SENTENZA N. 34
ANNO 2010
Commento alla
decisione di
I.
Elena Innocenti e Elena Vivaldi, La dirigenza regionale alla luce della
recente giurisprudenza costituzionale (per gentile concessione del Forum
dei Quaderni Costituzionali)
II.
Francesco Merloni, Spoils
system: il timore dell’overruling impedisce alla Corte di fare chiarezza
(per gentile concessione del Forum
dei Quaderni Costituzionali)
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA ''
- Alfio FINOCCHIARO ''
- Alfonso QUARANTA ''
- Franco GALLO ''
- Luigi MAZZELLA ''
- Gaetano SILVESTRI
- Sabino CASSESE ''
- Maria Rita SAULLE ''
- Giuseppe TESAURO ''
- Paolo Maria NAPOLITANO ''
- Giuseppe FRIGO ''
- Alessandro CRISCUOLO ''
- Paolo GROSSI ''
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1,
commi 1 e 4, della legge della Regione Calabria 3 giugno 2005, n. 12 (Norme in
materia di nomine e di personale della Regione Calabria), promossi dal
Tribunale ordinario di Catanzaro con ordinanza del 30 settembre 2008 e dal
Consiglio di Stato con ordinanza del 19 marzo 2009, rispettivamente iscritte ai
nn. 49 e 269 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica nn. 8 e 45, prima serie speciale, dell’anno
2009.
Visti gli atti di
costituzione di A. C. e della Regione Calabria;
udito nell’udienza pubblica
del 12 gennaio 2010 il Giudice relatore Sabino Cassese;
uditi gli avvocati
Francesco Saverio Marini e Ulisse Corea per A. C. e Mariano Calogero per
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale ordinario di Catanzaro, in funzione di giudice del
lavoro, con ordinanza del 30 settembre del
Le disposizioni censurate
prevedono quanto segue: «le nomine degli organi di vertice e dei
componenti o dei rappresentanti della Regione nei consigli di amministrazione o
negli organi equiparati degli enti pubblici, degli enti pubblici economici,
delle aziende sanitarie, ospedaliere ed assimilabili dei consorzi, delle
società controllate o partecipate, delle agenzie, degli ambiti territoriali
ottimali, delle fondazioni e di ogni altro soggetto od organismo, comunque
denominato, individuale o collegiale, di diritto pubblico o privato,
appartenente o meno alla struttura amministrativa della Regione ed a qualsiasi
livello, nonché dei componenti di comitati, commissioni, gruppi di lavoro ed
organismi regionali od interregionali, conferite, rinnovate o comunque rese
operative, anche di intesa o di concerto con altre autorità o previa selezione,
o comunque resi operativi degli organi di indirizzo politico regionale, nonché
dal capo di gabinetto del Presidente della Giunta regionale e dai dirigenti dei
dipartimenti, nei nove mesi antecedenti la data delle elezioni per il rinnovo
degli organi di indirizzo politico della Regione e successivamente rispetto a
tale data, fino all’insediamento di questi ultimi, decadono alla data di
proclamazione del Presidente della Giunta regionale ed i conseguenti rapporti
di natura patrimoniale sono risolti di diritto» (art. 1, comma 1); «le
disposizioni che precedono si applicano, in via transitoria, alle nomine
conferite, rinnovate o comunque rese operative nei nove mesi antecedenti il 3
aprile 2005 o successivamente, fino all’insediamento dei nuovi organi di
indirizzo politico della Regione, da parte delle autorità indicate al primo
comma, con conseguente risoluzione di diritto dei relativi rapporti di natura
patrimoniale» (art. 1, comma 4).
1.2. – Il Tribunale rimettente
riferisce che, con delibera della Giunta regionale del 26 gennaio 2005, il
ricorrente nel giudizio principale è stato nominato Direttore generale della
Azienda sanitaria locale n. 7 di Catanzaro, sottoscrivendo il relativo
contratto, di durata triennale, in data 7 febbraio 2005 e ottenendo il
collocamento in pensione quale dirigente amministrativo dell’Azienda
ospedaliera «Pugliese - Ciaccio». Il giudice a quo espone che, in applicazione delle disposizioni censurate,
successivamente intervenute,
1.3. – Ciò premesso, il giudice a quo afferma la sussistenza della
propria giurisdizione e dichiara rilevante e non manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale delle norme censurate.
In ordine alla giurisdizione, il
giudice rimettente, richiamando la giurisprudenza della Corte di cassazione in
materia, e pur rilevando un contrasto giurisprudenziale, aderisce
all’orientamento secondo il quale la decadenza costituisce «un fatto estintivo
dei diritti nascenti da un contratto di natura privatistica stipulato tra
l’amministrazione e il dirigente», con la conseguenza che «non vi è ragione […]
di derogare alla regola generale che vuole, nella materia in esame,
ordinariamente affermata la giurisdizione del giudice ordinario».
Sotto il profilo della rilevanza,
il tribunale rimettente osserva innanzitutto, con riferimento alla prima delle
due disposizioni censurate, che, qualora venisse dichiarata l’illegittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Calabria n. 12
del
In punto di non manifesta
infondatezza, il tribunale rimettente ritiene che l’art. 1, comma 1, della
legge della Regione Calabria n. 12 del 2005, nella parte in cui prevede, al
verificarsi del mutamento degli organi politici di vertice della Regione, la
decadenza dei direttori generali delle aziende sanitarie locali, si ponga in
contrasto con l’art. 97 Cost., per le stesse ragioni che hanno indotto
2. – Con atto depositato in data
13 febbraio 2009, si è costituito in giudizio il ricorrente nel giudizio
principale, chiedendo l’accoglimento della questione di legittimità
costituzionale sollevata e riservandosi ogni più ampia difesa nel corso del
giudizio.
3. – Con atto depositato in data
10 marzo 2009, si è costituita in giudizio anche
Ad avviso della difesa regionale,
l’ordinanza di rimessione è fondata sull’erroneo assunto secondo cui la sentenza n. 233 del
2006 non avrebbe affrontato lo specifico profilo dell’applicabilità della
norma censurata alla figura dei direttori generali delle Asl.
4. – Il Consiglio di Stato, con
ordinanza del 19 marzo
4.1. – Il collegio rimettente
riferisce che l’appellante nel giudizio principale ha impugnato la sentenza con
la quale il Tar della Calabria ha respinto il ricorso da lui proposto avverso
la deliberazione della Giunta regionale della Calabria (delibera n. 595 del 20
giugno 2005) con la quale, in applicazione della disciplina censurata, è stato
dichiarato decaduto dall’incarico di direttore generale dell’Agenzia Regionale
per
Tale questione di legittimità
costituzionale, ad avviso del collegio rimettente, è rilevante e non
manifestamente infondata.
4.2. – Sotto il primo profilo, il
Consiglio di Stato chiarisce che la questione deve ritenersi rilevante sebbene
4.3. – In punto di non manifesta
infondatezza, il Consiglio di Stato premette che
4.4. – Con atto depositato in
data 1° dicembre 2009, si è costituita in giudizio
Nel merito, la difesa regionale
richiama la citata sentenza n. 233 del
2006, con la quale
La difesa regionale ritiene, poi, che
l’applicazione immediata del meccanismo di decadenza automatica anche ai
rapporti in corso al momento di entrata in vigore della norma risponda al
principio di buon andamento dell’amministrazione, risultando evidente, come
affermato dalla stessa sentenza n. 233 del
2006 in relazione ad una norma legislativa regionale analoga a quella
censurata, «l’intento del legislatore regionale di rendere immediatamente
operativa la nuova disciplina, per evitare – in sintonia, e non in contrasto,
con l’evocato art. 97 Cost. – che le nomine effettuate nella precedente
legislatura, specie nella sua fase finale, pregiudichino il buon andamento
dell’amministrazione». Né può ritenersi, ad avviso della difesa regionale, che
risulti violato l’affidamento del direttore generale dell’Arpacal al
mantenimento fino alla scadenza di un incarico ottenuto a seguito di concorso
pubblico, dal momento che, ai fini della nomina in questione, le norme non
prevedono affatto l’esperimento di un concorso pubblico.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale ordinario di Catanzaro e il Consiglio di Stato hanno
sollevato questioni di legittimità costituzionale della disciplina contenuta
nell’art. 1, commi 1 e 4, della legge della Regione Calabria 3 giugno 2005, n. 12 (Norme in materia di
nomine e di personale della Regione Calabria), per contrasto con gli artt. 2,
3, 24, 97, 98, 101, 103 e 113 della Costituzione.
La disciplina censurata prevede la decadenza automatica, alla data di proclamazione del Presidente della Giunta regionale, di una ampia serie di titolari di organi o enti regionali, nominati nei nove mesi antecedenti la data delle elezioni per il rinnovo degli organi di indirizzo politico della Regione (art. 1, comma 1). Tale meccanismo è inoltre applicato, in via transitoria, anche «alle nomine conferite, rinnovate o comunque rese operative nei nove mesi antecedenti il 3 aprile 2005», data di elezione del Consiglio regionale che ha approvato la disciplina impugnata (art. 1, comma 4).
Secondo il Tribunale di Catanzaro, tali disposizioni, nella parte in cui
si applicano ai direttori generali
delle aziende sanitarie locali, si porrebbero in conflitto con l’art. 97 Cost.,
per ragioni che il giudice a quo
rinviene nella giurisprudenza costituzionale e, in particolare, nelle
motivazioni della sentenza
n. 104 del 2007, con la quale questa Corte, nel dichiarare l’illegittimità
costituzionale di una disciplina regionale analoga a quella censurata, ha fra
l’altro affermato che l’imparzialità e il buon andamento dell’amministrazione
esigono «che la posizione del direttore generale [di Asl] sia circondata da
garanzie» e «che la decisione dell’organo politico relativa alla cessazione
anticipata dell’incarico del direttore generale di Asl rispetti il principio
del giusto procedimento».
Ad avviso del Consiglio di Stato,
le norme impugnate si porrebbero innanzitutto in contrasto con gli artt.
97 e 98 Cost., per motivi che, anche in questo caso, il collegio rimettente
individua, richiamando ampiamente la
più recente giurisprudenza costituzionale. In particolare, il giudice a quo fa riferimento alla sentenza n. 103 del
2007, nella quale questa Corte ha affermato che la cessazione anticipata
degli incarichi dirigenziali «è ammissibile solo a seguito dell’accertamento
dei risultati conseguiti, e solo dopo un giusto procedimento che consenta
all’interessato di svolgere le proprie difese e che si concluda con un formale
provvedimento motivato sindacabile in sede giurisdizionale». Il Consiglio di
Stato ritiene, inoltre, che il meccanismo transitorio previsto dalla disciplina
censurata (art. 1, comma 4), nel collegare la decadenza ad un evento già
verificatosi al momento della sua entrata in vigore, violi anche il principio
dell’affidamento e, con esso, il principio di buon andamento
dell’amministrazione. Il giudice a quo
deduce, infine, la violazione degli artt. 2, 3, 24, 101, 103 e 113 Cost.
2. – I giudizi, avendo a oggetto
le medesime disposizioni, in relazione alle quali sono prospettate censure
analoghe, devono essere riuniti e decisi con un’unica pronuncia.
3. – Devono essere preliminarmente dichiarate
inammissibili, per mancanza di motivazione sulla non manifesta infondatezza, le
questioni sollevate dal Consiglio di Stato in relazione agli artt. 2, 24, 101,
103 e 113 Cost. Il rimettente si limita, infatti, a evocare tali parametri
costituzionali, senza spiegare in alcun modo l’asserita violazione degli
stessi.
4. – Vanno disattese, relativamente alle censure
prospettate con riferimento agli altri parametri, le eccezioni di
inammissibilità sollevate dalla Regione Calabria. Innanzitutto, la circostanza
che questa Corte, con la sentenza n. 233 del
2006, abbia già dichiarato non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 1, comma 1, della legge della Regione Calabria n. 12 del 2005, proposta in via principale
dal governo, non rende inammissibile, come preteso dalla difesa regionale, la
proposizione della questione odierna, che avviene in via incidentale e
nell’ambito di un diverso giudizio. Né può ritenersi macroscopico, e quindi
rilevabile dalla Corte, l’asserito difetto di giurisdizione del Consiglio di
Stato, non risultando certa e palese l’assenza di qualsiasi profilo di
discrezionalità amministrativa in una fattispecie nella quale l’amministrazione
dichiara la decadenza ex lege del
titolare di un ufficio e conseguentemente nomina un diverso titolare. Infine,
il Consiglio di Stato argomenta in modo non implausibile circa la rilevanza
della questione, anche a fronte della revoca dell’originario atto di nomina
dell’appellante nel giudizio principale: quest’ultimo provvedimento,
intervenuto quando era già stata pronunciata la decadenza dall’incarico, non
sarebbe comunque in grado di determinare la cessazione della materia del
contendere, come asserito dalla difesa regionale, se non altro con riferimento
al periodo intercorrente fra il primo provvedimento risolutivo del rapporto
(dichiarazione di decadenza ex lege)
e quello successivo (revoca dell’originario atto di nomina).
4. – Nel merito, la questione di legittimità
costituzionale delle disposizioni censurate, sollevata in relazione agli artt.
97 e 98 Cost., è fondata nei termini di séguito precisati.
5. – Considerato che la
giurisprudenza costituzionale è posta a fondamento sia delle censure
prospettate dai rimettenti, sia degli argomenti difensivi della Regione
Calabria, da essa occorre prendere le mosse.
Questa Corte è già stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale delle disposizioni legislative regionali attualmente censurate, nell’ambito di un giudizio instaurato in via principale dal governo con un ricorso che, da un lato, deduceva la violazione dell’art. 97 Cost. in stretta connessione con quella dell’art. 117 Cost. e, dall’altro, come da questa stessa Corte osservato, censurava la disciplina regionale in ragione delle differenze fra le soluzioni ivi accolte e quelle della corrispondente normativa statale. In tale occasione, con la sentenza n. 233 del 2006, è stata dichiarata manifestamente inammissibile, per genericità delle relative censure, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 4, della legge della Regione Calabria n. 12 del 2005, mentre sono state dichiarate non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, della medesima legge calabrese.
Sotto quest’ultimo profilo, le motivazioni della pronuncia di non fondatezza possono riassumersi nel modo seguente. In primo luogo, questa Corte ha affermato il principio in base al quale le disposizioni legislative che ricollegano al rinnovo dell’organo politico l’automatica decadenza di titolari di uffici amministrativi (c.d. spoils system) sono compatibili con l’art. 97 Cost. qualora si riferiscano a soggetti che: a) siano titolari di «organi di vertice» dell’amministrazione e b) debbano essere nominati intuitu personae, cioè sulla base di «valutazioni personali coerenti all’indirizzo politico regionale». In secondo luogo, tale principio è stato applicato, con riferimento a molte e diverse categorie di soggetti, comprese nell’ampia elencazione contenuta nella disposizione regionale censurata, considerate nel loro insieme e senza una valutazione specificamente riferita a ciascuna figura.
La successiva giurisprudenza costituzionale, nel confermare il principio sviluppato nella sentenza n. 233 del 2006, ne ha precisato la portata.
In termini generali, questa Corte ha innanzitutto chiarito che i predetti meccanismi di c.d. spoils system, ove riferiti a figure dirigenziali non apicali, ovvero a titolari di uffici amministrativi per la cui scelta l’ordinamento non attribuisce, in ragione delle loro funzioni, rilievo esclusivo o prevalente al criterio della personale adesione del nominato agli orientamenti politici del titolare dell’organo che nomina, si pongono in contrasto con l’art. 97 Cost., in quanto pregiudicano la continuità dell’azione amministrativa, introducono in quest’ultima un elemento di parzialità, sottraggono al soggetto dichiarato decaduto dall’incarico le garanzie del giusto procedimento e svincolano la rimozione del dirigente dall’accertamento oggettivo dei risultati conseguiti (sentenze n. 390, n. 351 e n. 161 del 2008; sentenze n. 104 e n. 103 del 2007). Più in particolare, la sentenza n. 104 del 2007 ha dichiarato l’illegittimità di una disciplina legislativa della Regione Lazio analoga a quella attualmente censurata e riferita ai direttori generali delle aziende sanitarie locali. Per giungere a tale conclusione, questa Corte, puntualizzando per una specifica categoria quanto stabilito nella citata pronuncia n. 233 del 2006, ha escluso sia che i direttori generali delle Asl siano dirigenti apicali, sia che essi vengano nominati in base a criteri puramente fiduciari, cioè in ragione di valutazioni soggettive legate alla consonanza politica e personale con il titolare dell’organo politico. Circa il requisito della apicalità, la sentenza n. 104 del 2007 ha infatti rilevato come, nell’assetto organizzativo della Regione Lazio, vi sia in realtà «una molteplicità di livelli intermedi lungo la linea di collegamento che unisce l’organo politico ai direttori generali delle Asl», per effetto della quale «non vi è un rapporto istituzionale diretto e immediato fra organo politico e direttori generali». In riferimento al requisito della scelta «fiduciaria», cioè effettuata sulla base di valutazioni soggettive di consonanza politica con il titolare dell’organo che nomina, questa Corte ha osservato che il direttore generale di Asl, al contrario, è «nominat[o] fra persone in possesso di specifici requisiti culturali e professionali» e viene «qualificato dalle norme come una figura tecnico-professionale che ha il compito di perseguire, […] gli obiettivi gestionali e operativi definiti […] dagli indirizzi della Giunta».
6. – Quanto affermato nella sentenza n. 104 del
2007, relativamente ai direttori generali delle Asl del Lazio, non può che
essere ribadito anche con riferimento alle categorie di titolari di uffici cui
appartengono i soggetti che, sulla base delle disposizioni censurate, sono
stati dichiarati decaduti dall’incarico con gli atti contestati nei due giudizi
a quibus, vale a dire i direttori
generali delle Asl della Regione Calabria e il direttore generale dell’Agenzia Regionale per
In primo luogo, anche
nell’ordinamento regionale calabrese, i rapporti fra il direttore generale
dell’Asl, quello di Arpacal e l’organo politico risultano «mediat[i] da
strutture dipendenti dalla Giunta» (sentenza n. 104 del
2007). Oltre agli uffici di diretta collaborazione, assume a tale riguardo
uno specifico rilievo il dirigente generale del dipartimento regionale della
sanità, il quale esercita funzioni di indirizzo, coordinamento e controllo nei
confronti dei direttori generali delle Asl (art. 13, commi 3 e 4, della legge
della Regione Calabria 19 marzo 2004, n. 11 «Piano regionale per la salute
2004/2006»). Quanto al direttore generale dell’Arpacal, sia l’«indirizzo» e la
«verifica», sia il «controllo strategico», sono affidati ad organi collegiali
in cui i titolari degli uffici di indirizzo politico o sono in minoranza, o
sono assenti (art. 10 della legge della Regione Calabria n. 20 del 1999; art.
19 della legge della Regione Calabria 11 gennaio 2006, n. 1, «Provvedimento
generale recante norme di tipo ordinamentale e finanziario collegato alla
manovra di finanza regionale per l’anno 2006, art. 3, comma 4, della legge
regionale n. 8/2002»).
In secondo luogo, la nomina dei
direttori generali delle Asl della Regione Calabria è subordinata al possesso
di specifici requisiti di competenza e professionalità (art. 14, comma 3, della
legge della Regione Calabria n. 11 del 2004), mentre quella del direttore
generale dell’Arpacal è, oltre a ciò, anche preceduta da «avviso pubblico»
(art. 11, comma 1, della legge della Regione Calabria n. 20 del 1999). Tali
nomine, pertanto, presuppongono una forma di selezione che, per quanto non
abbia natura concorsuale in senso stretto, è tuttavia comunque basata
sull’apprezzamento oggettivo, ed eventualmente anche comparativo, delle qualità
professionali e del merito. Essa, quindi, esclude che la scelta possa avvenire
in base ad una mera valutazione soggettiva di consentaneità politica e
personale fra nominante e nominato. Ciò, del resto, è strettamente collegato al
tipo di funzioni che i titolari degli uffici pubblici in questione sono
chiamati ad esercitare. Essi non collaborano direttamente al processo di
formazione dell’indirizzo politico, ma ne devono garantire l’attuazione. A tal
fine, non è però necessaria, da parte del funzionario, la condivisione degli
orientamenti politici della persona fisica che riveste la carica politica o la
fedeltà personale nei suoi confronti. Si richiede, invece, il rispetto del
dovere di neutralità, che impone al funzionario, a prescindere dalle proprie
personali convinzioni, la corretta e leale esecuzione delle direttive che
provengono dall’organo politico, quale che sia il titolare pro tempore di quest’ultimo.
7. – Le disposizioni impugnate, come detto, dispongono la decadenza automatica di un ampio elenco di funzionari nominati, anche «previa selezione», nei nove mesi antecedenti la data delle elezioni per il rinnovo degli organi di indirizzo politico. A prescindere dalle circostanze che non è dato riscontrare alcuna oggettiva ragione dell’intervallo temporale preso in considerazione (9 mesi) e che la nomina del Presidente della Giunta regionale potrebbe non comportare un cambiamento di indirizzo politico, tali norme sono illegittime in quanto sottopongono all’identico regime di decadenza automatica non solo titolari di organi di vertice nominati intuitu personae dall’organo politico, ma anche soggetti che non possiedono l’uno o l’altro di tali requisiti e che sono scelti previa selezione avente ad oggetto le loro qualità professionali. In particolare, la disciplina censurata, nella parte in cui si applica al direttore generale di Asl e al direttore generale dell’Arpacal, è in contrasto con gli artt. 97 e 98 Cost., sotto molteplici profili.
Innanzitutto, il principio di buon andamento è leso in riferimento alla continuità dell’azione amministrativa, la quale risulta pregiudicata quando intervengano, come avvenuto nelle specifiche fattispecie oggetto dei giudizi a quibus, due mutamenti del titolare di un ufficio pubblico a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro. In secondo luogo, il principio di imparzialità amministrativa è violato quando le funzioni amministrative di esecuzione dell’indirizzo politico non sono affidate a funzionari neutrali, tenuti ad agire al servizio esclusivo della Nazione, ma a soggetti cui si richiede una specifica appartenenza politica, ovvero un rapporto personale di consentaneità con il titolare dell’organo politico. In terzo luogo, il carattere automatico della decadenza dall’incarico del funzionario, in occasione del rinnovo dell’organo politico, viola l’art. 97 Cost. sotto due aspetti: da un lato, lede il principio del giusto procedimento, perché esclude il diritto del funzionario di intervenire nel corso del procedimento che conduce alla sua rimozione e di conoscere la motivazione di tale decisione; dall’altro lato, pregiudica i principi di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, in base ai quali le decisioni relative alla rimozione dei funzionari incaricati della gestione amministrativa, così come quelle relative alla loro nomina, debbono essere fondate sulla valutazione oggettiva delle qualità e capacità professionali da essi dimostrate. L’illegittimità costituzionale della disciplina censurata risulta, infine, ulteriormente aggravata dalla circostanza che il regime di decadenza automatica viene applicato, in via transitoria, ad incarichi già in corso al momento nel quale essa è entrata in vigore (art. 1, comma 4, della legge della Regione Calabria n. 12 del 2005), come quelli che formano oggetto dei giudizi a quibus. In tal modo, la normativa impugnata non si limita a subordinare la permanenza nella carica del titolare ad un termine incerto, cioè il rinnovo dell’organo politico, ma produce automaticamente la cessazione di un incarico che è stato conferito senza la previsione di quel termine. Sotto questo specifico profilo, dunque, l’art. 1, comma 4, della legge della Regione Calabria n. 12 del 2005 viola anche il legittimo affidamento (art. 3 Cost.) che, in virtù dell’atto di nomina, i dirigenti dichiarati decaduti ai sensi della disposizione censurata hanno «riposto nella possibilità di portare a termine, nel tempo stabilito dalla legge, le funzioni loro conferite e, quindi, nella stabilità della posizione giuridica acquisita» (sentenza n. 236 del 2009).
per questi motivi
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 4, della legge della Regione Calabria 3 giugno 2005, n. 12 (Norme in materia di nomine e di personale della Regione Calabria), nella parte in cui tali disposizioni si applicano ai direttori generali delle Aziende sanitarie locali e al direttore generale dell’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Calabria (Arpacal);
dichiara inammissibili le
questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1 e 4, della
medesima legge della Regione Calabria n. 12 del 2005, sollevate, in relazione agli artt. 2, 24, 101, 103 e 113 della
Costituzione, dal Consiglio di Stato con l’ordinanza in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27 gennaio 2010.
F.to:
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in