Sentenza n. 149 del 1994

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SENTENZA N. 149

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Giudici

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20 bis (rectius: 21), terzo comma, del d.l. 18 gennaio 1993, n. 8 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), convertito con legge 19 marzo 1993, n. 68 promossi con n. 2 ordinanze emesse il 19 luglio 1993 dal Pretore di Roma, senzione distaccata di Tivoli nei procedimenti civili vertenti tra la s.p.a. Spei Leasing ed il Comune di Guidonia - Montecelio, iscritte ai nn. 652 e 653 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.44, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti gli atti di costituzione della s.p.a.Spei Leasing nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella udienza pubblica dell'8 febbraio 1994 il Giudice relatore Renato Granata;

Ritenuto in fatto

Udito l'avv. Antonio Cataudella per la s.p.a. Spei Leasing e l'Avvocato dello Stato Claudio Linda per il Presidente del Consiglio dei ministri 1. Nel corso di due procedure esecutive pro mosse dalla società SPEI LEASING S.p.A. nei confronti del Comune di Guidonia-Montecelio, il Pretore di Roma, sezione distaccata di Tivoli, ha sollevato (con due ordinanze del 19 luglio 1993 di identico contenuto) questione incidentale di legittimità costituzionale dell'articolo 20 bis (rectius: 21), comma 3, d.l. 18 gennaio 1993 n.8, convertito con legge 19 marzo 1993 n. 68, nella parte in cui prevede che in deroga ad ogni altra disposizione, dalla data di deliberazione del dissesto (nella specie, del Comune) i debiti insoluti non producono più interessi, rivalutazioni monetarie od altro;sono poi dichiarate estinte dal giudice, previa liquidazione dell'importo dovuto per capitale, accessori e spese, le procedure esecutive pendenti e non possono essere proposte nuove azioni esecutive.

Osserva il Pretore rimettente che - pur avendo il Comune esecutato chiesto la sospensione dell'esecuzione per consentire l'espletamento della procedura commissariale di cui al cit. art. 21 - occorre in realtà procedere alla declaratoria di estinzione della procedura esecutiva e alla preventiva liquidazione dell'importo dovuto per capitale, accessori e spese. Tale liquidazione non può che avere natura di atto di cognizione finalizzato ad operare una completa definizione di tutte le posizioni debitorie del Comune, venendo così necessariamente ad assumere la natura e la funzione di definitivo accertamento della stessa esistenza del credito così da costituire un nuovo ed autonomo titolo in base al quale gli organi della procedura di liquidazione dovrebbero pagare i creditori. In tal modo però si ha come conseguenza la violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.) perchè il giudice dell'esecuzione, se è chiamato a svolgere un'attività di cognizione, non può che decidere allo stato degli atti non potendo certamente svolgere attività istruttorie, sicchè le parti vedrebbero preclusa la continuazione di eventuali processi di opposizione o di eventuali giudizi di legittimità su pronunzie in grado di appello.

Inoltre - secondo il giudice rimettente - è ravvisabile anche una violazione del principio del giudice naturale (art. 25 Cost.) dal momento che il giudice dell'esecuzione verrebbe chiamato a conoscere dei giudizi di opposizione e dei giudizi di merito o di legittimità relativi al titolo esecutivo.

2. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque manifestamente infondata.

In via pregiudiziale l'Avvocatura eccepisce il difetto di rilevanza della questione atteso che l'esame della legittimità costituzionale della norma dovrebbe avere luogo in una fase successiva, ossia in occasione dell'istanza di estinzione della procedura esecutiva e non già della istanza di sospensione per consentire l'espletamento della procedura commissariale, che è chiesta in forza di norme che non risultano contestate.

Nel merito la questione - secondo l'Avvocatura - non è fondata perchè il giudice rimettente parte dell'erroneo presupposto che il legislatore abbia configurato un potere di cognizione del giudice dell'esecuzione sull'an e sul quantum del debito, laddove nulla nella normativa impugnata autorizza tale interpretazione.

Invece la estinzione è dichiarata dal giudice dell'esecuzione, ogni qualvolta non vi sia contestazione, sulla base della liquidazione (che sta per pagamento) di quanto risulta dovuto dall'ente territoriale; quindi non sono alterati i normali poteri del giudice dell'esecuzione.

3. Si è costituita la società SPEI LEASING S.p.A. chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

La difesa della società contesta essenzialmente il presupposto interpretativo dal quale muove il giudice rimettente per la ragione che nella norma censurata l'uso del termine <<liquidazione>> non implica alcuna novazione del titolo che viene eseguito, ma soltanto la ricognizione del medesimo da parte del giudice dell'esecuzione, senza pregiudizio per i procedimenti pendenti nel merito. Quindi il giudice dell'esecuzione è chiamato soltanto a cristallizzare la statuizione contenuta nel titolo provvisoriamente esecutivo, quantificandola in un'entità precisa per poi dichiarare estinta la procedura esecutiva. Ma ciò non significa che il giudice dell'esecuzione debba (o possa) porre in essere una nuova pronuncia che assorba ed annulli il titolo in corso di esecuzione sicchè gli (eventuali) giudizi di cognizione aventi ad oggetto la pretesa azionata in via esecutiva non sono toccati dal provvedimento di <<liquidazione>> del giudice dell'esecuzione, nè tanto meno sono dichiarati estinti.

Considerato in diritto

É stata sollevata questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 24 e 25 Cost. - dell'art. 20 bis [rectius: 21], comma 3, decreto legge 18 gennaio 1993 n. 8 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), convertito con legge 19 marzo 1993 n. 68, nella parte in cui - prevedendo che in deroga ad ogni altra disposizione, dalla data di deliberazione del dissesto dell'ente locale i debiti insoluti non producono più interessi, rivalutazioni monetarie od altro - prescrive che sono dichiarate estinte dal giudice, previa liquidazione dell'importo dovuto per capitale, accessori e spese, le procedure esecutive pendenti e non possono essere proposte nuove azioni esecutive, per sospetta violazione:

a) del diritto di difesa perchè il giudice dell'esecuzione, nel procedere alla <<liquidazione dell'importo dovuto>>, non può che decidere allo stato degli atti pregiudicando la continuazione di eventuali altri giudizi instaurati con atto di op posizione all'esecuzione ovvero con ricorso per cassazione;

b) del principio del giudice naturale perchè il giudice dell'esecuzione verrebbe chiamato a conoscere dei giudizi suddetti.

2. Riuniti i giudizi per identità di oggetto, va pregiudizialmente respinta l'eccezione di inammissibilità per difetto di rilevanza sollevata dall'Avvocatura di Stato sotto il profilo che la questione di costituzionalità, come sopra posta, non sarebbe rilevante atteso che la norma censurata può trovare applicazione soltanto in una fase successiva, ossia in occasione dell'istanza [nella specie non ancora proposta] di estinzione della procedura esecutiva, e non già della istanza [quale quella in realtà formulata dalla difesa del Comune esecutato] di sospensione della stessa per consentire l'espletamento della procedura commissariale.

Il giudice rimettente ha puntualmente motivato in ordine a tale punto, ritenendo che la declaratoria di estinzione (d'ufficio) del procedimento esecutivo in ragione dell'intervenuta dichiarazione di dissesto si sovrapponga alla mera sospensione dell'esecuzione, pur richiesta dal Comune esecutato, e l'assorba; ritiene quindi, con una motivazione non implausibile, di dover fare applicazione della norma censurata, che peraltro, nella sua formulazione letterale, non condiziona la declaratoria di estinzione ad alcuna istanza del Comune esecutato. In mancanza di un diritto vivente diversamente orientato questa Corte non ha ragione di censurare, al solo fine della verifica della rilevanza della questione di costituzionalità, l'iter logico-argomentativo del giudice rimettente ed in particolare l'aver egli pretermesso di esaminare preliminarmente l'istanza del Comune di sospensione dell'esecuzione.

3. Nel merito la questione, sotto il profilo dell'allegata violazione dell'art. 24 Cost., non è fondata.

Il dubbio di costituzionalità prospettato dal giudice rimettente implica necessariamente che l'art. 21 censurato sia insuscettibile di ricevere interpretazione diversa da quella secondo cui è il giudice dell'esecuzione che è tenuto ad effettuare, allo stato degli atti ed in riferimento al rapporto sostanziale espresso dal titolo esecutivo, un'attività di cognizione che conseguentemente verrebbe in tal modo a sovrapporsi ad eventuali giudizi pendenti di opposizione all'esecuzione o di impugnazione e ne pregiudicherebbe la piena cognizione. Ma è questa un'interpretazione che, superando la lettera della disposizione che nulla prescrive in ordine all'incidenza del provvedimento di liquidazione su tali giudizi, appare diretta proprio a far emergere il denunciato vizio di costituzionalità, vizio che in effetti - sulla premessa ermeneutica così ricostruita - viene prospettato dal giudice a quo non implausibilmente, posto che - se vera la premessa - la procedura esecutiva, in modo anomalo e senza la piena garanzia del diritto di difesa, sarebbe deviata verso un'attività di cognizione della spettanza dell'importo dovuto per capitale, accessori e spese dal debitore esecutato al creditore procedente.

Ma il giudice rimettente, nell'operare la ricognizione del contenuto normativo della disposizione, deve sempre e costantemente essere guidato dall'esigenza di rispetto dei precetti costituzionali e quindi, ove un'interpretazione appaia confliggente con alcuno di essi, è tenuto - soprattutto in mancanza di diritto vivente - ad adottare letture alternative maggiormente aderenti al parametro costituzionale altrimenti vulnerato.

Nella specie si ha appunto che sono possibili altre interpretazioni, quali quelle sostenute - come riferito in narrativa - dall'Avvocatura di Stato e dalla difesa della parte costituita, le quali (seppur tra loro diverse) hanno un punto in comune: il provvedimento di <<liquidazione>> lascia in ogni caso impregiudicate tutte le eventuali questioni (di merito) in ordine alla sussistenza della pretesa creditoria ovvero alla legittimità del titolo esecutivo, questioni la cui cognizione rimane devoluta al giudice competente secondo i criteri dettati dal codice di rito e con le ordinarie garanzie del contraddittorio e nel rispetto del diritto di difesa. Tanto è sufficiente per ritenere non fondata la censura di costituzionalità nei termini in cui è stata proposta, mentre non spetta a questa Corte operare ogni altra scelta interpretativa, rimessa al giudice del merito nel giudizio a quo e, più in generale, all'elaborazione giurisprudenziale.

4. Neppure fondata è la censura di violazione del principio del giudice naturale (art. 25 Cost.) giacchè questa Corte in numerose pronunce (sent. n.217 del 1993, n. 269 del 1992, ord. n. 375 del 1991) ha puntualizzato che deve ritenersi precostituito per legge l'organo giudicante istituito sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non già in vista di determinate controversie .

Nella specie da una parte la competenza ad emettere il provvedimento di estinzione della procedura esecutiva e di liquidazione dell'importo dovuto per capitale, accessori e spese, è demandata secondo una regola generale fissata con legge al giudice dell'esecuzione, a sua volta già individuato secondo gli ordinari criteri di competenza dettati dal codice di rito, sicchè il principio del giudice naturale è rispettato; d'altra parte - come già osservato - in nessun modo il giudice dell'esecuzione è chiamato ad un'attività di cognizione della quale sia stato in ipotesi investito altro giudice con opposizione all'esecuzione o con impugnazione della sentenza provvisoriamente esecutiva.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 21, comma 3, decreto legge 18 gennaio 1993 n. 8 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica), convertito con legge 19 marzo 1993 n. 68, sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 25 della Costituzione, dal Pretore di Roma, Sezione distaccata di Tivoli, con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/04/94.

Gabriele PESCATORE, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 21/04/94.