Sentenza n.397 del 1994

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SENTENZA N. 397

ANNO 1994

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge regionale della Toscana 26 novembre 1990, n. 67 (Interpretazione autentica dell'art. 32, terzo e quarto comma, della legge regionale 24 aprile 1984, n. 22), promosso con ordinanza emessa il 30 marzo 1993 dal Consiglio di Stato, sezione IV giurisdizionale, sul ricorso proposto da De Sena Simonetta contro la Regione Toscana ed altro, iscritta al n. 139 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, prima serie speciale, dell'anno 1994.

Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;

udito nell'udienza pubblica dell'11 ottobre 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

udito l'avv. Carlo Mezzanotte per la Regione Toscana.

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel procedimento promosso da De Sena Simonetta nei confronti della Regione Toscana ed altro, in ordine ad una delibera della Giunta regionale toscana con cui erano state approvate le graduatorie dei concorsi interni per titoli per l'accesso alla seconda qualifica dirigenziale, il Consiglio di Stato, sez. IV, con ordinanza emessa il 30 marzo 1993 e pervenuta alla Corte il 7 marzo 1994, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge regionale della Toscana 26 novembre 1990, n. 67 (Interpretazione autentica dell'art. 32, terzo e quarto comma, della legge regionale 24 aprile 1984, n. 22).

Rileva il giudice a quo che l'art. 57 della legge regionale 6 settembre 1973, n. 54 (poi abrogato dall'art. 164 della legge regionale 21 agosto 1989, n. 51, ma vigente alla data di emanazione dei provvedimenti impugnati), prevedeva un sistema di valutazioni periodiche dell'attività dei singoli dipendenti, sulla base di aggiornamen ti biennali. Dette valutazioni si attuavano mediante questionari compilati dai singoli dipendenti, corredati da osservazioni apposte dai coordinatori e trasmessi all'ufficio del personale.

L'art. 32, terzo e quarto comma, della legge regionale 24 aprile 1984, n. 22, con cui è stato recepito il terzo accordo contrattuale nazionale per il personale delle regioni a statuto ordinario e sono state previste le modalità ed i criteri per l'effettuazione delle selezione per i dirigenti regionali, non ha preso in considerazione, ma nemmeno esplicitamente abrogato, la precedente disposizione sopra richiamata.

In base a tale situazione normativa, il Consiglio di Stato, in un giudizio precedente rispetto a quello a quo, aveva accertato l'illegittimità per difetto di istruttoria dei provvedimenti di approvazione delle graduatorie di tre selezioni interne per l'accesso alla seconda qualifica dirigenziale, in quanto ai fascicoli personali non erano state acquisite, perchè non effettuate, le predette valutazioni.

In seguito a tali vicende è intervenuta la legge regionale oggetto del presente giudizio, che ha interpretato autenticamente l'art. 32, terzo e quarto comma, della legge regionale n. 22 del 1984, escludendo, ai fini dell'accertamento e della valutazione degli elementi di cui al punto B3 dell'art. 31 della legge stessa, l'applicabilità della previsione delle valutazioni biennali di cui all'art. 57 della legge regionale n. 54 del 1973.

Affermata la decisività di tale ultima legge per la definizione del giudizio, il giudice rimettente sottolinea, anche sulla base della giurisprudenza di questa Corte, che sebbene debba riconoscersi la legittimità ex se di leggi regionali retroattive o interpretative, ciò non vale quando tali leggi ledano il giudicato già formatosi o siano intenzionalmente dirette ad incidere sui giudizi in corso.

Nella specie, la relazione alla legge in esame deduce la necessità di una norma di interpretazione autentica dall'esigenza di superare un contrasto giurisprudenziale e di evitare ulteriori dubbi sia in sede giurisdizionale che di esecuzione dei giudicati: presupposti contestati dal giudice a quo, secondo il quale non può parlarsi di "contrasto giurisprudenziale" nel caso di riforma di sentenze di un Tribunale amministrativo regionale da parte del Consiglio di Stato.

Sulla base di tali considerazioni, ritiene pertanto il giudice rimettente che la legge regionale abbia leso i giudicati già formatisi e sia intenzionalmente diretta ad incidere sui giudizi in corso, tra i quali il presente. Si realizzerebbero pertanto entrambe le condizioni al cui avveramento consegue, secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'illegittimità della legge interpretativa, in riferimento agli artt. 101, secondo comma, 103, primo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione.

2. - Si è costituita la Regione Toscana, in persona del Presidente della Giunta regionale, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Dopo aver premesso un'articolata ricostruzione delle vicende -normative e di fatto- che hanno portato alla costituzione della categoria dirigenziale all'interno dell'amministrazione regionale, la difesa della regione sottolinea che l'art.57 della legge regionale n. 54 del 1973 non ha mai ricevuto attuazione, nè con riguardo alle procedure, nè con riferimento agli organismi ivi previsti. Di conseguenza, degli inesistenti rapporti informativi biennali non era possibile tenere conto nell'espletamento dei concorsi per la dirigenza. A ciò si aggiunga, prosegue la Regione, che anche coloro che secondo la legge avrebbero dovuto convalidare detti rapporti (i coordinatori del dipartimento) al momento dell'espletamento del concorso altro non erano che primi inter pares, e quindi anch'essi candidati alla medesima selezione.

La legge oggetto del presente giudizio, ritiene pertanto la Regione, altro non ha fatto che chiarire l'univoca volontà del legislatore del 1984, precisando le modalità con cui il procedi mento di selezione poteva e doveva essere svolto.

Essa mira a superare un contrasto giurisprudenziale evidente tra alcune decisioni del Tribunale amministrativo regionale (assurte all'autorità di cosa giudicata in quanto non sottoposte ad appello) e le pronunce del Consiglio di Stato.

L'interpretazione che in essa è affermata, prosegue ancora la Regione, è perfettamente razionale e pienamente coerente con le intenzioni e la portata della legge regionale n. 22 del 1984, che fra due interpretazioni possibili della propria legge ne privilegia una riconfermandola come storicamente esatta, con ciò non violando alcun principio costituzionale.

A sostegno della legittimità della disposizione impugnata vengono richiamate numerose decisioni di questa Corte nel senso dell'ammissibilità di leggi interpretative, anche nell'ipotesi di interpretazioni giurisprudenziali difformi o in pendenza di giudizio, senza che ciò si configuri come violazione degli artt. 101 e 104 della Costituzione.

Considerato in diritto

 

1. - Il Consiglio di Stato, sez. IV, con ordinanza emessa il 30 marzo 1993, pervenuta a questa Corte il 7 marzo 1994, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge regionale della Toscana 26 novembre 1990, n. 67 (Interpretazione autentica dell'art. 32, terzo e quarto comma, della legge regionale 24 aprile 1984, n. 22), per contrasto con i principi di cui agli artt. 101, secondo comma, 103, primo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione: secondo il giudice a quo, la norma avrebbe vulnerato le funzioni riservate al potere giudiziario, sia violando i giudicati già formatisi, sia in quanto direttamente incidente sui giudizi in corso.

2. - La questione sollevata -certamente rilevante- è per una parte inammissibile e per altra non fondata.

Va premesso che i principi costituzionali in tema di disposizioni interpretative, così come definiti dalla giurisprudenza di questa Corte in relazione alle leggi statali, sono estensibili di regola anche alle leggi con cui una regione interpreta autenticamente proprie normative precedenti (sentenze n. 389 del 1991; 19 del 1989; 113 del 1988). Questa stessa Corte ha inoltre costantemente ritenuto che il principio di irretroattività delle leggi ha ottenuto in sede costituzionale garanzia specifica soltanto con riguardo alla materia penale (art. 25 della Costituzione), sebbene esso mantenga per le altre materie valore di principio generale (ex art. 11, primo comma, delle disposizioni preliminari del codice civile) cui il legislatore deve in via preferenziale attenersi, pur non essendo ad esso vincolato in termini assoluti, salvi i limiti cui si farà cenno più avanti (sentenze n. 6 del 1994; 283 e 39 del 1993; 155 del 1990; 123 del 1988).

3. - In connessione col principio da ultimo ricordato, è costante insegnamento di questa Corte che il ricorso da parte del legislatore a leggi di interpretazione autentica non può essere utilizzato per mascherare norme effettivamente innovative dotate di efficacia retroattiva, in quanto così facendo la legge interpretativa tradirebbe la funzione che le è propria: quella di chiarire il senso di norme preesistenti, ovvero di imporre una delle possibili varianti di senso compatibili col tenore letterale, sia al fine di eliminare eventuali incertezze interpretative (sentenze n. 163 del 1991 e 413 del 1988), sia per rimediare ad interpretazioni giurisprudenziali divergenti con la linea politica del diritto voluta dal legislatore (sentenze n. 6 del 1994; 424 e 402 del 1993; 455 e 454 del 1992; 205 del 1991; 380 e 155 del 1990; 233 del 1988; 178 del 1987).

Tale carattere interpretativo deve peraltro desumersi non già dalla qualificazione che tali leggi danno di se stesse, quanto invece dalla struttura della loro fattispecie normativa, in relazione cioé ad "un rapporto fra norme -e non fra disposizioni- tale che il sopravvenire della norma interpretante non fa venir meno la norma interpretata, ma l'una e l'altra si saldano fra loro dando luogo a un precetto normativo unitario" (sentenza n. 424 del 1993; analogamente n. 39 del 1993; 155 del 1990 e 233 del 1988).

4. - Tuttavia, come questa Corte ha più volte affermato, la natura effettivamente interpretativa di una legge non è sufficiente ad escluderne il contrasto con i principi costituzionali. La sovrana volontà del legislatore nell'emanare dette leggi -sia che queste abbiano effetti meramente retrospettivi sia che di vera e propria retroattività si tratti- incontra una serie di limiti che la Corte ha da tempo individuato, e che attengono alla salvaguardia, oltre che dei principi costituzionali, di altri fondamentali valori di civiltà giuridica posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio genera le di ragionevolezza che ridonda nel divieto di introdurre ingiustificate disparità di trattamento (sentenze n. 6 del 1994;424 e 283 del 1993; 440 del 1992 e 429 del 1991); la tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio connaturato allo Stato di diritto (sentenze n. 424 e 39 del 1993; n. 349 del 1985); la coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico (sentenze n. 6 del 1994; 429 del 1993; 822 del 1988); il rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario.

A tal riguardo, questa Corte ha in precedenti occasioni affermato che il legislatore vulnera le funzioni giurisdizionali: a) quando intervenga per annullare gli effetti del giudicato (sentenza n. 155 del 1990); b) quando la legge sia intenzionalmente diretta ad incidere su concrete fattispecie sub iudice (sentenze n. 6 del 1994; 480 del 1992; 91 del 1988; 123 del 1987; 118 del 1957).

5. - Nel verificare se detti principi siano stati rispettati dalla legge regionale cui si riferisce la presente questione, questa Corte ritiene in primo luogo che in essa sono ravvisabili i caratteri propri della interpretazione autentica, e che quindi non si tratta di legge sostanzialmente innovativa con effetti retroattivi.

Va al riguardo preliminarmente considerato che la disposizione interpretata (art. 32, terzo e quarto comma, della legge 24 aprile 1984, n. 22), non solo non conteneva alcun richiamo espresso alla precedente normativa regionale (art. 57 della legge 6 settembre 1973, n. 54), ma, prevedendo un sistema di valutazione delle attività e delle attitudini dei candidati incentrato sulla presentazione di curricula verificati d'ufficio, secondo modalità pertanto diverse da quelle di cui alla legge precedente (peraltro mai concretamente applicate, e consistenti in valutazioni biennali corredate dalle osservazioni del coordinatore del dipartimento o dell'ufficio competente), poteva ritenersi implicitamente abrogativa della disciplina del 1973. Tuttavia, essendo sorti dubbi in proposito, la legge interpretativa è sopravvenuta, non già per modificare un preteso unico sistema normativo risultante dal combinato disposto degli artt. 32, terzo e quarto comma, della legge n. 22 del 1984 e 57 della legge n. 54 del 1973, quanto invece per chiarire che i due sistemi di valutazione risultavano incompatibili fra loro, e che quindi il primo doveva ritenersi superato dalla volontà della nuova legge.

Tale intento normativo risulta rafforzato dalla considerazione che al legislatore regionale del 1984 era ben noto che le valutazioni biennali di cui alla legge del 1973 non erano mai state realizzate: legittimamente, quindi, sotto questo profilo, il legislatore del 1990 ha chiarito il significato della disposizione della legge del 1984, privilegiando una tra le interpretazioni possibili.

6. - Occorre a questo punto esaminare se la legge impugnata si sia mantenuta entro i limiti imposti, secondo la giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata, alle leggi di interpretazione autentica.

Il giudice rimettente osserva in proposito: a) che sul problema del sistema di valutazione delle attitudini dei concorrenti ai concorsi per dirigenti nella regione Toscana l'orientamento del Consiglio di Stato era costante, e che il presunto contrasto giurisprudenziale su cui il legislatore regionale ha fondato la necessità di un proprio intervento interpretativo, era in realtà inesistente, non potendosi esso ravvisare per il solo fatto di alcune pronunce del T.A.R. discordanti con l'orientamento dello stesso Consiglio di Stato; b) che l'applicazione della legge interpretativa si risolverebbe in una lesione dei giudicati già formatisi su precedenti decisioni dello stesso Consiglio di Stato emesse nei riguardi di altri concorrenti al medesimo concorso; c) che in ogni caso, dalla predetta legge interpretativa e dalla sua relazione risulterebbe l'intenzione del legislatore di incidere direttamente sui giudizi in corso.

7. - In ordine al primo profilo occorre ribadire quanto da tempo affermato da questa Corte, e cioé che il potere di interpretazione di una legge non è riservato dalla Costituzione in via esclusiva al giudice, nè tantomeno è sottratto alla potestà normativa degli organi legislativi: le due attività operano infatti relativamente a piani diversi, in quanto mentre l'interpretazione del legislatore interviene sul piano generale ed astratto del significato delle fonti normative, quella del giudice opera sul piano particolare come premessa per l'applicazione concreta della norma alla singola fattispecie sottoposta al suo esame (sentenze n. 402 e 39 del 1993; 155 del 1990; 754, 91 e 6 del 1988; 620 del 1987; 167 del 1986; n. 70 del 1983).

In tal senso, sebbene non sia in linea di massima contestabile la legittimità del ricorso all'interpretazione autentica anche in mancanza di un contrasto giurisprudenziale (sentenze n.402 del 1993; 586 del 1990; 123 del 1988; ord. n.480 del 1992), deve osservarsi che nel caso in esame, come già chiarito, la legge impugnata non ha inciso su un orientamento giurisprudenziale a tal punto consolidato da far ritenere improbabili diverse soluzioni, bensì ha privilegiato un'interpretazione tra quelle possibili, come dimostrano alcuni orientamenti del T.A.R.divergenti dall'indirizzo del Consiglio di Stato.

Così facendo, la norma in esame non può ritenersi lesiva nè della certezza dei rapporti giuridici (sentenza n. 402 del 1993), nè della funzione giurisdizionale riservata al giudice.

8. - Quanto alla supposta violazione dei giudicati già formatisi sulla base della disposizione interpretata, la norma della regione Toscana sarebbe censurabile, secondo quanto si deduce dall'ordinanza di rimessione, in relazione alla garanzia costituzionale in tema di principi di riserva della giurisdizione e di separazione dei poteri.

Tali profili sottopongono a questa Corte il delicato problema se l'esistenza di sentenze passate in giudicato costituisca di per sè un limite assoluto alle leggi interpretative che producano l'effetto di rescinderne l'efficacia, ancorchè tali leggi siano rivolte soltanto a chiarire la normativa sulla cui base quel giudicato si era formato: problema che peraltro fu affrontato anche in Assemblea costituente, dove una proposta in tal senso contenuta nel Progetto di Costituzione (e secondo la quale le sentenze non più soggette ad impugnazione non avrebbero potuto essere annullate neppure con legge, salvo casi particolari), era stata respinta dall'Assemblea.

A tale delicato problema può essere offerta adeguata soluzione non in questa occasione ma soltanto nel caso in cui, in sede di esecuzione del giudicato, l'autorità giudiziaria ritenga che la norma interpretativa prevalga sul giudicato formatosi in ordine alla legge interpretata.

Nella specie i giudicati di cui si lamenta la lesione riguardano soggetti diversi da quelli del presente giudizio, nei cui confronti non si è ancora formato alcun giudicato. Pertanto, in ordine a tale profilo, la sollevata questione deve essere dichiarata inammissibile.

9. - Resta infine da valutare la ritenuta violazione da parte della legge impugnata degli artt. 101, secondo comma, 103, primo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione, relativamente al profilo della sua incidenza sui giudizi in corso.

Deve considerarsi in proposito che, secondo l'orientamento di questa Corte, "non è contestabile che il legislatore ordinario abbia il potere di dettare norme dall'applicazione delle quali possono derivare effetti nei riguardi dei procedimenti giudiziari in corso", specie allorchè tale intervento sia dettato al fine di "impedire una situazione di irrazionale disparità di trattamento" (sentenza n. 91 del 1988). In tali casi la legge interpretativa, "pur interferendo necessariamente nella sfera del potere giudiziario, non incide sul principio della divisione dei poteri" (sentenze n. 118 del 1957 e n. 123 del 1988), dal momento che essa agisce sul piano astratto delle fonti normative, e determina una indiretta incidenza generale su tutti i giudizi, presenti o futuri, senza far venir meno la potestas iudicandi, bensì semplice mente ridefinendo il modello di decisione cui l'esercizio di detta potestà deve attenersi (sentenze n. 240 del 1994;n. 402 e 39 del 1993;6 del 1988).

Allorquando, invece, risulti l'intenzione della legge interpretativa di vincolare il giudice ad assumere una determinata decisione in specifiche ed individuate controversie, la funzione legislativa perde la propria natura ed assume contenuto meramente provvedimentale, come nel caso in cui "il legislatore, usando della sua prerogativa di interprete d'autorità del diritto, precluda al giudice la decisione di merito imponendogli di dichiarare l'estinzione dei giudizi pendenti" (sentenza n. 123 del 1987).

Nella specie, la legge della regione Toscana n.67 del 1990, limitandosi a chiarire la volontà della legge n. 22 del 1984, si inquadra nella normale ipotesi di interpretazione autentica, facendo sistema con la disposizione interpretata ed imponendosi come tale al giudice in forza del principio di cui all'art. 101, secondo comma, della Costituzione.

Sotto questo profilo, la questione come prospettata del Consiglio di Stato deve pertanto ritenersi non fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'articolo unico della legge regionale della Toscana 26 novembre 1990, n. 67 (Interpretazione autentica dell'art. 32, terzo e quarto comma, della legge regionale 24 aprile 1984, n. 22), sollevata, sotto il profilo della denunciata violazione del giudicato, in riferimento agli artt.101, secondo comma, 103, primo comma, 108, secondo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sez. IV, con l'ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara non fondata la medesima questione sollevata, sotto il profilo della lamentata incidenza sui giudizi in corso, in riferimento agli artt.101, secondo comma, 103, primo comma, 108, secondo comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sez. IV, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/11/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 23 Novembre 1994.