Sentenza n. 155 del 1990

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SENTENZA N.155

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1, comma secondo, 3, commi secondo, terzo e quattordicesimo, della legge 25 febbraio 1987, n. 67 (Rinnovo della legge 5 agosto 1981 n. 416, recante disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria), promosso con l'ordinanza emessa il 14 marzo 1989 dalla Corte d'appello di Milano nei procedimenti civili riuniti vertenti tra il garante pro-tempore per l'attuazione della legge sull'editoria prof. Giuseppe Santaniello ed altri e la s.p.a. Gemina ed altri, iscritta al n. 384 del registro ordinanze 1989 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visti gli atti di costituzione della s.p.a. Gemina, di Arvati Giovanni, della s.p.a. Nuovo Banco Ambrosiano, della s.p.a. S.I.C.I.N.D., della s.p.a. Fiat, della s.p.a. R.C.S. Editoriale Quotidiani e s.p.a. Ferruzzi Finanziaria, della Rotschild Bank A.G., di Bassanini Franco ed altri nonchè l'atto di costituzione per il Garante e l'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 30 gennaio 1990 il Giudice relatore Francesco Saja;

uditi gli Avv.ti Feliciano Benvenuti per la s.p.a. Gemina, Michele Giorgianni per Arvati Giovanni, Alberto Predieri per la s.p.a. Nuovo Banco Ambrosiano, Paolo Barile per la s.p.a S.I.C.I.N.D., Franzo Grande Stevens ed Edoardo Pontecorvo, Mario Casella per la s.p.a. R.C.S. Editoriale Quotidiani e per la s.p.a. Ferruzzi Finanziaria, Valerio Onida per Bassanini Franco ed altri e l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il garante della legge sull'editoria e per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

 

Con atto di citazione in data 8 maggio 1985 l'onorevole prof. Franco Bassanini ed altri convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Milano le società Meta, Gemina, Italtrust, Rothschild Bank, Finriz Centrale finanziaria generale, Rizzoli Editore, Fidis Finanziaria, Sadip e il dott. Angelo Rizzoli, deducendo che, in conseguenza di alcuni atti di acquisto di azioni specificatamente indicati, intervenuti nell'ottobre 1984 tra le parti convenute, erano riscontrabili: 1) la violazione del divieto di concentrazione nella stampa quotidiana previsto dall'art. 4 I. 5 agosto 1981 n. 416, poichè alla percentuale di tiratura dei quotidiani editi dalla società Rizzoli (19,01 per cento della tiratura nazionale), veniva ad aggiungersi - per effetto dei rapporti esistenti tra la Gemina e Me.t.a. nonchè fra queste società, Fiat e Montedison, cui facevano capo rispettivamente i quotidiani "La Stampa" e "Il Messaggero" - la tiratura di questi ultimi due giornali; 2) la violazione del disposto di cui all'art. 1, tredicesimo comma, della citata legge sull'editoria, essendosi operato un aumento della partecipazione pubblica, attraverso Mediobanca (controllata dall'I.R.I.), nel capitale di società proprietarie di imprese editoriali.

Con citazione 9 aprile 1986 il garante dell'editoria conveniva davanti lo stesso Tribunale le società Gemina, Rizzoli Editore, Mittel, Nuovo Banco Ambrosiano, Editoriale Corriere della Sera, N.E.S., Sadip, Fiat e Giovanni Arvati, chiedendo, a norma dell'art. 4 legge cit., la declaratoria di nullità degli atti di acquisto, concluso in data 13 e 24 dicembre 1985 da parte della Gemina, di complessive n. 12.549.000 azioni Rizzoli editore.

Assumeva il garante che con tale acquisto si era determinata una posizione dominante nel mercato editoriale, in quanto Gemina, da un lato, controllava Rizzoli Editore e, dall'altro, era controllata da Sadip, a sua volta controllata da Fiat, controllante indirettamente, attraverso la Italedi, la soc. editrice La Stampa: di tal che dovevano essere attribuite ad un unico centro di imputazione le tirature dei quotidiani editi dalle società controllate da Rizzoli Editore e del quotidiano "La Stampa". Tutto ciò determinava, secondo l'attore, una duplice violazione della detta normativa antitrust, essendo state superate, sommando le tirature delle testate in questione, le percentuali massime di concentrazione e a livello nazionale (24,93 per cento rispetto al limite del 20 per cento) e a livello interregionale (54,27 per cento rispetto al limite del 50 per cento).

Riunite le due cause, il Tribunale adito con sentenza 19 dicembre 1986 respingeva le domande degli attori popolari e del garante, rilevando la consistenza, nella citata legge n. 416 del 1981 sull'editoria, di due distinte nozioni di "controllo", l'una, più ampia, contenuta nell'art. 1, ottavo comma (settimo, nella formulazione originaria della norma, poi modificata) e dettata in funzione degli obblighi di comunicazione al Servizio dell'editoria ossia per la trasparenza delle società editoriali; l'altra, accolta nell'art. 4, secondo comma, e definita esclusivamente in base all'art. 2359 cod. civ. allo scopo, espressamente perseguito dalla norma, di impedire situazioni di concentrazione tali da determinare il superamento del 20 per cento delle copie tirate dai giornali quotidiani, quando tale situazione fosse riconducibile ad un unico soggetto od alle società da esso controllate. Riteneva inoltre il Tribunale che, in base alla limitata nozione di cui al cit. art. 2359 cod. civ., non sussistesse la situazione di controllo dedotta da tutti gli attori, nè poteva avere giuridica rilevanza la figura del collegamento indiretto, estranea alla previsione dello stesso ricordato art. 2359. Infine i giudici di primo grado ritenevano che i promotori dell'azione popolare difettassero di legittimazione attiva relativamente alla ulteriore domanda di declaratoria di nullità, ai sensi dell'art. 1, tredicesimo comma, degli atti di trasferimento di azione Gemina effettuati da Mediobanca (istituto controllato dall'I.R.I.), stante il carattere eccezionale ed insuscettibile di applicazione estensiva della azione di nullità prevista dall'art. 4, sesto comma.

Successivamente alla pubblicazione della sentenza veniva emanata la l. 25 febbraio 1987 n. 67 che, tra l'altro, ridefiniva le nozioni di controllo e di collegamento, con una disposizione espressamente qualificata come interpretativa dell'ottavo comma dell'art. 4 della l. n. 416 del 1981 (come modificato prima dalle leggi 30 aprile 1983, n. 137 e 10 gennaio 1985, n. 1 e poi dalla stessa l. n. 67 del 1987); inoltre la medesima legge n. 67 del 1987 stabiliva che l'elevazione dei limite delle tirature in ambito nazionale - disposta nel suo art. 3, primo comma, al fine di determinare la "posizione dominante" di un'impresa editoriale - dal 20 al 30 per cento era applicabile a tutte le operazioni compiute successivamente all'entrata in vigore della l. n. 416 del 1981.

Contro la sentenza proponevano appello il garante per l'editoria con atto notificato in data 23 ottobre 1987, e alcuni promotori dell'azione popolare con atto notificato il successivo 18 dicembre.

Disposta la riunione delle impugnazioni, la Corte d'appello di Milano con ordinanza 14 marzo 1989 sollevava due questioni di legittimità costituzionale degli arti. 1, secondo comma, e 3, secondo, terzo e quattordicesimo comma, della cit. I. n. 67 del 1987, dubitando che esse contrastassero con alcune norme della Costituzione, di cui si farà in prosieguo specifico cenno.

Il garante dell'editoria e gli attori popolari eccepivano l'inammissibilità della questione relativa altari. 3, terzo comma, l. 67 del 1987, in quanto l'art. 4 della l. n. 416 del 1981 andava inteso nel senso ampio da loro già indicato negli atti del giudizio di primo grado, onde era inutile applicare nella specie la disposizione sopravvenuta e attualmente impugnata.

Analoga eccezione veniva sollevata dal Presidente del Consiglio dei ministri, che svolgeva le stesse deduzioni del garante, essendo entrambi difesi dall'Avvocatura dello Stato.

L'ammissibilità della prima questione veniva contestata anche dalla S.I.C.I.N.D. e da altri appellati sul rilievo che, in base alla sopravvenuta legge (n. 67 del 1987), i presupposti di legittimazione del garante e degli attori popolari erano stati modificati e quindi, a loro dire, l'appello dagli stessi proposto non poteva essere proseguito. La soc. Fiat eccepiva anche il suo difetto di legittimazione. passiva.

Nel merito, il garante e gli attori popolari, mentre sostenevano la legittimità della ricordata disposizione della I. n. 67 del 1987 relativa alla definizione del controllo e al collegamento, che consideravano correttamente interpretativa gell'art. 4 I. n. 416 del 1981 e quindi dotata di effetto retroattivo, eccepivano invece l'illegittimità della stessa retroattività quanto all'elevazione del "tetto" di concentrazione, definendola arbitraria e ingiustificato.

Gli appellati erano su opposte posizioni, deducendo che, mentre illegittima era la ricordata qualifica di legge interpretativa, nessuna violazione poteva riscontrarsi rispetto alla seconda parte del cit. art. 3, terzo comma, la quale, riservando loro un trattamento più favorevole, non violava con la sua retroattività l'affidamento riposto nella precedente normativa.

Queste argomentazioni venivano svolte, oltrechè negli atti di costituzione, anche in memorie presentate in prossimità dell'udienza.

Considerato in diritto

 

1. - Osserva preliminarmente la Corte come, nonostante il tenore letterale, da cui potrebbe dedursi che l'ordinanza di remissione impugni gli artt. 1, secondo comma, e 3, secondo, terzo e quattordicesimo comma, della legge 25 febbraio 1987, n. 67 (Rinnovo della legge 5 agosto 1981, n. 416 recante disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria), in effetti la censura concerna soltanto il cit. art. 3, terzo comma. II giudice a quo non impugna invero la nuova normativa per quanto riguarda la sua efficacia futura, ma dubita della legittimità costituzionale dell'indicata disposizione riguardo ad entrambe le parti di cui essa si compone e precisamente: a) la qualificazione di norma interpretativa - con il conseguente effetto retroattivo -dell'art. 4, secondo e terzo comma, cit. I. n. 416 del 1981, conferita al disposto di cui all'art. 3, secondo comma, della stessa legge n. 67 del 1987, relativo alla definizione del < controllo> e del < collegamento> tra imprese editoriali; b) l'attribuzione diretta di efficacia in ordine a tutte le operazioni successive alla suindicata l. n. 416 del 1981, ossia operatività retroattiva dell'elevazione del tetto dal 20 al 30 per cento, disposta dalla stessa l. n. 67 del 1987 (art. 3, primo comma, lett. d) ai fini dell'individuazione della posizione dominante in capo al soggetto titolare di rapporti con società editrici di giornali quotidiani.

Soltanto contro la ricordata qualifica di norma interpretativa-con l'intrinseco conseguente effetto retroattivo-(sub a) e contro l'efficacia retroattiva direttamente disposta (sub b) si appuntano le critiche del giudice a quo e conseguentemente le due questioni suddette rappresentano l'esclusivo oggetto del giudizio di costituzionalità.

2.-Relativamente alla prima di esse sono state mosse varie eccezioni di inammissibilità per irrilevanza nel giudizio principale.

La S.I.C.I.N.D. e altre appellate osservano che la disciplina sopravvenuta della 1. n. 67 del 1987 ha regolato diversamente le modalità e i requisiti prescritti per la proposizione dell'azione di annullamento da parte del garante dell'editoria e degli attori popolari; da ciò deducono che, per effetto del principio dell'immediata applicazione delle norme processuali, i soggetti suindicati avrebbero perduto l'originaria legittimazione processuale e quindi non avrebbero potuto iniziare nè proseguire il giudizio relativo all'impugnazione avverso la sentenza di primo grado. In contrario va però rilevato che il principio dell'immediata applicazione della sopravvenuta legge processuale si applica (ove manchi, come nella specie, una disciplina transitoria) soltanto agli atti processuali successivi all'entrata in vigore della legge stessa: questa non retroagisce, invece, su quelli anteriormente compiuti, i quali sono regolati, secondo il fondamentale principio tempus regit actum, dalla legge sotto il cui imperio sono stati posti in essere. Essendo stata l'azione proposta mentre era in vigore la cit. l. n. 416 del 1981 deve quindi escludersi il dedotto difetto di legittimazione che, tra l'altro, determinerebbe l'assurda conseguenza del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Neppure può condividersi il rilievo formulato dal garante e dagli attori popolari, per cui il giudizio avrebbe dovuto essere definito in base alla 1. n. 416 del 1981, secondo l'interpretazione da loro sostenuta, diversa da quella accolta dal giudice di primo grado, restando quindi estranea al thema decidendum la cit. 1. n. 67 del 1987, che forma oggetto delle due questioni di costituzionalità. Ma è chiaro come in tal modo si pretenda di discutere in questa sede la causa di merito, la cui cognizione appartiene esclusivamente al giudice del processo principale, che deve interpretare e stabilire il significato normativo della suddetta legge n. 416 del 1981 (e precisamente degli artt. 1 e 4). La Corte, non può discostarsi, stante la natura e i limiti del giudizio di costituzionalità, dall'iter argomentativo del giudice a quo, il qual è, non aderendo intuitivamente alla tesi degli appellanti, ha ritenuto sussistere un nesso di dipendenza tra la decisione della causa e la norma suddetta, ed appunto perciò ha sollecitato l'accertamento relativo alla legittimità costituzionale di essa.

Infine, va pure disattesa l'eccezione della Fiat che, da una sua asserita mancanza di legittimazione passiva, trae motivo per associarsi all'eccezione di inammissibilità per irrilevanza nei suoi confronti delle proposte questioni. Trattasi però anche qui di problemi concernenti il merito della controversia, in quanto viene dedotta l'insussistenza di rapporti idonei a determinare le figure del < controllo> o del < collegamento>, la cui valutazione esula dall'ambito del giudizio di costituzionalità, in quanto forma esclusivo oggetto del giudizio principale.

3. - Nel merito, osserva la Corte che il cit. art. 3, terzo comma, l. n. 67 del 1987, relativo nella prima parte alla richiamata qualificazione, attribuita al secondo comma, di norma interpretativa dell'art. 4 l. 416 del 1981, è censurata da due diversi profili.

Il primo di essi concerne l'ammissibilità sotto un aspetto generale delle leggi interpretative e, da questo angolo visuale, la proposta questione non può ritenersi fondata, in conformità all'ormai ultratrentennale giurisprudenza costituzionale (cfr. sent. n. 118 del 1957), che è stata ribadita anche di recente (cfr. sentt. nn. 123 e 233 del 1988). Nelle varie decisioni non è mancata invero qualche lieve differenza argomentativa (cfr., ad es. la sent. n. 187 del 1981 rispetto a quelle ora citate nn. 123 e 233/88), ma il nucleo centrale dell'indicato orientamento è rimasto essenzialmente immutato.

La legge interpretativa, per vero, non viola di per sè gli artt. 101, 102 e 104 Cost., indicati nell'ordinanza di rimessione, a meno che essa non leda il giudicato già formatosi o non sia intenzionalmente diretta ad incidere sui giudizi in corso. Se queste circostanze, come nella specie, non ricorrono (per vero, il giudice a quo adombra il sospetto di una preordinata interferenza, ma esso non è suffragato da elementi consistenti ed univoci), si deve escludere che le attribuzioni del potere giudiziario siano vulnerate, in quanto legislatore e giudice agiscono su piani diversi: l'uno su quello suo proprio, introducendo nell'ordinamento un quid novi che rende obbligatorio per tutti il significato normativo dato ad un precedente atto legislativo, l'altro applicando al caso concreto la legge intesa secondo le comuni regole d'ermeneutica.

Nè le leggi interpretative sono escluse dalle disposizioni degli artt. 24 e 25, primo comma, Cost., alle quali fa anche riferimento il giudice a quo: esse invero, operando sul piano delle fonti, non escludono nè comprimono la tutela giurisdizionale delle posizioni giuridiche di cui il soggetto è titolare; nè tantomeno sono in contrasto con il principio del giudice naturale, che chiaramente non risulta affatto violato in relazione a quanto già osservato.

Fuor di proposito, appare, infine, il generico accenno dell'ordinanza di remissione all'art. 25, secondo comma, Cost., concernente il divieto di retroattività delle norme penali, il quale conseguentemente non è applicabile nella fattispecie, che riguarda la validità di alcuni negozi giuridici.

4.-Fondata è invece la questione sotto il secondo dei profili dedotti, essendo chiaro che il legislatore, oltrepassando i limiti di ragionevolezza, ha definito interpretativa una disciplina che, invece, ha natura innovativa

In conformità ad una costante giurisprudenza (cfr. da ultimo la sent. n. 233 del 1988), va riconosciuto carattere interpretativo soltanto ad una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia una tra le tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo è espresso dalla coesistenza delle due norme (quella precedente e l'altra successiva che ne esplicita il significato), le quali rimangono entrambe in vigore e sono quindi anche idonee ad essere modificate separatamente.

Ora, ribadito che la Corte non può occuparsi della portata delle norme degli artt. 1 e 4, secondo e terzo comma, l. n. 416 del 1981, il cui esame spetta esclusivamente al giudice del processo principale, si osserva che la disposizione censurata pretende di interpretare l'art. 4 l. n. 416 del 1981, mediante il precetto dell'art. 1, secondo comma, della stessa legge. Ma il riferimento a tale norma appare operato in maniera veramente singolare perchè non riguarda l'originaria formulazione di essa e neppure le modificazioni successivamente apportate con le leggi 30 aprile 1983, n. 137 e 10 gennaio 1985, n. 1-il che già farebbe dubitare dell'attribuito carattere interpretativo-, ma è compiuto con l'espresso richiamo al cit. art. 1 come integralmente riscritto dalla l. n. 67 del 1987 (art. 1, secondo comma) con una previsione normativa non coincidente affatto con quella della formulazione originaria [tra l'altro, cfr., oltre le numerose sostanziali differenze, particolarmente le nuove disposizioni di cui alle lettere c), d) ed e)]. La diversità tra la vecchia disciplina e quella sopravvenuta è pienamente avvertita dallo stesso legislatore, il quale non accenna affatto ad un'operazione ermeneutica, ma espressamente stabilisce all'art. 1 della 1. n. 67 del 1987 che l'art. 1 della l. n. 416 del 1981 è < sostituito> dalla nuova disposizione e proprio in tale ottica, seguendo rigorosamente il suo iter logico, provvede con il quattordicesimo comma dello stesso articolo all'abrogazione della norma anteriore: la quale, per contro, se si fosse trattato di norma autenticamente interpretata, avrebbe dovuto rimanere in vita, quale componente della complessa fattispecie normativa costituita dalla legge interpretata e da quella interpretativa.

Il rilevato carattere innovativo risulta peraltro anche pienamente confermato dai lavori preparatori (cfr.: 1) Camera dei Deputati, Bollettino Commissioni, 1986, 547, che parla di norme antimonopolistiche più severe; 713, dove si precisa che trattasi di una nuova e più pregnante definizione dell'influenza dominante quale sintomo peculiare del rapporto di controllo; 2) Senato della Repubblica, Bollettino Giunte e Commissioni, 1987, 647 che pure afferma trattarsi di sostanziali modificazioni alla 1. n. 416 del 1981). Nè va omesso di ricordare che la norma censurata è stata introdotta dal Comitato ristretto della Camera dei Deputati senza alcuna spiegazione e alcun accenno ai ricordati interventi governativi e parlamentari, con i quali contrasta in maniera stridente, riferendosi questi concordemente ad una nuova disciplina suggerita dall'insufficienza di quella allora vigente.

In tale quadro è evidente che si è chiaramente fuori dall'ambito di un'interpretazione autentica: precisamente, con la l. n. 67 del 1987 il legislatore ha notevolmente modificato la disciplina precedente (I. n. 416 del 1981), illegittimamente disponendo peraltro che quello era il significato della suindicata normativa preesistente. Cade così con la qualifica arbitrariamente attribuita la conseguente efficacia retroattiva, e pertanto la nuova disciplina ex l. n. 67 del 1987 è applicabile secondo la disciplina generale della legge nel tempo.

5.-Il garante per l'editoria e gli attori popolari richiamano l'interesse pubblico che permea la materia, e che, a loro dire, dovrebbe fare propendere a favore dell'interpretazione autentica, da loro sostenuta in via subordinata a quella principale sopra indicata (risoluzione della controversia esclusivamente in base alla l. n. 416 del 1981). Indubbiamente l'interesse pubblico caratterizza l'intera materia e precisamente coinvolge il fondamentale valore costituzionale del pluralismo dell'informazione (art. 21 Cost.); ma, in uno Stato di diritto, qualsiasi bene giuridico non può trovare tutela se non secondo le regole obiettive poste dalla normativa costituzionale. Il bene tutelato-anche se come nella specie, particolarmente importante, anzi addirittura essenziale-non può permettere la violazione della disciplina delle fonti legislative, la quale deve essere rigorosamente osservata a garanzia dell'intera comunità nazionale e per la credibilità stessa dell'ordinamento democratico statuale. Per contro nella specie il legislatore, come si è detto, ha arbitrariamente distorto la tipica funzione dell'interpretazione autentica (alla quale si deve far ricorso con attenta e responsabile moderazione) con il connaturato effetto retroattivo.

Nè, intuitivamente, sarebbe possibile prendere in considerazione soltanto tale effetto (retroattivo) prescindendo dalla qualificazione della norma, giacchè esso discende rigorosamente dalla suddetta qualificazione e non è stato voluto dal legislatore in maniera autonoma, come invece è statuito nella seconda parte della stessa disposizione. Chè, anzi, la comparazione tra le due previsioni esclude all'evidenza la possibilità di ritenere, discostandosi dall'impianto legislativo, la sussistenza di un effetto retroattivo non collegato alla natura della norma. Senza dire che l'ipotizzato orientamento incontrerebbe le obiezioni concernenti la certezza dei rapporti giuridici, di cui si dirà in ordine alla seconda parte della stessa disposizione.

6.-In conclusione, stante l'inequivoca irrazionalità in cui è incorso il legislatore, che ha utilizzato l'interpretazione autentica, al di là della funzione che le è propria, va ritenuta, in riferimento all'art. 3 Cost., l'illegittimità costituzionale del cit. art. 3, terzo comma, 1. n. 67 del 1987, nella sua prima parte.

Rimane quindi assorbito l'esame dell'altro parametro (art. 41 Cost.) indicato nell'ordinanza di remissione. Esso, peraltro, in relazione a quanto già accennato, non sembra utilizzabile nella fattispecie, non essendo applicabile (il che è particolarmente importante ai fini dell'altra questione) l'invocato principio dell'affidamento, il quale è connesso alla libertà dell'iniziativa economica privata, da garantire, come è ormai ius receptum, non solo nel momento iniziale, ma anche durante il suo dinamico sviluppo, al quale appunto si ricollega il ricordato principio. Però nell'area considerata le posizioni di autonomia privata (come quelle relative ai negozi intercorrenti tra imprese editrici) hanno un rilievo secondario e non sono pertanto idonee ad incidere sul ricordato valore ex art. 21 Cost.

7.-Il difetto di razionalità rilevato per la prima questione sussiste anche rispetto all'altra parte contenuta nello stesso all'art. 3, terzo comma, l. n. 67 del 1987. Con essa è stata direttamente disposta (senza il tramite di una norma interpretativa) l'efficacia retroattiva (rendendola applicabile a tutte le operazioni realizzate dopo l'entrata in vigore della legge n. 416 del 1981) della disposizione che ha elevato il < tetto> in ordine all'individuazione della posizione dominante ai fini del < collegamento> dal 20 al 30 per cento della tiratura dei giornali quotidiani.

É noto come, al di 1à della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.), la Carta fondamentale non vieta leggi retroattive, ma esse sono soggette al generale sindacato di ragionevolezza anche per quanto riguarda l'effetto (retroattivo) suindicato. Ciò posto, è agevole rilevare come nella specie risulti priva di razionale fondamento l'attribuzione di un'efficacia estesa retroattivamente per un periodo di ben sei anni: con essa infatti è stata conferita validità a negozi giuridici che inizialmente erano invalidi -e tali sono rimasti per lungo tempo-in quanto considerati contrastanti, secondo la ratio della legge allora in vigore, e il suo inequivoco tenore letterale, con la tutela del valore espresso dal ricordato art. 21 Cost.

Non sussiste invero alcun elemento che possa fornire un fondamento razionale alla disposta retroattività, su cui tacciono del tutto i lavori preparatori che insistentemente ripetono invece l'esigenza di una disciplina più rigorosa. In sintesi, la norma in esame risulta della massima incoerenza e deve aggiungersi che tale profonda incongruenza si estende all'intero complesso normativo, il quale, come nota giustamente l'Avvocatura dello Stato, da un lato vuole penalizzare determinate situazioni ricorrendo all'interpretazione autentica stabilita nella prima parte della norma censurata, e dall'altro pretende di sanare le stesse situazioni mediante l'efficacia retroattiva prevista nella seconda parte della stessa norma.

Nè può omettersi di rilevare che l'irretroattività costituisce un principio generale del nostro ordinamento (art. 11 preleggi) e, se pur non elevato, fuori della materia penale, a dignità costituzionale (art. 25, secondo comma, Cost.), rappresenta pur sempre una regola essenziale del sistema a cui, salva un'effettiva causa giustificatrice, il legislatore deve ragionevolmente attenersi, in quanto la certezza dei rapporti preteriti costituisce un indubbio cardine della civile convivenza e della tranquillità dei cittadini.

Nè, infine, può considerarsi esatta la deduzione avanzata dalla S.I.C.I.N.D. e da altre società appellate, secondo cui la retroattività in esame, non comprimendo una posizione soggettiva del privato, anzi dettando una disposizione a suo favore, non violerebbe il principio dell'affidamento.

In contrario è sufficiente ripetere l'inutilizzabilità di detto principio, in quanto non trattasi di materia caratterizzata dalla libertà all'iniziativa privata, bensì - come sopra si è osservato (n. 6) - dal preminente interesse pubblico correlato al principio dell'art. 21 Cost.; conseguentemente, a parte ogni altro rilievo, la proposta distinzione di efficacia retroattiva in malam o in bonam partem, non può trovare ingresso.

Conclusivamente in base alle suesposte considerazioni non è dubitabile che la previsione retroattiva in esame sia viziata da irrazionalità e violi pertanto il ricordato principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost.

Risultando fondate entrambe le proposte questioni, la pronuncia di illegittimità deve colpire l'intero terzo comma del cit. art. 3 1. n. 67 del 1987 che contiene entrambe le disposizioni censurate.

É appena il caso di aggiungere come, caduta la suddetta norma transitoria, tutte le altre disposizioni della cit. 1. n. 67 del 1987 mantengano la loro efficacia dal giorno dell'entrata in vigore della legge medesima.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3, terzo comma, della legge 25 febbraio 1987, n. 67 (Rinnovo della legge 5 agosto 1981, n. 416, recante disciplina delle imprese editrici e provvidenze per l'editoria).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19/03/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco SAJA, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 04/04/90.