Sentenza n. 39 del 2020

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SENTENZA N. 39

ANNO 2020

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Marta CARTABIA;

 

Giudici: Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Toscana 6 agosto 2018, n. 46 (Disposizioni in materia di procedura di gara ed incentivi per funzioni tecniche. Modifiche alla L.R. 38/2007) e degli artt. 2, 11 e 18 della legge della Regione Toscana 7 gennaio 2019, n. 3 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2018), promossi dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorsi notificati l’8-15 ottobre 2018 e il 12-15 marzo 2019, depositati in cancelleria il 16 ottobre 2018 e il 15 marzo 2019, rispettivamente iscritti al n. 73 del registro ricorsi 2018 e al n. 48 del registro ricorsi 2019 e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2018 e n. 23, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visti gli atti di costituzione della Regione Toscana;

 

udito nell’udienza pubblica del 28 gennaio 2020 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

 

uditi l’avvocato dello Stato Ettore Figliolia per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Marcello Cecchetti per la Regione Toscana;

 

deliberato nella camera di consiglio del 28 gennaio 2020.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso iscritto al n. 73 del registro ricorsi 2018, ha impugnato l’art. 1 della legge della Regione Toscana 6 agosto 2018, n. 46 (Disposizioni in materia di procedura di gara ed incentivi per funzioni tecniche. Modifiche alla L.R. 38/2007), per violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettera e), della Costituzione.

 

1.1.− Osserva il ricorrente che la disposizione impugnata inserisce nella legge della Regione Toscana 13 luglio 2007, n. 38 (Norme in materia di contratti pubblici e relative disposizioni sulla sicurezza e regolarità del lavoro) l’art. 35-ter, rubricato «Disposizioni per la semplificazione della gestione amministrativa delle procedure negoziate sotto soglia», ai sensi del quale nelle procedure negoziate, quando il criterio di aggiudicazione prescelto è quello del minor prezzo, le stazioni appaltanti possono decidere di esaminare le offerte economiche prima di verificare la documentazione amministrativa attestante l’assenza dei motivi di esclusione e il rispetto dei criteri di selezione ai sensi del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici). Nell’avviso di manifestazione di interesse sono indicate l’intenzione di avvalersi di tale possibilità e le modalità di verifica, anche a campione, dell’assenza dei motivi di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione.

 

1.2.− Deduce il Presidente del Consiglio dei ministri che, ai sensi dell’art. 56, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, l’inversione dell’apertura delle buste in sede di gara è consentita solamente per le procedure aperte.

 

L’art. 133, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016 (d’ora in avanti codice dei contratti pubblici), come modificato dall’art. 83, comma 1, del decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56 (Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50), avrebbe recepito il cennato principio comunitario, prevedendo che la facoltà di anticipare l’esame delle offerte rispetto al controllo sul possesso dei requisiti di partecipazione, siano essi di ordine generale, di idoneità professionale o di capacità economico-finanziaria e tecnica, è circoscritta alle procedure aperte.

 

La legge delega 28 gennaio 2016, n. 11 (Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture) – prosegue il ricorrente – all’art. 1, comma 1, lettera g), ha delegato il Governo a prevedere una disciplina applicabile ai contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria e una disciplina per l’esecuzione di lavori, servizi e forniture in economia ispirate a criteri di massima semplificazione e rapidità dei procedimenti, salvaguardando i princìpi di trasparenza e imparzialità della gara.

 

Il legislatore statale, nel dare attuazione a tali criteri direttivi con il codice dei contratti pubblici, avrebbe scelto di non prevedere la facoltà di inversione dell’apertura delle buste in caso di procedure negoziate, in linea con quanto previsto dalla direttiva 2014/24/UE per gli appalti sopra soglia.

 

Alla luce di tali considerazioni, la disposizione regionale impugnata, ponendosi in contrasto con l’art. 56, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE e con l’art. 133, comma 8, del codice dei contratti pubblici, violerebbe, rispettivamente, l’art. 117, primo comma e secondo comma, lettera e), Cost.

 

2.− Si è costituita la Regione Toscana, eccependo la non fondatezza delle questioni proposte con il ricorso.

 

2.1.− Secondo la resistente, le modifiche introdotte con la norma impugnata sono rispettose dell’art. 117, primo comma, Cost., poiché la direttiva 2014/24/UE, ai sensi del suo art. 1, concerne le acquisizioni di lavori, forniture o prestazioni di servizio a titolo oneroso per mezzo di un appalto pubblico di importo non inferiore alle soglie di valore indicate all’art. 4. Pertanto, per le acquisizioni sotto soglia si applicherebbero le norme di cui agli ordinamenti nazionali e regionali, che potrebbero prevedere specifiche modalità di affidamento, e ciò, in particolare, allo scopo di garantire una maggiore semplificazione e snellezza delle procedure, esigenze, queste, particolarmente vive nelle procedure negoziate, per come si evincerebbe anche dal considerando 42 e dagli artt. 29 e 32 della citata direttiva 2014/24/UE.

 

Il legislatore nazionale, dal canto suo, con l’art. 36 del codice dei contratti pubblici, avrebbe stabilito che l’affidamento e l’esecuzione dei lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie comunitarie avvengono nel rispetto dei principi di cui agli artt. 30, comma 1 (economicità, efficacia, tempestività, correttezza, libera concorrenza, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità), 34 (sostenibilità energetica e ambientale) e 42 (contrasto delle frodi, della corruzione e dei conflitti d’interesse), nonché nel rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti.

 

Nessuno di tali princìpi sarebbe violato dalla norma impugnata.

 

Il fatto che l’art. 56, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE preveda che le amministrazioni aggiudicatrici possano decidere di esaminare le offerte prima di verificare l’assenza dei motivi di esclusione ed il rispetto dei criteri di selezione solo per le procedure aperte non precluderebbe un’analoga facoltà anche per quelle negoziate.

 

La ratio della norma impugnata, infatti, sarebbe quella di snellire la procedura di gara, ove sia elevato il numero dei partecipanti e l’amministrazione non utilizzi strumenti finalizzati a ridurre tale numero (come, ad esempio, il sorteggio).

 

Nelle procedure negoziate disciplinate dalla direttiva comunitaria sarebbe prevista la possibilità di circoscrivere la platea degli operatori economici, con conseguente non necessità di applicare l’inversione. Nell’ordinamento nazionale, invece, sarebbe possibile che la procedura negoziata sia strutturata in modo da non consentire una limitazione dei soggetti da invitare (in particolare, nelle ipotesi previste dall’art. 36, comma 2, lettere b e c, del codice dei contratti pubblici, ove le amministrazioni non ricorrano alla rotazione).

 

In tali ipotesi si apprezzerebbero le stesse esigenze di efficienza e semplificazione che il legislatore nazionale ha ravvisato nelle procedure aperte.

 

2.2.− Anche la seconda censura di violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. non sarebbe fondata.

 

La facoltà di inversione dell’esame delle buste sarebbe infatti conforme a quanto previsto dalla legge delega n. 11 del 2016, che, all’art. 1, comma 1, lettera g), demanda al legislatore delegato la previsione di una disciplina applicabile ai contratti sotto soglia, «ispirata ai criteri di massima semplificazione e rapidità dei procedimenti, salvaguardando i principi di trasparenza e imparzialità della gara».

 

Ciò imporrebbe la necessità di contemperare i princìpi di cui all’art. 30 del codice dei contratti pubblici (e, in particolare, quelli di proporzionalità, economicità e tempestività) con l’esigenza di consentire la più ampia partecipazione degli operatori economici, la trasparenza e la correttezza delle procedure.

 

Questo sarebbe lo scopo della norma impugnata, espressione della competenza legislativa «in materia di autonomia organizzativa, limitandosi a disciplinare le modalità di svolgimento di un procedimento di competenza della Regione».

 

3.− Entrambe le parti hanno depositato memorie volte a replicare alle deduzioni avversarie e ad ulteriormente illustrare quelle contenute nei rispettivi atti introduttivi.

 

4.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso iscritto al n. 48 del registro ricorsi 2019, ha impugnato gli artt. 2, 11 e 18, della legge della Regione Toscana 7 gennaio 2019, n. 3 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2018), e ha chiesto di dichiarare, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, commi 5 e 6, della legge della Regione Toscana 2 agosto 2013, n. 46 (Dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali).

 

L’art. 2, rubricato «Disposizioni per la semplificazione della gestione amministrativa delle procedure negoziate sotto soglia. Modifiche all’art. 35-ter della L.R. 38/2007», contrastando con l’art. 56, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE, violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., e, contrastando con la norma interposta di cui all’art. 133, comma 8, del codice dei contratti pubblici, violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. L’art. 11, rubricato «Mobilità dei dirigenti. Modifiche all’articolo 18 della L.R. 1/2009», violerebbe gli artt. 97 e 98 Cost., mentre l’art. 18, rubricato «Interventi, progetti e opere oggetto di Dibattito Pubblico. Modifiche all’art. 8 della L.R. 46/2013», violerebbe gli artt. 97 e 118, primo comma, Cost.

 

4.1.− Il Presidente dei Consiglio dei ministri osserva che l’art. 2 impugnato interviene sulla legge reg. Toscana n. 38 del 2007 e, segnatamente, sull’art. 35-ter, modificando entrambi i commi di cui si compone.

 

Rammenta poi il ricorrente che l’art. 1 della legge reg. Toscana n. 46 del 2018 (che aveva aggiunto l’art. 35-ter modificato dalla disposizione quivi impugnata) è stato oggetto di precedente gravame, iscritto al n. 73 del registro ricorsi 2018, poiché esso, nel prevedere la facoltà di inversione dell’esame delle buste anche nelle procedure negoziate, contrasterebbe con l’art. 56, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE, e quindi con l’art. 117, primo comma, Cost., oltre che con l’art. 133, comma 8, del codice dei contratti pubblici, e quindi con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.: sia la direttiva europea sia il codice dei contratti pubblici, infatti, consentirebbero l’inversione solo nelle procedure aperte.

 

La norma censurata con il secondo ricorso apporterebbe all’art. 35-ter modifiche del tutto marginali, limitandosi ad inserire la previsione che nell’avviso di manifestazione di interesse «è indicato che sono invitati tutti gli operatori economici che hanno manifestato interesse» (comma 1), e a sostituire le parole «nel bando» con quelle «nell’avviso» (comma 2).

 

Le modifiche, dunque, sarebbero di mero dettaglio e non eliminerebbero il vizio di incostituzionalità derivante «dal fatto che, contrariamente a quanto previsto dalla disciplina comunitaria e nazionale di settore, quando il criterio di aggiudicazione è quello del minor prezzo, le stazioni appaltanti hanno la possibilità di anticipare l’esame delle offerte rispetto al controllo del possesso dei requisiti di partecipazione anche nelle procedure negoziate».

 

4.2.− Quanto all’art. 11 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019, il ricorrente osserva che esso interviene sulla legge della Regione Toscana 8 gennaio 2009, n. 1 (Testo unico in materia di organizzazione e ordinamento del personale), e, segnatamente, sull’art. 18, sostituendone il comma 2, che ora prevede: «Nel corso dell’incarico dirigenziale il Direttore generale e i direttori, per specifiche esigenze organizzative, possono: a) sentiti i dirigenti interessati, disporre la modifica dell’incarico ai dirigenti della struttura di cui essi sono responsabili; b) sentiti i dirigenti interessati, assegnarli ad altro incarico di livello corrispondente; c) assegnare un incarico di differente livello, esclusivamente previo consenso del dirigente interessato».

 

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la norma censurata si pone in contrasto con gli artt. 19, 21 e 27 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), da cui si ricaverebbero i seguenti princìpi vincolanti le Regioni ordinarie: 1) qualunque modifica dell’incarico dirigenziale non può che avvenire su base consensuale; 2) la revoca dell’incarico può avere luogo esclusivamente ove sia ravvisabile una responsabilità dirigenziale.

 

Ed infatti, quantomeno nelle ipotesi di cui alle lettere a) e b) del comma 2 dell’art. 18 della legge reg. Toscana n. 1 del 2009, la modifica dell’incarico dirigenziale avverrebbe in modo unilaterale, su iniziativa del direttore generale o dei direttori e senza il consenso del dirigente interessato. Inoltre, nel caso di cui alla lettera c), la revoca e l’assegnazione di un incarico differente, pur essendo condizionate al consenso del dirigente, prescinderebbero dalla ricorrenza di un’ipotesi di responsabilità dirigenziale, potendo essere disposte sulla base di non meglio individuate esigenze di tipo organizzativo.

 

Per tali motivi, dunque, la disciplina recata dall’impugnato art. 11 contrasterebbe con i princìpi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione di cui agli artt. 97 e 98 Cost.

 

4.3.− Quanto, infine, all’art. 18 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019, il ricorrente osserva che esso modifica l’art. 8 della legge reg. Toscana n. 46 del 2013, introducendo, al comma 4, la lettera b-bis).

 

L’art. 8 da ultimo citato – prosegue il Presidente del Consiglio dei ministri – individua gli interventi, i progetti e le opere oggetto di dibattito pubblico, stabilendo sia i casi in cui si deve o può fare luogo a dibattito (commi 1, 2 e 3) sia quelli esclusi (comma 4). Il comma 5, poi, prevede che «Il dibattito pubblico si svolge sulle seguenti tipologie di opere nazionali per le quali la Regione è chiamata ad esprimersi: a) infrastrutture stradali e ferroviarie; b) elettrodotti; c) impianti per il trasporto o lo stoccaggio di combustibili; d) porti e aeroporti; e) bacini idroelettrici e dighe; f) reti di radiocomunicazione»; mentre il successivo comma 6 disciplina le modalità di svolgimento del dibattito.

 

L’impugnato art. 18 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019, introducendo la lettera b-bis) nel comma 4 dell’art. 8 della legge reg. Toscana n. 46 del 2013, aggiungerebbe alle ipotesi in cui non si effettua il dibattito pubblico il caso delle «opere nazionali di cui al comma 5, quando il regolamento emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 maggio 2018, n. 76 (Regolamento recante modalità di svolgimento, tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico) prevede lo svolgimento del dibattito pubblico ivi disciplinato».

 

Rammenta il ricorrente che l’art. 22 del codice dei contratti pubblici ha previsto che con d.P.C.m. siano fissati i criteri per l’individuazione delle «grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio», distinte per tipologia e soglie dimensionali, per le quali è obbligatorio il ricorso al dibattito pubblico; e siano altresì definiti le modalità di svolgimento e il termine di conclusione della procedura.

 

In attuazione del citato art. 22 è stato emanato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 maggio 2018, n. 76 (Regolamento recante modalità di svolgimento, tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico), il quale, all’art. 3, comma 1, ha stabilito che «sono soggette a dibattito pubblico, ai sensi dell’art. 22, comma 1, del codice di cui al d.lgs. n. 50 del 2016, le opere rientranti nelle tipologie di cui all’Allegato 1». Lo stesso art. 3, poi, prevede anche i casi in cui si fa luogo alla riduzione dei parametri di riferimento delle soglie dimensionali (comma 2), le modalità di svolgimento del dibattito per le opere di cui all’Allegato 1 di importo compreso tra la soglia ivi indicata e i due terzi della medesima (comma 3), e i casi di opere esenti (comma 5).

 

Orbene, le opere genericamente indicate all’art. 8, comma 5, della legge reg. Toscana n. 46 del 2013 ricomprenderebbero anche opere nazionali di interesse regionale che, in base al citato d.P.C.m. n. 76 del 2018, non sono assoggettate a dibattito pubblico.

 

Secondo il ricorrente, per tali opere, per cui è escluso il dibattito nazionale, dovrebbe essere escluso anche quello regionale, e ciò sia perché la loro realizzazione è di esclusiva competenza statale, sia perché il dibattito regionale si tradurrebbe in un «evidente appesantimento ed aggravamento dell’attività amministrativa, nonché in un inevitabile allungamento dei tempi di realizzazione dei progetti: con conseguente interferenza regionale nell’esercizio di funzioni amministrative riservate allo Stato al fine di assicurarne l’esercizio unitario e correlato pregiudizio del principio di buon andamento dell’amministrazione pubblica».

 

Tale conclusione sarebbe coerente con la sentenza di questa Corte n. 235 del 2018, che avrebbe chiarito la fisionomia, le finalità e i limiti dell’istituto del dibattito pubblico, esplicitamente affermando che quello regionale sulle opere nazionali di rilevante impatto ambientale, economico e sociale è escluso quando costituisca un’inutile duplicazione di quello statale.

 

Per tali motivi l’art. 18 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019 sarebbe incostituzionale per violazione degli artt. 97 e 118, primo comma, Cost., come lo sarebbero, in via consequenziale, i commi 5 e 6 dell’art. 8 della legge reg. Toscana n. 46 del 2013, cui il ricorrente chiede, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), di estendere la dichiarazione di illegittimità costituzionale.

 

5.− Si è costituita la Regione Toscana, eccependo la inammissibilità ovvero la non fondatezza delle questioni proposte in ricorso.

 

5.1.− La prima, avente ad oggetto l’art. 2 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019, che ha modificato l’art. 35-ter della legge reg. Toscana n. 38 del 2007, sarebbe infondata per gli stessi motivi esposti nella memoria depositata nel giudizio iscritto al n. 73 del registro ricorsi 2018 e quivi espressamente ribaditi.

 

5.2.− La seconda questione, proposta avverso l’art. 11 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019, sarebbe invece, in primo luogo, inammissibile, poiché la delibera del Consiglio dei ministri di autorizzazione all’impugnazione non conterrebbe la sua menzione.

 

La questione sarebbe comunque non fondata nel merito.

 

La tesi del ricorrente, secondo cui la disposizione censurata viola gli artt. 97 e 98 Cost., in quanto non rispetta i princìpi posti dagli artt. 19, 21 e 27 del d.lgs. n. 165 del 2001, sarebbe infondata, poiché non considera che l’art. 30 del d.lgs. citato disciplina l’istituto della mobilità, quale strumento di distribuzione del personale in relazione alle esigenze delle amministrazioni pubbliche, nell’intento di contenere la spesa corrente e, in particolare, quella del personale.

 

Ne conseguirebbe la non pertinenza del riferimento agli artt. 97 e 98 Cost., né alla responsabilità di tipo dirigenziale di cui all’art. 21 del d.lgs. n. 165 del 2001, perché nel caso di specie non si verificherebbe una interruzione del rapporto d’ufficio ma solo uno spostamento del dirigente da un incarico ad un altro, senza incidenza sul livello retributivo nel caso di cui alle lettere a) e b), e con il suo consenso nel caso di cui alla lettera c) dell’art. 18, comma 2, della legge reg. Toscana n. 1 del 2009, come modificato dall’art. 11 impugnato. La disposizione, pertanto, sarebbe riconducibile alla materia dell’organizzazione amministrativa, di competenza residuale delle Regioni.

 

5.3.− Da ultimo, anche la questione proposta con riferimento all’art. 18 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019 sarebbe non fondata.

 

La lettera b-bis) del comma 4 dell’art. 8 della legge reg. Toscana n. 46 del 2013, introdotta dalla disposizione impugnata, stabilirebbe che la sola possibilità di un dibattito pubblico nazionale ai sensi del d.P.C.m. n. 76 del 2018 osta al dibattito pubblico regionale.

 

La chiara volontà della norma, come espressamente affermato nel preambolo della legge regionale, sarebbe dunque quella di evitare ogni sovrapposizione con le competenze statali, censurata da questa Corte con la sentenza n. 235 del 2018.

 

Le questioni proposte avverso i commi 5 e 6, invece, sarebbero inammissibili, poiché la norma impugnata in nessun modo li modifica o interferisce con essi, rimasti invariati e mai contestati dallo Stato.

 

In ogni caso, esse sarebbero infondate, poiché le opere di cui al comma 5 sono ricomprese nell’elenco per cui è richiesto il dibattito pubblico nazionale, con conseguente applicazione della lettera b-bis) del comma 4, introdotta dall’impugnato art. 18.

 

6.− Il ricorrente, con memoria depositata il 24 dicembre 2019, ha inteso replicare alle argomentazioni della Regione resistente.

 

6.1.− Quanto alle questioni riguardanti le norme sulla modifica degli incarichi dirigenziali, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce, in via preliminare, che la delibera di autorizzazione all’impugnazione riguarda anche l’art. 11 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019, con conseguente infondatezza dell’eccezione di inammissibilità.

 

Nel merito, l’invocazione dell’art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001 non sarebbe pertinente, poiché esso, a differenza della norma impugnata, disciplina il passaggio diretto di dipendenti tra diverse amministrazioni o all’interno della medesima. La mobilità, peraltro, comporterebbe, oltre a una modifica soggettiva ex latere datoris, una modifica oggettiva limitata al luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, restando per il resto inalterato il rapporto di lavoro; le norme impugnate, invece, inciderebbero sullo stesso contenuto dell’incarico dirigenziale e, pertanto, per i motivi già spiegati in ricorso, violerebbero i dedotti parametri costituzionali.

 

6.2.− Quanto alle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, commi 5 e 6, della legge reg. Toscana n. 46 del 2013, in replica all’eccezione di inammissibilità delle censure rivolte ai commi 5 e 6, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che l’approvazione della legge reg. Toscana n. 3 del 2019 ha costituito la «prima occasione utile» per la loro impugnazione, dal momento che sia il codice dei contratti sia il d.P.C.m. n. 76 del 2018 sono intervenuti in un momento successivo alla loro adozione.

 

Nel merito, il ricorrente precisa di non avere voluto contestare che l’inserimento della lettera b-bis) all’interno dell’art. 8, comma 4, della legge reg. Toscana n. 46 del 2013 «miri a ridurre le possibili ipotesi in cui i dibattiti regionali costituiscono un duplicato di quelli che si svolgono a livello nazionale». Esso intende ribadire, piuttosto, che contrasta con gli invocati parametri costituzionali una disciplina come quella regionale, risultante dal combinato disposti dei commi 4, 5 e 6 dell’art. 8, in forza della quale il dibattito pubblico su opere nazionali di interesse regionale può avere luogo anche in ipotesi in cui sia escluso dalla normativa statale.

 

7.− Con memoria depositata il 3 gennaio 2020 la Regione Toscana ha ribadito le argomentazioni già illustrate, evidenziando, con particolare riferimento all’impugnato art. 2 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019, che esse sarebbero in linea con i princìpi espressi dalla più recente giurisprudenza amministrativa.

 

Considerato in diritto

 

1.− Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso iscritto al n. 73 del registro ricorsi 2018, ha impugnato l’art. 1 della legge della Regione Toscana 6 agosto 2018, n. 46 (Disposizioni in materia di procedura di gara ed incentivi per funzioni tecniche. Modifiche alla L.R. 38/2007), che inserisce nella legge della Regione Toscana 13 luglio 2007, n. 38 (Norme in materia di contratti pubblici e relative disposizioni sulla sicurezza e regolarità del lavoro) l’art. 35-ter.

 

Quest’ultimo prevede che nelle procedure negoziate sotto soglia, quando il criterio di aggiudicazione è quello del minor prezzo, le stazioni appaltanti possono decidere di esaminare le offerte economiche prima di verificare la documentazione amministrativa attestante l’assenza dei motivi di esclusione ed il rispetto dei criteri di selezione ai sensi del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), e che nell’avviso di manifestazione di interesse sono indicate l’intenzione di avvalersi di tale facoltà e le modalità di verifica, anche a campione, dell’assenza dei motivi di esclusione e del rispetto dei criteri di selezione.

 

Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata viola l’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 56, paragrafo 2, della direttiva 2014/24/UE del Parlamento e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE, ai sensi del quale l’inversione dell’apertura delle buste di gara è consentita per le procedure aperte e non anche per quelle negoziate; nonché l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., perché detta una disciplina difforme da quella dell’art. 133, comma 8, del codice dei contratti pubblici, che prevede la facoltà di inversione per le sole procedure aperte.

 

2.− Con ricorso iscritto al n. 48 del registro ricorsi 2019, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 2, 11 e 18, della legge della Regione Toscana 7 gennaio 2019, n. 3 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2018), e ha chiesto di dichiarare, in via consequenziale, l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, commi 5 e 6, della legge Regione Toscana 2 agosto 2013, n. 46 (Dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali).

 

Secondo il ricorrente, l’art. 2 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019, inserendo nell’art. 35-ter della legge reg. Toscana n. 38 del 2007 la previsione che nell’avviso di manifestazione di interesse «è indicato che sono invitati tutti gli operatori economici che hanno manifestato interesse» (comma 1) e sostituendo le parole «nel bando» con quelle «nell’avviso» (comma 2), apporterebbe modifiche del tutto marginali, che reitererebbero la violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettera e), Cost. denunciata con il ricorso iscritto al n. 73 del registro ricorsi 2018.

 

L’art. 11 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019, sostituendo l’art. 18, comma 2, della legge della Regione Toscana 8 gennaio 2009, n. 1 (Testo unico in materia di organizzazione e ordinamento del personale) – e prevedendo che nel corso dell’incarico dirigenziale il direttore generale e il direttore, per specifiche esigenze organizzative, possano, sentiti i dirigenti interessati, disporre la modifica dell’incarico o assegnarli ad incarico di livello corrispondente, ovvero, con il loro consenso, ad un incarico di differente livello – violerebbe i principi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione di cui agli artt. 97 e 98 Cost., perché non si conformerebbe agli artt. 19 e 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), in base ai quali: 1) qualunque modifica dell’incarico conferito non può che avvenire su base consensuale, 2) e la revoca dell’incarico può avere luogo esclusivamente per responsabilità dirigenziale.

 

L’art. 18 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019, infine, introducendo, nel comma 4 dell’art. 8 della legge reg. Toscana n. 46 del 2013, la lettera b-bis) – che prevede, quale ulteriore ipotesi in cui non si effettua il dibattito pubblico regionale sulle opere statali di interesse regionale quella delle «opere nazionali di cui al comma 5, quando il regolamento emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 maggio 2018, n. 76 (Regolamento recante modalità di svolgimento, tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico) prevede lo svolgimento del dibattito pubblico ivi disciplinato» – violerebbe gli artt. 97 e 118, primo comma, Cost., perché, letto in combinato disposto con i successivi commi 5 e 6, determinerebbe una indebita sovrapposizione della normativa regionale a quella statale, e perché il legislatore regionale non potrebbe prevedere il dibattito pubblico per le opere nazionali, anche se di interesse regionale, per le quali lo Stato lo ha escluso, a pena di un indebito appesantimento ed allungamento dell’attività amministrativa statale.

 

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, pertanto, i commi 5 e 6 dell’art. 8 della legge reg. Toscana n. 46 del 2013 – che disciplinano, rispettivamente, le ipotesi in cui si svolge il dibattito pubblico sulle opere nazionali di interesse regionale e le sue modalità – alla luce della «connessione che li lega alla disposizione» impugnata dovrebbero essere dichiarati costituzionalmente illegittimi in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).

 

3.– I giudizi, soggettivamente e oggettivamente connessi, vanno riuniti.

 

4.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 della legge reg. Toscana n. 46 del 2018 e dell’art. 2 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019, che hanno, rispettivamente, introdotto e modificato l’art. 35-ter della legge reg. Toscana n. 38 del 2007, disciplinante la inversione procedimentale nelle procedure negoziate sotto soglia regolate dal criterio di aggiudicazione del minor prezzo, sono fondate sotto il profilo della violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

 

4.1.– È noto che le disposizioni del codice dei contratti pubblici (prima contenute nel decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante «Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE» ed oggi nel d.lgs. n. 50 del 2016: sentenza n. 166 del 2019) regolanti le procedure di gara sono riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e che le Regioni, anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse difforme (tra le tante, sentenze n. 263 del 2016, n. 36 del 2013, n. 328 del 2011, n. 411 e n. 322 del 2008).

 

Ciò vale anche per le disposizioni relative ai contratti sotto soglia (sentenze n. 263 del 2016, n.184 del 2011, n. 283 e n. 160 del 2009, n. 401 del 2007), poiché «[l]a distinzione tra contratti sotto soglia e sopra soglia non costituisce […] utile criterio ai fini dell’identificazione delle norme statali strumentali a garantire la tutela della concorrenza, in quanto tale finalità può sussistere in riferimento anche ai contratti riconducibili alla prima di dette categorie e la disciplina stabilita al riguardo dal legislatore statale mira ad assicurare, tra l’altro, “il rispetto dei principi generali di matrice comunitaria stabiliti nel Trattato e, in particolare, il principio di non discriminazione (in questo senso, da ultimo, nella materia in esame, Corte di giustizia 15 maggio 2008, C-147/06 e C-148/06) (sentenza n. 160 del 2009)”» (sentenza n. 184 del 2011).

 

È poi giurisprudenza costante di questa Corte che alla tutela della concorrenza deve essere ricondotta «l’intera disciplina delle procedure di gara pubblica (sentenze n. 46 e n. 28 del 2013, n. 339 del 2011 e n. 283 del 2009), in quanto quest’ultima costituisce uno strumento indispensabile per tutelare e promuovere la concorrenza in modo uniforme sull’intero territorio nazionale (sentenze n. 339 del 2011, n. 1 del 2008 e n. 401 del 2007)» (sentenza n. 28 del 2014; nello stesso senso, sentenza n. 259 del 2013), senza che rilevi che la procedura sia aperta o negoziata (sentenza n. 322 del 2008).

 

4.2.– Nel caso di specie sussiste la lamentata difformità dalla disciplina statale, sia nella versione originaria del nuovo codice dei contratti pubblici che in quella nel tempo parzialmente modificata con gli interventi recati dal decreto-legge 18 aprile 2019, n. 32 (Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici), convertito, con modificazioni, nella legge 14 giugno 2019, n. 55.

 

L’art. 133, comma 8, del codice dei contratti pubblici, infatti, prevede la facoltà di inversione nell’esame della documentazione amministrativa e di quella relativa all’offerta solo nei settori speciali e per le procedure aperte (e a prescindere dal criterio di aggiudicazione prescelto).

 

L’art. 1, lettera f), numero 4, del d.l. n. 32 del 2019, intervenendo sull’art. 36, comma 5, del codice dei contratti pubblici, aveva introdotto analoga facoltà per tutte le procedure sotto soglia (negoziate e non), ma in sede di conversione il legislatore – recependo le preoccupazioni espresse dall’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) nel documento di analisi del citato decreto-legge – ha mutato rotta, eliminandola per le gare sotto soglia e contestualmente introducendola nei settori ordinari, e limitatamente alle procedure aperte (quale che sia il criterio di aggiudicazione), a tempo e in via sperimentale (mediante l’estensione a tali settori, sino al 31 dicembre 2020, dell’art. 133, comma 8, del codice dei contratti pubblici: così l’art. 1, comma 3, del d.l. n. 32 del 2019, nel testo risultante dalla legge di conversione).

 

4.3.– Non è corretta, dunque, la tesi della Regione Toscana, secondo cui il codice dei contratti pubblici, prevedendo espressamente l’inversione dell’esame per le procedure aperte, non per questo la escluderebbe per quelle negoziate. Il dato testuale, infatti, è chiaro nel riferire l’inversione esclusivamente alle prime e la stessa ricordata evoluzione normativa dimostra inequivocabilmente l’intenzione del legislatore statale di escluderla per le seconde.

 

Né in senso contrario può valorizzarsi la sentenza del Consiglio di Stato, sezione quinta, 2 settembre 2019, n. 6017, invocata dalla Regione resistente nella memoria depositata il 3 gennaio 2020, poiché essa, in realtà, riconosce espressamente l’esistenza di un principio di «sequenzialità» logica e giuridica nell’esame della documentazione amministrativa e di quella relativa all’offerta (nello stesso senso, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 11 giugno 2013, n. 3228), limitandosi piuttosto ad affermare che la sua inversione (a differenza di quella dell’esame della busta tecnica e di quella economica) non sarebbe invalidante la procedura, ma darebbe luogo ad una mera irregolarità (affermazione, questa, peraltro contraddetta da altra giurisprudenza di primo e secondo grado, che dalla violazione di quel principio, posto a presidio dell’imparzialità e della trasparenza dell’azione amministrativa, fa discendere l’annullamento degli atti della procedura: TAR Toscana, sezione seconda, sentenza 29 ottobre 2018, n. 1391; TAR Sardegna, sentenza 14 maggio 2003, n. 605; Consiglio di Stato, sezione seconda, parere 30 aprile 2003, n. 1036; Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza 27 novembre 2000, n. 6306).

 

Nemmeno giova alla tesi della Regione resistente l’altra sentenza invocata in memoria (Consiglio di Stato, sezione quinta, 2 settembre 2019, n. 6013), perché essa (anche a prescindere dal rilievo che non costituisce diritto vivente) non esclude l’esistenza del cennato principio di sequenzialità, ma si limita ad estendere l’ambito temporale della fase di valutazione dei requisiti di ammissione.

 

5.− In conclusione, la scelta di consentire o meno l’inversione procedimentale implica un delicato bilanciamento fra le esigenze di semplificazione e snellimento delle procedure di gara e quelle, fondamentali, di tutela della concorrenza, della trasparenza e della legalità delle medesime procedure, bilanciamento che non può che essere affidato al legislatore nazionale nell’esercizio della sua competenza esclusiva in materia, quale garanzia di uniformità della disciplina su tutto il territorio nazionale.

 

6.− Resta assorbita la censura di violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

 

7.− È impugnato anche l’art. 11 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019, che ha sostituito l’art. 18, comma 2, della legge reg. Toscana n. 1 del 2009, il quale comma ora prevede: «Nel corso dell’incarico dirigenziale il Direttore generale e i direttori, per specifiche esigenze organizzative, possono: a) sentiti i dirigenti interessati, disporre la modifica dell’incarico ai dirigenti della struttura di cui essi sono responsabili; b) sentiti i dirigenti interessati, assegnarli ad altro incarico di livello corrispondente; c) assegnare un incarico di differente livello, esclusivamente previo consenso del dirigente interessato».

 

Secondo il ricorrente, la disposizione viola i princìpi di buon andamento e imparzialità della pubblica amministrazione di cui agli artt. 97 e 98 Cost., perché contrasta con gli artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 165 del 2001, vincolanti per le Regioni ai sensi dell’art. 27 del medesimo d.lgs.

 

In particolare, le ipotesi di cui alle lettere a) e b) violerebbero il principio secondo cui qualunque modifica dell’incarico dirigenziale conferito non può che avvenire su base consensuale, mentre l’ipotesi di cui alla lettera c) violerebbe il principio secondo cui la revoca dell’incarico può avere luogo esclusivamente nei casi in cui vi sia una responsabilità di tipo dirigenziale.

 

8.− La Regione resistente ha eccepito l’inammissibilità della questione, perché l’art. 11 non sarebbe tra le disposizioni oggetto di autorizzazione all’impugnazione, come emergerebbe dalla delibera del Consiglio dei ministri del 7 marzo 2019 consultabile sul sito internet www.affariregionali.gov.it.

 

L’eccezione è infondata, perché l’indicazione dell’art. 11 impugnato è presente nella delibera prodotta in atti dal Presidente del Consiglio dei ministri, recante l’attestazione del Sottosegretario di approvazione «secondo i termini e le motivazioni di cui all’allegata relazione», oltre che in quella consultabile online sul sito della Presidenza del Consiglio dei ministri (tra i comunicati stampa).

 

9.− Nel merito la questione non è fondata.

 

9.1.− È vero che il citato art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, rubricato «Incarichi di funzioni dirigenziali», nella sua formulazione attuale, stabilisce, al comma 2, che «[è] sempre ammessa la risoluzione consensuale del rapporto» e, al comma 1-ter, che «[g]li incarichi dirigenziali possono essere revocati esclusivamente nei casi e con le modalità di cui all’articolo 21, comma 1, secondo periodo», ossia nei casi di accertata responsabilità dirigenziale.

 

Tali norme, tuttavia, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, non recano i princìpi della necessaria consensualità della modifica dell’incarico e della sua non revocabilità al di fuori dei casi di responsabilità dirigenziale.

 

La prima, infatti, si limita a ribadire, con riferimento al contratto accessivo al provvedimento di incarico, l’applicabilità del generale principio civilistico della risoluzione per mutuo consenso, ma non implica che siano vietate ipotesi di risoluzione unilaterale (tali, del resto, sono quelle per responsabilità dirigenziale e per responsabilità disciplinare).

 

La seconda, invece, interpretata in coerenza con la sua ratio, intende assicurare il principio di continuità dell’azione amministrativa correlato al principio costituzionale di buon andamento della stessa (sentenze n. 27 del 2014, n. 228 del 2011, n. 304, n. 224 e n. 81 del 2010) e di impedire valutazioni della performance del dirigente che prescindano dalla verifica della diligenza nell’espletamento dell’incarico e del raggiungimento degli obiettivi prefissati, a tutela del principio di imparzialità della pubblica amministrazione (tra le tante, sentenze n. 81 e n. 34 del 2010, n. 161 del 2008 e n. 104 del 2007).

 

Il citato art. 19, cioè, vieta la revoca dell’incarico dirigenziale fondata su valutazioni dell’operato del dirigente al di fuori dei presupposti e delle modalità previsti dall’art. 21, ma non per questo ne esclude la modifica o la revoca per «specifiche» e comprovate esigenze organizzative della pubblica amministrazione, quali la soppressione di un servizio o l’accorpamento di unità o importanti modifiche della pianta organica o, ancora, la sopravvenuta impossibilità materiale o giuridica di raggiungimento dell’obiettivo prefissato con il conferimento dell’incarico.

 

La necessità di consentire il mutamento o la revoca dell’incarico dirigenziale in presenza delle cennate obiettive esigenze organizzative, infatti, è immanente al sistema, perché risponde ai fondamentali princìpi di buon andamento, efficienza ed efficacia dell’attività amministrativa, tutti riconducibili all’art. 97 Cost.

 

È invece non conforme a tale precetto costituzionale l’opposta opzione interpretativa patrocinata dal ricorrente, poiché essa, pur di garantire la continuità del singolo incarico dirigenziale, porterebbe al paradosso di giustificare la sua immutabilità anche ove venga meno la struttura amministrativa da dirigere o, al contrario, la permanenza in vita di una struttura amministrativa non più rispondente all’interesse pubblico.

 

9.2.− Non è un caso, del resto, che l’istituto della revoca o modifica dell’incarico dirigenziale per specifiche esigenze organizzative sia ben conosciuto dalla stessa legislazione statale (art. 1, comma 18, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante «Disposizioni per la riduzione della spesa pubblica», convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, ai sensi del quale: «[a]l fine di assicurare la massima funzionalità e flessibilità, in relazione a motivate esigenze organizzative, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono disporre, nei confronti del personale appartenente alla carriera prefettizia ovvero avente qualifica dirigenziale, il passaggio ad altro incarico prima della data di scadenza dell'incarico ricoperto prevista dalla normativa o dal contratto»).

 

9.3.− Al fine di scongiurare illegittime forme di «precarizzazione della funzione dirigenziale» (sentenza n. 103 del 2007), appare tuttavia opportuno precisare che il mutamento o la revoca dell’incarico per giustificate ragioni oggettive non possono in alcun modo essere utilizzati per mascherare illegittime rimozioni di dirigenti sgraditi ad opera dei dirigenti generali o camuffate ipotesi di responsabilità dirigenziale, non accertate nelle forme e con le garanzie previste dagli artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 165 del 2001 e imposte dalla consolidata giurisprudenza costituzionale (tra le tante, sentenze n. 23 del 2019, n. 52 e n. 15 del 2017, n. 20 del 2016, n. 104 e n. 103 del 2007), forme e garanzie il cui rispetto potrà essere oggetto di vaglio in sede giurisdizionale.

 

10.− Il Presidente del Consiglio dei ministri ha infine impugnato l’art. 18 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019, che introduce nel comma 4 dell’art. 8 della legge reg. Toscana n. 46 del 2013 la lettera b-bis), la quale prevede, quale ulteriore ipotesi in cui non si effettua il dibattito pubblico regionale, quella delle «opere nazionali di cui al comma 5, quando il regolamento emanato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 10 maggio 2018, n. 76 (Regolamento recante modalità di svolgimento, tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico) prevede lo svolgimento del dibattito pubblico ivi disciplinato».

 

Secondo il ricorrente la norma, letta in combinato disposto con i successivi commi 5 e 6 dell’art. 8 della legge reg. Toscana n. 46 del 2013, cui chiede di estendere in via consequenziale la dichiarazione d’illegittimità costituzionale, determinerebbe una indebita sovrapposizione della normativa regionale a quella statale, e in particolare con l’art. 22 del codice dei contratti e con il citato d.P.C.m. n. 76 del 2018.

 

Più precisamente, le norme regionali richiamate, escludendo il dibattito pubblico sulle opere statali d’interesse regionale solo nelle ipotesi in cui la normativa statale prevede il dibattito pubblico e non in quelle in cui lo esclude, violerebbero gli artt. 97 e 118, primo comma, Cost., perché aggraverebbero l’attività amministrativa, allungando i tempi di realizzazione dei progetti delle opere pubbliche nazionali, e interferirebbero con la funzione amministrativa statale.

 

Tale conclusione sarebbe coerente con la sentenza di questa Corte n. 235 del 2018, che avrebbe chiarito la fisionomia, le finalità e i limiti dell’istituto del dibattito pubblico, esplicitamente affermando che quello regionale sulle opere nazionali di rilevante impatto ambientale, economico e sociale è escluso quando costituisca una duplicazione di quello statale.

 

11.− La questione è inammissibile per aberratio ictus (tra le tante, sentenze n. 109 e n. 14 del 2019, n. 157 del 2015 e n. 59 del 2013; ordinanze n. 238 del 2019 e n. 8 del 2018).

 

11.1.− È lo stesso Presidente del Consiglio dei ministri ad ammettere, nella memoria depositata in cancelleria il 24 dicembre 2019, che oggetto precipuo della sua doglianza non è la norma impugnata in via principale (l’art. 8, comma 4, lettera b-bis della legge reg. Toscana n. 46 del 2013) – che, al fine (dichiarato nel preambolo alla stessa legge regionale) di evitare una duplicazione dell’attività amministrativa e di conformarsi alla sentenza n. 235 del 2018 di questa Corte, ha escluso il dibattito pubblico regionale in presenza di un dibattito pubblico statale – ma quelle successive (i commi 5 e 6 del citato art. 8), che disciplinano l’an ed il quomodo del dibattito regionale su opere nazionali.

 

È evidente, dunque, che il ricorrente ha impugnato la sopravvenuta lettera b-bis) del comma 4, in sé non pertinente rispetto all’oggetto delle censure (sentenze n. 194 del 2017 e n. 59 del 2013; ordinanze n. 180 e n. 120 del 2011), per tentare di colpire, per il tramite dell’invocata illegittimità costituzionale in via consequenziale, altre due norme (art. 8, commi 5 e 6, della legge reg. Toscana n. 46 del 2013), il cui termine d’impugnazione, al momento della proposizione del ricorso, era già ampiamente scaduto.

 

12.− Alla declaratoria di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019 consegue la non accoglibilità della richiesta di dichiarazione di illegittimità costituzionale, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, dell’art. 8, commi 5 e 6, della legge reg. Toscana n. 46 del 2013.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge della Regione Toscana 6 agosto 2018, n. 46 (Disposizioni in materia di procedura di gara ed incentivi per funzioni tecniche. Modifiche alla L.R. 38/2007);

 

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 della legge della Regione Toscana 7 gennaio 2019, n. 3 (Legge di manutenzione dell’ordinamento regionale 2018);

 

3) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 18 della legge della reg. Toscana n. 3 del 2019, promossa, in riferimento agli art. 97 e 118, primo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso iscritto al n. 48 del registro ricorsi 2019;

 

4) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 11 della legge reg. Toscana n. 3 del 2019, promossa, in riferimento agli artt. 97 e 98 Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri, con il ricorso iscritto al n. 48 del registro ricorsi 2019.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 gennaio 2020.

 

F.to:

 

Marta CARTABIA, Presidente

 

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 6 marzo 2020.