Ordinanza n. 399 del 2007

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ORDINANZA N. 399

ANNO 2007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                    BILE                      Presidente

- Giovanni Maria       FLICK                    Giudice

- Francesco               AMIRANTE                 "

- Ugo                                DE SIERVO                          "

- Paolo                      MADDALENA             "

- Alfio                    FINOCCHIARO             "

- Alfonso                  QUARANTA                "

- Franco                    GALLO                        "

- Luigi                      MAZZELLA                 "

- Gaetano                  SILVESTRI                  "

- Sabino                    CASSESE                   "

- Maria Rita            SAULLE                     "

- Giuseppe              TESAURO                  "

- Paolo Maria            NAPOLITANO             "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della delibera del Senato della Repubblica del 30 gennaio 2007 (doc. IV – ter, n. 1) relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dal senatore Raffaele Iannuzzi nei confronti di Domenico Geraci, promosso con ricorso del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, depositato in cancelleria il 20 giugno 2007 ed iscritto al n. 8 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2007, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 24 ottobre 2007 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano ha promosso, con atto del 12 giugno 2007, depositato presso la Cancelleria della Corte il 20 giugno 2007, conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica in relazione alla deliberazione del 30 gennaio 2007 (doc. IV – ter, n. 1), con la quale è stato affermato che le dichiarazioni per le quali è in corso un procedimento penale a carico del senatore Raffaele Iannuzzi per il reato di diffamazione a mezzo stampa costituiscono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e sono pertanto insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

che – come premette il giudice ricorrente –  il giudizio pendente davanti a lui vede imputato il senatore Iannuzzi per il reato di diffamazione a mezzo stampa ai danni del defunto sindacalista Domenico Geraci, dirigente provinciale dell’associazione sindacale UIL;

che, prosegue il ricorrente, i signori Giuseppe Geraci e Vincenza Scimeca, rispettivamente figlio e moglie di Domenico Geraci, hanno proposto querela nei confronti del sen. Iannuzzi, in relazione alle opinioni da questo ultimo espresse nell’articolo intitolato «Il codice segreto dell’ultimo pentito», pubblicato sulla rivista «Panorama» del 10 ottobre 2002;

che, rileva ancora il giudice a quo, i querelanti lamentano che il loro congiunto (ucciso nell’ottobre 1998) sia stato definito, in un inciso del citato articolo (nel quale si elencano i delitti di cui si era fatto carico il collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè), «… il boss di Caccamo del ’98, un sindacalista molto discusso, che avrebbe fatto da tramite tra la mafia ed ambienti della sinistra (si disse perfino che Geraci era su quello stesso aereo in cui viaggiavano da Palermo a Roma Violante e Giovanni Brusca)»;

che tali affermazioni, secondo i querelanti, costituirebbero «una gravissima offesa alla memoria del defunto, offendendone la personalità morale, delineandone una collocazione criminale»;

che il sen. Raffaele Iannuzzi – prosegue il G.U.P. - in data 27 ottobre 2004, ha sottoposto al Senato della Repubblica la questione dell’applicabilità dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, in relazione al procedimento penale di cui sopra;

che il Giudice per le indagini preliminari ricorda di avere richiesto, il 20 aprile 2005, informazioni sullo stato del procedimento e di avere ricevuto, in data 3 maggio 2005, conferma dal Presidente della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari che il senatore Iannuzzi aveva sottoposto la questione della insindacabilità delle dichiarazioni oggetto del procedimento penale di cui trattasi;

che, nella stessa lettera, si rendeva altresì noto che la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari aveva svolto una prima seduta, il 24 novembre 2004, ascoltando il senatore richiedente; e si precisava che: «per il caso di richiesta avanzata dal parlamentare, non sono fissati dalla legge termini perentori per la pronuncia, per cui è nella discrezionalità dell’organo politico valutare se e quando completare l’esame degli affari sottoposti al suo esame» e,  conseguentemente, si suggeriva di formulare autonoma richiesta, in quanto una richiesta, proveniente dall’Autorità giudiziaria, di dichiarare che le affermazioni esulavano dall’ambito di tutela dell’art. 68 Cost. avrebbe fatto decorrere i termini di legge;

che il giudice ricorrente, pertanto, con ordinanza del 6 febbraio 2006, ha chiesto alla Giunta di dichiarare che i fatti oggetto del procedimento, e relativi all’articolo sopra citato del sen. Raffaele Iannuzzi «non concernono opinioni espresse da parlamentare nell’esercizio delle funzioni ex art. 68 comma 10 Cost.»;

che, a seguito della sua iniziativa, prosegue il giudice ricorrente, il Senato della Repubblica, nel corso della seduta del 30 gennaio 2007, in accoglimento della proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari,  ha invece riconosciuto, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, l’insindacabilità delle dichiarazioni del sen. Iannuzzi nell’ambito degli articoli di stampa oggetto del presente procedimento, in quanto espresse nell’esercizio della funzione parlamentare;

che – osserva altresì  il ricorrente – allo stato degli atti, non risulterebbe provata la verità oggettiva dei fatti riferiti, né sarebbe possibile «registrare un effettivo rigore nel modo di riportare i fatti per come appaiono emergere dalle fonti»; così che «appare sussistere una fattispecie a soluzioni aperte meritevole di approfondimento dibattimentale e ciò anche al fine di accertare l’effettiva verità dei fatti esposti»;

che, nel riportare stralcio della delibera impugnata, il G.U.P. ricorda che la Giunta ed il Senato avrebbero individuato quali atti tipici delle funzioni parlamentari del sen. Iannuzzi, a dimostrazione della sussistenza del “nesso funzionale” esistente tra questi ed i fatti oggetto di imputazione, due disegni di legge, rispettivamente uno del 25 giugno 2003 e l’altro del 19 febbraio 2004, presentati dal parlamentare e finalizzati, in modo esclusivo, all’approfondimento delle problematiche concernenti la criminalità mafiosa;

che il ricorrente ritiene di non condividere la soluzione adottata dal Senato, in quanto in contrasto con quanto affermato da numerose sentenze della Corte costituzionale (sentenze n. 294 , n. 207 e n. 52 del 2002; n. 11 e n. 10 del 2000), dalle quali si deduce che «la semplice comunanza di argomento tra la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni espresse dal deputato o dal senatore in sede parlamentare non può bastare a fondare l’estensione alla prima dell’immunità che copre le seconde»; e che, pertanto, il significato di “nesso funzionale”, che deve riscontrarsi, per poter ritenere l’insindacabilità, tra dichiarazioni ed attività parlamentare deve essere quello non di un «…semplice collegamento di argomento o di contesto tra attività parlamentare e dichiarazione» quanto quello di un’ «identificabilità della dichiarazione stessa quale espressione dell’attività parlamentare»;

che il ricorrente sottolinea, altresì, come – sempre secondo quanto affermato dalla giurisprudenza costituzionale – le dichiarazioni dei parlamentari rese all’esterno dei lavori parlamentari sono insindacabili «solo ove sia riscontrabile una corrispondenza sostanziale di contenuti» delle dichiarazioni stesse con gli atti parlamentari e che, mancando il “nesso funzionale” è possibile, dunque, sindacare  in sede giurisdizionale le dichiarazioni di un  parlamentare, (benchè attinenti al più esteso ambito della politica), ma rese al di fuori del concreto svolgimento di tali lavori;

che tale orientamento sarebbe stato, del resto, ribadito, dalla Corte costituzionale,in relazione all’art. 3, comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), con la sentenza n. 120 del 2004, (richiamata dall’ordinanza n. 136 del 2005);

che, nell’atto di promovimento, viene anche ricordato quanto già affermato dalla Corte  nella sentenza n. 373 del 2006 (di cui si riporta ampio stralcio della motivazione), sempre relativa al senatore Iannuzzi;

che, con questa decisione, la Corte ha ritenuto non possano rientrare nell’esercizio della funzione parlamentare e, quindi, non possano essere garantite dall’insindacabilità, le dichiarazioni contenute nell’articolo di stampa (oggetto di quel conflitto) a firma del parlamentare, poiché: «…il mero riferimento all’attività parlamentare o comunque all’inerenza a temi di rilievo generale (pur anche dibattuti in Parlamento), entro cui le dichiarazioni si possono collocare, non vale in sé a connotarle quali espressive della funzione, ove esse, non costituendo la sostanziale riproduzione di specifiche opinioni manifestate dal parlamentare nell’esercizio delle proprie attribuzioni, siano non già il riflesso del peculiare contributo che ciascun deputato e ciascun senatore apporta alla vita parlamentare mediante le proprie opinioni e i propri voti (come tale coperto dall’insindacabilità, a garanzia delle prerogative delle Camere e non di un «privilegio personale […] conseguente alla mera “qualità” di parlamentare»: sentenza n. 120 del 2004), ma un’ulteriore e diversa articolazione di siffatto contributo, elaborata ed offerta alla pubblica opinione nell’esercizio della libera manifestazione del pensiero assicurata a tutti dall’art. 21 della Costituzione (sentenze n. 329 e n. 317 del 2006 e n. 51 del 2002)»;

che, in tale prospettiva – sempre secondo il ricorrente – non potrebbe essere accolto neanche l’assunto del Senato, secondo cui «l’attività di parlamentare e giornalista, dalla quale ha avuto origine l’articolo de quo, [può] essere considerata ormai come parte della più ampia attività (rectius, funzione) di politico ed espressione – per quanto atipica – del relativo ruolo istituzionale»;

che la Corte avrebbe già ritenuto in sé irrilevante (al fine d’affermare la sussistenza dei presupposti dell’insindacabilità) «la qualifica rivestita dal membro del parlamento rispetto all’esercizio di diritti o di doveri che, in quanto spettanti a tutti i cittadini, non richiedono l’intermediazione della rappresentanza parlamentare» (sentenza n. 373 del 2006)» e che, negli stessi termini, si sarebbe espressa con le sentenze nn. 151 e 96 del 2007 (ugualmente relative al senatore Iannuzzi);

che, secondo la giurisprudenza costituzionale cui il rimettente fa riferimento, «ciò che rileva ai fini dell’insindacabilità, è dunque il collegamento necessario con le funzioni del Parlamento, cioè l’ambito funzionale entro cui l’atto si iscrive, a prescindere dal suo contenuto comunicativo, che può essere il più vario ma che in ogni caso deve essere tale da rappresentare esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri delle Camere, anche se attuato in forma innominata sul piano regolamentare»;

  che il giudice ricorrente conclude nel senso di non ritenere la ricordata deliberazione del Senato in linea con i canoni interpretativi decisi dalla giurisprudenza costituzionale, così come delineati, e che, quindi, non possa trovare applicazione l’art. 68, primo comma, della Costituzione;

che, pertanto, lo stesso, sospeso il giudizio, solleva conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica e chiede a questa Corte di dichiarare che non spettava al Senato affermare l’insindacabilità, a norma dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle dichiarazioni attribuite al senatore Iannuzzi e, conseguentemente, annullare la delibera adottata nella seduta del 30 gennaio 2007 (doc. IV – ter, n. 1).

Considerato che, in questa fase, la Corte è chiamata, a norma dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), esclusivamente a deliberare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza, in riferimento ai requisiti soggettivi e oggettivi indicati nel primo comma dello stesso art. 37, restando impregiudicata ogni decisione definitiva, anche relativamente all'ammissibilità;

che, sotto l'aspetto soggettivo, il Giudice per le indagini preliminari è legittimato a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, quale organo competente a dichiarare definitivamente – nel procedimento sottoposto al suo giudizio – la volontà del potere cui appartiene, in ragione dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali svolte in posizione di piena indipendenza, costituzionalmente garantita;

che, parimenti, il Senato della Repubblica, che ha adottato la deliberazione di insindacabilità delle opinioni espresse da un proprio membro, è legittimato a essere parte del conflitto costituzionale, essendo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere che esso impersona, in relazione all'applicabilità della prerogativa dell'insindacabilità;

che, sotto l'aspetto oggettivo del conflitto, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano lamenta la lesione della propria sfera di attribuzioni, costituzionalmente garantita, in conseguenza dell'esercizio – ritenuto illegittimo perché non corrispondente ai criteri che la Costituzione stabilisce, come sviluppati dalla giurisprudenza di questa Corte – del potere, spettante al Senato, di dichiarare l'insindacabilità delle opinioni espresse da un proprio membro;

che, pertanto, esiste la materia di un conflitto costituzionale di attribuzione, la cui risoluzione spetta alla competenza di questa Corte.

per  questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara ammissibile, a norma dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano nei confronti del Senato della Repubblica, con l'atto indicato in epigrafe;

dispone:

a) che la cancelleria della Corte costituzionale dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente, Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano;

b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Senato della Repubblica, in persona del suo Presidente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati nella cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni dalla notificazione, a norma dell'art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 novembre 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 novembre 2007.