Sentenza n. 424 del 1993

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SENTENZA N. 424

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge della Regione Siciliana 15 giugno 1988, n. 11 (Disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell'amministrazione regionale per il triennio 1985-1987 e modifiche ed integrazioni alla normativa concernente lo stesso personale), promosso con ordinanza emessa il 3 dicembre 1992 dalla Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana - sul ricorso proposto da Cultrera Alberto contro la Presidenza della Regione Siciliana ed altro, iscritta al n.230 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visti l'atto di costituzione di Cultrera Alberto nonchè l'atto di intervento della Regione Siciliana;

 

udito nell'udienza pubblica del 19 ottobre 1993 il Giudice relatore Antonio Baldassarre;

 

uditi l'Avvocato Salvatore La Rosa per Cultrera Alberto e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per la Regione Siciliana.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- La questione di legittimità costituzionale dell'art.16 della legge della Regione Siciliana 15 giugno 1988, n. 11, è stata sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, nel corso di un giudizio promosso da Alberto Cultrera avverso la nota della Presidenza della stessa Regione, con la quale era stata re spinta l'istanza per l'attribuzione dell'assegno mensile integrativo di quiescenza previsto dall'art. 9, secondo comma, della legge della Regione Siciliana 27 dicembre 1985, n. 53 (Istituzione del ruolo speciale transitorio per i servizi degli uffici periferici, inquadramento del personale in posizione di comando presso la Regione ed utilizzazione del personale trasferito alla Regione in forza dei decreti del Presidente della Repubblica 13 maggio 1985, n. 245 e 14 maggio 1985, n. 246).

 

Poichè quest'ultima norma disponeva l'anzidetto beneficio a favore del "personale statale, già in posizione di comando presso l'amministrazione regionale a seguito di trasferimento alla Regione degli uffici statali ai sensi dell'art. 2, collocato a riposo a decorrere dal 1° gennaio 1984" il ricorrente nel giudizio a quo, già dipendente statale in posizione di comando presso l'assessorato del lavoro e della previdenza sociale della Regione Siciliana, collocato in pensione a domanda con decorrenza 1° agosto 1985 per raggiunti limiti di servizio, riteneva di essere ricompreso tra gli aventi diritto. Tuttavia, l'amministrazione regionale giustificava il proprio diniego richiamando l'art. 16 della legge regionale 15 giugno 1988, n. 11, impugnato nel presente giudizio di costituzionalità, con il quale alla dizione "collocato a riposo", contenuta nel citato art. 9, secondo comma, era stata sostituita con efficacia retroattiva l'espressione "cessato dal servizio per collocamento a riposo di ufficio o per decesso", in modo da far ritenere esclusi quanti, come il Cultrera, erano stati collocati a riposo a domanda, ancorchè nel periodo di tempo interessato.

 

Sotto il profilo della rilevanza, il giudice rimettente osserva che l'eventuale declaratoria di incostituzionalità della norma denunciata, la quale esclude il diritto del ricorrente all'assegno integrativo di quiescenza, consentirebbe l'accoglimento della domanda proposta nel giudizio a quo.

 

Per quanto riguarda i profili di costituzionalità, la sezione della Corte dei Conti ricorda, in primo luogo, che l'art. 9 della legge regionale n. 53 del 1985 rispondeva ad un fine perequativo del trattamento pensionistico di dipendenti che, pur appartenendo a ruoli diversi (statale e regionale), avevano operato per la stessa amministrazione regionale, e, nello stesso tempo, mirava a garantire la proporzionalità e l'adeguatezza del trattamento pensionistico alla retribuzione percepita dallo stesso personale comandato. A quest'ultimo proposito lo stesso giudice precisa che l'assegno integrativo di quiescenza, disposto dall'art. 9 della legge regionale n.53 del 1985, era stato preceduto tanto dall'art. 3 della legge regionale 28 dicembre 1979, n. 254, che aveva previsto per il personale comandato l'attribuzione di acconti nella misura dell'ottanta per cento dei miglioramenti retributivi del personale regionale, quanto dall'art. 55 della legge regionale 29 dicembre 1980, n. 145, che aveva disposto la corresponsione di una indennità mensile pari alla differenza tra la retribuzione statale e quella percepita dai dipendenti regionali di eguale qualifica ed anzianità. Pertanto, con la previsione di un assegno integrativo, la legge regionale n. 53 del 1985 intendeva adeguare il trattamento pensionistico ai disposti perequamenti retributivi.

 

Ad avviso del giudice a quo, tali finalità sarebbero state irragionevolmente frustrate dall'art. 16 della legge regionale n. 11 del 1988, che ha sostituito il ricordato art.9 della legge regionale n. 53 del 1985. La disposizione contestata, infatti, modificherebbe retroattivamente, senz'alcun fondamento ragionevole, un testo di legge che avrebbe dovuto avere applicazione con riferimento ad una classe di soggetti (peraltro ben circoscritta nel tempo e in via di esaurimento) in capo ai quali era già maturato il diritto al beneficio. Inoltre, la stessa disposizione discriminerebbe una categoria (il personale statale comandato collocato a riposo su domanda) che ha prestato la propria opera al servizio dell'amministrazione regionale al pari dei destinatari del beneficio (personale statale comandato, collocato a riposo d'ufficio). Infine, l'art.16 violerebbe il principio di adeguatezza e di proporzionalità del trattamento pensionistico alla retribuzione percepita in attività di servizio (art. 36 della Costituzione), negando il diritto ad un assegno integrativo, previsto dal legislatore regionale per perequare le indennità mensili introdotte dalla legge regionale n. 145 del 1980 dopo gli acconti della legge regionale n. 254 del 1979.

 

2.- Nel presente giudizio di costituzionalità, è intervenuto Alberto Cultrera, ricorrente nel giudizio a quo, il quale, nel richiedere che la questione sia accolta, sottolinea le finalità perequative dell'originario art. 9 della legge regionale n. 53 del 1985, il quale si proponeva di parificare il trattamento pensionistico di dipendenti, che, pur appartenendo a ruoli diversi, avevano svolto le medesime mansioni al servizio dell'amministrazione regionale.

 

Riecheggiando quanto esposto nell'ordinanza di rimessione della Corte dei Conti, la memoria difensiva insiste sul sostanziale tradimento dell'originario disegno, effettuato con l'art. 16 della legge regionale n.11 del 1988, sottolineandone il contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza, ragionevolezza, proporzionalità e adeguatezza del trattamento previdenziale, espressi dagli artt. 3 e 36 della Costituzione.

 

3.- Si è altresì costituita in giudizio la Regione Siciliana, la quale, nel chiedere il rigetto della questione sollevata, osserva, innanzitutto, che non si può contestare la disparità di trattamento in relazione a due situazioni diverse e non comparabili tra loro, quali il collocamento a riposo d'ufficio, da un lato, e il collocamento a riposo su domanda dell'interessato, ancorchè per raggiunta anzianità di servizio, dall'altro. Diversi sono, infatti, i presupposti dei due istituti e diversa è l'efficacia del relativo provvedimento, che, nel caso del collocamento a riposo d'ufficio, avrebbe un valore soltanto formale, ricognitivo dell'estinzione ope legis del rapporto di servizio per raggiunti limiti di età, mentre, nel caso del collocamento a riposo su domanda, opererebbe, nonostante la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge, soltanto dopo l'accettazione dell'amministrazione di appartenenza. Il legislatore regionale, nell'esercizio non irragionevole della sua discrezionalità, avrebbe pertanto previsto un trattamento diverso delle due situazioni, facendo giustificatamente valere l'esigenza di evitare che il personale statale comandato chiedesse il collocamento a riposo prima del raggiungimento dell'anzianità massima (sottraendo con ciò i propri servizi all'amministrazione regionale) al solo fine di assicurarsi il beneficio del trattamento integrativo disposto dall'art. 9, secondo comma, della legge regionale n. 53 del 1985. Inoltre, a proposito dell'effetto retroattivo della disposizione impugnata, la Regione sostiene che tale effetto si fonderebbe sulla non irragionevole esigenza di non discriminare ingiustificatamente i dipendenti comandati a seconda che avessero presentato domanda prima o dopo la data di entrata in vigore della "presente legge", e cioè, come ha ritenuto lo stesso giudice di merito, fino all'entrata in vigore della legge regionale n. 53 del 1985.

 

4.- In prossimità dell'udienza il ricorrente nel giudizio a quo ha depositato una memoria per ribadire la propria richiesta di accoglimento della questione e per contestare le ragioni esposte dalla Presidenza della Regione Siciliana.

 

Ad avviso della parte privata, non avrebbe alcuna giustificazione la discriminazione operata dal legislatore regionale del 1988 tra il personale comandato collocato a riposo a domanda e quello collocato a riposo d'ufficio ai fini dell'erogazione dell'assegno integrativo di quiescenza.

 

Infatti, trattandosi di un beneficio attribuito al personale statale comandato presso la Regione e collocato a riposo in un periodo di tempo ormai concluso (ossia quello intercorrente tra il 1° gennaio 1984 e il 31 dicembre 1985) non avrebbe senso leggere la disposizione dell'art. 16 della legge regionale n. 11 del 1988 come una norma che si proponeva di evitare una "fuga" a domanda del personale comandato. Nè, diversamente da quel che sostiene la Regione, si potrebbe riconoscere fondamento alla considerazione che la retroattività della norma impugnata avrebbe un effetto preclusivo della disparità di trattamento che si sarebbe altrimenti verificato con l'entrata in vigore della legge regionale n. 11 del 1988. Infatti, una discriminazione temporale (che troverebbe, in linea di massima, giustificazione nella giurisprudenza di questa Corte) sarebbe stata sostituita con una discriminazione all'interno della medesima categoria di soggetti (personale statale comandato presso la Regione) sulla base di un elemento, come la causa del collocamento a riposo, del tutto privo di razionalità, in quanto non terrebbe conto della durata del servizio prestato, alla quale non viene in alcun modo ragguagliato l'ammontare del beneficio. Infine, il ricorrente assume di essere l'unico soggetto colpito dalla norma impugnata, non esistendo altri, nella sua posizione, che nel periodo interessato abbia presentato domanda di collocamento a riposo per raggiunta anzianità di servizio.

 

Considerato in diritto

 

1.- La sezione giurisdizionale per la Sicilia della Corte dei conti ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge della Regione Siciliana 15 giugno 1988, n. 11 (Disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell'amministrazione regionale per il triennio 1985-1987 e modifiche ed integrazioni alla normativa concernente lo stesso personale), nella parte in cui, sostituendo l'art. 9, secondo comma, della legge della Regione Siciliana 27 dicembre 1985, n. 53, prevede che l'assegno mensile integrativo di quiescenza sia corrisposto al personale statale già in posizione di comando, collocato a riposo d'ufficio o cessato dal servizio per decesso, con decorrenza non anteriore al 1° gennaio 1984 e fino alla data di entrata in vigore della presente legge.

 

Ad avviso del giudice rimettente, nel sostituire retroattivamente il requisito del semplice collocamento a riposo a decorrere dal 1° gennaio 1984, contenuto nell'abrogato art. 9, con quello più restrittivo del "collocamento a riposo di ufficio o per decesso, con decorrenza non anteriore al 1° gennaio 1984 e fino alla data di entrata in vigore della presente legge", la disposizione impugnata introduce un'innovazione normativa, la quale contrasterebbe con: a) il principio costituzionale di ragionevolezza, in quanto con effetto retroattivo sottrarrebbe senz'adeguata giustificazione il godimento di un beneficio che costituiva già, ai sensi del modificato art. 9, un diritto acquisito degli originari destinatari di quest'ultima disposizione; b) il principio costituzionale di parità di trattamento (art. 3 della Costituzione), per il fatto che discriminerebbe i dipendenti statali già comandati presso l'amministrazione regionale siciliana sulla base di un criterio arbitrario, consistente nella volontarietà o meno della causa del collocamento a riposo; c) il principio di adeguatezza e di proporzionalità del trattamento previdenziale rispetto alla retribuzione (art. 36 della Costituzione), considerato che il beneficio in questione assolverebbe a una funzione integrativa del trattamento di quiescenza, che il giudice rimettente ritiene parallela a quella svolta, rispetto alla retribuzione, dall'assegno perequativo attribuito alla totalità del personale statale comandato presso l'amministrazione siciliana dall'art. 55 della legge regionale 29 dicembre 1980, n. 145.

 

2.- La questione non è fondata.

 

L'art. 16 della legge regionale n. 11 del 1988, nel sostituire l'art. 9, secondo comma, della legge regionale n.53 del 1985, ne ha in parte riprodotto il testo e, per altra parte, ne ha modificato alcuni elementi. L'art. 9, secondo comma, infatti, stabiliva che al personale statale, già in posizione di comando presso l'amministrazione regionale a seguito del trasferimento alla Regione degli uffici statali, "collocato a riposo a decorrere dal 1° gennaio 1984", è attribuito un assegno mensile integrativo di quiescenza, pari alla differenza tra il trattamento pensionistico lordo ad essi spettante e il trattamento spettante al personale regionale in quiescenza di corrispondente qualifica e pari anzianità.

 

L'art. 16, oltre ad altre variazioni che qui non interessano, ha confermato l'attribuzione del predetto beneficio al medesimo personale già comandato, ma ha precisato che a goderne fosse soltanto il personale "cessato dal servizio per collocamento a riposo di ufficio o per decesso, con decorrenza non anteriore al 1° gennaio 1984 e fino alla data di entrata in vigore della presente legge".

 

Come correttamente afferma il giudice rimettente, non v'è dubbio che la disposizione impugnata abbia un'efficacia retroattiva. La norma introdotta dall'art. 16, al pari del testo normativo sostituito, entra a far sistema con la complessiva disciplina prevista dalla legge regionale n. 53 del 1985, intervenendo sulle condizioni per l'erogazione dell'assegno integrativo di quiescenza a favore del personale statale già in posizione di comando presso l'amministrazione regionale, nell'ambito di una disciplina volta ad assicurare il passaggio di quel personale nei ruoli della Regione attraverso la possibilità per lo stesso di esercitare, entro il 31 dicembre 1985, il diritto di opzione fra l'impiego statale e quello regionale. La necessità di assegnare alla disposizione sopravvenuta i medesimi effetti temporali propri della legge modificata deriva, inoltre, dallo stesso contenuto precettivo dell'art. 16, il quale, per la parte interessata dalla contestazione, riveste carattere interpretativo, dal momento che, a seguito di una considerazione sistematica della norma modificata, chiarisce il significato da assegnare alla nozione di collocamento a riposo, oltrechè al termine finale dello stesso collocamento ai fini del godimento del beneficio ivi previsto.

 

Più precisamente, come questa Corte ha costantemente affermato (v., ad esempio, sentt. nn. 39 del 1993; 455, 454 e 440 del 1992; 380 e 155 del 1990; 233 del 1988; ordd. nn. 480 del 1992 e 205 del 1991), si deve riconoscere il carattere interpretativo a quelle norme che hanno il fine obiettivo di chiarire il senso di norme preesistenti ovvero di escludere o di enucleare uno dei sensi fra quelli ritenuti ragionevolmente riconducibili alla norma interpretata, allo scopo di imporre a chi è tenuto ad applicare la disposizione considerata un determinato significato normativo. Le leggi interpretative, pertanto, vanno definite tali in relazione al loro contenuto normativo, nel senso che la loro natura va desunta da un rapporto fra norme - e non fra disposizioni - tale che il sopravvenire della norma interpretante non fa venir meno la norma interpretata, ma l'una e l'altra si saldano fra loro dando luogo a un precetto normativo unitario. Nel caso di specie, al di là della sostituzione integrale dell'intero articolo e di tutte le disposizioni contenute nell'art. 9, resta ferma la norma relativa all'attribuzione dell'assegno mensile ivi considerato al personale già in posizione di comando collocato a riposo a decorrere dal 1° gennaio 1984, ma si chiarisce, in base a una considerazione sistematica della relativa disciplina, che in quella categoria non possono essere ricompresi coloro che hanno volontariamente richiesto il collocamento a riposo, oltrechè coloro che sono cessati dal servizio in una data posteriore a quella dell'entrata in vigore della legge medesima.

 

Non di meno, premessa la natura interpretativa della norma contestata, occorre verificare se l'intervento del legislatore, della cui legittimità costituzionale dubita il giudice a quo, sia contrastante con i canoni della ragionevolezza, con particolare riferimento alla certezza dei rapporti preteriti e all'affidamento eventualmente sorto in capo agli interessati.

 

3.- Nel suo complesso la legge regionale n. 53 del 1985 contiene la disciplina dell'inquadramento e dell'utilizzazione del personale in servizio presso la Regione in posizione di comando e trasferito alla stessa in forza dei decreti presidenziali nn. 245 e 246 del 1985. In particolare, per quanto riguarda il personale comandato di provenienza statale è istituito un ruolo speciale transitorio (art. 1), nel quale l'inquadramento è previsto a domanda dell'interessato e previo nulla osta dell'amministrazione di provenienza (art.2). In ogni caso, tale diritto di opzione, qualora non sia stato esercitato con una precedente istanza, si consuma entro il 31 dicembre 1985 (art. 2), dopo di che il personale cessa comunque dalla posizione di comando (art. 12).

 

La concessione dell'assegno mensile integrativo di quiescenza, originariamente disposto dall'art. 9, secondo comma, della legge regionale n. 53 del 1985, va sistematicamente coordinato con tale disciplina.

 

Considerata nell'ambito di quest'ultima, l'erogazione di quell'assegno, oltre che basata su scopi perequativi del trattamento pensionistico rispetto a quello retributivo, si rivela prevalentemente fondata sulla finalità di non arrecare un pregiudizio, sotto il profilo del trattamento previdenziale, a quanti non avessero potuto esercitare il diritto di opzione nei termini in cui esso è disciplinato dalla stessa legge, per essere già stati collocati a riposo ancorchè in data non anteriore al 1° gennaio 1984. Questa finalità, già insita nella norma posta dall'art. 9, secondo comma, è chiarita e resa evidente dalla precisazione contenuta nell'art. 16 della legge n. 11 del 1988. Infatti, nel disporre che hanno diritto al predetto assegno soltanto coloro che siano cessati dal servizio a decorrere dal 1° gennaio 1984 e "fino alla data di entrata in vigore della presente legge" - e cioè, come conviene lo stesso giudice a quo, fino al giorno dell'entrata in vigore della legge 27 dicembre 1985, n. 53 (29 dicembre 1985) -, l'art.16 della legge n. 11 del 1988 instaura un significativo parallelismo con il termine (31 dicembre 1985) entro il quale può essere esercitata la facoltà di opzione tra l'ingresso in ruolo nell'amministrazione regionale e la permanenza nel ruolo statale.

 

Questo collegamento dell'erogazione dell'assegno considerato con la previsione della possibilità di optare per l'ingresso nei ruoli regionali è importante anche ai fini di una corretta interpretazione dell'altro segmento normativo sul quale è intervenuto l'art. 16 della legge n. 11 del 1988. Co me si è già detto, l'art. 9, secondo comma, prevedeva che a godere dell'assegno in esame dovesse essere il personale già comandato "collocato a riposo" a partire dalla data prima ricordata. La disposizione impugnata, nell'escludere che in questa generale formulazione dovessero essere ricompresi coloro che erano cessati dal servizio volontariamente, ha ristretto il significato dell'espressione originariamente usata in un senso conforme alla ratio della concessione dell'assegno integrativo di quiescenza come misura in senso lato indennitaria a favore di coloro che nel periodo considerato non avevano potuto esercitare utilmente il predetto diritto di opzione in quanto collocati a riposo d'ufficio o deceduti.

 

In questo quadro, infatti, la do manda di collocamento a riposo, ancorchè per raggiunti limiti di servizio, presentata dal dipendente statale in posizione di comando presso la Regio ne, il quale, al pari di tutti gli appartenenti alla medesima categoria, avrebbe potuto fare istanza di inquadramento nei ruoli regionali, deve considerarsi come un modo di esercizio del ricordato diritto di opzione. Sicchè la chiarificazione operata dall'art. 16, per la quale la formula contenuta nell'art. 9, secondo comma, ("collocato a riposo") deve intendersi ristretta alle sole ipotesi di collocamento a riposo d'ufficio o per decesso, è una ragionevole interpretazione di quella espressione in quanto dettata dall'esigenza di prevenire il rischio che la norma interpretata, ove fosse stata ritenuta comprensiva del collocamento a riposo su domanda, potesse rappresentare, per il personale considerato, un incentivo ad abbandonare l'amministrazione regionale, con conseguenti possibili problemi di compatibilità, nel caso specifico, con i principi costituzionali di buon andamento e di efficienza della pubblica amministrazione.

 

Le considerazioni ora svolte escludono altresì che la norma impugnata possa ritenersi in contrasto con l'affidamento maturato o, addirittura, con i diritti acquisiti da una categoria di pensionati sulla base dell'originaria formulazione dell'art. 9, secondo comma, della legge regionale n. 53 del 1985.

 

4.- Del pari non fondate sono le questioni di legittimità costituzionale sollevate nei confronti del medesimo art. 16 della legge n. 11 del 1988 sotto i profili attinenti al principio di parità di trattamento (art. 3 della Costituzione) e alla pretesa violazione dell'art. 36 della Costituzione.

 

Sotto il primo degli aspetti indicati, occorre osservare che le posizioni messe a confronto - collocamento a riposo d'ufficio e collocamento a riposo su domanda - non sono comparabili, tenuto conto della disciplina normativa nella quale vengono in considerazione. Infatti, a parte le differenze concernenti la configurazione generale dei due istituti nell'ambito dell'impiego pubblico, determinante è il rilievo, precedentemente sottolineato, secondo il quale la ragione giustificatrice della concessione dell'assegno integrativo di quiescenza in questione riposa sulla mancata possibilità per i soggetti considerati di esercitare il diritto di opzione nei termini disciplinati dagli artt. 2 e 12 della legge regionale n. 53 del 1985. E, per questo aspetto, le due posizioni indicate, per i motivi già detti, non sono affatto omogenee.

 

Sotto il profilo della dedotta violazione del principio di adeguatezza e di proporzionalità del trattamento di quiescenza alla retribuzione, pur a non considerare la appropriatezza del parametro invocato (art. 36 della Costituzione), basta osservare che, sulla base della costante giurisprudenza di questa Corte (v., ad esempio, sentt. nn. 42 e 226 del 1993, 119 del 1991), i principi di proporzionalità e di adeguatezza non comportano che sia in ogni caso garantita l'integrale corrispondenza fra retribuzione e pensione, ma, anche se questo è l'obiettivo ottimale da raggiungere, presuppongono che l'avvicinamento ad esso dipenda da non irragionevoli determinazioni discrezionali del legislatore, chiamato a dare graduale attuazione al complesso dei valori costituzionali coinvolti. Sicchè la non irragionevolezza della scelta sottesa alla disposizione impugnata, della quale s'è detto in precedenza, esclude la violazione dei principi costituzionali invocati.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Siciliana, con l'ordinanza in epigrafe, nei confronti dell'art. 16 della legge della Regione Siciliana 15 giugno 1988, n. 11 (Disciplina dello stato giuridico ed economico del personale dell'amministrazione regionale per il triennio 1985-1987 e modifiche ed integrazioni alla normativa concernente lo stesso personale), nella parte in cui, sostituisce l'art.9, secondo comma, della legge della Regione Siciliana 27 dicembre 1985, n.53 (Istituzione del ruolo speciale transitorio per i servizi degli uffici periferici, inquadramento del personale in posizione di comando presso la Regione ed utilizzazione del personale trasferito alla Regione in forza dei decreti del Presidente della Repubblica 13 maggio 1985, n. 245 e 14 maggio 1985, n. 246).

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/11/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Antonio BALDASSARRE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 03/12/93.