Sentenza n. 44 del 1961
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SENTENZA N. 44

ANNO 1961

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI, 

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 72, sesto comma, del T.U. approvato con D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 29 dicembre 1960 dal Consiglio comunale di Castellammare di Stabia, su ricorso di Viscardi Mariano, iscritta al n. 8 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 57 del 4 marzo 1961;

2) ordinanza emessa il 28 gennaio 1961 dal Consiglio comunale di Marano di Napoli su ricorso di Guarino Giuseppe e Quaranta Giuliano,

iscritta al n. 36 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 83 del 10 aprile 1961.

Viste le dichiarazioni di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 24 maggio 1961 la relazione del Giudice Giuseppe Branca;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Stefano Varvesi, per il Presidente del Consiglio dei Ministri.  

Ritenuto in fatto 

1. - Il dott. Viscardi aveva presentato ricorso al Consiglio comunale di Castellammare di Stabia avverso le operazioni elettorali del Comune, assumendo la nullità delle dichiarazioni di accettazione dei candidati della lista comunista e la nullità della dichiarazione di presentazione della stessa lista. Chiedeva, pertanto, che si correggessero i risultati delle elezioni e si attribuissero alle altre liste i sedici posti già assegnati ai candidati comunisti.

Il Consiglio comunale rilevava che, nel caso in cui avesse accolto il ricorso, avrebbe dovuto effettivamente procedere, a norma dell'art. 84 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, alla redistribuzione dei seggi, rimasti vacanti, seguendo il criterio indicato dall'art. 72, sesto comma, della stessa legge; ma, siccome era stata sollevata eccezione di illegittimità costituzionale di questo comma in riferimento all'art. 48, secondo comma, della Costituzione, sospendeva l'esame del ricorso e rimetteva gli atti alla Corte costituzionale con ordinanza pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 4 marzo 1961. Secondo l'ordinanza la redistribuzione dei posti eccedenti o comunque rimasti vacanti violerebbe i principi della personalità, dell'uguaglianza, della libertà e della segretezza del voto sanciti dalla richiamata norma costituzionale.

Il Presidente del Consiglio dei Ministri si costituiva, per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con deduzioni depositate il 27 gennaio 1961 e presentava una memoria depositata il 10 maggio 1961.

2. - Le deduzioni si aprono con un'eccezione di inammissibilità avanzata per il caso in cui questa Corte dovesse ritenere che il Consiglio comunale, anche quando giudica dei ricorsi in materia elettorale, adempie a funzioni non giurisdizionali, ma amministrative: infatti, un organo che svolge soltanto funzioni amministrative non può rimettere questioni di legittimità alla Corte costituzionale.

Nel merito, la Presidenza del Consiglio rileva che la norma impugnata costituisce un'integrazione necessaria del sistema dello scrutinio di lista con rappresentanza proporzionale consacrato negli altri commi dello stesso art. 72 del D.P.R. n. 570 del 1960: il sesto comma consente il funzionamento del sistema anche nei casi abnormi in cui una lista non abbia potuto utilizzare alcuni posti che pure le sarebbero spettati: essi si redistribuiscono fra le altre liste, appunto, col criterio della proporzionalità.

L'art. 48 della Costituzione sarebbe assolutamente estraneo alla controversia, poiché la norma impugnata non ha alcun riferimento con la personalità e l'uguaglianza, la libertà e la segretezza del voto: essa attiene alla conseguenza e non all'esercizio del suffragio elettorale. D'altra parte, se un certo numero di voti affluiti ad una lista non può essere utilizzato da questa per effetto della sua composizione, la norma, che si preoccupa di utilizzare tali voti redistribuendoli fra le altre liste, porta riparo ad un inconveniente e non opera alcuna effettiva deviazione del suffragio.

La mancata utilizzazione dei voti, secondo la Presidenza del Consiglio, non é addebitabile alla legge impugnata, ma al comportamento di quegli elettori che hanno votato una lista rimasta estranea, per fatto proprio, alla competizione elettorale.

Nella memoria la Presidenza del Consiglio pone in dubbio la rilevanza della questione di legittimità costituzionale rimessa a questa Corte: infatti, il citato sesto comma dell'art. 72 si riferisce al caso in cui alcuni posti non possono essere utilizzati da una lista e non a quello in cui tutta la lista, per irregolarità avvenute nelle operazioni elettorali, venga a cadere: in questa seconda ipotesi la correzione dei risultati elettorali si fa, se mai, a norma del quinto comma, che non é stato impugnato: perciò la questione di legittimità costituzionale relativa al sesto comma non avrebbe alcuna rilevanza nel giudizio che il Consiglio comunale deve emettere in applicazione non di esso, ma di una norma diversa.

3. - La seconda causa s'é aperta con un ricorso al Comune di Marano di Napoli promosso dai signori Quaranta e Guarino: l'ordinanza di rinvio del Consiglio comunale, le deduzioni e la memoria della Presidenza del Consiglio hanno un contenuto analogo a quello degli atti relativi alla prima causa e la norma impugnata é la stessa.

L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 1 aprile 1961, le deduzioni e la memoria sono state depositate rispettivamente il 20 marzo e il 10 maggio 1961.

4. - Nella discussione orale l'Avvocatura generale dello Stato si é limitata a ricordare qualche precedente nelle decisioni della Corte costituzionale relative a eccezioni di non rilevanza analoghe a quella proposta in questa causa.  

Considerato in diritto 

1. - Le due cause, che sono state congiuntamente discusse, avendo ad oggetto la stessa questione, devono essere decise con un'unica pronuncia.

2. - L'eccezione di inammissibilità, proposta innanzi tutto dall'Avvocatura generale dello Stato, non può essere accolta, così come non é stata accolta in una precedente sentenza (n. 42 del 3 luglio 1961): infatti, una lunga tradizione dottrinaria e giurisprudenziale, fin dal secolo scorso, riconosce natura giurisdizionale ai procedimenti che si svolgono presso i Consigli comunali su ricorsi di cittadini in materia elettorale. Essi presentano anomalie e singolarità rispetto ai giudizi celebrati dinanzi alla Magistratura ordinaria o alle giurisdizioni amministrative; ma le singolarità di per sé non sono tali da caratterizzare questa attività dei Consigli come amministrativa e non giurisdizionale, mentre le stesse anomalie (avocazione, quattro gradi di giurisdizione, ecc.) derivano dal carattere speciale, anzi misto, della giurisdizione elettorale. Le une e le altre del resto non hanno impedito a questa Corte di qualificare come organi giurisdizionali le Commissioni distrettuali tributarie, i cui giudizi, fra l'altro, passano attraverso più di tre gradi di giurisdizione.

3. - La Corte non può accogliere neanche l'altra eccezione, secondo cui, poiché la norma impugnata non é quella che il giudice a quo deve applicare nel caso di specie, mancherebbe la rilevanza della questione di legittimità costituzionale proposta nelle due ordinanze di rinvio. I Consigli comunali hanno ritenuto di poter giudicare dei ricorsi applicando il sesto comma dell'art. 72 del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, di modo che non si può negare che abbiano compiuto un'indagine, sia pure rapida e sommaria, sulla rilevanza: il che é sufficiente per avviare il giudizio di legittimità costituzionale della norma, poco importante se essa poi, anche in virtù della presente sentenza della Corte, risulterà male addotta ai fini di decidere, presso i Consigli comunali, le cause nel merito.

4. - Un giudizio relativo alla legittimità costituzionale del l'art. 72, sesto comma, del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, presuppone ovviamente che si dia della norma l'interpretazione più esatta; interpretazione che, secondo questa Corte, non coincide con quella a cui mostrano di accedere le ordinanze di rinvio. In realtà l'art. 72, sesto comma, disciplina solo il caso in cui una lista elettorale contenga un numero di candidati inferiore al numero dei seggi che, per effetto delle risultanze elettorali, le dovrebbero essere assegnati. Esso non si estende, né risulta che la giurisprudenza l'abbia esteso, ad altre ipotesi, come quella, su cui si dovranno pronunciare i Consigli comunali di Castellammare e di Marano, d'una lista che, per irregolarità della sua presentazione, venga totalmente a cadere perdendo tutti i seggi che altrimenti le sarebbero spettati (in questo caso non c'é dubbio che occorra ripetere le elezioni); e neppure sembra riferibile senz'altro alla fattispecie, anch'essa non esplicitamente disciplinata dal legislatore, d'una lista che, ad operazioni compiute, si trovi con un numero di candidati insufficiente per ineleggibilità e incompatibilità che riguardino alcuni di loro.

Non si può negare che, quando un vizio colpisca le operazioni elettorali, la regola sia l'annullamento e che questo renda necessaria una nuova consultazione degli elettori. Lo si evince sia dai principi generali che dominano la materia delle giurisdizioni di legittimità, per cui l'atto viziato di massima viene posto nel nulla invece d'essere corretto o sostituito, sia dalla stessa legge elettorale, dove l'intervento correttivo é consentito soltanto "secondo i casi", cioè solo quando il vizio delle operazioni apparisca tale che i risultati delle elezioni, senza di esso, non sarebbero potuti essere differenti nei rapporti fra le liste (artt. 84, 77 del citato D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570).

La così detta correzione dei risultati é atto di innegabile gravità poiché porta ad assegnare alcuni seggi a persone diverse da quelle a cui sarebbero spettati e persino a componenti di altre liste; perciò non é ammessa se non nei casi espressamente indicati dalla legge, fra i quali é anche quello previsto dalla norma impugnata e che, costituendo altrettante eccezioni, non sono suscettibili di estensione analogica.

5. - Si assume, tuttavia, che questa norma violerebbe l'art. 48, secondo comma, della Costituzione, secondo cui il voto é personale, uguale, libero e segreto. Ma l'attribuzione di seggi a candidati di liste diverse da quella a cui spetterebbero, così come é preveduta nel sesto comma dell'articolo, non contrasta con la personalità, la libertà e la segretezza del voto: il diritto di voto, infatti, é stato già esercitato quando si fa la distribuzione dei seggi a norma di quel comma, né questa distribuzione rende non personale o coatto o palese il suffragio che, invece, si sia dato personalmente, liberamente e segretamente.

La Corte costituzionale ritiene, inoltre, che la norma impugnata non contrasti neanche col principio della uguaglianza del voto. É vero che agli elettori della lista, i cui candidati siano in numero inferiore ai seggi da assegnarle, sembrerebbe essere fatta una disparità di trattamento rispetto agli elettori delle altre, come se i voti di queste ultime contassero più di quelli dati alla lista insufficiente. Tuttavia, quando si riduca l'art. 72, sesto comma, alle sue esatte proporzioni, tale disparità non apparisce effettiva.

Infatti, non solo l'eventualità di una lista che sia insufficiente, é fenomeno assolutamente marginale e molto raro, anche perché la legge stessa impone un numero minimo di candidati a pena di nullità (artt. 28 e 32, sesto comma, D. P. R. n. 570 del 16 maggio 1960); ma la norma impugnata introduce un sistema che, in considerazione dell'esiguità del fenomeno, non é dei peggiori fra quanti potrebbero adottarsene. Se per i pochi seggi, che una lista incompleta non ottiene, si dovessero ripetere i comizi elettorali, ne verrebbero ad essere danneggiati inspiegabilmente, ad opera dei presentatori di quella lista, proprio le liste e gli elettori i cui voti sono andati a buon fine; e ne riceverebbe danno lo stesso Comune, per il quale é interesse prevalente avere subito un Consiglio completo e funzionante, sia pure con l'aiuto d'una artificiosa assegnazione d'alcuni seggi, piuttosto che piegarsi ad una nuova consultazione elettorale. L'uguaglianza del voto non si può dire violata da una legge che vuol porre immediato riparo agli effetti d'una manifesta imprevidenza dei presentatori della lista o d'una loro preventiva rinuncia ad un numero di seggi superiore, nel numero, alle candidature presentate.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

pronunciando con un'unica sentenza sui procedimenti indicati in epigrafe:

respinge le eccezioni pregiudiziali sollevate dal Presidente del Consiglio;

dichiara non fondata la questione, proposta con le ordinanze del Comune di Castellammare di Stabia e di Marano di Napoli,

sulla legittimità costituzionale dell'art. 72, sesto comma, del D.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, in riferimento all'art. 48, secondo comma, della Costituzione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 1961.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria l'11 luglio 1961.