, e tenendo presente che sotto il profilo in esame il giudizio della Corte dei conti sul rendiconto generale della Regione siciliana, previsto dagli artt. 2, n. 2, e 6, terzo comma, del decreto legislativo del Presidente della Repubblica 6 maggio 1948, n. 655, non si differenzia dal giudizio sul rendiconto generale dello Stato, questa Corte ritiene infondata l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione.

2. - Passando al merito, la Corte ritiene che la questione proposta dall'ordinanza di rimessione sia fondata.

L'istituto della registrazione con riserva, da parte della Corte dei conti, dei provvedimenti governativi e amministrativi, da essa giudicati illegittimi, che il Consiglio dei Ministri ritenga debbano nondimeno "aver corso" (art. 25 del T.U. 12 luglio 1934, n. 1214), ha remota origine; e, pur con caratteri rinnovati dal fatto di vivere ormai in un sistema costituzionale che ha nel principio di legalità uno dei suoi cardini, continua ad assolvere una sua utile funzione nell'attuale ordinamento (nel quale, del resto, opportunamente, il Governo non suole farvi ricorso se non in casi oltremodo rari, e con notevole moderazione).

La deroga che tale istituto comporta al principio della non eseguibilità degli atti del Governo o dell'Amministrazione dello Stato ritenuti non legittimi dall'organo preposto al controllo giuridico ha il suo tradizionale contrappeso - almeno sul piano normativo - nell'immediato, istituzionale, assoggettamento del provvedimento registrato con riserva al controllo politico del Parlamento.

Orbene, alla stregua del sistema costituzionale vigente, un congegno siffatto non si addice al controllo dello Stato nei confronti delle Regioni.

Per quanto dotate di autonomia politica e di potestà legislativa, le Regioni sono infatti enti collocati, in seno a tale sistema, su un piano diverso rispetto allo Stato: questo ultimo si trova, di fronte alle Regioni, in una posizione di evidente preminenza (più volte constatata da questa Corte: si vedano la sentenza n. 66 del 1964 e quelle precedenti in essa ricordate), nel cui contesto assumono un particolare rilievo i poteri di controllo dello Stato sugli organi e sugli atti delle Regioni.

In un sistema siffatto, da un lato, la surrogabilità del controllo politico del Parlamento, e degli effetti propri di esso, a quello giuridico dell'organo istituzionalmente competente per questo ultimo, e agli effetti propri di tale controllo, comporterebbe il rischio - incompatibile col sistema - di una compressione dell'autonomia regionale a opera dei centri di direzione politica dello Stato. Dall'altro, la surrogabilità dell'anzidetto controllo giuridico, e degli effetti di esso, col controllo politico dell'Assemblea regionale, si risolverebbe nell'ammissione - altrettanto incompatibile col sistema - che la Regione si sottragga, a propria discrezione, al controllo dello Stato e ai suoi effetti.

Di qui l'impossibilità assoluta di inserire l'istituto della registrazione con riserva nel quadro dei controlli sugli atti delle Regioni.

3. - In tale prospettiva va considerata la disposizione dell'art. 23, secondo comma, dello Statuto della Regione siciliana, che demanda alla Corte dei conti il controllo amministrativo e contabile nei confronti di quella Regione.

La disposizione ha avuto attuazione attraverso il ricordato decreto legislativo n. 655 del 1948, il cui art. 2, n. 1, ha attribuito alla Sezione di controllo della Corte dei conti decentrata in Sicilia "il controllo sugli atti del Governo e dell'Amministrazione regionale".

Per tale via é stato realizzato, nei confronti di questi atti, un controllo preventivo di legittimità di tipo corrispondente a quello previsto dagli artt. 17 e seguenti del T.U. 12 luglio 1934, n. 1214, per il sindacato, da parte della Corte dei conti, degli atti dello Stato, e cioè un controllo da esercitare attraverso la sottoposizione degli atti stessi al visto e alla registrazione, ai quali la Corte dei conti fa luogo solo nel caso che riconosca legittimi gli atti, mentre quelli che non siano riconosciuti tali e non ottengano il visto e la registrazione non possono esser portati a esecuzione.

L'inserzione, in tale normativa, della registrazione con riserva, che il secondo comma dell'art. 2 e il primo comma, primo periodo, dell'art. 6 del decreto legislativo del 1948 autorizzano gli assessori e il Governo regionale a ottenere dalla Corte dei conti - mentre il secondo comma dell'art. 6 aggiunge che la Corte trasmette all'Assemblea regionale l'elenco delle registrazioni eseguite con riserva, accompagnato dalle deliberazioni relative -, risulta però assolutamente incompatibile col descritto sistema costituzionale. In tal modo viene a esser consentita infatti agli organi della Regione la possibilità di sottrarre del tutto, di propria libera iniziativa, agli effetti del controllo preventivo dello Stato, atti che altrimenti vi sarebbero esposti, e che per regola costituzionale non possono sfuggire al controllo statale.

Con la conseguenza che possono avere esecuzione, nonostante l'illegittimità riscontrata dall'organo del controllo, atti contrari a leggi regionali e statali e persino a leggi costituzionali e a sentenze costituzionali.

É evidente, poi, che una tanto grave alterazione del sistema non può esser considerata né riparata, né limitata, dall'assoggettamento dei provvedimenti sottratti agli effetti sfavorevoli del controllo giuridico della Corte dei conti al controllo politico dell'Assemblea regionale, che non é un organo dello Stato.

Le considerazioni che precedono appaiono sufficienti alla dichiarazione della illegittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 2 e del primo comma, primo periodo, dell'art. 6 del più volte ricordato decreto legislativo del 1948 - limitatamente alla parte in cui consentono, rispettivamente, al Governo regionale di richiedere, e alle Sezioni regionali riunite della Corte dei conti di disporre, la registrazione degli atti ritenuti illegittimi in sede di controllo e l'apposizione del visto con riserva -, nonché dell'intero secondo comma dell'art. 6 del medesimo decreto.

4. - La Corte ritiene opportuno aggiungere che dalla caducazione delle anzidette disposizioni non derivano all'autonomia della Regione - quando l'esercizio di questa venga mantenuto, come é doveroso, nei limiti della legalità - conseguenze di grave momento.

Innanzi tutto, una volta depurati della parte riflettente la registrazione con riserva, il secondo comma dell'art. 2 e il primo periodo del primo comma dell'art. 6 sono pur sempre in grado di assolvere alla esigenza di consentire che le Sezioni regionali riunite della Corte dei conti procedano a un ulteriore e più ponderato vaglio di quegli atti, che, ritenuti illegittimi in sede di primo riscontro, il Governo regionale ritenga di sottoporre ad esse al fine di ottenerne, nel caso di accertata legittimità, la registrazione dapprincipio ricusata. E ciò non diversamente da quanto é previsto per altre Regioni dall'art. 25 del D.P.R. 19 maggio 1949, n. 250, e dall'art. 77 del D.P.R. 30 giugno 1961, n. 574.

Nei confronti delle determinazioni definitive sfavorevoli dell'organo statale di controllo é comunque da ritenere aperta alla Regione la possibilità di promuovere davanti a questa Corte - quando ne ricorrano le condizioni - un conflitto di attribuzione, al fine di ottenere per tale via il ripristino della legalità eventualmente lesa con sacrificio della sua sfera d'azione. In tal modo, anche alla luce della successiva evoluzione giurisprudenziale in materia di conflitti di attribuzione, e in particolare delle prospettive accolte con la sentenza n. 66 del 1964, questa Corte ritiene di dare più adeguata soluzione a un problema risolto altrimenti nella non più recente sentenza n. 20 del 1957.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale delle disposizioni dell'art. 2, secondo comma, e dell'art. 6, primo comma, primo periodo, del decreto legislativo del Presidente della Repubblica 6 maggio 1948, n. 655 - limitatamente alla parte in cui consentono, rispettivamente, al Governo regionale di richiedere, e alle Sezioni regionali riunite della Corte dei conti di disporre, la registrazione degli atti ritenuti illegittimi in sede di controllo e l'apposizione del visto con riserva -, nonché dell'intero secondo comma dell'art. 6 del medesimo decreto.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 1966.

 

 

Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO Luigi OGGIONI 

 

 

Depositata in cancelleria il 19 dicembre 1966.