Sentenza n. 81 del 1975
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SENTENZA N. 81

ANNO 1975

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO, Presidente

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso del Presidente della Regione Abruzzo, notificato il 6 luglio 1973, depositato in cancelleria il 25 successivo ed iscritto al n. 8 del registro 1973, per conflitto di attribuzione sorto a seguito dei provvedimenti del giudice istruttore presso il tribunale dell'Aquila, notificati il 9 maggio 1973, con i quali é stato disposto procedersi con istruzione formale nei confronti di 37 consiglieri regionali per concorso in reato ravvisato nelle deliberazioni 19 ottobre 1971 della Giunta regionale e 26-27 luglio 1971 del Consiglio regionale.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 18 dicembre 1974 il Giudice relatore Paolo Rossi;

uditi l'avv. Giuseppe Guarino, per la Regione Abruzzo, ed il sostituto avvocato generale dello Stato Michele Savarese, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Con ricorso notificato il 6 luglio 1973 il Presidente della Regione Abruzzo ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato per ottenere l'annullamento dei provvedimenti del giudice istruttore presso il tribunale dell'Aquila, notificati il 9 maggio 1973, con i quali é stata disposta la formalizzazione dell'istruttoria penale nei confronti di 37 consiglieri regionali in ordine al concorso nel reato di peculato ravvisato nelle deliberazioni 19 ottobre 1971 della Giunta regionale e 26-27 luglio 1971 del Consiglio.

Assume la Regione che i componenti del Consiglio non rispondono penalmente per voti dati nell'esercizio delle loro funzioni, siano queste politico-legislative oppure, come nella specie, meramente amministrative.

La ricorrente premette che:

1) Il neo-eletto Consiglio regionale cominciò ad operare all'Aquila in un clima di intimidazione e violenza conseguente ai sommovimenti connessi alla scelta del capoluogo della Regione, rinchiudendosi, per motivi di sicurezza, nel castello federiciano. L'ufficio di Presidenza del Consiglio ordinò l'invio dei pasti necessari ai consiglieri ed ai dipendenti ad un ristorante del luogo; la Giunta regionale, con delibera del 19 ottobre 1971, provvide alla esecuzione delle determinazioni dell'ufficio di Presidenza. La Commissione di controllo sugli atti della Regione non approvò la delibera della Giunta ed i consiglieri regionali provvidero in proprio al pagamento dei pasti.

2) Il Consiglio regionale, prima dell'entrata in vigore dello Statuto, con deliberazioni 26 e 27 luglio 1971, approvò la stipula di un contratto di assicurazione dei consiglieri regionali contro gli infortuni, con il parziale concorso finanziario della Regione. La Commissione di controllo annullò le suddette delibere e i consiglieri regionali restituirono le somme anticipate dalla Regione.

3) La procura della Repubblica presso il tribunale dell'Aquila iniziò indagini, emettendo avviso di procedimento in data 20 ottobre 1972, al fine di accertare se gli indicati consiglieri regionali fossero incorsi nel reato di peculato nell'adottare le delibere sopra descritte. La difesa dei consiglieri regionali eccepì la carenza di giurisdizione invocando l'immunità derivante dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione; senonché il giudice istruttore, disattendendo la richiesta di assoluzione formulata dal pubblico ministero, dispose, con l'impugnato provvedimento, la formalizzazione dell'istruttoria.

La difesa della Regione, a sostegno delle proprie istanze, svolge in diritto le seguenti argomentazioni:

1) La proponibilità di un conflitto di attribuzioni avverso un atto giurisdizionale é stata ripetutamente affermata dalla Corte costituzionale.

2) La Regione é legittimata a proporlo quando sia in corso un giudizio penale a carico di propri consiglieri per voti dati nell'esercizio delle proprie funzioni.

3) L'art. 122, quarto comma, Cost. - secondo cui i consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni - é norma del tutto analoga all'art. 68, primo comma, della Costituzione, che stabilisce una corrispondente immunità per i membri del Parlamento, ed é ispirata alla ratio di garantire la piena indipendenza degli organi politico-legislativi e di assicurare la libertà da interferenze esterne per coloro che li impersonano.

4) Le citate delibere del Consiglio regionale attinenti al trattamento dei consiglieri ed a spese di funzionamento del Consiglio, appartengono a quel tipo di atti per i quali la Corte costituzionale (sentenza n. 143 del 1968) e il Ministro per il coordinamento dell'attuazione delle Regioni (circolare n. 200 del 1972) hanno escluso la sottoposizione alla Commissione statale di controllo.

5) La stessa conclusione si impone per la delibera 19 ottobre 1971 della Giunta regionale, ove si consideri che nella prima fase di vita della Regione l'intera gestione contabile dell'Ente era stata affidata alla Giunta per disposizione del Ministro del tesoro presa sulla base dell'art. 15 della legge n. 281 del 1970. Non sussistendo ancora la separazione della gestione contabile, attinente al funzionamento autonomo ed interno del Consiglio, rispetto alla gestione del patrimonio generale della Regione, la Giunta regionale, quale unico organo competente a deliberare, era chiamata a sostituirsi al Consiglio per provvedere in ordine alle spese di funzionamento di quest'ultimo. I suoi componenti, nell'esercizio di tali funzioni vicarie, non avrebbero potuto incorrere in responsabilità maggiori di quelle previste per i componenti del Consiglio, il che esclude la necessità di considerare se l'immunità prevista dall'art. 122, quarto comma, Cost. si riferisca anche all'attività amministrativa dei componenti la Giunta regionale.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, si é costituito in giudizio con atto depositato il 25 luglio 1973 chiedendo che la Corte costituzionale voglia dichiarare inammissibile il ricorso della Regione, o respingerlo nel merito. La difesa dello Stato osserva che per la prima volta viene promosso da una Regione conflitto di attribuzione in ordine ad atti di giurisdizione penale. Ove si assuma, come nella specie, che vi é assoluto difetto di giurisdizione penale, soccorre la precisa disposizione dell'art. 524, n. 2, cod. proc. pen., secondo cui é ammesso ricorso in cassazione per carenza di potere giurisdizionale. Spetterebbe pertanto in primo luogo alla Corte regolatrice della competenza e della giurisdizione decidere se sussista o meno l'invocato difetto di giurisdizione penale per immunità ex art. 122, quarto comma, della Costituzione. Nella ipotesi, sotto certi aspetti analoga, di sottoposizione di un membro del Parlamento a processo penale per la sua attività di iniziativa legislativa, il Parlamento, ove avesse ravvisato un attentato alla sua indipendenza nell'azione dell'autorità giudiziaria penale, non avrebbe potuto promuovere conflitto di attribuzione innanzi alla Corte costituzionale se non a seguito di una presa di posizione confermativa della suprema Corte di cassazione.

Pertanto apparirebbe inconcepibile, pur nella diversità delle situazioni, che l'ordinamento consenta ai Consigli regionali un trattamento più favorevole di quello concesso al Parlamento per la tutela dell'immunità dei propri membri. La Corte costituzionale dovrebbe quindi adattare la propria giurisprudenza alla peculiarità del caso, dichiarando l'inammissibilità del ricorso.

L'Avvocatura dello Stato rileva peraltro che alla medesima decisione dovrebbe pervenirsi, in via alternativa, qualora si ammettesse l'immediata proponibilità del conflitto di attribuzioni, non preceduta dal previsto ricorso in cassazione. Invero secondo tale ipotesi l'autonomia regionale sarebbe stata lesa dal primo atto di esercizio dell'azione penale, sicché il termine per proporre il ricorso in oggetto sarebbe scaduto entro il 19 dicembre 1972, e cioé decorsi i 60 giorni dalla notifica dell'avviso di procedimento a carico dei 37 consiglieri regionali, tra cui il Presidente della Giunta. Il ricorso sarebbe quindi inammissibile per tardività.

Nel merito l'Avvocatura non disconosce che l'art. 122, quarto comma, della Costituzione, sancisce un'immunità per le opinioni espresse ed i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni dai consiglieri regionali, ma rileva che l'immunità ricollega i voti dati alle manifestazioni del pensiero, finalizzate alla produzione di atti determinati. Questi possono essere di natura politica, eligente, legislativa, autoregolamentare, o meramente amministrativa. L'incensurabilità copre tutti i suddetti tipi di atti, tranne quelli amministrativi, espressamente soggetti, ex art. 125 della Costituzione, a controllo di legittimità e a volte di merito. L'eventuale annullamento degli atti illegittimi da parte della Commissione di controllo non consente di escludere la responsabilità penale degli autori dell'atto, qualora ne ricorrano gli estremi, pena l'alterazione dell'equilibrio costituzionale che esige l'eguaglianza di tutti i cittadini particolarmente di fronte alla legge penale. L'immunità invocata non può concernere le delibere amministrative, come emerge dalla considerazione che anche i ministri sono responsabili per i reati ministeriali e che gli stessi componenti delle Giunte regionali sono assoggettabili a giudizi di responsabilità (sentenza Corte cost. n. 211 del 1972).

La Regione Abruzzo, con memoria del 3 dicembre 1974, contesta diffusamente la fondatezza delle questioni di inammissibilità e insiste nel merito per l'accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1. - La Corte deve decidere se sussista o meno difetto assoluto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria che procede a vagliare l'eventuale responsabilità penale dei consiglieri della Regione Abruzzo e dei componenti della relativa Giunta in ordine alle delibere 19 ottobre 1971, n. 176, della Giunta e 26-27 luglio 1971, nn. 95 e 103, del Consiglio (concernenti il pagamento del conto di un ristorante e il concorso finanziario della Regione nell'onere assunto dai consiglieri per la stipula dell'assicurazione contro gli infortuni), in relazione all'art. 122, quarto comma, della Costituzione, secondo cui "i consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni".

2. - Per affrontare il merito della questione, occorre in primo luogo dare atto dell'infondatezza delle eccezioni di rito sollevate dalla difesa dello Stato, riassumibili nei seguenti termini: 1) il conflitto di attribuzione potrebbe essere inammissibile sotto il profilo che il provvedimento del giudice istruttore che ha disposto procedersi contro 37 consiglieri regionali per il reato di peculato ravvisato nell'adozione delle delibere suddette, non é stato previamente impugnato in Cassazione, ex art. 524, n. 2, c.p.p., per difetto assoluto di giurisdizione; 2) il ricorso sarebbe inammissibile per tardività perché notificato ben oltre 60 giorni dalla data in cui i consiglieri regionali ricevettero gli avvisi di procedimento (20 ottobre 1972).

La prima eccezione si rivela inconsistente giacché, a parte ogni altro rilievo, decisiva é la considerazione che la Regione non avrebbe potuto, in base al diritto vigente, promuovere una pronunzia della Cassazione in ordine all'assunto difetto di giurisdizione.

Parimenti infondata appare la seconda eccezione, in quanto non risulta che la Regione, come tale, abbia avuto conoscenza di atti processuali anteriori di almeno 60 giorni alla proposizione del conflitto.

3. - Nel merito il ricorso della Regione risulta fondato nella parte concernente il divieto di accertare la penale responsabilità dei consiglieri regionali che approvarono le citate delibere consiliari.

Per una adeguata interpretazione dell'immunità sancita dall'art. 122, quarto comma, della Costituzione, occorre confrontare tale norma con le più ampie guarentigie concesse ai membri del Parlamento dall'art. 68 della Carta. Al fine di tutelare la piena indipendenza del Parlamento, in relazione all'altissima funzione ad esso riservata, la Costituzione stabilisce che nessun membro del Parlamento può esser sottoposto a procedimento penale né esser privato della libertà personale senza autorizzazione della Camera cui appartiene (art. 68, secondo e terzo comma, Cost.). All'ulteriore scopo di rendere pienamente libere le discussioni che si svolgono nelle Camere, per il soddisfacimento del superiore interesse pubblico connessovi, i parlamentari non sono responsabili per le opinioni espresse e per i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni (art. 68, primo comma, Cost.). Siffatte eccezionali deroghe all'attuazione della funzione giurisdizionale, considerate necessarie a salvaguardia dell'esercizio delle funzioni sovrane spettanti al Parlamento, risultano legittime in quanto sancite dalla Costituzione. Le attribuzioni dei Consigli regionali si inquadrano, invece, nell'esplicazione di autonomie costituzionalmente garantite, ma non si esprimono a livello di sovranità. Così il legislatore costituente ha previsto all'art. 122, quarto comma, Cost., la non responsabilità dei consiglieri regionali per le opinioni espresse ed i voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Le attribuzioni del Consiglio regionale sono in parte disciplinate dalla stessa Costituzione e in parte dalle altre fonti normative cui la prima rinvia: spiccano tra esse la funzione legislativa e di indirizzo politico. La irresponsabilità in esame comprende quindi certamente le opinioni ed i voti manifestati nell'esercizio delle funzioni spettanti al Consiglio.

Ritiene quindi questa Corte che la forma amministrativa che connota le deliberazioni consiliari del 26-27 luglio 1971 (assicurazioni connesse allo stato giuridico dei consiglieri regionali) non valga ad escludere l'irresponsabilità di coloro che le adottarono nell'esercizio di competenze spettanti al Consiglio. Pertanto deve dichiararsi il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria procedente, che ha ritenuto di ravvisare, in quella votazione, gli elementi del reato di peculato.

4. - Diversa soluzione si impone in ordine alla pretesa immunità dei membri della Giunta regionale. La norma invocata riferisce e limita l'irresponsabilità dei consiglieri regionali alle opinioni espresse e ai voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. L'immunità copre quindi esclusivamente quelle attività che costituiscono esplicazione di una funzione consiliare, per garantire, come sopra chiarito, l'autonomia del Consiglio. L'ipotizzata estensione alle funzioni della Giunta regionale contrasta sia con l'interpretazione letterale dell'art. 122 Cost., sia con la ratio dell'istituto. É appena il caso di ricordare che la contrapposizione tra funzioni della Giunta e funzioni del Consiglio risulta evidenziata dalla Costituzione, che all art. 121 configura la Giunta quale organo esecutivo della Regione. Essa é ripresa da molteplici altre disposizioni tra cui possono particolarmente menzionarsi quelle che prevedevano, in taluni casi, la sospensione dei consiglieri dalle sole cariche di membri della Giunta regionale e non dalle funzioni di componenti il Consiglio regionale. La circostanza che i membri della Giunta debbano essere scelti tra i consiglieri é irrilevante sia in relazione alla chiara formulazione dell'art. 122, quarto comma, Cost. - che in quanto norma eccezionale deve essere interpretata rigorosamente - sia a cagione della natura funzionale dell'immunità in esame, che é prevista a tutela delle funzioni riservate al Consiglio regionale.

Né ha pregio la tesi della ricorrente secondo cui dovrebbe riconoscersi ai membri della Giunta della Regione Abruzzo l'immunità per i voti espressi con l'approvazione della citata delibera del 19 ottobre 1971, sotto il particolare profilo che essa venne adottata, in via provvisoria, in base ad un decreto del Ministro del tesoro, emesso ex art. 15 della legge n. 281 del 1970: ché anzi proprio tali disposizioni consentivano alla Giunta di poter deliberare spese indifferibili ed urgenti anche prima dell'istituzione della Commissione statale di controllo, ma soltanto sotto la sua responsabilità e salva la successiva approvazione da parte della Commissione, la quale al contrario, nella specie, annullò la delibera.

Pertanto il ricorso della Regione Abruzzo deve essere respinto nella parte in cui chiede si dichiari il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria procedente per i voti dati dai membri della Giunta regionale con la citata delibera 19 ottobre 1971.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara il difetto di giurisdizione dell'autorità giudiziaria ad accertare la penale responsabilità dei consiglieri della Regione Abruzzo per i voti da essi espressi con l'approvazione delle delibere consiliari 26 e 27 luglio 1971, nn. 95 e 103, e annulla gli atti processuali adottati nei confronti dei consiglieri della Regione Abruzzo per le predette delibere;

dichiara che spetta agli organi giurisdizionali dello Stato procedere per l'accertamento della eventuale responsabilità penale dei componenti la Giunta della Regione Abruzzo in ordine alla delibera n. 176, da essa adottata il 19 ottobre 1971.

Così deciso in Roma, nella sede Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 marzo 1975.

Francesco Paolo BONIFACIO – Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

Depositata in cancelleria il 27 marzo 1975.