Sentenza n. 255 del 1994

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SENTENZA N. 255

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 22 della legge 24 marzo 1989, n. 122 [recte: 141, primo comma, del d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393, come modificato dall'art. 22 della legge 24 marzo 1989 n. 122] e 142 bis, primo comma, del d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393 (Testo unico delle norme sulla circolazione stradale), come introdotto dall'art. 24 della legge 24 marzo 1989 n. 122, promosso con ordinanza emessa il 7 ottobre 1993 dal Giudice conciliatore di Roma nel procedimento civile vertente tra Palombi Vincenzo ed il Comune di Roma, iscritta al n. 791 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, dell'anno 1994.

 

Visti l'atto di costituzione di Palombi Vincenzo nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 12 aprile 1994 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

 

uditi l'avv. Vincenzo Palombi per sè stesso e l'Avvocato dello Stato Stefano Onufrio per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza del 7 ottobre 1993, il giudice conciliatore di Roma ha sollevato, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 24 marzo 1989, n.122, [recte: dell'art. 141, primo comma, del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 (Testo unico delle norme sulla circolazione stradale), come modificato dall'art. 22 della legge 24 marzo 1989, n.122]. La norma, avendo elevato a 150 giorni (rispetto ai 90 giorni previsti dall'art. 12 della legge 14 febbraio 1974 n.62, che aveva a sua volta triplicato il termine originariamente previsto in 30 giorni dal vecchio codice della strada), esclusivamente a causa della inefficienza della pubblica amministrazione, il termine massimo per la notifica al trasgressore del verbale di accertamento dell'infrazione, non offrirebbe "al cittadino ...la possibilità di proporre effettive e valide attività difensive, per il lasso di tempo trascorso dal momento dell'infrazione", impedendogli di "ricordare, a distanza di cinque mesi, tutti i particolari dell'episodio" e di predisporre utili elementi di difesa per contrastare le affermazioni dell'agente che ha proceduto alla verbalizzazione, assistite per lo più dal carattere di atto proveniente da un pubblico ufficiale, così da comportare a carico dell'interessato una "probatio diabolica".

 

Lo stesso giudice rileva, inoltre, la incostituzionalità del primo comma dell'art. 142 bis, così come introdotto dall'art. 24 della legge 24 marzo 1989 n. 122, che, riconoscendo al processo sommario verbale, contro cui non sia stato proposto ricorso amministrativo al Prefetto, la qualità di titolo esecutivo, ne impedirebbe l'impugnazione per motivi diversi "da quelli per cui il Prefetto è competente". In proposito nell'ordinanza si sostiene che "avverso il verbale di accertamento non si può esperire in via transattiva e gerarchica alcun reclamo a difesa del proprio diritto, non essendo il Prefetto abilitato a conoscere eventuali attività circa la incostituzionalità della norma, ma si deve limitare esclusivamente ad emettere decisioni che siano solo di sua esclusiva competenza"; donde la violazione, anche in questo caso, del medesimo parametro costituzionale.

 

2.- Si è costituita in giudizio la parte privata, la quale ha sostenuto che il soggetto debba essere messo in condizione di contrastare con prove contrarie gli addebiti contestatigli; il che non sarebbe possibile, una volta che l'infrazione gli fosse comunicata a distanza di tanto tempo dalla presunta commissione del fatto. Ha quindi aggiunto che, nonostante che l'art. 3 della legge 24 novembre 1981, n.689, preveda per gli illeciti depenalizzati gli stessi requisiti richiesti per le contravvenzioni, e cioè il dolo o la colpa che dovrebbero essere provati da chi contesta l'infrazione, si verifica nella realtà che compete a colui cui viene addebitata la violazione di dimostrare l'insussistenza del fatto o la esclusione di ogni responsabilità, con indebita inversione dell'onere probatorio.

 

Quanto alla questione concernente la illegittimità costituzionale della c.d. giurisdizione condizionata nella specifica materia, nell'atto di costituzione si ricorda la giurisprudenza della Corte e, da ultimo, la sentenza n. 406 del 1993.

 

3.- É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per sostenere l'infondatezza delle questioni, argomentando che, mentre la giurisprudenza costituzionale ha sindacato la congruità di termini che, per la loro brevità, potevano compromettere l'esercizio del diritto di difesa, diversamente un termine lungo non può considerarsi lesivo dei diritti del cittadino, e che nel caso in esame il predetto termine è stato fissato dal legislatore con riguardo a problemi notori collegati alle obiettive difficoltà di notifica del verbale di accertamento.

 

Considerato in diritto

 

1.- É stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 22 della legge 24 marzo 1989 n. 122 [recte: dell'art. 141, primo comma, del d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393 (Testo unico delle norme sulla circolazione stradale), come modificato dall'art. 22 della legge 24 marzo 1989, n.122] che ha elevato a 150 giorni (rispetto ai 90 previsti dall'art. 12 della legge n. 62 del 1974, che aveva a sua volta triplicato il termine originariamente previsto in 30 giorni dal codice della strada del 1959) il termine per la notifica al trasgressore del verbale di accertamento dell'infrazione.

 

Ad avviso del giudice a quo la previsione di un termine così lungo, consentito all'amministrazione per la contestazione, sarebbe in contrasto con l'art. 24, secondo comma, della Costituzione perchè impedirebbe al cittadino di esercitare il diritto di difesa per la difficoltà "di ricordare ... tutti i particolari dell'episodio". Inoltre si sostiene che verrebbero "conculcati i diritti della difesa del cittadino", cui si addosserebbe "una probatio diabolica, dovendosi tener conto che il magistrato procedente si avvale di un verbale redatto da un pubblico ufficiale", mentre colui cui viene contestata l'infrazione "non può portare a suo favore elementi di prove probanti e validi".

 

Altra violazione dell'art. 24 della Costituzione si ravvisa nell'art.142 bis, primo comma, del predetto codice della strada del 1959, come introdotto dall'art.24 della legge 24 marzo 1989 n. 122, in virtù del riconoscimento di titolo esecutivo al processo sommario verbale contro il quale non sia stato proposto ricorso al Prefetto, dal che conseguirebbe il riconoscimento ad esso di "titolo definitivo, passato in giudicato, non impugnabile per motivi diversi da quelli per cui il Prefetto è competente".

 

2.- La questione di legittimità costituzionale dell'art.141, primo comma, del d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393, come modificato dall'art. 22 della legge 24 marzo 1989 n. 122, non è fondata.

 

Il prolungamento del termine per la contestazione delle infrazioni al codice della strada da quello originario di 30 giorni, in un primo momento a 90 giorni e successivamente ai 150 attualmente previsti, risponde, come si riconosce, sia pure in senso critico, nella stessa ordinanza di rinvio e come risulta dai lavori preparatori, ad esigenze organizzative dell'amministrazione che, specie nei centri urbani ove il traffico è più elevato, deve provvedere ad una mole di contestazioni così numerosa da rendere necessario un lasso di tempo sufficiente a farvi fronte. La determinazione di un termine congruo a tali fini non può perciò che essere rimessa alla discrezionalità del legislatore che, ovviamente, deve esercitarla nei limiti della ragionevolezza. La scelta legislativa, di conseguenza, potrebbe essere censurata in sede di sindacato di costituzionalità solo se il termine dovesse apparire irragionevole nel bilanciamento fra le esigenze organizzative dell'amministrazione e le esigenze difensive del soggetto destinatario della contestazione.

 

In tale prospettiva il termine di 150 giorni, ora previsto, non appare frutto di una scelta arbitraria, perchè ad escluderla è indicativa proprio la gradualità attraverso la quale si è pervenuti alla sua determinazione. Questa è da ritenersi, perciò, il risultato della valutazione dell'esperienza concreta, che ha indotto ragionevolmente a ritenere insufficienti i termini più brevi in precedenza previsti.

 

Si è perciò in presenza di un termine contenuto in limiti tollerabili nel bilanciamento delle contrapposte esigenze, anche se ciò non può significare in futuro una illimitata libertà del legislatore. Questi non potrebbe non tener conto dei profili prospettati nell'ordinanza di rinvio, che avverte le difficoltà cui va certamente incontro il destinatario della contestazione, ai fini della predisposizione della propria difesa, quanto più remota è la data in cui si è svolto il fatto rispetto alla contestazione stessa. Un ulteriore prolungamento del termine non potrebbe, perciò, non porre dubbi di costituzionalità in termini di ragionevolezza. In proposito si deve, difatti, considerare che ad eventuali difficoltà d'ordine organizzativo, cui finora si è ritenuto di far fronte con il prolungamento dei termini, ben potrebbe ovviarsi con misure tali da assicurare un più equo contemperamento fra le contrapposte esigenze, realizzando cioé, in armonia con l'art. 97 della Costituzione, una migliore efficienza degli uffici amministrativi che oggi è più facile ottenere con l'ausilio dei mezzi offerti dalla più avanzata tecnologia, certamente in grado di soddisfare le esigenze dell'amministrazione, senza creare ulteriori difficoltà ai soggetti destinatari della contestazione.

 

3.- Quanto all'altro profilo prospettato nell'ordinanza di rinvio, che critica il valore prioritario che l'attuale sistema probatorio attribuisce, nel processo, al verbale del pubblico ufficiale che contesta l'infrazione, devesi osservare che tale valore discende dal sistema che imprime un carattere particolarmente privilegiato agli atti redatti dai pubblici ufficiali, pur con tutte le necessarie garanzie a tutela del diritto di difesa (ord. n. 504 del 1987). Un valore probatorio, che trova il suo equilibrio in un contesto normativo il quale prevede sanzioni di particolare rigore qualora tali atti dovessero risultare non veritieri. Il che impone agli uffici amministrativi, dai quali dipendono gli agenti abilitati a contestare le infrazioni, una più avvertita vigilanza sull'operato di quegli agenti diretta a prevenire abusi ed arbitrii, per far s che i verbali vengano redatti in modo circostanziato sia per rendere edotto l'interessato di tutti gli elementi di fatto con preciso riferimento alle norme violate, al fine di consentirgli di predisporre la difesa, sia per rendere attendibile la contestazione.

 

4.1.- La questione di legittimità costituzionale dell'art. 142 bis, primo comma, del codice della strada del 1959, come introdotto dall'art. 24 della legge 24 marzo 1989, n. 122, è invece non fondata alla luce della interpretazione adeguatrice che verrà di seguito precisata.

 

Il giudice a quo, sia pure con formulazione imprecisa, lamenta in sostanza che a colui al quale l'infrazione venga contestata è preclusa la tutela giudiziaria se prima non abbia esperito il ricorso in sede amministrativa al prefetto. Dinanzi a questi, si sostiene, non potrebbero però farsi valere profili estranei alla competenza propria di un organo amministrativo, come ad esempio quello della incostituzionalità della norma su cui si fonda la contestazione, risultandone così impedita o almeno limitata, anche nella successiva fase giudiziaria, la possibilità di tutela.

 

4.2.- Per chiarire i termini del problema è opportuno precisare che il codice della strada del 1959 (Testo unico delle norme sulla circolazione stradale, emanato con il d.p.r. 15 giugno 1959, n.393) sanzionava penalmente le infrazioni alle prescrizioni in esso contenute, prevedendo all'art. 142, che dopo la contestazione - immediata ai sensi dell'art. 140 o mediante notifica del processo verbale ai sensi dell'art.141 - quando non fosse ammessa l'oblazione o quando questa non avesse avuto luogo, dovesse essere fatto rapporto al pretore. Questi poteva procedere o in dibattimento o, nei casi consentiti, mediante decreto penale di condanna, avverso il quale il contravventore poteva proporre opposizione al medesimo pretore.

 

Con la legge 24 novembre 1981, n. 689, contenente modifiche al sistema penale (c.d. depenalizzazione) per tutte le infrazioni assoggettate alla sola sanzione amministrativa - e fra esse molte contemplate dal testo unico sulla circolazione stradale o codice della strada - si è previsto (art. 17) che, qualora la contestazione non sia seguita dal pagamento in misura ridotta (art.16), l'agente che accerti la violazione debba fare rapporto alla autorità amministrativa competente (e, quindi, per le infrazioni al codice della strada, al prefetto), alla quale, entro trenta giorni dalla contestazione, gli interessati hanno facoltà di far pervenire scritti difensivi e documenti (art. 18).

 

L'autorità amministrativa competente, sentiti gli interessati che ne facciano richiesta, può archiviare il rapporto se lo ritenga infondato o emettere ordinanza- ingiunzione di pagamento della sanzione che ha valore di titolo esecutivo. Avverso l'ordinanza può proporsi opposizione dinanzi all'autorità giudiziaria ordinaria (art. 22).

 

A questo regime generale dettato per le sanzioni amministrative, sono state sottratte quelle previste in materia di circolazione stradale dalla legge 24 marzo 1989, n. 122. Detta legge, introducendo l'art. 142 bis, oggetto dell'incidente di costituzionalità in questione (cui ora corrispondono, anche se in termini non identici, gli artt. 203, terzo comma, e 206 del nuovo codice della strada, emanato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), ha previsto che il sommario processo verbale (immediatamente contestato o notificato entro 150 giorni) in mancanza del pagamento in misura ridotta ovvero del ricorso al Prefetto costituisce titolo esecutivo per la somma pari alla metà del massimo della sanzione pecuniaria edittale, riscuotibile coattivamente mediante i ruoli esattoriali.

 

4.3.- Così precisata la disciplina per l'irrogazione delle sanzioni amministrative in materia di circolazione stradale secondo la legge n. 122 del 1989 e la sua attuale diversità da quella riguardante le altre sanzioni amministrative, il dubbio di costituzionalità può essere superato mediante un'interpretazione adeguatrice che tenga conto dei principi affermati dalla Corte in tema di garanzia costituzionale della tutela giudiziaria.

 

Superando difatti un precedente indirizzo (sentenze nn.186 del 1972 e 130 del 1970) orientato nel senso che quella garanzia non imponesse una relazione di immediatezza con il sorgere del diritto, la giurisprudenza più recente , salvo qualche eccezione (sentenza n. 82 del 1992), si è andata consolidando nel senso opposto secondo cui, salvo che non ricorrano "esigenze d'ordine generale e superiori finalità di giustizia", la tutela giudiziaria non può essere differita o subordinata al preventivo esperimento di ricorsi amministrativi (v. da ultimo, sentenze nn. 406 del 1993, 15 del 1991 e 530 del 1989), con la conseguente incostituzionalità di norme che prevedono preclusioni o decadenze per il mancato esperimento di quei rimedi.

 

In questo ordine di idee, in altre sentenze (nn. 781 e 693 del 1988) si è ritenuto, in via interpretativa, che quando, nonostante la previsione di ricorsi amministrativi, non siano comminate in modo espresso, come conseguenza del loro mancato esperimento, la preclusione della tutela giudiziaria o la decadenza dalla stessa, questa debba ritenersi implicitamente consentita come diretta esplicazione dell'art. 24 della Costituzione, cui l'intero sistema delle garanzie deve essere adeguato.

 

Orbene, nella specie, la norma denunciata, nel suo contenuto e nel contesto in cui si colloca, appare suscettibile di due interpretazioni possibili. Una prima che, facendo leva sul carattere di titolo esecutivo attribuito al processo verbale di contestazione, se non seguito dal pagamento spontaneo del minimo della sanzione e se non impugnato dinanzi al prefetto, potrebbe indurre a ritenere l'esperimento del ricorso un presupposto necessario per la successiva tutela giudiziaria dinanzi al Pretore: il che renderebbe inevitabile la dichiarazione di incostituzionalità della norma così interpretata. Una seconda che, tenendo conto della mancanza di un'espressa comminatoria di decadenza in caso di inosservanza di tale onere, faccia ritenere il ricorso amministrativo un rimedio meramente facoltativo, come si desume dalla disciplina di cui agli artt. 6 del d.P.R. n.1199 del 1971 e 20 della legge n. 1034 del 1971 per la tutela dinanzi al giudice amministrativo.

 

Ma, in presenza di due possibili interpretazioni di una legge, delle quali una sola conforme a Costituzione, è principio costantemente affermato da questa Corte (sent. n. 149 del 1994, ord. n. 121 del 1994, sent. n. 456 del 1989) che debba essere seguita questa interpretazione. Di conseguenza, nella specie, il dubbio di costituzionalità può essere sciolto interpretando la norma impugnata nel senso che il mancato preventivo esperimento del ricorso al Prefetto non preclude la tutela giudiziaria nè la fa decadere.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 141. primo comma, del d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393 (Testo unico delle norme sulla circolazione stradale), come modificato dall'art. 22 della legge 24 marzo 1989, n. 122, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal giudice conciliatore di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe;

 

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 142 bis, primo comma, del d.P.R. 15 giugno 1959 n. 393 (Testo unico delle norme sulla circolazione stradale), come introdotto dall'art. 24 della legge 24 marzo 1989, n.122, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal giudice conciliatore di Roma con la medesima ordinanza.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/06/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 23/06/94.