Sentenza n. 247 del 2009

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 247

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco                      AMIRANTE                  Presidente

- Ugo                               DE SIERVO                    Giudice

- Paolo                             MADDALENA                    "

- Alfio                               FINOCCHIARO                  "

- Alfonso                          QUARANTA                       "

- Franco                           GALLO                                "

- Luigi                               MAZZELLA "

- Gaetano                         SILVESTRI                          "

- Sabino                           CASSESE                            "

- Maria Rita                      SAULLE                              "

- Giuseppe                        TESAURO                           "

- Paolo Maria                   NAPOLITANO                   "

- Giuseppe                        FRIGO                                 "

- Alessandro                     CRISCUOLO                      "

- Paolo                             GROSSI                               "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli da 217 a 226, da 233 a 236, da 238 a 253, 257 e 265, nonché dell’allegato 4 alla Parte quarta del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), promossi dalle Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche con ricorsi notificati l’8, il 13, il 12-21 ed il 12-27 giugno 2006, depositati in cancelleria il 10, il 14, il 15, il 16 ed il 21 giugno 2006, iscritti ai nn. 68, 69, 70, 73, 74 e 79 del registro ricorsi 2006.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri; nonchè gli atti di intervento dell’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus e della Biomasse Italia s.p.a. ed altre;

udito nell’udienza pubblica del 19 maggio 2009 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi gli avvocati Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana, Fabio Lorenzoni per la Regione Piemonte, Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino per la Regione Emilia-Romagna, Giandomenico Falcon per la Regione Liguria, Gustavo Visentini per la Regione Marche, Alessandro Giadrossi per  l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus e gli avvocati dello Stato Fabrizio Fedeli e Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Le Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche, ciascuna con distinto ricorso, rispettivamente contrassegnato con i numeri 68, 69, 70, 73, 74 e 79 del registro ricorsi dell’anno 2006, hanno sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni contenute nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in riferimento agli articoli 3, 11, 76, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché in relazione al principio di leale collaborazione.

In particolare, la Regione Calabria ha impugnato, tra gli altri, gli articoli da 217 a 226 e da 233 a 236, l’art. 238 e gli articoli da 239 a 253, l’art. 265 e l’allegato 4 alla Parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006; la Regione Toscana, tra gli altri, gli articoli 238, 240, 242 e 252; la Regione Piemonte, a sua volta, tra gli altri, l’art. 238, gli articoli 240, 242, 246 e 252; la Regione Emilia-Romagna, tra gli altri, il solo art. 238; la Regione Liguria, tra gli altri, l’art. 240, gli articoli 242 a 244, e gli articoli 246, 252 e 257; la Regione Marche, infine, gli articoli 238, 240, 241, 242 e 252.

2. – La Regione Calabria deduce la complessiva illegittimità costituzionale dell’intero Titolo II della Parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006 (articoli da 217 a 226), nella parte in cui, genericamente, prevede la disciplina della gestione degli imballaggi e, più specificamente, regola i consorzi per la gestione degli imballaggi e dei relativi rifiuti in quanto la detta disciplina collocandosi «sul punto di intersezione tra varie competenze, di diversa natura (tutela dell’ambiente, tutela della salute, servizi pubblici regionali e locali)», doveva essere adottata mediante un procedimento di approvazione rispettoso del principio della leale cooperazione.

La Regione ricorrente precisa che, anche se si ritenesse prevalente l’ambito materiale della tutela dell’ambiente, tuttavia non sarebbe comunque stata rispettata la naturale trasversalità di tale materia, molte essendo le disposizioni contenute nel decreto legislativo non riconducibili a standard di tutela uniforme. In particolare la ricorrente censura l’art. 221, commi da 4 a 9, che predispone una disciplina degli obblighi di produttori e utilizzatori così puntuale da impedire alle Regioni di modularla, invece, in ragione delle peculiarità del loro territorio e delle loro esigenze produttive; l’art. 222 che prevede gli obblighi delle pubbliche amministrazioni in tema di raccolta differenziata, in quanto la norma citata sarebbe applicabile a tutta la pubblica amministrazione senza distinguere fra enti ed organi statali e quelli sub-statali, così incidendo, in violazione dell’art. 117, quarto comma, della Costituzione, sulla materia di competenza residuale regionale della organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali; l’art. 223  che reca, a sua volta, una normativa di dettaglio anch’essa volta non a predisporre standard di tutela, ma a individuare strumenti e procedure per raggiungere lo standard altrove indicato.

In via subordinata la Regione osserva anche che il comma 2 dell’art. 222 detta una disciplina talmente minuziosa da arrivare a delineare le procedure da seguire per il raggiungimento degli obbiettivi fissati.

L’art. 223 presenterebbe, per la ricorrente Regione, altri profili di incostituzionalità, riferibili alla lesione dell’art. 118, primo comma, della Costituzione.

In particolare, la previsione che i consorzi fra produttori e recuperatori debbano essere strutturati su base nazionale e regolati da uno statuto tipo redatto dal Ministero dell’ambiente, di concerto con quello delle attività produttive, oltre a escludere le istanze regionali, violerebbe l’art. 76 della Costituzione, stante il mancato rispetto dell’art. 1, comma 8, della legge di delega 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), il quale impone al legislatore delegato di conformarsi alle previsioni di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59). Pertanto, a parere della ricorrente, in virtù del disposto dell’art. 85 del decreto legislativo n. 112 del 1998, il quale a sua volta rimanda all’art. 40 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), sarebbe ingiustificata la previsione della dimensione necessariamente nazionale dei consorzi fra produttori e utilizzatori. La Regione lamenta anche la «compressione dei poteri regionali» cui sarebbe inibita ogni valutazione al momento della costituzione del consorzio e la predisposizione di strumenti normativi atti a salvaguardarne la «serietà» e «importanza».

La Regione deduce, altresì, la illegittimità costituzionale dell’art. 224 del d.lgs. n. 152 del 2006 nella parte in cui, rispondendo ad una logica marcatamente centralistica in violazione del principio di sussidiarietà espresso dall’art. 118, primo comma, della Costituzione, concentra sul solo Consorzio nazionale imballaggi la totalità delle funzioni dalla medesima norma previste, ovvero, in via subordinata, in quanto non consente alle Regioni di creare analoghi Consorzi a livello regionale che esercitino, nel rispetto del principio di sussidiarietà, le funzioni che possono essere svolte al loro livello territoriale.

2.1. – Come si è detto la Regione Calabria solleva questione di legittimità costituzionale anche degli articoli 233, 234, 235 e 236 del d.lgs. n. 152 del 2006, i quali rispettivamente prevedono la istituzione del Consorzio nazionale di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti, del Consorzio nazionale per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene, del Consorzio nazionale per la raccolta ed il trattamento delle batterie al piombo esauste e dei rifiuti piombosi e del Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati. Le citate disposizioni, a parere della ricorrente, si porrebbero in contrasto col principio di sussidiarietà espresso dall’art. 118, primo comma, della Costituzione, concentrando sui Consorzi nazionali la totalità delle funzioni amministrative da loro previste, e, in via subordinata, non consentendo alle Regioni di creare analoghi Consorzi a livello regionale.

2.2. – La Regione Calabria censura l’art. 238, comma 6 (e commi 3, 5, 7 e 8 per la parte in cui lo richiamano) del d.lgs. n. 152 del 2006 poiché, pur in presenza dei molteplici titoli competenziali concernenti la gestione dei rifiuti, attribuisce al Ministro dell’ambiente il compito di predisporre con apposito regolamento «i criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa» per la gestione dei rifiuti urbani. Tale disposizione violerebbe l’art. 117, sesto comma, della Costituzione, assegnando allo Stato una potestà regolamentare in una materia non di sua esclusiva competenza.

Subordinatamente la disposizione violerebbe anche il principio di leale collaborazione prevedendo che il regolamento di cui al comma 6 sia emanato dal Ministro dell’ambiente, di concerto con quello delle attività produttive, sentita la Conferenza Stato-Regioni, là dove, dato il rilievo assunto dal regolamento in questione, sarebbe necessario che la concertazione tra Stato e Regioni si realizzi tramite una «intesa in senso forte».

2.3. – La Regione Calabria solleva, altresì, questione di legittimità costituzionale dell’intero Titolo V della Parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006 (articoli da 239 a 253) che disciplina la bonifica dei siti contaminati.

Ricorda la ricorrente che la delega legislativa, contenuta nell’art. 1, comma 1, della legge n. 308 del 2004, consentiva al Governo la emanazione di uno o più decreti per il «riordino, coordinamento ed integrazione delle disposizioni legislative» in vigore.

Secondo la Regione Calabria, la disciplina in esame avrebbe un carattere profondamente innovativo rispetto a quella preesistente e ciò costituirebbe una violazione della legge delega e dell’art. 76 Cost. con evidenti riflessi sulle attribuzioni costituzionali delle Regioni «sia per il tipo di normativa redatta» sia perché l’aver esorbitato dai limiti della delega avrebbe consentito allo Stato di porre in essere norme che, qualora previste come innovative ab initio, avrebbero necessitato, in ossequio al principio di leale collaborazione, di una assai più rilevante partecipazione delle Regioni nella fase formativa della legge.

In via subordinata la Regione eccepisce il contrasto di «molte delle disposizioni contenute negli articoli da 239 a 253 del d.lgs. n. 152 del 2006» con l’art. 117 della Costituzione. Infatti la disciplina della bonifica dei siti contaminati coinvolge diversi titoli competenziali quali quello trasversale della tutela dell’ambiente, quelli concorrenti del governo del territorio e della tutela della salute nonché, almeno sotto determinati profili, quello di competenza residuale regionale dell’agricoltura. Tuttavia, prosegue la ricorrente, l’aspetto prevalente sembrerebbe essere quello del governo del territorio, configurandosi la attività di ripristino della salubrità dei luoghi come momento qualificante della azione di governo del suolo, del sottosuolo e delle acque.

Per tali motivi la Regione Calabria ritiene in contrasto con l’art. 117 della Cost., dato il loro carattere di norme di dettaglio, le seguenti disposizioni: l’art. 242, che, lungi dal porre principi fondamentali, disciplina in dettaglio le procedure operative ed amministrative di bonifica; l’art. 244, il quale individua i comportamenti che le amministrazioni debbono tenere in caso di superamento dei valori di concentrazione soglia; l’art. 245, che si occupa di particolari modalità di interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale; l’art. 248, che specifica le forme dei controlli sulle opere eseguite; l’art. 249 e l’allegato 4 alla Parte quarta, che disciplinano le modalità semplificate di interevento nelle aree di ridotte dimensioni; l’art. 250, che disciplina le condizioni per l’intervento in via sostitutiva della pubblica amministrazione.

Le predette disposizioni di cui agli articoli 242, 244, 245, 248 e 249, peraltro, stante il loro carattere dettagliato, sarebbero, altresì, viziate anche qualora si ritenesse che l’oggetto delle medesime non sia ascrivibile all’ambito materiale prevalente del «governo del territorio» ma ad una concorrenza di competenze; è, infatti, da escludersi che esse siano riconducibili alla individuazione di uno standard di tutela uniforme.

2.4. – Con specifico riferimento all’art. 241, la ricorrente ritiene che la norma, nell’attribuire al Ministro dell’ambiente, di concerto con quello delle attività produttive, quello della salute e quello delle politiche agricole, un potere regolamentare in una materia articolata che vede la presenza anche della competenza residuale regionale in tema di agricoltura, violerebbe il sesto comma dell’art. 117 della Costituzione e si porrebbe, altresì, in contrasto col principio di leale cooperazione attesa la mancata previsione, persino, della consultazione delle Regioni.

2.5. – La Regione Calabria deduce anche la illegittimità costituzionale dei commi 3 e 4 dell’art. 252; quanto al primo, poiché esso, nel prevedere che la perimetrazione dei siti di bonifica di interesse nazionale debba avvenire «sentiti i comuni, le province, le regioni e gli altri enti locali», lederebbe le attribuzioni costituzionali delle Regioni che, invece, sulla base della loro più approfondita conoscenza del territorio, dovrebbero poter codecidere con lo Stato sulla perimetrazione; quanto al secondo, poiché esso, oltre a ledere il principio di leale cooperazione, violerebbe anche l’art. 76 della Costituzione. Infatti, a parere della ricorrente, l’art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004, rinviando all’art. 85 del d.lgs. n. 112 del 1998, imporrebbe il rispetto delle attribuzioni regionali fissate dall’art. 17  del d.lgs. n. 22 del 1997, il quale, al comma 14, prevedeva, per gli interventi di bonifica di interesse nazionale, l’intesa con la Regione territorialmente competente.

2.6. – Da ultimo la Regione Calabria censura l’art. 265, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006. Detta norma prevede che tramite un decreto ministeriale siano individuate «le forme di promozione e di incentivazione per la ricerca e lo sviluppo di nuove tecnologie di bonifica presso le università, nonché presso le imprese e i loro consorzi». Secondo la rimettente la predetta disposizione sarebbe in contrasto con l’art. 117, sesto comma, della Costituzione poiché attribuisce allo Stato una potestà  regolamentare nella materia di competenza concorrente della ricerca scientifica. Esso violerebbe, altresì, l’art. 119 della Costituzione, prevedendo l’attribuzione di incentivi in un ambito non di esclusiva competenza dello Stato, nonché il principio di leale cooperazione, non contemplando alcun tipo di coinvolgimento della Regione.

2.7. – In prossimità della data fissata per la discussione del ricorso la Regione Calabria ha depositato una memoria illustrativa nella quale si sofferma sul perdurante interesse a coltivare il ricorso, pur in presenza delle modifiche normative intervenute sul d.lgs. n. 152 del 2006 a seguito della entrata in vigore del decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale).

Con riferimento, in particolare, alla normativa in tema di gestione degli imballaggi la ricorrente, precisato che la normativa in discorso ha comunque spiegato effetti già nella sua versione originaria, ribadisce che, al di là delle modifiche ad essa apportate, spesso solo formali, permangono le censure a suo tempo formulate quanto alla violazione dell’art. 117 della Costituzione, dato il carattere estremamente dettagliato e puntuale della detta normativa, e quanto alla violazione dell’art. 118 della Costituzione, stante il permanere dell’impianto normativo basato sul carattere nazionale dei consorzi.

Anche con riferimento alla impugnazione degli articoli 233, 234 e 236 del d.lgs. n. 152 del 2006 le novelle apportate non incidono sul contenuto della medesima; diversamente la ricorrente  prende atto della avvenuta abrogazione dell’art. 235.

Infine riguardo alla disciplina dei siti contaminati il carattere solo formale delle modificazioni intervenute ne esclude, ad avviso della Regione ricorrente, ricadute sul merito del ricorso.

3. – Con ricorso notificato il 12-21 giugno 2006 e depositato il 14 giugno 2006, la Regione Toscana ha impugnato, tra l’altro, l’art. 238, commi 3, 6, 7, 8, 9 e 10, l’art. 240, comma 1, lettera b), l’art. 242, commi 2, 3, 4, 5 e 7,  e l’art. 252, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 152 del  2006, per violazione degli articoli 11, 76, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.

3.1. – La ricorrente censura anzitutto l’art. 238, commi 3, 6, 7, 8, 9 e 10, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 Cost.

La disposizione citata, ricorda la ricorrente, regola la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani: il comma 3 stabilisce che «la tariffa è determinata, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 6, dalle Autorità d’ambito ed è applicata e riscossa dai soggetti affidatari del servizio di gestione integrata sulla base dei criteri fissati dal regolamento di cui al comma 6»; mentre i commi da 6 a 10 disciplinano le competenze attuative.

Secondo la Regione ricorrente, l’intera norma recherebbe vulnus alle competenze regionali: in particolare, essa si porrebbe in contrasto con gli articoli 117, 118 e 119 Cost., (rinviando la difesa regionale a considerazioni analoghe a quelle già svolte in relazione all’art. 154, il quale istituisce la tariffa del servizio idrico e fissa i parametri per determinarla), in quanto i poteri «riconosciuti [dalla citata disposizione] al ministero violerebbero la competenza legislativa regionale in tema di servizi pubblici locali (cfr. le sentenze n. 272 del 2004 e n. 29 del 2006 della Corte costituzionale)», oltre che l’autonomia finanziaria della Regione, in ragione della sua incidenza su di un’entrata regionale, di competenza regionale.

In subordine, rileva sempre la Regione, se anche si volesse ritenere la disciplina della presente tariffa rientrante nella competenza statale, la norma sarebbe, comunque, censurabile, non avendo previsto l’intesa con le Regioni; intesa necessaria tutte le volte che il legislatore nazionale interviene in una materia come quella del caso di specie (precisamente i rifiuti), «ove gli interessi ambientali si sovrappongono con quelli di tutela del territorio e della tutela della salute (sentenza n. 407/2002)».

3.2. – Per quanto concerne, poi, gli articoli 240, 242 e 252, la Regione ricorrente premette che gli stessi sono collocati nel Titolo V della Parte quarta dell’impugnato decreto legislativo, titolo che disciplina la bonifica dei siti contaminati.

 L’art. 240, prosegue la Regione Toscana, detta, in generale, le definizioni utili per l’applicazione delle disposizioni contenute nel Titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006; in particolare, il comma 1, lettera b), riguarda "concentrazioni  soglia  di contaminazione (CSC)” e stabilisce in merito: «i livelli di contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono valori al di sopra dei quali è necessaria la caratterizzazione del sito e l’analisi di rischio sito specifica, come individuati nell’Allegato 5 alla parte quarta del presente decreto. Nel caso in cui il sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un’area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione, queste ultime si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri superati».

L’art. 242, invece, premette la ricorrente, riguarda le procedure operative ed amministrative per procedere alla bonifica dei siti inquinati e stabilisce: «al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare il sito, il responsabile dell’inquinamento mette in opera entro ventiquattro ore le misure necessarie di prevenzione e ne dà immediata comunicazione ai sensi e con le modalità di cui all’art. 304, comma 2» [recte: comma 1]; mentre al successivo comma 2: «il responsabile dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolge, nelle zone interessate dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento e, ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provvede al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al comune ed alla provincia competenti per territorio entro quarantotto ore dalla comunicazione. L’autocertificazione conclude il procedimento di notifica di cui al presente articolo, ferme restando le attività di verifica e di controllo da parte dell’autorità competente da effettuarsi nei successivi quindici giorni».

Quindi, relativamente ai successivi commi 3 e 4, la ricorrente rileva che il primo trasferisce la competenza autorizzatoria delle bonifiche dalla Regione al Comune (in difformità da quanto previsto dall’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997); ed il secondo, dispone che «sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito è applicata la procedura di analisi del rischio sito specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR)». Il comma 4 prevede, inoltre, che i criteri da utilizzare per l’applicazione della procedura di analisi di rischio sono quelli riportati nell’allegato 1 alla Parte quarta dello stesso decreto; e stabilisce, altresì, che, entro sei mesi dall’approvazione del piano di caratterizzazione, il soggetto responsabile presenti alla Regione i risultati dell’analisi di rischio che saranno approvati da apposita Conferenza di servizi convocata dalla Regione.

Qualora gli esiti della procedura dell’analisi di rischio dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, prosegue la ricorrente, la Conferenza dei servizi, con l’approvazione del documento dell’analisi del rischio, dichiara – ai sensi del comma 5 – concluso positivamente il procedimento, potendo prescrivere lo svolgimento di un programma di monitoraggio sul sito circa la stabilizzazione della situazione riscontrata in relazione agli esiti dell’analisi di rischio e all’attuale destinazione d’uso del sito.

Quanto stabilito, si porrebbe, a detta della ricorrente, in contrasto sia con la normativa comunitaria in materia di rifiuti, sia con la legge delega (con violazione, quindi, degli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost.).

 Infatti, secondo la Regione Toscana, «l’individuata procedura operativa ed amministrativa per la bonifica dei siti inquinati ha come naturale conseguenza un pregiudizio derivante da un minor rigore nella tutela ambientale e una compressione delle attribuzioni regionali in materia di tutela della salute, nonché del governo del territorio».

Riguardo, in particolare, all’art. 242, relativamente alla parte in cui collega l’obbligo di bonifica per il soggetto che inquina agli esiti della procedura di analisi del rischio – svolta peraltro dallo stesso soggetto che ha inquinato (si veda l’allegato 2 alla Parte quarta del decreto) – la stessa è, per la ricorrente, ancorata a parametri del tutto incerti e non oggettivi, con conseguente possibilità, per l’inquinatore, di poter effettuare un’analisi del rischio più favorevole ai propri interessi, evitando la successiva fase di bonifica.

In altri termini, a detta della difesa regionale, la norma censurata demanda al responsabile dell’inquinamento – previo svolgimento, nelle zone interessate dalla contaminazione, di un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento – la valutazione del superamento o meno delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) e, quindi, conseguentemente, la valutazione se provvedere al ripristino della zona contaminata (comunicandolo, con apposita autocertificazione, sia al Comune, sia alla Provincia competenti per territorio) ovvero, se darne immediata notizia agli stessi Enti, descrivendo, altresì, le misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza da esso adottate.

Una tale disposizione si porrebbe, pertanto, in aperto contrasto con la normativa comunitaria relativamente alla tutela dei suoli dall’inquinamento, poiché si demanderebbe alla discrezionalità dell’inquinatore – a fronte dell’inquinamento di un sito – la scelta della procedura ritenuta più adatta al caso di specie. All’Ente pubblico competente – nel caso lo stesso dissenta dall’analisi prodotta dal soggetto – non resterà (dopo aver espresso il proprio parere negativo) che procedere d’ufficio alla bonifica del sito, con gravi ripercussioni sull’erario per le ben poche probabilità di recuperare le spese sostenute, anche in via giudiziaria; ovvero, non procedere alla bonifica, con inevitabili e gravi ripercussioni sul territorio e sulla tutela della salute dei cittadini.

Da qui la dedotta violazione degli articoli 117 e 118 Cost., a cui si aggiungerebbe – sempre secondo la Regione ricorrente – anche la «compromissione» del principio comunitario «chi inquina paga», con conseguente violazione anche dei principi e dei criteri direttivi enunciati dall’art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004 e, in particolare, di quelli di cui alle lettere e) ed  f), nonché alle lettere b) e h).

Relativamente alle prime due, le stesse – prosegue la Regione ricorrente –  enunciano i principi ai quali il nuovo testo unico avrebbe dovuto uniformarsi, da un lato, dando «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell’ambiente e di contribuire in tale modo alla competitività dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza»; e, dall’altro, affermando i «principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio "chi inquina paga”». Mentre, con riguardo ai principi stabiliti nelle lettere b) e h), gli obiettivi da perseguire sarebbero stati altresì quelli del «conseguimento di maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali, nonchè certezza delle sanzioni in caso di violazione delle disposizioni a tutela dell’ambiente» e la «previsione di misure che assicurino l’efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali, incentivando in particolare i programmi di controllo sui singoli impianti produttivi, anche attraverso il potenziamento e il miglioramento dell’efficienza delle autorità competenti».

Per la Regione Toscana, tali obiettivi sarebbero stati palesemente pregiudicati, con conseguente violazione degli articoli 11 e 76 Cost., e con ripercussioni sulle competenze costituzionali della Regione in materia di governo del territorio e tutela della salute.

Analoghe considerazioni, secondo la ricorrente, valgono per l’art. 240, comma 1, lettera b), nella parte in cui lo stesso prevede che, nelle ipotesi in cui «un sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un’area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione, per tale specifico sito tali "valori soglia” coincidono con il valore di fondo esistente nel sito, con riferimento a tutti i parametri superati». Difatti, stante il dettato di questa disposizione, verrebbero a determinarsi gravi incertezze sulle modalità di rilevamento dei valori di fondo e, conseguentemente, sui valori di riferimento, con evidenti gravi ripercussioni sulla tutela della salute e sul governo del territorio.

3.3. – Quindi, la Regione ritiene che analoga violazione dei parametri sopra citati sarebbe operata anche dal comma 7 dello stesso art. 242; questa disposizione, norma di dettaglio secondo la ricorrente, prevedendo che «con il provvedimento […] è fissata l’entità delle garanzie finanziarie, in misura non superiore al cinquanta per cento del costo stimato dell’intervento, che devono essere prestate in favore della regione per la corretta esecuzione ed il completamento degli interventi medesimi», impone una limitazione del quantum della garanzia finanziaria. Pertanto, poiché consentirebbe a chi ha procurato un inquinamento di non offrire la garanzia finanziaria integrale per la bonifica del sito, essa sarebbe incompatibile con le competenze regionali in materia di tutela della salute, governo del territorio e servizi pubblici, nonché in contrasto sia con i principi comunitari di tutela ambientale (in particolare con il principio «chi inquina paga»), sia con i già richiamati principi e criteri di cui alle lettere e) ed f) dell’art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004.

Tale previsione di un tetto massimo per le garanzie finanziarie, poi, si porrebbe in contrasto anche con i principi direttivi di cui alle lettere c), f) ed i) dell’art. 1, comma 8, secondo i quali il testo unico avrebbe dovuto conformarsi a: «c) invarianza degli oneri a carico della finanza pubblica; [...] f) affermazione dei principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio "chi inquina paga”;  [...] i) garanzia di una più efficace tutela in materia ambientale anche mediante il coordinamento e l’integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando i limiti di pena e l’entità delle sanzioni amministrative già stabiliti dalla legge».

3.4. – La Regione Toscana impugna anche l’art. 252, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli articoli 117 e 118 Cost.

La Regione, preliminarmente, ricorda che tale articolo disciplina la bonifica dei cosiddetti siti di interesse nazionale, prevedendo che, alla loro individuazione, «si provvede con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, d’intesa con le regioni interessate, secondo i seguenti principi e criteri direttivi [...]» La norma stabilisce, poi, rispettivamente, al comma 3, che ai fini della perimetrazione del sito è sufficiente sentire «i comuni, le province, le regioni e gli altri enti locali, assicurando la partecipazione dei responsabili nonchè dei proprietari delle aree da bonificare, se diversi dai soggetti responsabili»; mentre, al successivo comma 4, che «la procedura di bonifica di cui all’art. 242 dei siti di interesse nazionale è attribuita alla competenza del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, sentito il Ministero delle attività produttive», senza alcuna previsione di una intesa con le Regioni (come era stabilito all’art. 17, comma 14, del d.lgs. n. 22 del 1991).

La Regione ricorrente, al proposito, lamenta che la mancata previsione, nei commi censurati, dell’intesa con la Regione ai fini della perimetrazione e dell’approvazione dei progetti di bonifica di siti di interesse nazionale si porrebbe in contrasto con gli articoli 117 e 118 Cost., ripercuotendosi sulle competenze costituzionali della Regione in materia di tutela della salute e governo del territorio: la norma, infatti, così stabilendo, vincolerebbe la destinazione urbanistica del territorio dei siti d’interesse nazionale da bonificare, senza prevedere nessun intervento da parte delle Regioni interessate.

3.5. – Nel giudizio si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo l’inammissibilità e deducendo comunque l’infondatezza delle censure.

Riguardo alla dedotta violazione dell’art. 238, commi 3, 6, 7, 8, 9 e 10, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 Cost., la difesa erariale ritiene che questa disposizione – così come già rilevato per gli articoli 154 e 155 dello stesso Codice, relativi all’istituzione di tariffe per i servizi idrici e di depurazione – non verrebbe ad invadere la competenza regionale in materia di servizi pubblici locali, con conseguente lesione dell’autonomia finanziaria e tributaria della Regione ricorrente. La censura della Regione sarebbe, difatti, infondata, stante la necessità che gli "elementi di base” delle tariffe «debbano essere accertati e fissati in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale» e determinati, pertanto, dal legislatore nazionale. La norma, comunque, riserverebbe «alla gestione regionale delle tariffe […] ampi spazi per le politiche locali di incentivazione e di aggravamento».

Ugualmente infondate sarebbero, per l’Avvocatura dello Stato, le censure relative agli articoli 240, comma 1, lettera b), e 242, commi 2, 3, 4, 5, in relazione agli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost., non solo perchè si lamenterebbe, con «salti logici» ed in modo generico una presunta «illegittimità comunitaria», nonché la violazione da parte del legislatore statale delle competenze regionali in tema di tutela della salute e di governo del territorio, ma anche perché – come testualmente afferma la difesa pubblica – «l’adozione della cosiddetta analisi del rischio è criterio già ricorrente nella prassi amministrativa (soprattutto commissariale) sicché vengono meno, con il carattere innovativo della disposizione, le ragioni sostanziali di un’opposizione preconcetta al sistema che il legislatore nazionale ha inteso generalizzare».

Anche la censura mossa dalla Regione ricorrente al comma 7 del citato articolo 242 per violazione degli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost., sarebbe infondata.

Il legislatore delegato, infatti, con la disposizione impugnata, non è venuto a fissare un limite massimo alle garanzie finanziarie che devono essere prestate a favore della Regione per la realizzazione e l’esercizio degli impianti previsti dal progetto di bonifica, così violando principi comunitari (specificamente, il principio "chi inquina paga”), né a determinare un aggravio degli oneri a carico della finanza pubblica ed una riduzione della tutela in materia ambientale in via indiretta. Questi, utilizzando una misura percentuale, avrebbe solamente stabilito quali rapporti devono sussistere «tra amministrazione e privato in sede di richiesta di garanzie, ancorando il potere pubblico ad un parametro significativo e quindi ragionevole».

Infine, con riguardo all’art. 252, commi 3 e 4, impugnato dalla ricorrente, in riferimento agli articoli 117 e 118 Cost., poiché non prevederebbe un’adeguata partecipazione regionale ai fini della perimetrazione e dell’approvazione della bonifica dei progetti dei siti di interesse nazionale, la difesa erariale ritiene che anche le censure riferite a dette norme sarebbero non fondate.

Infatti, ferma restando – a parere dell’Avvocatura – la considerazione che un’intesa forte sarebbe difficile da attuare concretamente e «foriera di soluzioni spesso non trasparenti», si dovrebbe anche tener presente che «se i siti da bonificare sono qualificati d’interesse nazionale, se le risorse sono esclusivamente statali, l’audizione attenta nell’ambito del procedimento amministrativo di tutti i soggetti interessati consente il raccordo con la realtà regionale e locale, lasciando tuttavia la responsabilità unitaria dell’intervento alla sola autorità chiamata a provvedere».

3.6. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, chiedendo, relativamente agli articoli 240, comma 1, lettera b), e 242 del d.lgs. n. 152 del 2006, l’accoglimento delle questioni, con motivazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte dalla ricorrente e riservandosi di ulteriormente illustrare le ragioni e i contenuti dell’intervento.

3.7. – In prossimità dell’udienza, la Regione Toscana ha depositato memoria nella quale – con riferimento agli articoli censurati – ribadisce l’interesse a coltivare il ricorso, dal momento che l’intervenuto d.lgs. n. 4 del 2008, correttivo del precedente d.lgs. n. 152 del 2006, non ha inciso l’ambito normativo riferibile alle disposizioni in esame e non ha, quindi, apportato significative modifiche in proposito.

La difesa regionale insiste, altresì, per l’accoglimento del ricorso proposto, richiamandosi ai motivi di censura svolti nel medesimo.  

3.8. – In prossimità dell’udienza, ha depositato memoria l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, relativamente agli articoli 240, comma 1, lettera b), e 242, commi 2, 3, 4, 5 e 7 del d.lgs. n. 152 del 2006, insistendo per l’accoglimento delle questioni.

4. – La Regione Piemonte ha impugnato, tra gli altri, gli articoli 238, 240, 242, 246 e 252 del d.lgs. n. 152 del 2006 per violazione degli articoli 3, 76, 97, 117, 118, 119 e del principio di leale collaborazione.

Quanto all’art. 238 che, come si è detto, disciplina la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, la Regione Piemonte lamenta il carattere innovativo della nuova disciplina in contrasto con quanto previsto dalla legge di delega. In particolare rileva che l’art. 1, comma 9, lettera a), della legge di delega n. 308 del 2004, individuava il criterio di «assicurare una maggiore certezza della riscossione della tariffa sui rifiuti urbani anche mediante una più razionale definizione dell’istituto» mentre il d.lgs. n. 152 del 2006 non si è limitato a modificare la preesistente disciplina della tariffa ma ha abrogato l’intero disposto dell’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, introducendo «rilevanti elementi innovativi circa i presupposti per l’applicazione».

Per la Regione Piemonte l’art. 238 violerebbe anche il principio comunitario «chi inquina paga» a causa dell’introduzione di indicatori per la determinazione della tariffa, come il richiamo ad indici reddituali, del tutto indipendenti dalla mera produzione dei rifiuti. Inoltre altri indici, quali l’attribuzione della giurisdizione al giudice tributario, evidenzierebbero la natura tributaria della tariffa, con una sensibile divaricazione tra il quantum pagato e il grado di fruizione del servizio pubblico in violazione del citato principio «chi inquina paga» e con l’ulteriore conseguenza di accentuare la difficoltà degli Enti regionali e locali nella programmazione e gestione dei servizi in relazione al finanziamento degli stessi.

4.1. – Anche con riferimento alla disciplina della bonifica dei siti contaminati la Regione Piemonte rileva la presenza di numerose innovazioni, «sia nelle disposizioni di definizioni sia nella regolamentazione di procedure, che modificano notevolmente l’impianto giuridico già costituito dall’art. 17 del  d.lgs. n. 22 del 1997 senza supporto nelle previsioni della legge di delega».

In particolare, a parere della ricorrente, l’art. 240 introduce una definizione della «messa in sicurezza operativa» che, anziché consentire un’appropriata organizzazione che contemperi l’attuazione degli interventi con la prosecuzione dell’attività produttiva secondo un piano operativo eventualmente concordato, finisce per procrastinare a tempo indeterminato gli interventi fino a quando l’attività verrà dismessa.

La Regione Piemonte ritiene, inoltre, che l’art. 242 modifichi «integralmente tutto il precedente impianto di competenze eliminando "l’incardinamento” degli interventi in primo luogo nei comuni territorialmente interessati in violazione del principio di sussidiarietà». Con la conseguenza che per operare secondo il sistema prefigurato si renderebbero necessari dei mutamenti organizzativi che paralizzerebbero l’attività. La nuova organizzazione, tra l’altro, sarebbe più lenta e meno efficace per l’impossibilità di una verifica immediata sugli eventi di contaminazione attuabile invece a livello comunale.

La definizione delle procedure si presenterebbe estremamente dettagliata con difetti di coordinamento e con una complessità procedimentale senza alcuna giustificazione finendo in definitiva per ostacolare un intervento dell’autorità pubblica tempestivo e specifico. Vi sarebbero inoltre non poche incongruenze in relazione alle disposizioni degli articoli 244 e 245 ed a quelle della Parte sesta riguardanti le azioni di prevenzione e di riparazione del danno ambientale.

L’art. 246 è censurato dalla Regione Piemonte in quanto «prevede incongruamente il ricorso obbligatorio ad accordi di programma che i soggetti tenuti ad eseguire gli interventi di bonifica hanno "diritto di stipulare” con l’amministrazione competente».

Infine la Regione lamenta che, in materia di interventi di interesse nazionale, l’art. 252 abbia eliminato l’intesa con la Regione territorialmente competente in ordine alla definizione ed approvazione del progetto di intervento.

L’esclusione della codeterminazione con la Regione sarebbe priva di giustificazione ed in contrasto con il principio di leale collaborazione, considerando la natura degli interventi di interesse nazionale che riguardano vaste porzioni territoriali ed hanno rilevante impatto socio-economico.

4.2. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, concludendo nel senso dell’accoglimento del ricorso.

4.3. – Sono, altresì, intervenuti nel giudizio la Società Italiana Centrali Termoelettriche SICET s.r.l.; la Biomasse Italia s.p.a.; l’Ital Green Energy s.r.l. e l’Energia Tecnologia Ambiente s.p.a., tutte quante chiedendo il rigetto del ricorso.

5. – La Regione Emilia-Romagna, con ricorso notificato il 13 giugno 2006 e depositato il successivo 16 giugno, ha impugnato, tra l’altro, l’art. 238 del citato d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli articoli 76, 117, commi quarto e sesto, e 119, commi primo e secondo, della Costituzione.

5.1. – La ricorrente premette che, contrariamente a quanto previsto dall’art. 1, comma 9, lettera a), della legge delega n. 308 del 2004, l’art. 238 è venuto a ridisciplinare integralmente la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, trasformandola anche "concettualmente”.

Infatti, prosegue la Regione ricorrente, l’articolo censurato, abrogando la precedente disciplina contenuta nel cosiddetto «decreto Ronchi», stabilisce che la «tassa» sui rifiuti sia, ora, «commisurata su indici quali l’estensione dei locali detenuti e indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali» (comma 2), anzichè sul parametro della effettiva produzione dei rifiuti, come sarebbe corrispondente al principio comunitario «chi inquina paga»; in tal modo resterebbe del tutto in ombra la natura di «tariffa» commisurata quale corrispettivo della prestazione di un servizio.

 Inoltre, «i criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa» sarebbero determinati, al comma 6, da un regolamento ministeriale da emanarsi «sentita» la Conferenza Stato-Regioni.

Pertanto, la normativa statale e, in primis, la espressa attribuzione di poteri normativi ministeriali, sovraordinati a quelli delle Regioni (già esercitati dalla Regione ricorrente in base a quanto disposto dalla legge regionale 6 settembre 1999, n. 25, recante «Delimitazione degli ambiti territoriali ottimali e disciplina delle forme di cooperazione tra gli Enti locali per l’organizzazione del Servizio idrico integrato e del Servizio di gestione dei rifiuti urbani»), viola, altresì, la competenza legislativa spettante alle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost., «in quanto strettamente correlata alla disciplina e alla politica dei servizi pubblici locali, nonché il riparto della potestà regolamentare fissato dall’art. 117, sesto comma».

Il metodo tariffario – prosegue la Regione ricorrente – si deve ritenere «componente connaturata alla disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica (qual è il servizio di gestione dei rifiuti)» e, come tale, sicuramente di spettanza regionale. Conseguentemente, non sembra essere competenza statale quella di determinare i componenti di costo della tariffa, dal momento che la politica di regolazione e di organizzazione del servizio pubblico locale, afferente alla gestione dei rifiuti, è demandata alla cura regionale che, anche attraverso il metodo tariffario, può perseguire precise scelte in materia.

A riprova del fatto che non si riscontrerebbe alcuna base costituzionale che consenta allo Stato di avocare a tali determinazioni, la ricorrente ricorda come la Corte costituzionale abbia rigettato l’impugnazione proposta dal Governo avverso la legge regionale dell’Emilia-Romagna, disciplinante il metodo tariffario regionale sul servizio idrico (legge regionale 14 aprile 2004, n. 7 recante «Disposizioni in materia ambientale. Modifiche ed integrazioni a leggi regionali»), proprio in relazione alla rilevata insufficienza di argomentazioni addotte a sostegno di una competenza statale in materia (sentenza n. 335 del 2005).

Inoltre, sempre secondo la difesa regionale, la norma denunciata non terrebbe conto del riparto della potestà legislativa fra Stato e Regioni fissato dall’art. 117, comma quarto, Cost., in materia di disciplina dei servizi pubblici locali, rientrante nella competenza legislativa regionale (con conseguente violazione dell’autonomia finanziaria e tributaria delle regioni, garantita dall’art. 119, commi primo e secondo, Cost.), nonché – si ribadisce –  oltrepasserebbe anche l’oggetto e i limiti della delega. La disciplina tariffaria del servizio, così ridisciplinata, difatti, non trova fondamento nell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che si occupa della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali», non già del regime tariffario di un servizio pubblico.

Infine, il comma 5 del citato articolo, non garantirebbe l’integrale copertura dei costi del servizio nei primi quattro anni successivi all’emanazione del regolamento ministeriale; ciò si rifletterebbe sull’equilibrio finanziario, sul buon andamento e sulla qualità di servizi essenziali per la collettività.

5.2. – Nel giudizio è intervenuta l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, chiedendo l’accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente, ma non svolgendo alcuna deduzione sulla norma qui censurata.

5.3. – In prossimità dell’udienza, la Regione ha depositato memoria in cui, facendo presente la complessità della natura giuridica della tariffa per i rifiuti, tale da coinvolgere sia tematiche di carattere tributario, sia tematiche legate alla corrispettività della prestazione per un servizio reso, insiste nelle censure relative tanto alla violazione della delega che alla violazione del principio di leale collaborazione.

6. – La Regione Liguria, ha impugnato, tra gli altri, gli articoli 240, 242, 243, 244, 246, 252 e 257 del d.lgs. n. 152 del 2006 per violazione degli articoli 3, 76, 117, e 118 della Costituzione e del principio di leale collaborazione.

Con successivo atto depositato in data 28 aprile 2009, la Regione Liguria «considerate anche le modifiche apportate e sulla base della delibera della Giunta regionale 16 aprile 2009, n. 860» ha espressamente dichiarato di rinunziare al ricorso con riferimento, fra l’altro, a tutte le norme oggetto del presente giudizio (articoli 240, 242, 243, 244, 246, 252 e 257).

7. – La Regione Marche ha impugnato, tra gli altri, gli articoli 238, 240, 241, 242 e 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006, per violazione degli articoli 11, 76, 117, 118 e 119.

7.1. – Per quanto riguarda l’art. 238 la ricorrente censura l’attribuzione al Ministero dell’Ambiente di competenze attuative, anche mediante poteri regolamentari, in una materia quale «i servizi pubblici locali»  di competenza propria delle regioni. A tale proposito la ricorrente richiama le sentenze della Corte costituzionale n. 272 del 2004 e n. 29 del 2006.

Secondo la Regione la norma impugnata, oltre a comportare una violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost., incidendo «su un’entrata la cui disciplina ricade nella competenza regionale», si porrebbe in contrasto anche con l’art. 119, primo e secondo comma, Cost., che garantisce l’autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni.

7.2. – La Regione Marche ritiene, altresì, che il rinvio all’approvazione di un regolamento operato dall’art. 241 per la bonifica delle aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento impedisce di bonificare tali aree e di procedere al riutilizzo delle stesse con conseguente violazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione. In proposito la ricorrente ricorda che, sebbene una tale disposizione fosse presente anche nel «decreto Ronchi», ad oggi non si è avuta l’emanazione di tale regolamento, con gravi pregiudizi per la tutela dell’ambiente, della salute e del governo del territorio.

7.3. – Le censure della Regione Marche si estendono anche agli articoli 240 e 242 che introdurrebbero disposizioni in materia di bonifica dei siti inquinati in contrasto con la normativa comunitaria in materia di rifiuti nonché con i criteri dettati dalla legge delega.

La nuova normativa, secondo la ricorrente, comporterebbe, oltre a un minor rigore nella tutela ambientale, anche una compressione delle attribuzioni regionali in materia di tutela della salute e di governo del territorio.

In particolare, la Regione contesta l’art. 242 nella parte in cui stabilisce che la procedura di analisi del rischio, cui è subordinato l’obbligo di bonifica per il soggetto inquinatore, sia svolta secondo le procedure descritte dall’Allegato 1 alla Parte quarta del decreto e rimessa allo stesso soggetto che ha inquinato. In base a tale Allegato 1, infatti, l’analisi del rischio sito specifica, finalizzata alla determinazione delle concentrazioni soglia di rischio, sarebbe ancorata a parametri del tutto incerti e non oggettivi, derivandone per l’inquinatore la possibilità di effettuare un’analisi del rischio più favorevole ai propri interessi, evitando la successiva fase di bonifica.

In altri termini, l’art. 242 demanderebbe al responsabile dell’inquinamento, previo svolgimento, nelle zone interessate dalla contaminazione, di un’indagine preliminare «sui parametri oggetto dell’inquinamento», la valutazione del superamento o meno delle concentrazioni soglia di contaminazione e, conseguentemente, la valutazione se provvedere al ripristino della zona contaminata, oppure dare immediata notizia al comune ed alle province competenti per territorio con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate.

Secondo la Regione tale disciplina si porrebbe in aperto contrasto con la normativa comunitaria a tutela dei suoli dall’inquinamento, dal momento che, a fronte dell’inquinamento di un sito, demanderebbe alla discrezionalità dell’inquinatore la scelta della procedura più appropriata al caso di specie. Sarebbero così violati il principio comunitario «chi inquina paga» nonché i principi e criteri direttivi individuati dall’art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004.

Infine risulterebbero violati anche gli articoli 117 e 118 della Costituzione, in quanto l’amministrazione competente, in caso di disaccordo con l’analisi prodotta dal soggetto, sarebbe posta di fronte alla scelta di procedere d’ufficio alla bonifica del sito, con ben poche probabilità di recuperare le spese sostenute, anche in via giudiziaria, ovvero di non procedere alla bonifica, con gravi ripercussioni sul territorio e sulla tutela della salute dei cittadini.

Considerazioni analoghe varrebbero, secondo la ricorrente, anche con riferimento all’art. 240, comma 1, lettera b), nella parte in cui prevede che nelle ipotesi in cui un sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un’area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione «queste ultime si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri superati». Questa specificazione determinerebbe gravi incertezze sulle modalità di rilevamento dei valori di fondo e, conseguentemente, sui valori di riferimento, con evidenti gravi ripercussioni sulla tutela dell’ambiente e della salute e sul governo del territorio.

7.4. – Il comma 7 dell’art. 242 è oggetto di autonoma censura da parte della Regione Marche in quanto, nel disciplinare le procedure operative ed amministrative per la bonifica dei siti inquinati, prevede un limite massimo, in misura non superiore al cinquanta per cento del costo stimato per l’intervento, per l’entità della garanzia che le Regioni devono chiedere con il provvedimento di autorizzazione alla bonifica ambientale.

Secondo la ricorrente, la previsione di un tale limite costituirebbe una norma di dettaglio incompatibile con le competenze regionali in materia di tutela della salute, governo del territorio e servizi pubblici in violazione degli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost., oltre che del principio comunitario «chi inquina paga», dal momento che consentirebbe a chi ha procurato un inquinamento di non garantire in pieno per la bonifica del sito.

In particolare, risulterebbero violati i principi e criteri direttivi individuati dall’art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004, secondo i quali il nuovo testo unico doveva, da un lato dare «piena e coerente attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela dell’ambiente e di contribuire in tale modo alla competitività dei sistemi territoriali e delle imprese, evitando fenomeni di distorsione della concorrenza»; e, dall’altro, affermare i «principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali» e il principio «chi inquina paga».

Il comma 7 dell’art. 242 sarebbe in contrasto anche con i principi e criteri direttivi di cui alle lettere c) ed i) del comma 8 dell’art. 1  della legge delega n. 308 del 2004, secondo i quali la nuova disciplina non avrebbe dovuto comportare maggiori oneri per la finanza pubblica ed inoltre avrebbe dovuto assicurare una più efficace tutela in materia ambientale «anche mediante il coordinamento e l’integrazione della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando i limiti di pena e l’entità delle sanzioni amministrative già stabilite dalla legge».

7.5. – La ricorrente ritiene, infine, che l’art. 252, che disciplina i siti di interesse nazionale ai fini della bonifica, nei commi 3 e 4, si ponga in contrasto con gli articoli 117 e 118 Cost. in quanto non prevede l’intesa ai fini della perimetrazione e dell’approvazione delle procedure di bonifica, attività che comunque si ripercuotono sulle competenze costituzionali della Regione in materia di tutela della salute e governo del territorio. In tal senso la Regione evidenzia che la perimetrazione e l’approvazione delle procedure di bonifica vincolano la destinazione urbanistica dei siti di interesse nazionale senza alcun intervento delle Regioni.

La norma citata per la sua interconnessione con profili e tematiche di competenza regionale contrasterebbe con il principio di leale collaborazione prevedendo un intervento del Ministero dell’ambiente, senza un contestuale coinvolgimento delle Regioni o della conferenza Stato-Regioni, in materie quali «tutela della salute» e «governo del territorio».

La Regione richiama in proposito la sentenza della Corte costituzionale n. 62 del 2005 con la quale si è affermato che «quando gli interventi individuati come necessari e realizzati dallo Stato, in vista di interessi unitari di tutela ambientale, concernono l’uso del territorio e in particolare la realizzazione di opere e di insediamenti atti a condizionare in modo rilevante lo stato e lo sviluppo di singole aree, l’intreccio con la competenza regionale concorrente in materia di governo del territorio, oltre che con altre competenze regionali, impone che siano adottate modalità di attuazione degli interventi medesimi che coinvolgono, attraverso opportune forme di collaborazione, le regioni sul cui territorio gli interventi sono destinati a realizzarsi (cfr. sentenza n. 303/2003)».

7.6. – In prossimità dell’udienza la Regione Marche ha depositato memoria con la quale ha ulteriormente ribadito le argomentazioni esposte nel ricorso insistendo nella richiesta di declaratoria di incostituzionalità in ordine a tutte le norme censurate.

Considerato in diritto

1. – Le Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Liguria e Marche, con distinti ricorsi, rispettivamente contrassegnati con i numeri 68, 69, 70, 73, 74 e 79 del registro ricorsi dell’anno 2006, hanno sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale di numerose disposizioni contenute nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), in riferimento agli articoli 3, 11, 76, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché in relazione al principio di leale collaborazione.

In particolare, la Regione Calabria ha impugnato, tra gli altri, gli articoli da 217 a 226, da 233 a 236, 238, da 239 a 253 e 265,  nonchè l’allegato 4 alla Parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006; la Regione Toscana, tra gli altri, gli articoli 238, 240, 242 e 252; la Regione Piemonte, a sua volta, tra gli altri, gli articoli 238, 240, 242, 246 e 252; la Regione Emilia-Romagna, tra gli altri, l’art. 238; la Regione Liguria, tra gli altri, gli articoli 240, da 242 a 244, 246, 252 e 257; la Regione Marche, infine, gli articoli 238, 240, 241, 242 e 252.

Le questioni concernenti le norme impugnate possono essere suddivise in quattro gruppi: il primo, relativo agli articoli da 217 a 226 – impugnato dalla sola Regione Calabria – attiene alla normativa in materia di gestione degli imballaggi; il secondo gruppo – anch’esso impugnato solo dalla Regione Calabria – comprendente gli articoli da 233 a 236, ha ad oggetto la disciplina relativa ai Consorzi nazionali per la gestione di particolari tipi di rifiuti; il terzo gruppo riguarda il solo art. 238, che disciplina la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, ed è stato censurato da tutte le Regioni ricorrenti; il quarto gruppo – censurato da tutte le Regioni sopraindicate, ad esclusione dell’Emilia-Romagna – infine, concerne gli articoli da 239 a 253 che trattano la materia della bonifica dei siti contaminati. Da ultimo è impugnato dalla sola Regione Calabria l’art. 265, comma 3, in tema di promozione della ricerca in materia di bonifica ambientale.

Con riferimento al ricorso proposto dalla Regione Toscana, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza delle censure.

Con riferimento al medesimo ricorso, nonchè a quello proposto dalle Regioni Piemonte ed Emilia-Romagna, è, altresì, intervenuta in giudizio la Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, sostenendo le richieste delle parti ricorrenti.

Infine, riguardo al solo ricorso della Regione Piemonte sono intervenute, chiedendone il rigetto, la Società Italiana Centrali Termoelettriche SICET s.r.l.; la Biomasse Italia s.p.a.; l’Ital Green Energy s.r.l. e l’Energia Tecnologia Ambiente s.p.a.

2. – Stante la connessione esistente tra i predetti ricorsi, i relativi giudizi possono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia, la quale avrà ad oggetto esclusivamente le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni legislative sopra indicate, essendo riservata ad altre decisioni la valutazione delle restanti questioni sollevate coi medesimi ricorsi dalle sopraindicate Regioni.

2.1. – Deve, preliminarmente, darsi atto che questa Corte con la sentenza n. 225 del 2009 ha ritenuto in parte inammissibili ed in parte non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalle ricordate Regioni con i ricorsi ora in esame nei riguardi dell’intero testo del d.lgs n. 152 del 2006.

Deve, inoltre, in questa sede ribadirsi l’inammissibilità degli interventi spiegati, già dichiarata da questa Corte con la citata sentenza n. 225 del 2009, poiché, come da sua costante giurisprudenza, nei giudizi di legittimità costituzionale in via principale, non è ammissibile l’intervento di soggetti non titolari di potestà legislativa, «fermi restando per i soggetti privi di tale potestà i mezzi di tutela delle loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale» (da ultimo sentenza n. 405 del 2008).

2.2. – Sempre preliminarmente, deve, altresì, darsi atto che la Regione Liguria, con atto depositato in data 28 aprile 2009, ha dichiarato, giusta deliberazione della Giunta regionale del 16 aprile 2009, n. 860, di rinunziare espressamente al ricorso relativamente alle disposizioni legislative oggetto del presente giudizio.

La mancata costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri rende non necessaria l’accettazione della rinuncia, sicché, limitatamente a quanto dedotto dalla Regione Liguria, può immediatamente dichiararsi la estinzione del processo. 

2.3. – Infine, riguardo ai profili di carattere preliminare, deve darsi atto che, salvo quanto successivamente si preciserà relativamente alla impugnazione dell’art. 235 del d.lgs. n. 152 del 2006, le modifiche normative apportate, successivamente alla proposizione dei singoli ricorsi, al testo delle disposizioni impugnate a seguito della entrata in vigore dei relativi decreti legislativi correttivi, non hanno comportato alcun effetto sui presenti giudizi, stante la loro assoluta marginalità ed avendo le Regioni, ad esclusione della Liguria, dichiarato di insistere nelle rispettive conclusioni.

3. – Passando ad esaminare le censure formulate riguardo al primo gruppo di norme, avente ad oggetto la disciplina della gestione degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, questa Corte osserva che la Regione Calabria ha impugnato unitariamente le disposizioni normative contenute negli articoli che vanno dal 217 al 226, e, in via subordinata rispetto alla precedente doglianza, per motivi diversi e singulatim, talune delle disposizioni normative comprese fra quelle testé citate.

3.1. – In particolare, la Regione Calabria ha censurato nella loro totalità gli articoli da 217 a 226 del d.lgs. n. 152 del 2006, poiché essi – in ispecie là dove disciplinano complessivamente il tema degli imballaggi, dettando le regole applicabili ai consorzi per la gestione di questi e dei loro rifiuti – collocandosi nel punto di intersezione fra varie competenze, parte attribuite alle Regioni e parte attribuite allo Stato, si porrebbero in contrasto col principio di leale collaborazione, essendo stati adottati tramite un procedimento non rispettoso di tale principio.

La censura non è fondata.

La giurisprudenza di questa Corte, infatti, già ha più volte chiarito che le tematiche afferenti al rispetto delle procedure di leale collaborazione esulano dalla materia relativa al procedimento di produzione normativa di rango primario (fra le ultime, sentenze n. 371 e n. 222 del 2008 e n. 401 del 2007).

3.2. – Quanto alle censure riferite a norme specifiche, la Regione Calabria ha impugnato l’art. 221, commi da 4 a 9, del d.lgs. n. 152 del 2006, perché, là dove si ritenesse che, nel disciplinare gli obblighi dei produttori e degli utilizzatori degli imballaggi, la disposizione ivi contenuta sia afferente alla materia della tutela dell’ambiente, essa, stante la naturale trasversalità di tale materia, violerebbe le competenze delle Regioni volte alla valorizzazione delle peculiarità del loro territorio e delle loro esigenze produttive.

La censura, data la sua genericità, è inammissibile.

La Regione ricorrente, onde consentire uno scrutinio nel merito della sua censura, avrebbe dovuto, quantomeno, specificare quale era, a suo avviso, il parametro costituzionale che assumeva essere stato violato e in che cosa tale violazione si fosse realizzata, non risultando evidentemente idoneo a tal fine l’indeterminato richiamo a competenze regionali aventi ad oggetto la valorizzazione delle singole peculiarità territoriali e produttive.

3.3. – Parimenti inammissibili sono le censure mosse dalla Regione all’art. 222 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale prevede quali siano gli obblighi delle pubbliche amministrazioni in tema di raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio. Secondo la Regione la norma, in quanto applicabile a tutte le pubbliche amministrazioni, senza differenziare fra quelle statali e quelle sub-statali, sarebbe in contrasto con l’art. 117, quarto comma, Cost., poiché inciderebbe sulla materia, di competenza regionale residuale, della organizzazione amministrativa delle Regioni e dei relativi enti pubblici. In via subordinata, sempre secondo la Regione, la disposizione sarebbe viziata in quanto, al comma 2, detta una disciplina di carattere minuzioso, tale da non potersi ricondurre alla fissazione di un livello, così violando la competenza regionale.

Anche in questo caso la genericità delle due censure – dato che non è stata indicata la materia cui specificamente assegnare la disciplina impugnata né è stato chiarito in che modo sarebbe violata la competenza regionale – impedisce che possa avere ingresso lo scrutinio di merito dovendo essere esclusa la loro ammissibilità.

3.4. – Analoga conclusione vale per ciò che concerne il successivo art. 223 del d.lgs. n. 152; infatti, anche in questo caso, la censura formulata dalla Regione Calabria – secondo la quale la disposizione, che disciplina i consorzi nazionali per il recupero e il riciclo degli imballaggi cui partecipano anche i produttori degli imballaggi stessi, sarebbe caratterizzata dall’essere eccessivamente minuziosa e tale da non essere riconducibile all’ipotesi della fissazione di un livello uniforme – è eccessivamente generica, non essendo né indicata la materia alla quale attribuire la normativa impugnata né chiarito in che cosa consisterebbe la dedotta violazione della competenza regionale.

3.5. – La Regione Calabria formula, peraltro, a carico dello stesso art. 223 del d.lgs. n. 152 del 2006, altre due censure di illegittimità costituzionale.

In base alla prima, esso, in quanto prevede che i consorzi per il recupero ed il riciclo degli imballaggi siano strutturati su base nazionale, sarebbe in contrasto col principio di sussidiarietà di cui all’art. 118, primo comma, Cost., poiché, data la struttura nazionale dei detti consorzi e il fatto che il loro statuto debba essere approvato dal Ministro dell’ambiente sulla base di uno schema predisposto di concerto con quello delle attività produttive, rimarrebbero prive di considerazione e del tutto ignorate le «istanze regionali». In base alla seconda censura, la previsione della struttura nazionale dei ricordati consorzi violerebbe l’art. 76 Cost., dato il mancato rispetto di quanto previsto in sede di conferimento di delega legislativa, poichè l’art. 1 della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione), impone al legislatore delegato di conformarsi al contenuto del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59). Quest’ultimo, a sua volta, prevede il rispetto di quanto contenuto nel decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, della direttiva 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), che, nel disciplinare i consorzi in materia di imballaggi, non ne imporrebbe la dimensione nazionale.

Tali censure non sono fondate.

Quanto alla prima, deve osservarsi che è ragionevole e non in contrasto con l’art. 118, primo comma, Cost. – il quale prevede, tra l’altro, che, al fine di assicurarne l’esercizio unitario, le funzioni amministrative possano essere conferite allo Stato – che quest’ultimo, in una materia che è specificamente assegnata alla sua competenza legislativa esclusiva in tema di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», abbia riservato ad organi centrali sia la predisposizione di uno schema di statuto tipo sia il controllo sul rispetto di tale schema, ed abbia, altresì, previsto, onde evitare una parcellizzazione di competenze sul territorio, che ritiene inutile e potenzialmente controproducente, che i ricordati consorzi operino su tutto il territorio nazionale.

Nel caso in esame, quindi, la scelta di attribuire a consorzi nazionali «le funzioni amministrative trova una non implausibile giustificazione nell’esigenza di assicurare che l’esercizio dei compiti […] risponda a criteri di uniformità e unitarietà, atteso che il livello di tutela ambientale non può variare da zona a zona e considerato anche il carattere diffusivo e transfrontaliero dei problemi ecologici, in ragione del quale gli effetti del danno ambientale sono difficilmente circoscrivibili entro un preciso e limitato ambito territoriale» (sentenza n. 235 del 2009).

Quanto alla seconda censura, a prescindere da quanto ritenuto da questa Corte con la citata sentenza n. 225 del 2009, in ordine alla stessa applicabilità dei contenuti di tale decreto legislativo come criteri direttivi della delega prevista dalla legge n. 308 del 2004, si osserva che l’art. 40 del d.lgs. n. 22 del 1997 – disposizione il cui contenuto, secondo la Regione Calabria, sarebbe stato disatteso dal legislatore delegato del 2006, con conseguente «compressione dei poteri regionali» – nel prevedere la costituzione di «un Consorzio per ciascuna tipologia di materiale di imballaggio», evidentemente ne postulava, stante la unicità per tipo e non la pluralità, la struttura unitaria a livello nazionale, non diversamente da quanto ora, con maggiore chiarezza, prevede l’impugnato art. 223 del d.lgs. n. 152 del 2006. Nessuna privazione di attribuzioni regionali precedentemente conferite si è, pertanto, realizzata con la disposizione normativa ora in questione che, di conseguenza, non può, per tale motivo, essere ritenuta adottata in violazione della delega legislativa.

3.6. – Non fondate sono anche le due censure mosse dalla Regione Calabria all’art. 224 del d.lgs. n. 152 del 2006, il quale reca la disciplina del Consorzio nazionale imballaggi.

Secondo la ricorrente Regione, infatti, la concentrazione in tale Consorzio di tutte le funzioni elencate nelle lettere da a) ad m) del comma 3 del predetto art. 224 si porrebbe in contrasto con il principio di sussidiarietà, dovendosi riconoscere che, essendo il livello di governo regionale quello «maggiormente rispondente» al proficuo esercizio della attività di gestione delle ricordate funzioni, il Consorzio nazionale dovrebbe essere affiancato da Consorzi regionali. In via subordinata, la disposizione sarebbe, comunque, illegittima nella parte in cui, nuovamente in violazione del principio di sussidiarietà, non consente alle Regioni di creare propri Consorzi, i quali esercitino le funzioni che possono essere svolte a livello regionale.

Anche in questo caso deve osservarsi che la disciplina ora in esame, per la quale nell’ambito legislativo deve riconoscersi la competenza esclusiva statale in materia di «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», consente di rinvenire, per le ragioni già precedentemente esposte, quelle esigenze che, in puntuale attuazione delle regole della sussidiarietà, giustificano il conferimento anche delle funzioni amministrative al livello statale, per assicurarne l’esercizio coordinato e unitario.

4. – Per ciò che concerne il secondo gruppo di norme, deve evidenziarsi che le censure riguardanti gli articoli 233, 234 e 236 del d.lgs. n. 152 del 2006 – aventi ad oggetto la costituzione, già parzialmente disciplinata dallo stesso d.lgs. n. 22 del 1997 agli articoli 47 e 48, di Consorzi nazionali per la raccolta ed il trattamento di alcune categorie particolari di rifiuti – stante la loro sostanziale omogeneità, possono essere congiuntamente trattate.

4.1. – La Regione Calabria si duole, non diversamente da quanto aveva fatto con riferimento all’art. 224, del fatto che il legislatore delegato, nel disciplinare le funzioni attribuite dalle sopraindicate norme, rispettivamente, ai Consorzi nazionali di raccolta e trattamento degli oli e dei grassi vegetali ed animali esausti, ai Consorzi nazionali per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene e ai Consorzi nazionali per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati, abbia concentrato in essi l’integralità delle funzioni amministrative. Anche in questo caso, infatti, la Regione lamenta il fatto che la struttura nazionale dei richiamati Consorzi (struttura nazionale, che, come vedremo, è, peraltro, stata accentuata dal legislatore con l’adozione del decreto legislativo "correttivo” 16 gennaio 2008, n. 4, recante «Ulteriori disposizioni correttive ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale»), è tale da compromettere il principio di sussidiarietà, essendo il livello di governo regionale quello più rispondente al miglior esercizio delle attività disciplinate dalle norme sopraindicate; violazione neppure emendata attraverso la previsione della possibilità della costituzione di Consorzi regionali che possano esercitare almeno talune delle funzioni di cui alle disposizioni impugnate a  livello regionale.

Analogamente a quanto osservato in merito alla previsione normativa avente ad oggetto il Consorzio nazionale imballaggi, questa Corte rileva che la disciplina in esame, per la quale nell’ambito legislativo deve riconoscersi la competenza esclusiva statale, consente di rinvenire ancora una volta quelle esigenze che, in puntuale attuazione delle regole della sussidiarietà, giustificano il conferimento anche delle funzioni amministrative al livello statale, per assicurarne l’esercizio coordinato e unitario.

A tale proposito è il caso di osservare che, mentre il legislatore del d.lgs. n. 152 del 2006, pur affermando la necessaria dimensione nazionale dei Consorzi in discorso, aveva previsto che gli operatori della rispettiva filiera produttiva potessero costituire «uno o più consorzi» per ciascuna delle diverse tipologie di rifiuti indicati dalle predette disposizioni legislative, in sede di adozione del decreto legislativo "correttivo” n. 4 del 2008 – proprio al fine di meglio tutelare le esigenze di coordinamento che stanno alla base della scelta della dimensione nazionale dei detti Consorzi – ha espunto la facoltà di costituzione di una pluralità di Consorzi, prevedendo, invece, che, per ciascuna delle categorie di rifiuti, così come accorpate dagli articoli 233, 234 e 236 del d.lgs. n. 152 del 2006, sia costituito un solo Consorzio nazionale.

4.2. – Discorso diverso, invece, va fatto per ciò che concerne la impugnazione dell’art. 235 del d.lgs. n. 152 del 2006: tale norma che, con contenuti sostanzialmente identici a quelli degli articoli 233, 234 e 236, dettava la disciplina dei Consorzi nazionali per la raccolta ed il trattamento delle batterie al piombo e dei rifiuti piombosi, è stata espressamente abrogata dall’art. 29, comma 1, lettera f), del decreto legislativo 20 novembre 2008, n. 188 (Attuazione della direttiva 2006/66/CE concernente pile, accumulatori e relativi rifiuti e che abroga la direttiva 91/157/CEE). Di ciò dà formalmente atto la ricorrente Regione Calabria, la quale, ponendo in luce i diversi effetti di questa sopravvenienza normativa rispetto a quelli che, in maniera decisamente più marginale, hanno interessato gli articoli 233, 234 e 236, ha chiaramente manifestato, così come peraltro testualmente esplicitato in sede di discussione orale del ricorso, di non avere più interesse all’impugnazione delle norme.

Limitatamente, perciò, alla questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 235 del d.lgs. n. 152 del 2006, poiché tale norma è stata espressamente abrogata successivamente alla proposizione del ricorso della Regione Calabria e poiché non risulta che la stessa abbia avuto applicazione, deve essere dichiarata cessata la materia del contendere. 

5. – Il terzo gruppo di questioni è sollevato, come detto, da tutte le ricorrenti, le quali hanno impugnato l’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 che disciplina la tariffa per la gestione dei rifiuti solidi urbani.

5.1. – La Regione Calabria lamenta, in particolare, che il comma 6 del citato art. 238, nella parte in cui attribuisce al Ministro dell’ambiente il compito di predisporre, con apposito regolamento, «i criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa» per la gestione dei rifiuti urbani, violerebbe l’art. 117, sesto comma, Cost. e il principio di leale collaborazione in quanto, pur in presenza di molteplici titoli competenziali concernenti la gestione dei rifiuti, assegna allo Stato una potestà regolamentare in una materia non di sua esclusiva competenza e prevede che il citato regolamento del Ministro dell’ambiente sia emanato, di concerto con quello delle attività produttive, «sentita» la Conferenza Stato-Regioni e non «d’intesa» con quest’ultima.

5.2. – La Regione Toscana, a sua volta, impugna i commi 3, 6, 7, 8, 9 e 10 dell’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006, i quali, rispettivamente, nello stabilire (comma 3) le modalità e i criteri della determinazione della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, nel disciplinare le competenze attuative, e nel riconoscere poteri normativi al Ministro dell’ambiente e del territorio e al Ministro delle attività produttive (commi dal 6 al 10) violerebbero gli articoli 117, 118 e 119 Cost. In particolare, attraverso i vari poteri loro riconosciuti dalle citate disposizioni, i richiamati Ministri si andrebbero «illegittimamente a ingerire nella competenza legislativa propria delle Regioni in materia di servizi pubblici locali, […] nonché nell’autonomia finanziaria regionale, perché incidenti su un’entrata la cui disciplina ricad[rebb]e nella competenza regionale» e, per altro verso, mancherebbe la previsione dell’intesa con la Regione, che sarebbe necessaria ogni qualvolta il legislatore nazionale interviene in una materia in cui gli interessi della tutela ambientale si sovrappongono a quelli della tutela del territorio e della tutela della salute.

5.3. – L’art. 238 è impugnato anche dalla Regione Piemonte, che lamenta la violazione dell’art. 76 Cost. in quanto la norma sarebbe in contrasto con il principio e il criterio direttivo fissato dall’art. 1, comma 9, lettera a), della legge delega n. 308 del 2004, secondo il quale si deve «assicurare una maggiore certezza della riscossione della tariffa sui rifiuti urbani anche mediante una più razionale definizione dell’istituto».

Secondo la Regione Piemonte il legislatore, in violazione della legge delega, non si sarebbe limitato a modificare la preesistente disciplina della tariffa, ma avrebbe abrogato l’intero disposto dell’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997 che, precedentemente, la disciplinava, introducendo «rilevanti elementi innovativi circa i presupposti per l’applicazione».

Inoltre, risulterebbe violato anche il principio comunitario «chi inquina paga», contenuto nel trattato istitutivo della Comunità europea e nella direttiva 75/442/CEE, perché alcuni indici, quali l’attribuzione della giurisdizione al giudice tributario (art. 3-bis della legge n. 248 del 2005), l’introduzione di indicatori sganciati dalla mera produzione dei rifiuti e l’inserimento di un richiamo ad indici reddituali, evidenzierebbero la natura tributaria della tariffa, con una sensibile divaricazione tra il quantum pagato e il grado di fruizione del servizio pubblico, con l’ulteriore conseguenza di accentuare la difficoltà degli enti regionali e locali nella programmazione e gestione dei servizi in relazione al finanziamento degli stessi.

5.4. – Analoghe censure vengono svolte dalla Regione Emilia Romagna secondo la quale l’art. 238 violerebbe l’art. 76 Cost., in quanto – abrogando la precedente disciplina contenuta nel cosiddetto «decreto Ronchi» e stabilendo che la «tassa» sui rifiuti sia ora «commisurata su indici quali l’estensione dei locali detenuti e indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali» (comma 2), anziché sul parametro della effettiva produzione dei rifiuti, secondo il principio comunitario «chi inquina paga» –  eccederebbe i limiti della delega (ex art. 1, comma 9, lettera a, della legge delega n. 308 del 2004).

A parere della Regione Emilia-Romagna, la norma in esame violerebbe anche gli articoli 117, quarto e sesto comma, e 119, primo e secondo comma, Cost., nella parte in cui stabilisce che «i criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa» (comma 5) siano determinati da un regolamento ministeriale da emanarsi «sentita» la Conferenza Stato-Regioni (comma 6).

5.5. – L’art. 238, infine, è censurato anche dalla Regione Marche perché, nel disciplinare la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani e le competenze attuative mediante poteri regolamentari attribuiti al Ministro dell’ambiente, violerebbe l’art. 117, quarto comma, Cost., che riserva alle Regioni la disciplina dei servizi pubblici locali, e l’art. 119, primo e secondo comma, Cost., che garantisce l’autonomia finanziaria e tributaria delle Regioni incidendo «su un’entrata la cui disciplina ricade nella competenza regionale».

6. – La questione sollevata dalla Regione Emilia-Romagna relativamente ai commi 5 e 6 dell’art. 238 del d.lgs. 152 del 2006 è inammissibile.

Nella delibera della Giunta, infatti, viene censurato l’art. 238 limitatamente ai commi 1 e 2.

Per giurisprudenza costante di questa Corte, la mancata corrispondenza tra le norme impugnate con il ricorso e quelle oggetto della delibera di autorizzazione all’impugnazione ne determina l’inammissibilità (sentenza n. 387 del 2008; sentenze nn. 64 e 275 del 2007).

7. – Le restanti censure – sollevate dalle Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna e Marche – relative all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006 che disciplina, come si è detto, la nuova tariffa per la gestione dei rifiuti solidi urbani, in sostituzione della tariffa di igiene ambientale di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997, non sono fondate.

7.1. – La prima delle censure innanzi riportate, relativa alla asserita violazione dell’art. 76 Cost., per avere il Governo adottato in sede di decretazione legislativa delegata una disciplina innovativa e non meramente ricognitiva, come avrebbe imposto la legge delega, non è fondata.

Con altra pronuncia di questa Corte (n. 225 del 2009) si è già precisato che il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 308 del 2004 attribuiva al legislatore delegato, tramite gli emanandi decreti legislativi, non solo il compito di procedere al «coordinamento» delle previgenti disposizioni, ma anche quello di provvedere al «riordino» e all’«integrazione» della normativa relativa ai settori elencati nello stesso comma 1. L’uso dei termini «riordino» e «integrazione» è sufficiente a consentire l’attuazione di interventi innovativi e non di sola ricognizione (vedi sentenza n. 225 del 2009).

La volontà del legislatore delegante di innovare la disciplina preesistente è, peraltro, confermata anche dalla lettura dei princìpi e criteri direttivi indicati nei successivi commi 8 e 9 dello stesso art. 1 della legge n. 308 del 2004, molti dei quali, implicitamente o esplicitamente, presuppongono o impongono la modifica sostanziale della normativa ambientale all’epoca vigente.

Con riferimento alla disciplina della tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, deve aggiungersi che essa, oltretutto, costituisce attuazione diretta dell’art. 1, comma 9, lettera a), della legge delega n. 308 del 2004 che prevede, tra i princìpi e criteri specifici della delega stessa, quello di «assicurare una maggiore certezza della riscossione della tariffa sui rifiuti urbani, anche mediante una più razionale definizione dell’istituto». Essa è anche in linea con gli altri principi e criteri specifici quali «assicurare un’efficace azione per l’ottimizzazione quantitativa e qualitativa della produzione dei rifiuti, finalizzata, comunque, a ridurne la quantità e la pericolosità; […] razionalizzare il sistema di raccolta e di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, mediante la definizione di ambiti territoriali di adeguate dimensioni all’interno dei quali siano garantiti la costituzione del soggetto amministrativo competente, il graduale passaggio allo smaltimento secondo forme diverse dalla discarica e la gestione affidata tramite procedure di evidenza pubblica».

7.2. – La questione relativa alla rivendicazione della competenza legislativa delle Regioni a regolamentare la tariffa per la gestione dei rifiuti urbani non è fondata.

Deve, innanzitutto, tenersi presente che l’art. 238 del Codice dell’ambiente detta una disciplina che, pur mantenendo in parte il contenuto della normativa relativa alla tariffa di cui all’art. 49 del "decreto Ronchi”, presenta caratteristiche parzialmente diverse.

A fronte dell’affermazione esplicita del legislatore delegato che, all’art. 238, ha testualmente previsto che la «tariffa costituisce il corrispettivo per lo svolgimento del servizio prestato», la natura della tariffa in esame non è ancora definita, riflettendosi necessariamente sulla stessa il dibattito che si è svolto sulla tariffa di igiene ambientale di cui all’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997. La precedente giurisprudenza di legittimità riteneva, infatti, prevalente la natura impositiva della tariffa di igiene ambientale, negando che essa potesse costituire il corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta, e affermando, invece, che essa costituiva una forma di finanziamento del servizio pubblico attraverso l’imposizione dei relativi costi sull’area sociale che da tali costi ricavava, nel suo insieme, un beneficio (Cass. civ., sez. V, sent. n. 17526 del 2007; Cass. civ., sez. I, sent. n. 5297 del 2009).

È opportuno, al riguardo, evidenziare che solo con la recente sentenza n. 238 del 2009 si è posto fine alla incertezza interpretativa sulla natura della "tariffa” di cui all’art. 49 del "decreto Ronchi”, chiarendone, alla luce delle risultanze cui la Corte di legittimità era pervenuta, il carattere tributario, ma non si è affrontata, in quanto estranea all’oggetto di tale giudizio, la questione della natura della diversa "tariffa” prevista dall’art. 238 del Codice dell’ambiente.    

In questa sede, deve sottolinearsi che, a prescindere dalla qualificazione da riconoscersi alla nuova tariffa per la gestione dei rifiuti urbani, la relativa disciplina è comunque ascrivibile alla competenza esclusiva dello Stato. Infatti, tanto se la si qualifichi come corrispettivo per il servizio reso, quanto se la si ritenga un’imposizione di tipo tributario, non è possibile ricondurla ad alcun titolo competenziale regionale.

Invero, qualora si volesse attribuire alla tariffa natura di corrispettivo del servizio di gestione dei rifiuti solidi urbani, l’art. 238 sarebbe inquadrabile nelle materie ordinamento civile, tutela della concorrenza e tutela dell’ambiente, tutte rientranti nella competenza legislativa esclusiva dello Stato.

A tale proposito, questa Corte ha già affermato che la determinazione delle tariffe dei servizi pubblici affidati in concessione, «allorchè si renda necessario intervenire sui meccanismi contrattuali tra concessionario, da un lato, e imprese e utenti, dall’altro, ponendo limiti all’autonomia contrattuale», rientra nella materia dell’ordinamento civile (sentenza n. 51 del 2008). A ciò si aggiunga che la disciplina della tariffa presenta anche, come si è avuto modo di sottolineare nella citata sentenza, aspetti relativi alla tutela della concorrenza, perché alla sua determinazione provvede l’Autorità d’ambito, con la finalità di ottenere un equilibrio economico-finanziario della gestione del servizio e di assicurare all’utenza efficienza ed affidabilità. Tale affermazione è ulteriormente confermata dall’art. 1, comma 9, lettera a), della legge n. 308 del 2004 che, come già dianzi osservato, pone tra i principi e criteri specifici della delega quelli di attuare «il graduale passaggio allo smaltimento secondo forme diverse dalla discarica e la gestione affidata tramite procedure di evidenza pubblica; […nonché quelli di…] assicurare tempi certi per il ricorso a procedure concorrenziali come previste dalle normative comunitarie e nazionali e definire termini certi per la durata dei contratti di affidamento delle attività di gestione dei rifiuti urbani».

Qualora, invece, si volesse qualificare la tariffa in esame come tributo, anche in questo caso si dovrebbe riconoscere la competenza esclusiva dello Stato, e, conseguentemente, l’impossibilità delle regioni di interferire con la legge statale che tale tariffa ha istituito.

Il sistema finanziario e tributario degli enti locali è oggetto delle disposizioni dell’art. 119 della Costituzione, come novellato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione). Peraltro, questa Corte ha già affermato che, fino all’attuazione da parte del legislatore statale del nuovo disegno costituzionale, si deve ritenere preclusa alle Regioni «la potestà di legiferare sui tributi esistenti istituiti e regolati da leggi statali e per converso si deve ritenere tuttora spettante al legislatore statale la potestà di dettare norme modificative anche nel dettaglio della disciplina dei tributi locali esistenti» (sentenza n. 37 del 2004).

È opportuno precisare che le sopraindicate conclusioni non vengono ad essere modificate dalla recente approvazione della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), posto che la citata normativa fissa principi e criteri direttivi che per mutare l’attuale impalcatura del sistema tributario hanno necessità di essere attuati attraverso un articolato percorso normativo che nella legge delega trova il suo fondamento.

Va osservato, infine, che la disciplina in esame rientra anche nella materia tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., in quanto la determinazione della tariffa si inserisce in un complesso assetto normativo diretto, come si evince dalla stessa legge delega, ad «assicurare un’efficace azione per l’ottimizzazione quantitativa e qualitativa della produzione dei rifiuti, finalizzata, comunque, a ridurne la quantità e la pericolosità», ed a «promuovere il riciclo e il riuso dei rifiuti, anche utilizzando le migliori tecniche di differenziazione e di selezione degli stessi», «promuovere la specializzazione tecnologica delle operazioni di recupero e di smaltimento dei rifiuti speciali, al fine di assicurare la complessiva autosufficienza a livello nazionale»; «assicurare tempi certi per il ricorso a procedure concorrenziali come previste dalle normative comunitarie e nazionali e definire termini certi per la durata dei contratti di affidamento delle attività di gestione dei rifiuti urbani» (art. 1, comma 9, lettera a, della legge delega n. 308 del 2004).

7.3. – Le questioni relative alla violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., sollevate perché l’art. 238, pur in presenza dei molteplici titoli competenziali concernenti la gestione dei rifiuti, assegna alla Stato una potestà regolamentare, nonché per la violazione del principio di leale collaborazione, in quanto per l’emanazione del regolamento non è prevista l’intesa con la Conferenza Stato-Regioni,  non sono fondate.

Stante l’individuazione delle sopraindicate materie di competenza esclusiva statale tanto se si attribuisca alla tariffa la natura di corrispettivo quanto se le si riconosca la natura di tributo, spetta comunque allo Stato anche il potere regolamentare. Pertanto la forma di collaborazione individuata dal comma 6 dell’art. 238, che prevede che sia sentita la Conferenza Stato-Regioni, deve ritenersi sufficiente. Tra l’altro, il regolamento fissa solo i criteri generali sulla base dei quali devono essere definite le componenti dei costi e deve essere determinata la tariffa, mentre la sua determinazione finale spetta alle autorità d’ambito di cui all’art. 201 del d.lgs. n. 152 del 2006, che dovranno tener conto anche, ai sensi del comma 2, dei parametri relativi agli «indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali».

7.4. – Infine, in riferimento alla violazione del principio comunitario «chi inquina paga», deve escludersi che da tale principio possa desumersi il divieto per gli Stati membri di istituire un tributo per la gestione dei rifiuti urbani o la preclusione di predisporre dei criteri di determinazione della tariffa che tengano conto anche dei parametri relativi all’estensione dei locali detenuti o agli indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali.

8. – Il quarto gruppo di norme censurate riguarda il titolo V della Parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006 che disciplina la bonifica dei siti contaminati.

8.1. – In particolare, la Regione Calabria reitera la propria lamentela circa il carattere innovativo degli articoli da 239 a 253 del d.lgs. n. 152 del 2006 in violazione dell’art. 76 Cost., in quanto la delega legislativa era finalizzata solo al «riordino, coordinamento ed integrazione delle disposizioni legislative» in vigore. Inoltre, a parere della Regione Calabria, il Governo avrebbe esorbitato dai limiti della delega, ponendo in essere norme che, «qualora previste ab origine come innovative, avrebbero richiesto un’assai più rilevante partecipazione delle Regioni nella loro fase formativa».

In via subordinata, la Regione Calabria lamenta che «molte disposizioni contenute negli articoli da 239 a 253» del d.lgs. n. 152 del 2006 contrasterebbero con l’art. 117 Cost. in quanto nella diversità dei titoli competenziali interessati sarebbe prevalente la materia del "governo del territorio”.

La Regione Calabria ha, altresì, impugnato l’art. 241 del d.lgs. n. 152 del 2006 il quale prevede che il regolamento relativo agli interventi di bonifica, ripristino e messa in sicurezza, nonché a quelli di emergenza delle aree contaminate destinate alla produzione agricola e all’allevamento, sia adottato con decreto del Ministro dell’ambiente di concerto con quelli delle attività produttive e delle politiche agricole e forestali. La ricorrente si duole del fatto che viene attribuito ad organi centrali un potere regolamentare in un ambito nel quale, oltre al concorso di diverse competenze trasversali e concorrenti, è riscontrabile la presenza della materia dell’«agricoltura» di competenza residuale regionale. Viene, quindi, lamentata sia la violazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., proprio a causa della allocazione in sede ministeriale del potere regolamentare, sia del principio di leale collaborazione, il quale sarebbe leso dal fatto che, in una materia in cui è coinvolta la loro competenza residuale, non è prevista neppure la partecipazione delle Regioni nel procedimento di formazione del citato regolamento.

La Regione impugna anche: l’art. 242 del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui regola con norme di dettaglio le procedure operative e amministrative per l’esecuzione delle opere di bonifica; l’art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui specifica i comportamenti che le amministrazioni debbono assumere in caso di superamento dei valori di concentrazione soglia; l’art. 245 del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui si occupa delle modalità degli interventi di messa in sicurezza, bonifica e ripristino ambientale; l’art. 248 del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui specifica le forme di controllo sulle opere eseguite; l’art. 249 e l’allegato 4 alla Parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui disciplinano le modalità semplificate di intervento nelle aree di ridotte dimensioni; l’art. 250 del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui si occupa delle condizioni per l’intervento sostitutivo della pubblica amministrazione.

Le citate disposizioni, a parere della Regione, violerebbero l’art. 117 Cost. in quanto, nella diversità dei titoli competenziali interessati, sarebbe prevalente la materia "governo del territorio” dal momento che il ripristino delle condizioni di salubrità dei siti si configura come attività qualificante del governo del suolo, del sottosuolo e delle acque.

In via ulteriormente subordinata, gli articoli 242, 244, 245, 248, e 249 del d.lgs. n. 152 del 2006, dato il loro carattere di norme di dettaglio, sarebbero in contrasto con l’art. 117 Cost., sussistendo una concorrenza di materie in senso stretto e non essendo possibile individuare una materia prevalente di competenza esclusiva dello Stato.

Infine, la Regione Calabria censura anche l’art. 252, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 152 del 2006 nella parte in cui prevede, al comma 3, che la perimetrazione dei siti di interesse nazionale soggetti a bonifica avvenga "sentiti” gli enti territoriali e, al comma 4, nella parte in cui non prevede l’intesa sebbene essa fosse prevista dal comma 14 dell’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, al cui rispetto era vincolato il legislatore delegato ai sensi  dell’art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004, il quale rinvia all’art. 85 del d.lgs. n. 112 del 1998.

8.2. – La Regione Toscana impugna l’art. 242, commi 2, 3, 4 e 5, del citato d.lgs. n. 152 del 2006, in combinato disposto con l’art. 240, comma 1, lettera b), in riferimento agli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost.

Secondo quest’ultima ricorrente, le norme citate, che disciplinano le procedure amministrative ed operative per la bonifica dei siti inquinati, demanderebbero, in caso di contaminazione di un sito, alla discrezionalità dell’inquinatore l’obbligo di bonifica, rimettendo alla sua volontà la scelta della procedura più adatta al caso di specie, in violazione dei principi e criteri direttivi fissati dall’art. 1, comma 8, lettere b), e), f), ed h), della legge delega n. 308 del 2004, nonché del principio comunitario «chi inquina paga».

La Regione Toscana, ritiene, anche, che l’art. 242, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, limitando il quantum delle garanzie finanziarie che devono essere prestate in favore della Regione per la corretta esecuzione ed il completamento degli interventi medesimi «in misura non superiore al cinquanta per cento del costo stimato dell’intervento», sarebbe incompatibile con le competenze regionali nelle seguenti materie: tutela della salute, governo del territorio, e servizi pubblici; sarebbe, altresì, in contrasto sia con i principi comunitari di tutela ambientale – in particolare con il principio «chi inquina paga» – sia con i già richiamati principi e criteri direttivi di cui alle lettere e) ed f), dell’art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del 2004, oltre che con i principi e criteri direttivi di cui alle lettere c), f) ed i) del citato comma 8. Tutto ciò in violazione degli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost.

Infine, è impugnato l’art. 252, commi 3 e 4, del citato d.lgs. n. 152 del 2006, il quale disciplina i cosiddetti «siti di interesse nazionale» ai fini della bonifica, in quanto esso non prevede un’adeguata partecipazione regionale nella fase della perimetrazione e dell’approvazione dei progetti per la bonifica di tali siti.

8.3. – La Regione Piemonte impugna, in relazione all’art. 76 Cost., gli articoli 240, 242, 246 e 252 del d.lgs. n. 152 del 2006 perché, essendo innovativi, si porrebbero in contrasto con i principi e i criteri direttivi fissati dalla legge delega n. 308 del 2004.

La Regione sopraindicata ritiene che l’art. 240 del citato decreto, nella parte in cui introduce una definizione della «messa in sicurezza operativa che anziché consentire un’appropriata organizzazione […delle operazioni da effettuare…] finisce per procrastinare a tempo indeterminato gli interventi fino a quando l’attività verrà dismessa», sia del tutto irragionevole e che l’art. 242, nel modificare «integralmente tutto il precedente impianto di competenze  eliminando l’incardinamento degli interventi in primo luogo nei comuni territorialmente interessati», oltre ad essere anch’esso del tutto irragionevole, violi il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost.

Inoltre, a parere della ricorrente e con riferimento all’art. 246, sarebbe del tutto incongruo prevedere il ricorso obbligatorio ad accordi di programma che i soggetti tenuti ad eseguire gli interventi di bonifica hanno «diritto di stipulare» con l’amministrazione competente.

La Regione Piemonte censura, infine, l’art. 252 del d.lgs. n. 152 del 2006 nella parte in cui, modificando le competenze in materia di interventi sui siti di interesse nazionale, non prevede  un’adeguata partecipazione delle Regioni.

8.4. – La Regione Marche impugna, a sua volta, l’art. 240, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost. 

Secondo la Regione, aver previsto che, nelle ipotesi in cui un sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un’area interessata da fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il superamento di una o più concentrazioni soglia di contaminazione, «queste ultime si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti i parametri superati», determina gravi incertezze sulle modalità di rilevamento dei valori di fondo e, conseguentemente, sui valori di riferimento, ponendosi in contrasto con la normativa comunitaria a tutela dei suoli dall’inquinamento e con i principi e criteri direttivi individuati dall’art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004, con evidenti gravi ripercussioni sulla tutela dell’ambiente e della salute e sul governo del territorio.

La Regione Marche censura anche l’art. 241, per violazione degli articoli 117 e 118 Cost., perché nel prevedere il cosiddetto "regolamento aree agricole” rimanderebbe a tempo indeterminato l’applicazione della disciplina della bonifica delle aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento, impedendo di bonificare tali aree e di procedere al riutilizzo delle stesse, con grave pregiudizio per la tutela dell’ambiente, della salute e del governo del territorio.

L’art. 242, commi 2, 3, 4 e 5, è, poi, impugnato dalla Regione Marche nella parte in cui subordina l’obbligo di bonifica, per il soggetto inquinatore, alla procedura di analisi del rischio che sarebbe ancorata a parametri del tutto incerti e non oggettivi, per violazione degli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost.

Secondo la Regione, sarebbero violate «le attribuzioni regionali in materia di tutela della salute e del governo del territorio in quanto l’inquinatore potrà effettuare un’analisi del rischio più favorevole ai propri interessi, evitando la successiva fase di bonifica». Inoltre, demandare alla discrezionalità dell’inquinatore la scelta della procedura più appropriata sarebbe in contrasto con la normativa comunitaria a tutela dei suoli e con i principi e criteri direttivi individuati dall’art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004.

La Regione Marche ritiene ancora che l’art. 242, comma 7, nella parte in cui prevede che le garanzie finanziarie, nel caso di provvedimento di autorizzazione alla bonifica ambientale, debbano essere prestate in misura non superiore al cinquanta per cento del costo stimato per l’intervento, violerebbe gli articoli 76, 117 e 118 Cost.

In particolare, la disposizione impugnata costituirebbe una «norma di dettaglio incompatibile con le competenze regionali» in materia di tutela della salute, di governo del territorio e di disciplina dei servizi pubblici e si porrebbe in contrasto con i principi e criteri direttivi individuati dall’art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004, dal momento che consentirebbe a chi ha procurato un inquinamento di non garantire in pieno la bonifica del sito, nonché contrasterebbe con i principi e criteri direttivi di cui alle lettere c) ed i) del comma 8 dell’art. 1 della legge delega n. 308 del 2004, secondo  i quali la nuova disciplina non avrebbe dovuto comportare maggiori oneri per la finanza pubblica ed, inoltre, avrebbe dovuto assicurare una più efficace tutela in materia ambientale.

La ricorrente impugna anche l’art. 252, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto non prevede l’intesa ai fini della perimetrazione e dell’approvazione delle procedure di bonifica dei siti di interesse nazionale, attività che, comunque, si ripercuotono sulle competenze costituzionali della Regione in materia di tutela della salute e governo del territorio.

9. – Preliminarmente devono dichiararsi inammissibili, per genericità, le censure svolte dalla Regione Calabria, in via subordinata, in riferimento all’art. 117 Cost., relativamente agli articoli da 239 a 253 e dalla Regione Piemonte relativamente agli articoli 240, 242, 246 e 252.

Le ricorrenti avrebbero dovuto indicare con precisione quali delle disposizioni contenute negli articoli censurati ritenessero lesive delle proprie prerogative, stante anche il loro contenuto non omogeneo, e avrebbero dovuto esporre in modo più analitico le ragioni dell’impugnazione non limitandosi a invocare genericamente la lesione dei parametri evocati. La Regione Piemonte avrebbe dovuto dedurre la violazione di proprie competenze costituzionalmente garantite mentre, in alcuni casi (articoli 240 e 246) non indica neanche il parametro costituzionale violato.

9.1. – Le questioni sollevate dalla Regione Marche in relazione agli articoli 240, comma 1, lettera b), e all’art. 241 sono inammissibili.

La prima delle censure è del tutto generica, limitandosi la Regione a lamentare la violazione dei parametri evocati senza tuttavia specificare le ragioni della lesione delle proprie competenze costituzionalmente garantite.

La seconda censura relativa all’art. 241, che disciplina la bonifica delle aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento, è inammissibile perché il petitum è oscuro e incerto. Dal tenore della censura sembrerebbe ricavarsi la volontà della Regione di ottenere l’immediata applicabilità della disciplina della bonifica anche ai siti contaminati a destinazione agricola senza attendere l’emanazione del regolamento. Tuttavia la ricorrente non chiarisce perché il rinvio, effettuato dalla disposizione, alla potestà regolamentare del Governo (in materia di competenza legislativa esclusiva statale) violerebbe le proprie competenze costituzionalmente garantite.

9.2. – Sempre in via preliminare, si deve evidenziare che le norme oggetto della presente impugnazione, ad eccezione dell’art. 242, comma 4, non hanno subito modificazioni a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 4 del 2008. La modifica dell’art. 242, comma 4, intervenuta ad opera dell’art. 2, comma 43-bis, del d.lgs. n. 4 del 2008, è del tutto ininfluente ai fini del presente ricorso.

9.3. – La censura formulata dalla Regione Calabria, relativamente all’art. 241 del d.lgs. n. 152 del 2006 è fondata, limitatamente al profilo relativo alla dedotta violazione del principio di leale collaborazione.

Osserva, infatti, questa Corte che, sebbene – come meglio si dirà in seguito – la materia della bonifica dei siti contaminati è da collocarsi, come si è anche di recente deciso, nella tematica relativa alla «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema», materia questa di esclusiva competenza statale, non può disconoscersi che, con riferimento alla bonifica delle aree adibite alla produzione agricola o all’allevamento del bestiame, lo stesso legislatore nazionale abbia riconosciuto la peculiarità dei siti in questione, dando rilevanza, proprio con la previsione di una normativa differenziata, alla specifica destinazione delle suddette aree. In tal senso si giustifica anche il coinvolgimento, nella emanazione del regolamento relativo agli interventi nelle indicate aree, sia del Ministro delle attività produttive che di quello delle politiche agricole e forestali, chiamati ad esprimere il "concerto”.

Dato che, nel delineare il procedimento volto alla adozione del regolamento de quo, si è ritenuto opportuno valorizzare le implicazioni che la bonifica di tali siti ha con la materia dell’agricoltura, appare certamente in contrasto col principio di leale collaborazione avere escluso nelle fasi del citato procedimento l’apporto partecipativo delle Regioni, cioè di quei soggetti che, rientrando la relativa materia nella loro competenza legislativa residuale, sono dotati di specifiche attribuzioni, costituzionalmente tutelate, in tema di agricoltura e zootecnia.

Ritiene questa Corte che adeguato strumento di coinvolgimento di tali istituzioni sia quello di prevedere che il regolamento in questione sia emanato dal Ministro dell’ambiente non soltanto di concerto con quelli delle attività produttive e delle politiche agricole e forestali, ma anche sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali), essendo questo il luogo giuridico istituzionalmente preposto ai momenti di concertazione fra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali. È evidente che la acquisizione di tale parere dovrà precedere il concerto degli altri organi statali.

9.4. – Le restanti censure non sono fondate.

Quanto alla violazione dell’art. 76 Cost. da parte degli articoli da 239 a 253 del d.lgs. n. 152 del 2006 dedotta dalla Regione Calabria, già si è osservato al precedente punto 7.1. che la legge delega consentiva, ed anzi in certi casi imponeva, la adozione di una nuova disciplina anche sostanzialmente innovativa rispetto alla precedente.

Questa Corte ha già inquadrato la disciplina della bonifica dei siti contaminati nell’ambito della materia tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenza n. 214 del 2008). Ne consegue che le norme in esame rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato al quale spetta, anche con disposizioni di dettaglio e anche in sede regolamentare, disciplinare le procedure amministrative dirette alla prevenzione, riparazione e bonifica dei siti contaminati.

Devono pertanto ritenersi infondate le rivendicazioni delle Regioni di propri ambiti di competenza in relazione al governo del territorio e alla tutela della salute, così come la rivendicazione del potere regolamentare in materia.

9.5. – Le censure relative all’art. 242, commi 2, 3, 4, e 5, svolte dalle Regioni Marche e Toscana non sono fondate.

Le ricorrenti compiono una errata ricostruzione della disciplina introdotta dalle norme in oggetto dalla quale fanno discendere un potere discrezionale del soggetto inquinatore. In realtà l’art. 242, che modifica il precedente art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997,  introduce un complesso iter diretto a porre in capo al soggetto inquinatore l’obbligo di procedere alla bonifica del sito contaminato.

Tale procedimento è scandito da una prima fase che ha inizio al verificarsi di un evento che sia potenzialmente in grado di contaminare un sito, allorchè il responsabile dell’inquinamento deve mettere in opera, entro ventiquattro ore, le misure necessarie di prevenzione e deve darne immediata comunicazione, ai sensi e con le modalità di cui all’art. 304, comma 2, alle amministrazioni competenti.

Questo primo momento è necessariamente rimesso alla volontà del responsabile dell’inquinamento perché nell’immediatezza del verificarsi dell’evento potenzialmente lesivo egli è l’unico soggetto che certamente ne è a conoscenza. A questo proposito è bene ricordare che il legislatore ha sanzionato penalmente l’omessa comunicazione del verificarsi dell’evento potenzialmente lesivo da parte del soggetto responsabile (art. 257). In ogni caso, in mancanza della comunicazione, la contaminazione dovrà emergere mediante l’attività di vigilanza e controllo delle amministrazioni competenti.

Il pieno coinvolgimento delle amministrazioni competenti risulta in modo ancora più significativo nella fase successiva, in cui è previsto che esse controllino e verifichino l’attività del soggetto responsabile. Infatti, nella seconda fase, l’art. 242 prevede che il responsabile dell’inquinamento, attuate le necessarie misure di prevenzione, svolga, nelle zone interessate dalla contaminazione, un’indagine preliminare sui parametri oggetto dell’inquinamento e, ove accerti che il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) non sia stato superato, provveda al ripristino della zona contaminata, dandone notizia, con apposita autocertificazione, al Comune ed alla Provincia competenti per territorio entro quarantotto ore. Tale attività di autocertificazione è sottoposta alla verifica e al controllo degli enti  locali competenti entro il ristretto termine di quindici giorni.

Qualora il livello delle concentrazioni soglia di contaminazione risulti invece superato, il responsabile dell’inquinamento deve immediatamente informare il Comune e la Provincia competente con la descrizione delle misure di prevenzione e di messa in sicurezza di emergenza adottate.

Tutte le successive fasi della procedura di bonifica devono essere approvate dalla Regione. Il piano di caratterizzazione deve essere presentato, nei successivi trenta giorni, alle amministrazioni, nonchè alla Regione territorialmente competente e, nei trenta giorni successivi, la Regione, convocata la conferenza di servizi, «autorizza il piano di caratterizzazione con eventuali prescrizioni integrative». Sulla base delle risultanze della caratterizzazione, al sito è applicata la procedura di analisi del rischio sito specifica per la determinazione delle concentrazioni soglia di rischio (CSR).

Entro sei mesi dall’approvazione del piano di caratterizzazione, il soggetto responsabile presenta alla Regione i risultati dell’analisi di rischio. La conferenza di servizi, convocata dalla Regione a seguito dell’istruttoria svolta in contraddittorio con il soggetto responsabile – cui è dato un preavviso di almeno venti giorni – «approva il documento di analisi di rischio entro i sessanta giorni dalla ricezione dello stesso».

Se gli esiti dell’analisi di rischio sono positivi, in quanto dimostrano che la concentrazione dei contaminanti presenti nel sito è inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei servizi, con l’approvazione del documento dell’analisi del rischio, dichiara concluso positivamente il procedimento. In tal caso, la conferenza di servizi può prescrivere lo svolgimento di un programma di monitoraggio sul sito circa la stabilizzazione della situazione in relazione agli esiti dell’analisi di rischio e all’attuale destinazione d’uso del sito. A tal fine, il soggetto responsabile, entro sessanta giorni dall’approvazione di cui sopra, invia alla Provincia e alla Regione competenti per territorio un piano di monitoraggio nel quale sono individuati i parametri da sottoporre a controllo, nonchè la frequenza e la durata del monitoraggio.

Se invece sono superate le soglie di concentrazione di rischio, il soggetto responsabile sottopone alla Regione, nei successivi sei mesi dall’approvazione del documento di analisi di rischio, il progetto degli interventi di bonifica o di messa in sicurezza, operativa o permanente, e, ove necessario, le ulteriori misure di riparazione e di ripristino ambientale. La Regione, acquisito il parere del Comune e della Provincia interessati mediante apposita conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile, «approva il progetto, con eventuali prescrizioni ed integrazioni entro sessanta giorni dal suo ricevimento».

La procedura ora descritta rende palese l’erroneità del presupposto interpretativo delle ricorrenti, secondo il quale il responsabile dell’inquinamento può influire sull’esito dell’analisi di rischio e impedire l’avvio della procedura di bonifica. È, anche in questo caso, opportuno sottolineare che l’art. 257 sanziona penalmente il soggetto che cagiona l’inquinamento «se non provvede alla bonifica in conformità al progetto approvato dall’autorità competente nell’ambito del procedimento di cui agli articoli 242 e seguenti».

Inoltre, è altrettanto evidente che non vi è alcuna violazione dei principi e criteri direttivi contenuti alle lettere b) e h) del comma 8 dell’art. 1 della legge delega n. 308 del 2004 relativi al perseguimento «di maggiore efficienza e tempestività dei controlli ambientali», nonché alla «previsione di misure che assicurino l’efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali».

9.6. – Parimenti infondate sono le censure dalle Regioni Toscana e Marche rivolte all’art. 242, comma 7, nella parte in cui prevede un limite massimo, pari al cinquanta per cento del costo dell’intervento, per ciò che riguarda le garanzie finanziarie che devono essere prestate in favore della Regione per la corretta esecuzione ed il completamento degli interventi di bonifica al momento dell’approvazione del relativo progetto.

Dovendosi inquadrare la disciplina in esame nell’ambito della competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente di cui all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenza n. 214 del 2008), ben può il legislatore statale prevedere un limite massimo della garanzia finanziaria che le Regioni possono chiedere al responsabile dell’inquinamento, trattandosi di un livello uniforme di tutela che, nel limite massimo previsto, lascia, tra l’altro, alle amministrazioni competenti il potere di imporre la percentuale più opportuna.

Quanto alla presunta violazione della legge delega, la disposizione in esame è pienamente conforme ai principi e criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 9, lettera a), della legge n. 308 del 2004. In particolare, laddove testualmente fra tali principi è indicato quello relativo a: «incentivare il ricorso a risorse finanziarie private per la bonifica ed il riuso anche ai fini produttivi dei siti contaminati, in applicazione della normativa vigente». Essa non è, poi, certamente contraria al principio comunitario «chi inquina paga» di cui è, anzi, specifica attuazione, ed è, infine, conforme anche ai principi e criteri direttivi di cui all’art. 1, comma 8, lettere c), e), f) ed i), della legge delega.

La garanzia finanziaria, infatti, si colloca in un momento procedimentale che si potrebbe definire "virtuoso”, perché prevede un responsabile dell’inquinamento che si è già attivato e, svolte tutte le fasi preliminari di riduzione e contenimento del danno, ha presentato all’amministrazione un progetto esecutivo che quest’ultima deve approvare. Diversamente, nell’ipotesi del responsabile dell’inquinamento che si sottrae agli obblighi previsti dall’art. 242, trova applicazione la procedura di cui all’art. 250 che prevede l’obbligo per l’amministrazione di provvedere alle operazioni di bonifica. In tale ipotesi gli strumenti di garanzia predisposti dal legislatore in favore dell’ente locale sono quelli di cui all’art. 253, primo fra tutti il privilegio speciale ex art. 2748 del codice civile sul terreno da bonificare.

10. – Riguardo, poi, all’art. 252 del d.lgs. n. 152 del 2006 – che regola le procedura di bonifica di una particolare categoria di siti inquinati, i cosiddetti siti «d’interesse nazionale», ai quali il legislatore ha ritenuto opportuno dedicare una disciplina, diversa da quella ordinaria, proprio in considerazione della loro peculiare caratteristica di essere portatori di quello che è stato qualificato un «interesse nazionale», il quale, in quanto tale, travalica l’ambito locale e regionale – esso è stato impugnato dalle Regioni  Calabria, Toscana, Piemonte, e Marche in riferimento agli articoli 117 e 118 Cost., e anche in riferimento al principio di leale collaborazione.

10.1. – In particolare, la Regione Piemonte censura l’art. 252 d.lgs. n. 152 del 2006 nella parte in cui, modificando le competenze in materia di interventi di bonifica dei siti di interesse nazionale, viola il principio di leale collaborazione perchè elimina l’intesa con la Regione territorialmente competente in ordine alla definizione ed approvazione del progetto dell’intervento.

Della generica impugnazione della norma in relazione alla dedotta violazione dell’art. 76 Cost. si è già trattato nel precedente punto 9.

L’esclusione della codeterminazione con la Regione, secondo la ricorrente, sarebbe priva di giustificazione ed in contrasto con il principio di leale collaborazione, considerando la natura degli interventi di interesse nazionale, che riguardano vaste porzioni territoriali ed hanno rilevante impatto socio-economico, anche in considerazione del fatto che le norme della legge n. 426 del 1998, tuttora vigente, stabiliscono che per detti interventi siano le Regioni ad attribuire il finanziamento, che incongruamente esse dovrebbero disporre su progetti che non hanno esaminato ed approvato.

10.2. – Le Regioni Calabria, Toscana e Marche impugnano, invece, i commi 3 e 4 del citato articolo. L’uno, disciplina i criteri in base ai quali attuare la perimetrazione del sito di interesse nazionale (fase ulteriore rispetto a quella prevista dai precedenti commi 1 e 2 [non impugnati] consistente nell’individuazione del sito, la cui competenza spetta al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, che provvede con decreto, d’intesa con le Regioni interessate), alla quale si provvede «sentiti i Comuni, le Province, le Regioni e gli altri Enti locali, assicurando la partecipazione dei responsabili nonché dei proprietari delle aree da bonificare, se diversi dai soggetti responsabili».

Il comma successivo, poi, introduce disposizioni in tema di bonifica di questi siti, prevedendo che la procedura sia la stessa che è prevista dall’art. 242 d.lgs. 152 del 2006, attribuendone, altresì, la competenza al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio – sentito il Ministero per le attività produttive – il quale può avvalersi, eventualmente, «dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente per i servizi tecnici (APAT), dell’Istituto superiore di sanità e dell’E.N.E.A, nonché di altri soggetti qualificati pubblici o privati».

Le ricorrenti lamentano che le disposizioni in oggetto non coinvolgono adeguatamente le Regioni, in quanto, non prevedendo l’intesa con esse ai fini della perimetrazione del sito e/o dell’approvazione della bonifica dei siti di interesse nazionale, si porrebbero in contrasto con gli articoli 117 e 118 Cost., anche in riferimento al principio di leale collaborazione.

Tale mancata previsione di adeguate forme di coinvolgimento delle Regioni, dunque, secondo le ricorrenti, lederebbe le competenze costituzionali riconosciute alle stesse in materia di governo del territorio e tutela della salute, nonchè, per la Regione Toscana, «vincolerebbe la destinazione urbanistica del territorio dei siti d’interesse nazionale da bonificare, senza nessun intervento da parte delle Regioni interessate».

10.3. – La Regione Calabria ha, poi, censurato l’art. 252, limitatamente al comma 4, anche in riferimento all’art. 76 Cost., atteso che tale disposizione –  stabilendo che «la procedura di bonifica di cui all’art. 242 dei siti di interesse nazionale è attribuita alla competenza del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, sentito il Ministero delle attività produttive», senza alcuna previsione di una intesa con la Regione territorialmente competente – si porrebbe in contrasto, oltre che con il principio di leale collaborazione, anche con l’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004.

 Esso, rinviando all’art. 85 del d.lgs. n. 112 del 1998, imporrebbe al legislatore delegato il rispetto della attribuzioni regionali fissate dal comma 14 dell’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, e, conseguentemente, per gli interventi di bonifica di interesse nazionale, l’intesa con la Regione territorialmente competente. La violazione dell’art. 76 da parte del legislatore delegato, pertanto, a parere della Regione ricorrente, ridurrebbe le competenze delle Regioni rispetto a quelle loro attribuite dalla precedente legislazione.

Data la loro stretta connessione, le suindicate questioni di legittimità costituzionale, con riferimento ai citati parametri, possono essere esaminate in modo congiunto.

10.4. – Le questioni non sono fondate.        

10.5. – In relazione alla dedotta violazione degli articoli 117 e 118 Cost., in quanto sarebbero state lese  le prerogative regionali in materia di governo del territorio e tutela della salute, nonché del principio di leale collaborazione, occorre sottolineare che la materia nella quale deve essere inquadrata la disciplina oggetto delle disposizioni censurate è quella della tutela dell’ambiente, di competenza esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., come del resto già affermato, riguardo allo specifico tema di cui trattasi, da questa Corte con la sentenza n. 214 del 2008.

 In tale sentenza, infatti, questa Corte, affrontando il tema della bonifica dei siti contaminati, dopo le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 152 del 2006, ha precisato che «la disciplina ambientale, che scaturisce dall’esercizio di una competenza esclusiva dello Stato, costituisce un limite alla disciplina che le Regioni e le Province autonome dettano in altre materie di loro competenza, per cui queste ultime non possono in alcun modo derogare il livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato (sentenza n. 62 del 2008; sentenza n. 378 del 2007). Spetta infatti alla disciplina statale tener conto degli altri interessi costituzionalmente rilevanti contrapposti alla tutela dell’ambiente. In tali casi, infatti, una eventuale diversa disciplina regionale, anche più rigorosa in tema di tutela dell’ambiente, rischierebbe di sacrificare in maniera eccessiva e sproporzionata gli altri interessi confliggenti considerati dalla legge statale nel fissare i cosiddetti valori soglia (sentenza n. 246 del 2006; sentenza n. 307 del 2003)».

Pertanto, anche qualora possano rilevarsi ambiti di competenza spettanti alle Regioni, deve ritenersi prevalente il citato titolo di legittimazione statale, anche in ragione della sussistenza di un interesse unitario alla disciplina omogenea di siti che travalicano l’interesse locale e regionale.

Inoltre, ad ulteriore conferma dell’infondatezza delle censure mosse dalle Regioni ricorrenti alle disposizioni in esame, occorre osservare che dalla lettura delle stesse emerge chiaramente il coinvolgimento delle Regioni nelle varie fasi della procedura.

Infatti, il comma 2 dell’art. 252 (non impugnato dalle ricorrenti) prevede l’intesa con le Regioni interessate da parte del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio  per l’emanazione del decreto ai fini dell’individuazione dei siti di interesse nazionale che devono essere bonificati; il comma 3 stabilisce, a sua volta, ai fini della perimetrazione del sito, una partecipazione  procedimentale estesa a più soggetti – anche se limitata all’espressione di un parere – rispetto a quella prevista per l’individuazione del sito (alla quale, come detto, partecipano solo il Ministro dell’ambiente e le Regioni interessate), con il coinvolgimento anche dei Comuni, delle Province, delle Regioni e la partecipazione dei responsabili nonché dei proprietari delle aree da bonificare, se diversi dai soggetti responsabili. 

Al comma 4, poi, la nuova normativa ha introdotto la possibilità che il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio possa avvalersi dell’APAT, delle ARPA regionali, dell’Istituto superiore di sanità, nonché di altri soggetti pubblici (anche regionali) e privati, facendo sì che la Regione sia coinvolta nei procedimenti di bonifica dei siti di interesse nazionale, cui è interessata per territorio.

È ulteriormente da porre in evidenza che la più recente giurisprudenza costituzionale in tema (sentenze n. 12 e n. 61 del 2009) sottolinea come, qualora non vi sia dubbio che lo Stato stia utilizzando la sua competenza legislativa in materia di ambiente ed ecosistema, a quest’ultimo spetti la valutazione della idoneità del livello di coinvolgimento della Regione. Nel caso di specie la forma di collaborazione individuata dalle disposizioni censurate non appare inadeguata, così da non giustificare la pretesa della Regione del ricorso all’intesa in tutte le fasi della procedura.

10.6. – Parimenti infondata è la censura formulata dalla Regione Calabria sulla base dell’asserita violazione dell’art. 76 Cost., in quanto l’art. 252, comma 4, del d.lgs. n. 152 non contempla il ricorso all’intesa con la Regione territorialmente competente da parte del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sebbene essa fosse prevista al comma 14 dell’art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, al cui rispetto era vincolato il legislatore delegato ai sensi  dell’art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004, il quale rinvia all’art. 85 del d.lgs. n. 112 del 1998.

A tale riguardo, deve osservarsi che questa Corte, con la sentenza n. 225 del 2009, nell’affrontare in via generale e preliminare identica questione, ha già ritenuto che «la contestuale menzione, accanto alla legge n. 59 del 1997 ed al d.lgs. n. 112 del 1998, dell’art. 117 Cost. (che, al secondo comma, attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in tema di «tutela dell’ambiente») e del flessibile principio di sussidiarietà (che, ai sensi dell’art. 118 Cost., consente allo Stato – competente per la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema – di riservare a sé le funzioni amministrative in siffatta materia tutte le volte in cui sussista l’esigenza di un loro esercizio unitario) esclude che possa riconoscersi, come invece assunto dalla Regione [ricorrente], carattere di intangibilità alle predette norme ordinarie. Se così non fosse, la pretesa immodificabilità della distribuzione delle funzioni amministrative in materia ambientale nel d.lgs. n. 112 del 1998 impedirebbe l’attuazione di gran parte dei principi indicati subito dopo nello stesso comma 8 e nel successivo comma 9. Pertanto i criteri indicati nell’incipit dell’art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004 debbono essere valutati e coordinati alla luce degli ulteriori criteri espressi dalla legge di delega, nel senso che il legislatore delegato era abilitato a modificare le attribuzioni già conferite alle Regioni quando la modifica fosse coerente con uno dei principi direttivi indicati nelle lettere progressive che compongono i commi 8 e 9 dell’art. 1. Ad esempio, se l’attuazione di una direttiva comunitaria rendeva necessario, in coerenza con il principio di sussidiarietà, uno spostamento, nel settore interessato, delle funzioni amministrative, la riallocazione poteva legittimamente essere disposta dal legislatore delegato anche presso il livello statale».      

Nel caso in esame, dalla lettura della attuale disciplina emerge, come già evidenziato, il coinvolgimento delle Regioni in significative fasi della procedura (coinvolgimento che prevede anche il ricorso alla procedura sfociante nell’intesa ai fini dell’individuazione dei siti di interesse nazionale che devono essere bonificati).

Pertanto, anche sulla base di tali argomenti, non deve ritenersi sussistente la violazione dei principi e criteri direttivi della delega, in quanto – trattandosi, nel caso di specie, della bonifica di siti (materia di competenza esclusiva statale) di interesse nazionale (siti la cui caratteristica è, come già evidenziato, quella di essere portatori di un interesse che travalica quello solo regionale e locale) – la procedura prevista dalla norma censurata appare rispettosa del quadro di attribuzioni amministrative derivante dal principio di sussidiarietà (anch’esso richiamato nella delega) che costituisce un filtro necessario per il trasferimento nella nuova disciplina di quanto previsto nella precedente. Infatti, dato che requisito essenziale per la caratterizzazione di un sito come «di interesse nazionale» è che esso presenti un «particolare pregio ambientale» (lettera a), un «particolarmente elevato […] rischio sanitario e ambientale» (lettera c), un «rilevante […] impatto socio economico» (lettera d), un «rischio per i beni di interesse storico e culturale di rilevanza nazionale» (lettera e), che l’opera sia tutelata «ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42» (lettera b), che gli interventi si estendano al «territorio di più regioni» (lettera f), appare evidente il motivo che legittima, proprio in base al principio di sussidiarietà richiamato dalla legge delega, il conferimento a livello statale delle attività amministrative di bonifica.

11. – Infine, la sola Regione Calabria ha impugnato, ritenendolo in contrasto sia con l’art. 117, sesto comma, Cost., sia con l’art. 119 Cost., sia, ancora, col principio di leale collaborazione, l’art. 265, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006.

Tale disposizione, ad avviso della Regione ricorrente, nel prevedere che il Ministro dell’ambiente, di concerto con quelli dell’istruzione, università e ricerca e delle attività produttive, individui con proprio decreto le forme di promozione e di incentivazione per la ricerca e per lo sviluppo di nuove tecnologie di bonifica presso le università e presso le imprese e i loro consorzi, lederebbe l’art. 117, sesto comma, Cost., in quanto attribuirebbe ad organi dello Stato centrale competenze regolamentari nella materia della ricerca scientifica, attribuita alla competenza concorrente di Stato e Regioni, e l’art. 119 Cost. in quanto, senza che ne sussistano le condizioni, prevederebbe forme di incentivazioni in un ambito materiale non di esclusiva competenza dello Stato.

Essa lederebbe, da ultimo, anche il principio di leale collaborazione, non essendo contemplato, nel procedimento di individuazione delle predette forme di promozione e incentivazione, alcun coinvolgimento delle Regioni.

Mentre le prime due censure non sono fondate, la terza, è, invece, fondata.

Già si è detto che le tematiche connesse alle forme di bonifica ambientale rientrano a pieno titolo nella competenza esclusiva dello Stato, essendo esse afferenti alla materia «tutela dell’ambiente e dell’ecosistema». Risulta, pertanto, evidente come sia fallace il ragionamento posto a base della impugnazione, dato che si fonda sull’erroneo presupposto che la materia implicata dalla disposizione legislativa ora in questione non sia di esclusiva competenza dello Stato ma, essendo quella della ricerca scientifica e tecnologica, appartenga alla competenza concorrente delle Regioni.

Alla erroneità del presupposto consegue l’infondatezza delle due questioni di legittimità costituzionale che su di esso si basano.

Riguardo, invece, alla dedotta violazione del principio di leale collaborazione vale, in sostanza, quanto già osservato con riferimento all’art. 241, anch’esso impugnato con riferimento al medesimo parametro.

Anche in questo caso, infatti, è lo stesso legislatore nazionale che, attraverso il coinvolgimento del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, ha inteso valorizzare il profilo normativo connesso con la tematica della ricerca scientifica e tecnologica, materia questa effettivamente assegnata, ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost., alla competenza concorrente delle Regioni.

In tale ottica, peraltro conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 133 del 2006), onde ricondurre a legittimità costituzionale la norma, diversamente in contrasto col principio di leale collaborazione attesa la obiettiva e – dallo stesso legislatore statale – riconosciuta implicazione della materia di legislazione concorrente, è necessario prevedere che nella fase di attuazione della disposizione e, quindi, sia per ciò che riguarda l’individuazione delle forme di  promozione ed incentivazione sia per ciò che riguarda la loro concreta realizzazione, debba essere previsto il coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali.

A tal fine, questa Corte ritiene che lo strumento idoneo sia, anche in questo caso, quello dell’acquisizione, in sede procedimentale, anteriormente alla espressione del concerto dei Ministri dell’istruzione e delle attività produttive, del parere della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

riservata a separate pronunce la decisione sull’impugnazione delle altre disposizioni contenute nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale);

dichiara inammissibili gli interventi spiegati dall’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, dalla Società italiana Centrali Termoelettriche SICET s.r.l., dalla Biomasse Italia s.p.a., dall’Ital Green Energy s.r.l. e dall’Energia Tecnologia Ambiente s.p.a.;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 241 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), nella parte in cui non prevede che, prima dell’adozione del regolamento da esso disciplinato, sia sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 265, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, nella parte in cui non prevede che, prima dell’adozione del decreto ministeriale da esso disciplinato, sia sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 281 del 1997;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli da 217 a 226 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento al principio di leale collaborazione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 221, commi da 4 a 9, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 222 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 223 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 223 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli 76 e 118, primo comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 224 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento all’art. 118 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 233, 234 e 236 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento all’art. 118 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;

dichiara cessata la materia del contendere relativamente al giudizio sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 235 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata dalla Regione Calabria, in riferimento all’art. 118 della Costituzione, con il ricorso in epigrafe;

dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 238, commi 5 e 6, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli 117, commi quarto e sesto, e 119, commi primo e secondo, della Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 238 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli 11, 76, 117, 118 e 119 della Costituzione, nonché al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Calabria, Toscana, Piemonte, Marche e, limitatamente ai commi 1 e 2, anche dalla Regione Emilia-Romagna con i ricorsi in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli da 239 a 253 del decreto legislativo n. 152 del 2006 sollevata, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;  

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli da 239 a 253 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 240 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 240, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 11, 76, 117 e 118, della Costituzione, dalla Regione Marche con il ricorso in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale degli articoli 240, 242, 246 e 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso in epigrafe;

dichiara estinto il giudizio relativo alle questioni di legittimità costituzionale degli articoli 240, 242, 243, 244, 246, 252 e 257 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 76, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Liguria con il ricorso in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 241 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 118, della Costituzione, dalla Regione Marche con il ricorso in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 241 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all’art. 117, sesto comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;

dichiara inammissibile le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 118 della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 242, commi 2, 3, 4 e 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, in combinato disposto con l’art. 240, comma 1, lettera b), del medesimo decreto legislativo, sollevate, in riferimento agli articoli 11, 76, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana con il ricorso in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 242, commi 2, 3, 4 e 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli 11, 76, 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Marche con il ricorso in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 242, comma 7, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli 11, 76, 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 242, 244, 245, 248, 249, 250 e dell’allegato 4 alla Parte quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento all’art. 117 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 246 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevata, in riferimento a non determinate attribuzioni costituzionali, dalla Regione Piemonte con il ricorso in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli  76, 117 e 118 della Costituzione e al principio di leale collaborazione, dalle Regioni Calabria, Toscana, Piemonte e Marche con i ricorsi in epigrafe;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 265, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006, sollevate, in riferimento agli articoli 117, sesto comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso in epigrafe

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 luglio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2009.