Sentenza n. 301 del 2007

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SENTENZA N. 301

ANNO 2007

 

Commento alla decisione di

 

Annnamaria Poggi

Delibera parlamentare inibente v. delibera consigliare ininfluente? Note problematiche circa alcune recenti decisioni della Corte in materia di insindacabilità dei consiglieri regionali

 

(per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                    BILE                         Presidente

- Giovanni Maria        FLICK                        Giudice

- Francesco               AMIRANTE                    "

- Ugo                        DE SIERVO                    "

- Paolo                      MADDALENA                "

- Alfio                       FINOCCHIARO              "

- Franco                    GALLO                          "

- Luigi                       MAZZELLA                    "

- Gaetano                  SILVESTRI                     "

- Sabino                    CASSESE                       "

- Maria Rita               SAULLE                         "

- Giuseppe                 TESAURO                      "

- Paolo Maria             NAPOLITANO               "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra enti sorto a seguito dell’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza del 17 febbraio 2006; della richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero presso il Tribunale di Monza del 24 febbraio 2006; del decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza del 31 maggio 2006 e dei verbali del Giudice monocratico del Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, del 31 gennaio 2007 e del 27 febbraio 2007, concernenti il procedimento penale a carico del consigliere della Regione Piemonte Matteo Brigandì, promosso con ricorso della Regione Piemonte depositato in cancelleria il 16 marzo 2007 ed iscritto al n. 2 del registro conflitti tra enti 2007.

Udito nell’udienza pubblica del 19 giugno 2007 il Giudice relatore Maria Rita Saulle;

udito l’avvocato Gabriele Pafundi per la Regione Piemonte.

Ritenuto in fatto

1. – La Regione Piemonte, con ricorso del 13 marzo 2007 depositato il 16 marzo successivo, ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in relazione all’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Monza del 17 febbraio 2006, alla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero presso il Tribunale di Monza del 24 febbraio 2006, al decreto del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza del 31 maggio 2006, ai verbali del giudice monocratico del Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, del 31 gennaio 2007 e del 27 febbraio 2007, concernenti il procedimento penale nei confronti del consigliere della Regione Piemonte Matteo Brigandì, per violazione dell’art. 122, quarto comma, della Costituzione e della legge della Regione Piemonte 19 novembre 2001, n. 32 (Norme in materia di valutazione di insindacabilità dei consiglieri regionali, ai sensi dell’art. 122, comma 4, della Costituzione).

1.1. – Espone la Regione ricorrente che l’imputato, allora membro del Consiglio regionale del Piemonte e Presidente del Gruppo Lega Nord, Piemonte, Padania, aveva rilasciato un’intervista, pubblicata dal quotidiano “La Padania” il 18 marzo 2002, avente ad oggetto un ordine del giorno, presentato dal medesimo al Consiglio regionale, con il quale si invitava la Giunta a richiedere al Ministro della giustizia di avviare «l’azione disciplinare» ed al Consiglio di denunciare al Consiglio superiore della magistratura ed al Presidente della Repubblica il comportamento del magistrato Giancarlo Caselli, il quale aveva partecipato ad una manifestazione di propaganda politica nel gazebo dell’Ulivo a Rivoli «in posizione di assoluto rilievo e preminenza pur essendo in forza della magistratura italiana», delegittimando, in questo modo, l’impegno dello Stato nella lotta alla mafia, «facendola apparire come una lotta politica» e violando le norme che impongono ai magistrati in servizio di non appartenere a partiti politici.

A seguito di questa intervista, il magistrato aveva presentato una denuncia-querela per diffamazione aggravata e la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Monza, al termine delle indagini preliminari, aveva ritenuto l’imputabilità del consigliere regionale.

La Regione Piemonte riferisce, inoltre, che il Consiglio regionale, con delibera del 5 agosto 2005, ha dichiarato l’insindacabilità delle opinioni espresse dal consigliere regionale ai sensi dell’art. 122, quarto comma, della Costituzione e che, in considerazione di detta delibera, il Procuratore della Repubblica ha chiesto al Giudice per le indagini preliminari l’archiviazione del procedimento penale.

Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza, precisa ancora la ricorrente, con ordinanza del 17 febbraio 2006 ha invece disposto la formulazione dell’imputazione, escludendo la propria legittimazione a sollevare conflitto di attribuzioni nei confronti della Regione Piemonte, e, dopo aver accertato «autonomamente» la sussistenza dei presupposti per l’insindacabilità, ha negato l’immunità al consigliere regionale «con argomenti […] a senso unico […] nonostante la “tipicità” degli atti incriminati».

La Regione – costituendo siffatto comportamento «un’inammissibile usurpazione» delle competenze del Consiglio regionale – chiede che la Corte annulli la succitata ordinanza, nonché gli atti processuali successivi posti in essere dal pubblico ministero, dallo stesso Giudice per le indagini preliminari e dal giudice monocratico del Tribunale di Monza.

1.2. – In via preliminare, la ricorrente sottolinea che l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del 17 febbraio 2006 è stata conosciuta dal Consiglio regionale del Piemonte, che non era parte in causa, solo in data 8 febbraio 2007, poiché comunicata dal consigliere con lettera datata 2 febbraio 2007.

Quanto alle ragioni del conflitto, la Regione Piemonte, dopo aver osservato che «la decisione dell’organo legislativo relativa all’esistenza dei presupposti dell’immunità dei propri membri, costituisce espressione dell’autonomia che allo stesso viene costituzionalmente garantita», precisa che, in caso di delibera del Consiglio regionale con la quale si affermi l’immunità del consigliere ai sensi del citato art. 122, quarto comma, della Costituzione, il giudice «non può proseguire il processo» dovendo, piuttosto, «affermarne l’improcedibilità, oppure, convinto dell’eccesso commesso dall’organo legislativo, sollevare conflitto davanti a questa Corte».

In proposito, la ricorrente richiama l’art. 18, comma 3, dello Statuto della Regione Piemonte, nonché l’art. 3 della menzionata legge regionale n. 32 del 2001, con i quali si sancisce il divieto di chiamare a rispondere i consiglieri regionali per opinioni e voti espressi nell’esercizio delle loro funzioni.

Ad avviso della Regione Piemonte, il presupposto dal quale muove il giudice, nel negare la propria legittimazione a sollevare conflitto davanti alla Corte nei confronti della Regione, non sarebbe condivisibile. In particolare, la ricorrente contesta l’assunto secondo cui «sarebbe inammissibile il conflitto sollevato dal giudice nei confronti delle Regioni», non potendosi attribuire, a parere della ricorrente, all’art. 39 della legge n. 87 del 1953 carattere «preclusivo», nella parte in cui dispone che, per lo Stato, il ricorso è proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri. Secondo la Regione Piemonte, «tale prescrizione bloccherebbe solo la legittimazione processuale del singolo ‘potere’ e quindi la proponibilità diretta del ricorso da parte del giudice».

Ciò premesso, la Regione osserva che il giudice, nel procedere «direttamente» alla valutazione dell’esistenza delle condizioni per il riconoscimento dell’immunità del consigliere, avrebbe «escluso la riserva al Consiglio regionale della decisione sulla immunità dei propri componenti», negando, erroneamente, la sussistenza di un «parallelismo» tra le immunità dei parlamentari, di cui all’art. 68 Cost., e le immunità dei consiglieri regionali, ai sensi dell’art. 122, quarto comma, Cost., sul presupposto che «solo i primi apparterrebbero ad un organo sovrano, mentre gli altri farebbero parte di un organo soltanto “autonomo”».

Secondo la ricorrente tale affermazione sarebbe «apodittica» nella parte in cui «fa capo alla sovranità come titolo di legittimazione dell’immunità e non anche alla funzione legislativa e/o politica svolta dall’organo rappresentativo della collettività e, nel contempo, contradditoria, giacché se l’immunità spetta soltanto agli organi sovrani, ai consigli regionali, in quanto organi soltanto “autonomi”, non dovrebbe essere mai riconosciuta», e ciò in contrasto con quanto previsto dall’art. 122, quarto comma, della Costituzione.

Ad avviso della Regione, il giudice avrebbe, da un lato, sottovalutato «la pari dignità costituzionale» che dovrebbe essere riconosciuta a tutti i soggetti della Repubblica, ai sensi dell’art. 114 della Costituzione, e, dall’altro, ignorato il citato art. 3 della legge regionale n. 32 del 2001 che regola le immunità dei consiglieri regionali, rilevando, inoltre, con riferimento a quest’ultima norma, che ove il giudice l’avesse ritenuta incostituzionale, per illegittimo ampliamento delle immunità dei consiglieri regionali, avrebbe potuto sollevare questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte.

2. – In relazione alla sussistenza, in concreto, dei presupposti della insindacabilità delle opinioni espresse dal consigliere, la ricorrente non condivide l’orientamento del giudice che nega la qualificazione dell’ordine del giorno come atto consiliare tipico. Al riguardo, la Regione sostiene che la «presentazione di o.d.g. è attività “tipica” di natura “politica” dei Consigli regionali», richiamando, al riguardo, l’art. 92 del Regolamento interno del Consiglio regionale.

2.1. – In particolare, la ricorrente osserva che il consigliere aveva presentato tre ordini del giorno con i quali il Consiglio e la Giunta venivano invitati a pronunciarsi in merito alla «questione politico-giuridica» della propaganda politica per l’Ulivo cui avrebbe partecipato anche il dott. Caselli. In particolare, cita l’ordine del giorno n. 278 del 26 aprile 2001 – calendarizzato nella convocazione del Consiglio regionale del 21 marzo 2002 e sul quale sarebbe poi stato intervistato l’on. Brigandì dal Giornale ‘La Padania’, che ne avrebbe pubblicato il testo il 18 marzo 2002 – e gli ordini del giorno n. 517 e 567 rispettivamente del 9 aprile 2002 (recte: 15 aprile 2002) e del 24 maggio 2002.

A parere della Regione, «l’incriminazione diretta di un o.d.g.  (quello del 9 aprile 2002)», nonché di una atto «legato da nesso funzionale con un altro o.d.g. (del 26 aprile 2001), oggetto di intervista su un giornale», costituirebbero «inequivocabilmente atti coperti dall’immunità» di cui all’art. 122, quarto comma, della Costituzione e alla citata legge regionale n. 32 del 2001.

2.2. – In secondo luogo, sarebbe parimenti non condivisibile l’interpretazione dell’art. 122, quarto comma, della Costituzione operata dal giudice, secondo la quale «non tutti gli atti “tipici” sarebbero coperti da immunità, ma soltanto quelli che coinvolgono materie di competenza regionale». Tale lettura, secondo la Regione Piemonte, si baserebbe, invero, sull’estrapolazione solo di una frase della sentenza n. 379 del 2003 di questa Corte che risulterebbe «più favorevole alla tesi che si vuole sostenere», così manipolando il «significato effettivo» della sentenza medesima.

In particolare, la difesa regionale precisa che, «contrariamente a quanto il G.I.P. vuole fare apparire», nella citata sentenza «si afferma che il giudizio di inammissibilità di un’interrogazione da parte del Presidente della Camera non è di per sé sufficiente ad escludere la riconducibilità dello scritto all’esercizio di funzioni parlamentari», con la conseguenza che, caso per caso, occorrerebbe valutare il contenuto dell’atto e le cause della sua inammissibilità. Solo «la non riconducibilità “assoluta” dello scritto presentato all’esercizio di funzioni parlamentari», afferma ancora la Regione, «fa venire meno l’insindacabilità» che, secondo la sentenza n. 379 del 2003, «tende a proteggere al massimo grado la libertà di espressione di ogni singolo membro delle Camere».

La sentenza in parola, pertanto, ad avviso della ricorrente, conterrebbe «argomentazioni contrarie sia alla tesi che alla soluzione in concreto» adottate dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza, considerando che, nel caso di specie, non «vi è stata alcuna pronunzia d’inammissibilità da parte del Consiglio regionale degli o.d.g. incriminati, nonostante tale condizione rappresenti, alla luce della sentenza evocata, la condizione necessaria affinché il Giudice possa verificare direttamente la carenza di potere nel comportamento del singolo consigliere».

In ogni caso, proprio alla luce della sentenza n. 379 del 2003, anche l’eventuale giudizio consiliare negativo sull’ammissibilità dell’atto tipico, non abiliterebbe il giudice a «sostituirsi al diverso sindacato sulla immunità spettante al Consiglio».

Considerato in diritto

1. − La Regione Piemonte ha proposto conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione ad una serie di atti delle autorità giudiziarie procedenti del Tribunale di Monza adottati nell’ambito del procedimento penale a carico del consigliere regionale Matteo Brigandì, per violazione dell’art. 122, quarto comma, della Costituzione e della legge della Regione Piemonte 19 novembre 2001, n. 32 (Norme in materia di valutazione di insindacabilità dei Consiglieri regionali, ai sensi dell’art. 122, quarto comma, della Costituzione).

La ricorrente, in particolare, chiede a questa Corte di dichiarare che non spettava allo Stato e, per esso al Tribunale di Monza, «disattendere la delibera del Consiglio regionale del 5.8.2005 che sanciva l’insindacabilità delle opinioni espresse dal consigliere on. Matteo Brigandì».

2. − Secondo la ricorrente, il giudice sarebbe «tenuto a rispettare» la delibera d’insindacabilità, essendo quest’ultima espressione dell’autonomia riconosciuta al Consiglio regionale, di talché, nel caso in cui intervenga una delibera d’insindacabilità, il giudice non potrebbe «proseguire il processo» ma solo sollevare il conflitto di attribuzione dinanzi a questa Corte. Nel caso di specie, «invece di ritenersi obbligato a rispettare la delibera d’immunità», il giudice procedente avrebbe ritenuto di non essere legittimato a sollevare il conflitto e avrebbe dunque proseguito il giudizio, con conseguente esclusione della «riserva al Consiglio regionale della decisione sulla immunità dei propri componenti». In tal modo, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza avrebbe erroneamente negato la sussistenza di un «parallelismo» tra le immunità dei parlamentari, di cui all’art. 68 Cost., e le immunità dei consiglieri regionali di cui all’art. 122, quarto comma, Cost.

3. − Il ricorso non è fondato.

3.1. − Come questa Corte ha più volte chiarito, l’insindacabilità dei consiglieri regionali, per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni, trova diretto ed esclusivo fondamento nell’art. 122, quarto comma, Cost. (tra le altre, sentenze nn. 221 del 2006, 276, 163 e 76 del 2001, e 382 del 1998). Analogamente alla guarentigia prevista dall’art. 68, primo comma, Cost., l’insindacabilità in oggetto presidia l’autonomia costituzionalmente garantita ai Consigli regionali, quali organi politicamente rappresentativi delle rispettive comunità territoriali e legittimati democraticamente all’assolvimento di funzioni preordinate alla cura dei relativi interessi, a cominciare dalla potestà legislativa.

L’identità formale degli enunciati di cui agli articoli 68, primo comma, e 122, quarto comma, Cost. non riflette, tuttavia, una compiuta assimilazione tra le Assemblee parlamentari e i Consigli regionali. Questa Corte ha già avuto modo di statuire che, diversamente dalle funzioni assegnate alle Camere, «le attribuzioni dei Consigli regionali si inquadrano, invece, nell’esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite, ma non si esprimono a livello di sovranità» (sent. n. 306 del 2002; sent. n. 81 del 1975).

La diversa posizione dei Consigli regionali e delle Assemblee parlamentari nel sistema costituzionale è tale da escludere la sussistenza del “parallelismo” invocato dalla ricorrente, quale fondamento della asserita portata inibitoria della delibera consiliare.

Ed infatti questa Corte ha, anche di recente (sentenza n. 195 del 2007), escluso che l’efficacia inibitoria delle delibere parlamentari di insindacabilità dei membri delle camere per le opinioni espresse e per i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni (affermata dalla sentenza n. 1150 del 1988, e oggi disciplinata dalla legge n. 140 del 2003) possa estendersi alle regioni.

Non è quindi condivisibile la tesi della Regione Piemonte secondo cui il giudice che proceda nei confronti di un consigliere regionale, di fronte all’asserito effetto inibitorio di una delibera consiliare di insindacabilità, non potrebbe proseguire il giudizio e disporrebbe soltanto della possibilità di proporre conflitto di attribuzione dinanzi a questa Corte, analogamente al giudice che proceda nei confronti di un parlamentare.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spettava allo Stato e, per esso, al Giudice per le indagini preliminari ed al pubblico ministero presso il Tribunale di Monza, nonché al medesimo Tribunale, sezione distaccata di Desio, non uniformarsi alla delibera del 5 agosto 2005 che sanciva l’insindacabilità delle opinioni espresse dal consigliere regionale Matteo Brigandì.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 luglio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Maria Rita SAULLE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 20 luglio 2007.