Sentenza n. 79 del 2005

 CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 79

 

ANNO 2005

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

- Fernanda                     CONTRI                               Presidente

 

- Guido                         NEPPI MODONA                  Giudice

 

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                                "

 

- Annibale                     MARINI                                       "

 

- Franco                         BILE                                             "

 

- Giovanni Maria           FLICK                                          "

 

- Francesco                    AMIRANTE                                 "

 

- Ugo                             DE SIERVO                                 "

 

- Romano                      VACCARELLA                           "

 

- Paolo                           MADDALENA                            "

 

- Alfio                           FINOCCHIARO                          "

 

- Alfonso                       QUARANTA                               "

 

- Franco                         GALLO                                        "

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sorto a seguito della delibera della Camera dei deputati del 17 gennaio 2001 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi nei confronti di Giuseppe Arlacchi, promosso dalla Corte d’appello di Roma con ricorso notificato il 26 luglio 2002, depositato in cancelleria il 7 agosto 2002 e iscritto al n. 33 del registro conflitti 2002.

 

Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;

 

udito nell’udienza pubblica del 14 dicembre 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona;

 

udito l’avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - La Corte d’appello di Roma, con ordinanza del 15 giugno - 16 luglio 2001, depositata presso la cancelleria della Corte il 17 luglio 2001, ha proposto ricorso per conflitto di attribuzione nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera, adottata nella seduta di Assemblea del 17 gennaio 2001, che ha stabilito che le dichiarazioni pronunciate dal deputato Vittorio Sgarbi nel corso della trasmissione televisiva ‘Sgarbi quotidiani’ del 13 gennaio 1996 nei riguardi di Pino Arlacchi, costituiscono opinioni espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

 

La Corte d’appello ricorrente - premesso che Pino Arlacchi aveva proposto appello avverso la sentenza del Tribunale civile di Roma che aveva respinto la sua domanda di risarcimento del danno per le dichiarazioni di contenuto diffamatorio che sarebbero state pronunciate in occasione della citata trasmissione – riferisce in particolare:

 

- che traendo spunto da un processo allora in corso presso il Tribunale di Palermo nei confronti del senatore Giulio Andreotti e da un libro scritto da Pino Arlacchi, intitolato «Il processo. Giulio Andreotti sotto accusa a Palermo», il deputato Sgarbi aveva espresso nella trasmissione televisiva giudizi ritenuti da Arlacchi «lesivi della sua identità e del suo impegno scientifico, politico e civile contro la criminalità organizzata, dipingendolo come un ‘mercante della giustizia’» che aveva tratto immeritate fortune e vantaggi anche economici dall’opera dei ‘pentiti’, sfruttando il fenomeno mafioso e lucrando «sulla pelle» di imputati per reati di mafia, tra cui lo stesso Andreotti, e sottolineando che proprio Arlacchi nella precedente legislatura era stato nominato consulente del Ministero dell’interno del Governo presieduto dal senatore Andreotti, ricevendo per detto incarico la somma di duecento milioni di lire;

 

- che in pendenza dell’appello proposto da Pino Arlacchi nei confronti della sentenza di primo grado, che aveva ritenuto sussistenti gli estremi della scriminante del diritto di critica e di cronaca, era intervenuta la deliberazione di insindacabilità della Camera dei deputati del 17 gennaio 2001.

 

Ciò premesso, la ricorrente ritiene che la Camera dei deputati abbia esercitato male il proprio potere, affermando arbitrariamente l’esistenza del nesso funzionale tra le espressioni ritenute diffamatorie e l’attività parlamentare del deputato convenuto, in quanto le frasi pronunciate nella trasmissione televisiva non possono dirsi collegate all’esercizio della funzione parlamentare, costituendo semplici apprezzamenti personali formulati dal deputato alla stregua di un qualsiasi privato cittadino.

 

La Corte d’appello solleva pertanto conflitto di attribuzione, chiedendo alla Corte costituzionale di dichiarare che non spetta alla Camera dei deputati affermare l’insindacabilità, a norma dell’art. 68 Cost., delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi, e di annullare, di conseguenza, la relativa deliberazione.

 

2. - Il ricorso, dichiarato ammissibile con ordinanza n. 379 del 10 luglio 2002, depositata il 23 luglio 2002, è stato notificato alla Camera dei deputati insieme all’ordinanza il 26 luglio 2002 e depositato nella cancelleria della Corte costituzionale il 7 agosto 2002.

 

3. - Con atto depositato il 5 agosto 2002 si è costituita la Camera dei deputati in persona del suo Presidente pro tempore, chiedendo che la Corte dichiari improcedibile o inammissibile il conflitto e in subordine, nel merito, che spetta alla Camera affermare l’insindacabilità, a norma dell’art. 68, primo comma, Cost., delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi oggetto del giudizio pendente davanti alla Corte d’appello di Roma.

 

La difesa della Camera precisa, in fatto, che nel corso della trasmissione televisiva del 13 gennaio 1996 il deputato Sgarbi ebbe a dire:

 

«Questo perché avvenne? Perché la Rizzoli è proprietaria del ‘Corriere della Sera’. Agnelli è proprietario della Rizzoli e proprietario del ‘Corriere della Sera’ [e] fa pubblicità a un libro che si vende sulla pelle di Andreotti e fa guadagnare il deputato progressista Arlacchi, pagato dal ministro Scotti e chiamato da Andreotti - così impara - a fare il consulente dei pentiti, su Buscetta, sulla mafia e su se stesso quando Andreotti era Presidente del Consiglio. Ti sei voluto chiamare Arlacchi? Ce l’hai adesso qua che fa pubblicità al suo libro per venderlo sulla tua pelle, caro Andreotti. Prova di grande gusto, di grande sensibilità».

 

Ciò premesso, la resistente ritiene che il giudizio sia inammissibile o improcedibile per plurimi motivi, e in particolare perché:

 

a) nell’atto introduttivo non sono riprodotte le ‘frasi’ del deputato Sgarbi che dovrebbero costituire l’oggetto del conflitto; omissione che renderebbe carente la prospettazione del thema decidendum;

 

b) il medesimo difetto impedirebbe inoltre «di discernere le dichiarazioni sulle quali si è formato il convincimento del giudice», dal momento che nel ricorso i ‘giudizi lesivi della dignità e dell’impegno’ di Arlacchi vengono espressi sulla base di una ‘ricostruzione’ soggettiva che non corrisponde al tenore testuale delle dichiarazioni e che rende «impossibile discernere se talune formule – non attribuibili al deputato, ma che nondimeno figurano nell’atto introduttivo – abbiano rivestito efficacia causale immediata e diretta nell’elevazione del conflitto».

 

Nel merito, la Camera ritiene errata la tesi della ricorrente secondo cui le dichiarazioni del deputato Sgarbi sarebbero escluse dalla garanzia del primo comma dell’art. 68 Cost. per il solo fatto che sono state pronunciate mentre svolgeva l’attività di conduttore di un programma televisivo, in quanto sarebbe contraddittorio escludere l’insindacabilità proprio quando si fa ricorso a strumenti che, come il mezzo televisivo, sono i più efficaci veicoli di comunicazione.

 

In positivo, l’insindacabilità delle dichiarazioni in esame discenderebbe dalla loro riconducibilità ad attività parlamentari, posto che le proposizioni riguardanti «i (pretesi) vantaggi che il deputato Arlacchi avrebbe tratto dalle vicende giudiziarie del senatore Andreotti» andrebbero collegate al costante «impegno politico-parlamentare» del deputato Sgarbi sul tema del ‘processo Andreotti’, con particolare riguardo «al ruolo dei cosiddetti pentiti»; impegno del quale sarebbero espressione le interrogazioni 2/01770 del 21 aprile 1999, 3/00010 del 29 aprile 1994 e 3/00009 del 29 aprile 1994, mentre «il costante impegno ispettivo» del deputato Sgarbi in relazione al problema della ‘gestione’ dei collaboratori di giustizia sarebbe testimoniato dalle interrogazioni 4/08683 del 21 marzo 1995, 2/00252 del 21 ottobre 1996, 3/01624 del 28 ottobre 1997. La risonanza in ambito parlamentare della attività di consulenza prestata dal deputato Arlacchi per il Ministero degli interni sarebbe a sua volta dimostrata dalle interrogazioni 4/05288 del 16 novembre 1994 e 4/14128 del 27 settembre 1995, a firma del deputato Vincenzo Fragalà.

 

Infine la Camera sottolinea che, allorché le dichiarazioni siano rese nell’ambito di una polemica politica tra soggetti che ricoprono (o ricoprivano, come nella vicenda del giudizio a quo) entrambi la carica di parlamentare, l’appartenenza delle opinioni espresse «alla sfera politico-parlamentare» dovrebbe ritenersi «insita» nella qualità degli interessati.

 

Con memoria depositata il 26 novembre 2004 la Camera, nel richiamare integralmente eccezioni e deduzioni formulate nell’atto di costituzione, insiste in particolare sulla «irricevibilità e/o inammissibilità» del conflitto sotto il profilo della omessa riproduzione nell’atto introduttivo delle frasi pronunciate dal deputato Sgarbi, che dovrebbero costituire oggetto del conflitto medesimo.

 

A tal proposito la resistente sottolinea come la «personale sintesi» delle dichiarazioni del deputato, contenuta nel ricorso, «non è idonea a prospettare i termini della controversia sottoposta alla cognizione della Corte». Dovendo la Corte valutare la riconducibilità delle opinioni espresse dal parlamentare alla sfera di operatività della garanzia costituzionale della insindacabilità, è «indispensabile che tali opinioni vengano riportate in termini oggettivi e compiuti», perché diversamente la Corte finirebbe per «pronunziarsi sulle valutazioni effettuate dal giudice ricorrente in ordine alle dichiarazioni di cui si tratti», invece che sulle dichiarazioni stesse.

 

Al riguardo, non potrebbe avere rilievo che la Corte abbia comunque la possibilità di prendere cognizione delle frasi effettivamente pronunciate, atteso «il criterio dell’autosufficienza del ricorso introduttivo».

 

Sotto altro aspetto, la lamentata anomalia del ricorso lederebbe anche il principio del contraddittorio, risultando «incerto, dal punto di vista difensivo, se il contraddittorio concernente la sfera di operatività della garanzia costituzionale di cui all’art. 68, primo comma, Cost. debba riguardare le dichiarazioni così come rese dal parlamentare ovvero il tenore e il significato che ha ritenuto personalmente di ravvisarvi il giudice».

 

Nel merito, la memoria ripercorre le considerazioni già svolte nell’atto di costituzione.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, promosso dalla Corte d’appello di Roma nei confronti della Camera dei deputati, investe la deliberazione con cui l’Assemblea, nella seduta del 17 gennaio 2001, ha affermato - a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione – l’insindacabilità delle opinioni espresse dal deputato Vittorio Sgarbi, per le quali pende giudizio civile per risarcimento danni promosso da Pino Arlacchi.

 

Le espressioni ritenute offensive erano state pronunciate nel corso della trasmissione televisiva  ‘Sgarbi quotidiani’ del 13 gennaio 1996, e si riferivano, come emerge dalla esposizione in fatto, ai vantaggi anche economici che il «deputato progressista Arlacchi» avrebbe tratto dalla pubblicazione di un suo libro dedicato al processo in corso a Palermo contro il senatore Andreotti, venduto «sulla pelle di Andreotti», che quando era stato Presidente del Consiglio aveva chiamato lo stesso Arlacchi a svolgere attività di consulente sulla mafia e sui pentiti.

 

2. - Questa Corte, con ordinanza n. 379 del 2002, ha ritenuto, in sede di prima e sommaria delibazione, ammissibile il conflitto, riservando espressamente all’attuale fase processuale, nella quale il giudizio si svolge nel contraddittorio tra le parti, ogni ulteriore decisione, anche relativamente all’ammissibilità.

 

3. - Il ricorso è inammissibile.

 

Nell’atto di costituzione, nella successiva memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica e nella discussione nel corso dell’udienza stessa, la difesa della Camera dei deputati resistente ha eccepito sotto vari profili l’inammissibilità o improcedibilità del ricorso.

 

In particolare, la resistente rileva che nell’atto introduttivo non sono riprodotte le frasi ritenute offensive pronunciate dal deputato Sgarbi nel corso della trasmissione televisiva, ma è contenuta una ricostruzione dei giudizi nei confronti di Arlacchi che non corrisponde al tenore testuale delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi: da un lato la mancata riproduzione delle frasi pronunciate renderebbe carente la prospettazione del thema decidendum, dall’altro la libera rielaborazione del tenore di tali frasi impedirebbe di «discernere le dichiarazioni sulle quali si è formato il convincimento del giudice in ordine alla elevazione del conflitto».

 

In effetti, l’atto introduttivo del ricorso non contiene una compiuta esposizione dei fatti, non solo perché non vengono riportate le frasi pronunciate dal deputato Sgarbi nel corso della trasmissione televisiva – frasi che assumono importanza fondamentale ai fini dell’accertamento dell’eventuale nesso funzionale con atti parlamentari tipici di cui le frasi potrebbero essere la divulgazione -, ma soprattutto perché, in luogo delle parole pronunciate nel corso della trasmissione, vengono espresse valutazioni circa l’incidenza lesiva delle dichiarazioni del deputato Sgarbi sull’impegno «scientifico, politico e civile contro la criminalità organizzata» di Arlacchi.

 

E’ ben vero che le frasi pronunciate dal deputato Sgarbi sono riprodotte nella deliberazione di insindacabilità allegata al ricorso della Corte d’appello, ma ciò che rende il ricorso inammissibile non è solo, come s’è già detto, l’aver omesso di riprodurre quelle frasi nel ricorso, bensì la loro sostituzione con una libera rielaborazione ad opera dell’autorità giudiziaria ricorrente. Ne risulta, infatti, una impropria sovrapposizione tra l’oggettiva rilevanza delle opinioni espresse dal deputato Sgarbi e l’interpretazione soggettiva che ne è stata data, che interferisce con l’accertamento del nesso funzionale tra le frasi pronunciate nel corso della trasmissione televisiva e gli eventuali atti parlamentari tipici di cui le frasi stesse potrebbero essere la divulgazione esterna.

 

La mancanza di una compiuta esposizione dei presupposti di fatto del conflitto di attribuzione si traduce, a norma degli artt. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nel difetto di un requisito essenziale del ricorso, che deve conseguentemente essere dichiarato inammissibile.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dalla Corte d’appello di Roma nei confronti della Camera dei deputati, con l’atto indicato in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 febbraio 2005.

F.to:

Fernanda CONTRI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 febbraio 2005.