Sentenza n. 135 del 2008

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SENTENZA N. 135

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

-  Franco                                BILE                                   Presidente

-  Giovanni Maria                    FLICK                                  Giudice

-   Francesco                           AMIRANTE                               "

-   Ugo                                   DE SIERVO                               "

-   Paolo                                 MADDALENA                           "

-   Alfio                                  FINOCCHIARO                         "

-  Alfonso                               Quaranta                              "

-  Franco                                GALLO                                     "

-  Luigi                                   MAZZELLA                               "

-  Gaetano                              SILVESTRI                                "

-  Sabino                                CASSESE                                  "

-  Maria Rita                           SAULLE                                    "

-  Giuseppe                             TESAURO                                 "

-   Paolo Maria                        NAPOLITANO                          "       

ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera del senato della Repubblica del 30 gennaio 2007 (doc. IV-ter, n. 1) relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal senatore Raffaele Iannuzzi nei confronti di Domenico Geraci, promosso con ricorso del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, notificato il 4 dicembre 2007, depositato in cancelleria il 13 dicembre 2007 ed iscritto al n. 8 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2007, fase di merito.

Visto l’atto di costituzione del Senato della Repubblica;

 udito nell’udienza pubblica del 15 aprile 2008 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano, sostituito per la redazione della sentenza dal Presidente Franco Bile;

udito l’avvocato Stefano Grassi per il Senato della Repubblica.

Ritenuto in fatto

1. – Con atto del 12 giugno 2007, depositato nella cancelleria della Corte il 20 giugno 2007, il Giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Milano ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica in relazione alla deliberazione del 30 gennaio 2007 (doc. IV-ter, n. 1) con la quale, in conformità alla proposta formulata dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, è stato dichiarato che i fatti per i quali è in corso un procedimento penale a carico del senatore Raffaele Iannuzzi per il reato di diffamazione a mezzo stampa costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e sono pertanto insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

1.2. – Riferisce il giudice ricorrente che il procedimento pendente davanti a sé vede imputato il senatore Iannuzzi del reato di diffamazione commessa col mezzo della stampa per avere offeso la memoria del defunto sindacalista Domenico Geraci − già dirigente provinciale dell’associazione sindacale UIL − nell’articolo, a firma dello stesso senatore,  pubblicato sul settimanale «Panorama» del 10 ottobre 2002 e intitolato «Il codice segreto dell’ultimo pentito». In particolare, dal capo di imputazione riprodotto dal ricorrente risultano le seguenti affermazioni: «… Il boss di Caccamo del ’98, un sindacalista molto discusso, che avrebbe fatto da tramite tra la mafia ed ambienti di sinistra (si disse perfino che Geraci era su quello stesso aereo su cui viaggiavano da Palermo a Roma Luciano Violante e Giovanni Brusca) …».

Rileva il GIP del Tribunale di Milano che il procedimento trae origine dalla querela proposta dai signori Giuseppe Geraci e Vincenza Scimeca, rispettivamente figlio e vedova di Domenico Geraci, nei confronti del sen. Iannuzzi, in ragione delle opinioni da questi manifestate nell’articolo sopra menzionato. Precisa il ricorrente che i querelanti lamentano che il loro congiunto − ucciso nell’ottobre del 1998 − sia stato indicato come «sindacalista molto discusso», che «avrebbe fatto da tramite tra la mafia ed ambienti di sinistra»; affermazioni da essi ritenute diffamatorie in quanto  costituenti «una gravissima offesa alla memoria del defunto, offendendone la personalità morale, delineandone una collocazione criminale».

Osserva, quindi, il ricorrente che – allo stato degli atti – non risulterebbe «provata la verità oggettiva dei fatti riferiti», né sarebbe possibile «registrare un effettivo rigore nel modo di riportare i fatti per come appaiono emergere dalle fonti»; così che «appare sussistere una fattispecie a soluzioni aperte meritevole di approfondimento dibattimentale e ciò anche al fine di accertare l’effettiva verità dei fatti esposti».

Nel riprodurre uno stralcio della relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, rileva il GIP che la Giunta ed il Senato avrebbero individuato, quali atti tipici delle funzioni parlamentari posti in essere dal senatore Iannuzzi, a dimostrazione della sussistenza del “nesso funzionale” esistente tra questi ed i fatti oggetto del procedimento, due disegni di legge, presentati dal parlamentare, rispettivamente, il 25 giugno 2003 e il 19 febbraio 2004, inerenti la gestione dei collaboratori di giustizia. La Giunta e il Senato avrebbero quindi ritenuto «di dover porre l’accento sul fatto, incontestabile e ampiamente noto, che l’impegno politico e parlamentare del senatore Iannuzzi sui temi della criminalità mafiosa e del contrasto alla stessa ha rappresentato – e rappresenta – in certo qual modo la naturale proiezione del suo impegno giornalistico e che tale impegno ha avuto ad oggetto in modo sostanzialmente esclusivo le predette problematiche. … non si vede come si possa negare al senatore Iannuzzi l’insindacabilità ai sensi dell’art. 68 primo comma della Costituzione, per le dichiarazioni contenute nell’articolo qui specificamente considerato, articolo relativo a una vicenda –  quella del pentito Giuffrè –  che rientra senz’altro tra quei temi che, da sempre sono stati al centro dell’attività giornalistica e dell’impegno politico dello stesso senatore».

Il ricorrente ritiene di non condividere la soluzione adottata dal Senato della Repubblica in quanto in contrasto con quanto affermato da numerose sentenze della Corte costituzionale (sono  citate le sentenze n. 10 e n. 11 del 2000; n. 52, n. 207 e n. 294 del 2002; n. 120 del 2004; n. 373 del 2006; n. 96 e n. 151 del 2007).

         1.3. – Il giudice ricorrente conclude quindi nel senso che l’impugnata deliberazione del Senato della Repubblica non appare in linea con i canoni interpretativi fatti propri dalla giurisprudenza costituzionale, così come delineati, atteso che essa «non contiene alcun elemento concreto da cui poter desumere la sussistenza di una corrispondenza sostanziale tra i contenuti degli articoli oggetto delle querele e le opinioni già espresse dal senatore in specifici atti parlamentari, non essendo sufficiente una mera comunanza di tematiche e un generico riferimento alla rilevanza dei fatti pubblici». Pertanto, lo stesso, sospeso il giudizio, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, chiedendo alla Corte costituzionale di dichiarare che non spettava a quest’ultimo affermare l’insindacabilità, a norma dell’art. 68, primo comma, Cost., delle dichiarazioni attribuite al senatore Iannuzzi e, conseguentemente, di annullare la deliberazione adottata nella seduta del 30 gennaio 2007 (doc. IV-ter, n. 1).

2. – Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con l’ordinanza n. 399 del 2007, depositata in cancelleria il 23 novembre 2007. Il ricorrente ha provveduto a notificarla al Senato della Repubblica, unitamente all’atto introduttivo del giudizio, in data 4 dicembre 2007. Il conseguente deposito è stato effettuato in data 13 dicembre 2007.

2.1. – Si è costituito in giudizio il Senato della Repubblica, depositando documenti e svolgendo deduzioni, a conclusione delle quali ha chiesto che la Corte dichiari il ricorso «inammissibile, improcedibile e comunque infondato».

La difesa del Senato della Repubblica contesta, in particolare, la fondatezza del ricorso proposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano. Secondo la stessa difesa, l’Assemblea del Senato e la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, facendo esplicito riferimento ai principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, hanno correttamente ricondotto nell’ambito dell’art. 68, primo comma, Cost., le affermazioni rese dal senatore Iannuzzi nell’articolo di stampa pubblicato a sua firma dal settimanale « Panorama».

2.2. – La difesa sottolinea che il Senato della Repubblica, nel deliberare di costituirsi nel presente giudizio, ha tenuto ben presenti gli orientamenti della giurisprudenza costituzionale in materia di insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, Cost., giurisprudenza secondo la quale non dovrebbe mai mancare una «sostanziale corrispondenza tra le dichiarazioni rese extra moenia e quelle rese […] intra moenia» (sentenza n. 416 del 2006 e sentenza n. 193 del 2005; sono menzionate, inoltre, le sentenze n. 260 del 2006, n. 347 del 2004, n. 283 del 2002 e n. 10 del 2000).

Infatti, proprio tale sostanziale corrispondenza tra le dichiarazioni rese extra moenia e l’attività parlamentare del senatore Iannuzzi, la Giunta, prima, e l’Assemblea del Senato, poi, avrebbero ravvisato, «in particolare attraverso la Relazione al Disegno di Legge n. 2292 e la Relazione alla Proposta di inchiesta parlamentare di cui al Doc. XXII n. 25».

La difesa del Senato evidenzia ancora come, nella piena coscienza, da parte del Senato della Repubblica, dell’indirizzo seguito dalla giurisprudenza costituzionale e nella consapevolezza che «l’interpretazione fornita nel caso concreto dai propri organi si pone ai limiti dell’indirizzo rigoroso più volte ribadito» dalla Corte costituzionale, si fosse sottolineata la possibilità di chiedere, in relazione al presente conflitto, «che venga effettuata una puntualizzazione dell’indirizzo» della Corte costituzionale «verso una più larga concezione, sul piano sostanziale, della ratio delle prerogative che l’art. 68, primo comma, Cost. riconosce al parlamentare, per garantirne in modo pieno l’autonomia di giudizio e di divulgazione delle sue iniziative».

3. – In prossimità dell’udienza pubblica il Senato della Repubblica ha depositato memoria, illustrando le precedenti difese e insistendo affinché la Corte dichiari il ricorso «inammissibile e comunque infondato».

3.1. – In via preliminare, la difesa del Senato eccepisce l’inammissibilità del ricorso, in ragione del fatto che l’autorità giudiziaria ricorrente non avrebbe correttamente riportato le dichiarazioni del senatore Iannuzzi  della cui insindacabilità si controverte.

3.2. –  Quanto al merito, la difesa del Senato ribadisce gli argomenti già esposti nell’atto di costituzione in giudizio a sostegno dell’infondatezza del ricorso.

Considerato in diritto

1. – Il Giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Milano, con atto del 12 giugno 2007, ha proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica in relazione alla deliberazione del 30 gennaio 2007 (doc. IV-ter, n. 1) con la quale, in conformità alla proposta formulata dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, è stato dichiarato che i fatti per i quali è in corso un procedimento penale a carico del senatore Raffaele Iannuzzi costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e sono pertanto insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il giudice ricorrente riferisce che il senatore è imputato del reato di diffamazione a mezzo stampa in relazione al contenuto dell’articolo a sua firma apparso sul settimanale «Panorama» del 10 ottobre 2002, intitolato «Il codice segreto dell’ultimo pentito», ritenuto offensivo della memoria del sindacalista Domenico Geraci, ucciso nell’ottobre del 1998. Nel capo di imputazione – riprodotto dal ricorrente nell’epigrafe dell’atto introduttivo del giudizio – sono contestate al parlamentare, in particolare, le seguenti affermazioni: «… Il boss di Caccamo del ’98, un sindacalista molto discusso, che avrebbe fatto da tramite tra la mafia ed ambienti di sinistra (si disse perfino che Geraci era su quello stesso aereo su cui viaggiavano da Palermo a Roma Luciano Violante e Giovanni Brusca) …». Rileva, peraltro, il GIP del Tribunale di Milano, nella parte espositiva del ricorso, che il procedimento pendente davanti a sé trae origine dalla querela proposta dai signori Giuseppe Geraci e Vincenza Scimeca, rispettivamente figlio e vedova di Domenico Geraci, i quali lamentano che il loro congiunto sia stato indicato nell’articolo di stampa come «sindacalista molto discusso», che «avrebbe fatto da tramite tra la mafia ed ambienti di sinistra»; affermazioni ritenute dai querelanti gravemente offensive della memoria del proprio familiare in quanto idonee a delinearne una collocazione criminale.

Il giudice ricorrente deduce, in sintesi, l’insussistenza dei presupposti dell’insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, Cost., mancando un nesso funzionale tra le predette dichiarazioni e alcun atto parlamentare del senatore.

2. – Preliminarmente, deve essere ribadita l’ammissibilità del conflitto, sussistendone i presupposti soggettivi e oggettivi, come già ritenuto da questa Corte con l’ordinanza n. 399 del 2007.

2.1. – Non è fondata, al riguardo, l’eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa del Senato della Repubblica sull’assunto che il giudice ricorrente non avrebbe riportato correttamente nell’atto introduttivo del giudizio le espressioni del senatore sulle quali verte il conflitto.

In particolare, la difesa del Senato sostiene che il GIP del Tribunale di Milano, nel riportare le espressioni ritenute diffamatorie, avrebbe travisato le parole del senatore, il quale apparirebbe attribuire l’epiteto «il boss di Caccamo» al sindacalista Domenico Geraci, laddove invece, come si evince dalla lettura dell’articolo a sua firma, esso era riferito al pentito Antonino Giuffrè.

Nell’atto introduttivo del giudizio il giudice ricorrente riproduce, nell’epigrafe dello stesso, l’imputazione formulata dal pubblico ministero. In tale imputazione, tra le affermazioni offensive della memoria del sindacalista Domenico Geraci ascritte al senatore, figura l’epiteto «il boss di Caccamo»; espressione che, dalla lettura dell’articolo a firma del parlamentare prodotto dalla difesa del Senato, risulta invece riferita al pentito Antonino Giuffrè.

Tale circostanza, le cui eventuali conseguenze sul piano processuale spetterà valutare alle competenti autorità giudiziarie investite del procedimento, non è però tale da determinare una carenza dell’atto introduttivo del giudizio nei prospettati termini della inidoneità dello stesso a consentire l’esatta identificazione delle dichiarazioni rese dal parlamentare extra moenia.

Infatti il giudice ricorrente, dopo avere riprodotto, nell’epigrafe dell’atto introduttivo del giudizio, l’imputazione formulata dal pubblico ministero, procede ad esporre le ragioni del conflitto. In tale esposizione il giudice precisa che l’azione penale è stata esercitata a seguito della proposizione di querela da parte di due prossimi congiunti del defunto sindacalista e specifica le espressioni –  riferite, nell’articolo di stampa, a Domenico Geraci – ritenute dai querelanti offensive e in relazione alle quali essi hanno manifestato perciò la volontà che si proceda penalmente nei confronti del senatore: «sindacalista molto discusso», che «avrebbe fatto da tramite tra la mafia ed ambienti di sinistra». A tali espressioni dell’articolo a firma del senatore, quali risultanti dal contenuto della querela, il ricorrente fa in seguito riferimento anche nell’esporre le ragioni che renderebbero illegittima la deliberazione di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica. E, in effetti, tali espressioni, esplicitamente riprese dal contenuto della querela, costituiscono le opinioni del senatore assunte dalla Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari ad oggetto delle relazione di accompagnamento alla proposta di deliberazione comunicata alla Presidenza del Senato l’8 novembre 2006.

Non è dubbio, quindi, che il giudice ricorrente abbia puntualmente individuato e riportato, come esige il principio di autosufficienza del ricorso, le dichiarazioni rese extra moenia dal parlamentare, e ritenute offensive dai querelanti,  permettendo così a questa Corte di compiere «l’accertamento del nesso funzionale tra le frasi pronunciate […] e gli eventuali atti parlamentari tipici di cui le frasi stesse potrebbero essere la divulgazione esterna» (così la sentenza n. 79 del 2005).

3. – Nel merito, il ricorso è fondato.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, per l’esistenza di un nesso funzionale tra le dichiarazioni rese extra moenia da un parlamentare e l’espletamento delle sue funzioni di membro del Parlamento – alla quale è subordinata la prerogativa dell’insindacabilità di cui all’art. 68, primo comma, Cost. – è necessario che tali dichiarazioni possano essere identificate come espressione dell’esercizio di attività parlamentare (sentenze n. 10 e n. 11 del 2000).

Nel caso in esame, i soli atti parlamentari riferibili al senatore menzionati nella relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari del Senato e richiamati dalla difesa sono il disegno di legge n. 2292, XIV legislatura, avente ad oggetto «Istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione di coloro che collaborano con la giustizia», comunicato alla Presidenza il 29 maggio 2003, con la relativa relazione e la proposta di inchiesta parlamentare doc. XXII, n. 25, XIV legislatura, avente ad oggetto «Istituzione di una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla gestione di coloro che collaborano con la giustizia», comunicata alla Presidenza il 19 febbraio 2004, anch’essa con la relativa relazione, atti entrambi di iniziativa del senatore e altri.

Al riguardo occorre tuttavia rilevare, per un verso, la mancanza di un legame temporale tra tali atti parlamentari e le dichiarazioni esterne tale per cui queste ultime possano assumere una finalità divulgativa dei primi, entrambi successivi nel tempo. Per altro verso, la mancanza di sostanziale corrispondenza di significato tra le dichiarazioni esterne e le opinioni espresse nella sede parlamentare – in specie, nelle relazioni ai due atti richiamati – ove si consideri che in queste ultime i parlamentari, nell’esporre le ragioni delle proposte di istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulla gestione dei cosiddetti «pentiti», si limitano a menzionare la vicenda del collaboratore di giustizia Giuffrè e la circostanza che egli avrebbe taciuto «sull’omicidio più eclatante consumato a Caccamo negli ultimi anni, quello ai danni del sindacalista Mico Geraci», senza manifestare tuttavia alcun apprezzamento critico nei confronti di quest’ultimo; solo nelle affermazioni formulate nell’articolo di stampa figura, invece, l’addebito negativo, rivolto al Geraci, di essere stato «un sindacalista molto discusso» che «avrebbe fatto da tramite tra la mafia e ambienti della sinistra».

In definitiva, fa difetto, nella presente fattispecie, il nesso funzionale tra le affermazioni formulate dal parlamentare nell’articolo di stampa e gli atti compiuti nella sede parlamentare indicati nella relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari e richiamati dalla difesa del Senato a sostegno della legittimità della delibera di insindacabilità impugnata dal giudice ricorrente.

Nella relazione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari si espone, peraltro, chiaramente, che la Giunta, nel formulare la propria proposta, ritenne «di dover porre l’accento sul fatto, incontestabile e ampiamente noto, che l’impegno politico e parlamentare del senatore Iannuzzi sui temi della criminalità mafiosa e del contrasto alla stessa ha rappresentato – e rappresenta – in certo qual modo la naturale proiezione del suo impegno giornalistico e che tale impegno ha avuto ad oggetto in modo sostanzialmente esclusivo le predette problematiche». Ciò premesso, la Giunta aveva ritenuto non potersi disconoscere l’insindacabilità, ai sensi dell’articolo 68, primo comma, Cost., delle dichiarazioni contenute nell’articolo a firma del senatore Iannuzzi in quanto «relativo ad una vicenda –  quella del pentito Giuffrè – che rientra senz’altro fra quei temi che […] da sempre sono stati al centro dell’attività giornalistica e dell’ impegno politico dello stesso senatore».

Tuttavia – secondo la giurisprudenza di questa Corte – il mero riferimento all’attività parlamentare o comunque all’inerenza a temi di rilievo generale (pur anche dibattuti in Parlamento), entro cui le dichiarazioni si possano collocare, non vale in sé a connotarle quali espressive della funzione, ove esse, non costituendo la sostanziale riproduzione di specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell’esercizio delle proprie attribuzioni, siano non già il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto dall’insindacabilità, a garanzia delle prerogative delle Camere e non di un «privilegio personale [...] conseguente alla mera "qualità" di parlamentare»: sentenza n. 120 del 2004), ma un'ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell’esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall’art. 21 Cost. (sentenze n. 302, n. 166 e n. 152 del 2007).

4. – In conclusione, le dichiarazioni del senatore non rientrano nell’esercizio della funzione parlamentare. L’impugnata deliberazione del Senato della Repubblica di insindacabilità delle stesse ha quindi violato l’art. 68, primo comma, Cost., ledendo le attribuzioni dell’autorità giudiziaria ricorrente e deve, conseguentemente, essere annullata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava al Senato della Repubblica affermare che i fatti per i quali è in corso davanti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano il procedimento penale a carico del senatore Raffaele Iannuzzi, di cui al ricorso in epigrafe, costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

annulla, per l’effetto, la deliberazione di insindacabilità adottata dal Senato della Repubblica nella seduta del 30 gennaio 2007 (doc. IV-ter, n. 1).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 maggio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente e Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 14 maggio 2008.