Sentenza n. 73 del 1983

 CONSULTA ONLINE 


SENTENZA N. 73

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 98 della legge 7 marzo 1938, n. 141 (conversione in legge, con modificazioni, del r. decreto legge 12 marzo 1936, n. 375, contenente disposizioni per la difesa del risparmio e per la disciplina della funzione creditizia), promosso con ordinanza emessa il 24 ottobre 1977 dal Tribunale di Macerata, nel procedimento penale a carico di Capitanio Enzo Emilio ed altri, iscritta al n. 572 del registro ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53 del 22 febbraio 1978.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 gennaio 1983 il Giudice relatore Francesco Saja;

udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. - Nel corso di un procedimento penale a carico di Capitanio Enzo Emilio, imputato del reato di cui all'art. 98 della legge 7 marzo 1938 n. 141 (conversione in legge, con modificazioni, del r.d.l. 12 marzo 1936 n. 375, contenente disposizioni relative alla difesa del risparmio ed alla disciplina della funzione creditizia) per avere diffuso notizie false, esagerate e tendenziose atte a menomare la fiducia del pubblico nella Banca popolare di Camerino, il Tribunale di Macerata, con ordinanza del 24 ottobre 1977 (in G.U. n. 53 del 22 febbraio 1978), sollevava questione di legittimità costituzionale del citato art. 98.

I1 Tribunale, dopo aver premesso che la punizione della divulgazione di notizie false, esagerate o tendenziose non contrasta con il diritto di manifestazione del pensiero, di cui all'art. 21 della Costituzione, purché sia diretta alla tutela di altri interessi di rilievo costituzionale, quale, ad es. l'ordine pubblico, ritiene che l'art. 98 della legge n. 141 del 1938, punendo il cosiddetto aggiotaggio bancario, protegge esclusivamente il buon nome delle aziende di credito, certamente privo di rilevanza costituzionale, e che perciò appare in contrasto con la citata norma della Carta fondamentale.

Nota ancora il Tribunale come, mentre per il reato di aggiotaggio comune l'art. 501 cod. pen. richiede il dolo specifico, punendo la divulgazione di notizie false, esagerate o tendenziose solo se diretta al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci, per la sussistenza del reato di aggiotaggio bancario é sufficiente il dolo generico, senza che la diversa disciplina legislativa di condotte materialmente assimilabili trovi una razionale giustificazione: ciò può dar luogo, secondo il giudice a quo, a contrasto tra l'art. 98 cit. e l'art. 3 Cost.

2. - La Presidenza del Consiglio dei ministri, intervenuta, nega la fondatezza delle questioni sia perché la norma impugnata protegge non già il buon nome delle imprese di credito, bensì la regolarità della funzione creditizia, rilevante ai sensi dell'art. 47, primo comma, della Costituzione, e perciò non comprime senza giustificazione la libertà di manifestazione del pensiero; sia perché rientra nella discrezionalità del legislatore ordinario il potere di differenziare l'intensità della tutela penale, sotto il profilo dell'elemento psicologico, in relazione alle diverse, e ancorché affini, fattispecie di reato.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale di Macerata dubita della legittimità costituzionale dell'art. 98 l. 7 marzo 1938 n. 141, con la quale fu convertito in legge il r.d.l. 12 marzo 1936 n. 375, contenente disposizioni per la difesa del risparmio e per la disciplina della funzione creditizia. Tale norma, che prevede il c.d. aggiotaggio bancario, testualmente dispone: "Chiunque divulghi, in qualunque forma, notizie false, esagerate o tendenziose circa aziende esercenti il credito, atte a turbare il mercato dei titoli e dei valori, o a indurre il panico nei depositanti, o comunque a menomare la fiducia del pubblico, é punito con le pene stabilite dall'art. 501 del codice penale".

Il giudice a quo impugna la disposizione suddetta sotto duplice profilo, ritenendo che essa contrasti: a) con l'art. 21 Cost. perché limita la libertà di manifestazione del pensiero senza alcuna finalità di interessi costituzionalmente protetti;

b) con l'art. 3 Cost. in quanto richiede per la sussistenza del reato soltanto il dolo generico, a differenza dell'art. 501 cod. pen. (che prevede il c.d. aggiotaggio comune), il quale esige il dolo specifico, così diversificando senza razionale giustificazione le due fattispecie.

Non é invece in discussione l'elemento materiale del delitto, di cui quindi la Corte non deve occuparsi.

2. - Sotto il primo profilo, il giudice a quo correttamente muove dal presupposto, più volte affermato da questa Corte, secondo cui la libertà di manifestazione del pensiero, prevista nell'art. 21 della Costituzione, trova un limite insuperabile nell'esigenza che attraverso il suo esercizio non vengano sacrificati altri beni che la Costituzione ha voluto pure garantire (cfr. sent. n. 18 del 1981; n. 199 del 1972; n. 18 del 1966; n. 19 del 1962); senonché, dopo tale enunciazione, il detto giudice ritiene che il cit. art. 98 l. bancaria sarebbe diretto a tutelare "il buon nome delle singole aziende di credito", che non può essere considerato un bene giuridico costituzionalmente garantito; e pertanto esso confliggerebbe con il ricordato precetto costituzionale.

3. - Ma tale opinione sull'oggetto della tutela penale del cit.

art. 98 non può essere condivisa. Giova ricordare come questa Corte (sent. 20 maggio 1976 n. 123) ha ritenuto la legittimità costituzionale della norma di cui all'art. 501 cod. penale - che, come si é detto, prevede l'aggiotaggio comune - sulla considerazione che tale norma é diretta alla tutela non già dei singoli operatori economici bensì dell'economia pubblica, la quale rientra nella previsione dell'art. 41 Cost. (cfr. su questo punto anche le sent. nn. 5 e 54 del 1962 e 30 del 1965); in proposito aggiunse la Corte che il cit. art. 501 cod. penale, in quanto concerne la pubblica economia, trova il suo razionale fondamento anche nell'art. 47 Costituzione, il quale dispone, tra l'altro, che la Repubblica "disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito".

Ora, non può essere dubbio che il cit. art. 98 l.b. abbia per oggetto proprio la tutela dell'attività delle aziende di credito, come inequivocabilmente si evince dalla previsione normativa che esige, per la sussistenza del reato, la divulgazione di notizie circa le stesse aziende, tali da incidere negativamente su detta attività, in quanto idonee a turbare il mercato dei titoli e dei valori, ovvero a diffondere il panico nei depositanti oppure, infine, a incrinare quel rapporto di fiducia che é indispensabile nei rapporti tra istituti bancari e clienti.

L'oggetto della tutela penale non consiste quindi nella mera reputazione delle singole aziende, considerata come un bene individuale ed esclusivo di esse, ma si sostanzia nell'interesse pubblico al normale e regolare esercizio del credito e quindi concerne quell'interesse espressamente indicato e tutelato dall'art. 47 della Costituzione. Interesse che, come é stato precisato nella cit. sent. n. 123 del 1976, risulta strettamente collegato all'economia pubblica, in quanto nel moderno sistema economico l'attività bancaria costituisce una notevole forza d'impulso dell'economia stessa ed é perciò che la legge la disciplina compiutamente, affidando ad organi statali poteri non soltanto di vigilanza, ma anche di direzione in relazione alle esigenze della contingente e sempre mutevole situazione finanziaria nazionale.

Né intuitivamente alcun rilievo può avere al riguardo l'art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, di cui é stata autorizzata la ratifica in Italia con 1. 4 agosto 1955 n. 848, essendo evidente che nelle limitazioni indicate nel secondo comma deve logicamente comprendersi anche la pubblica economia, la quale costituisce un bene essenziale per tutti gli ordinamenti statuali.

4. - I1 giudice a quo contesta poi la legittimità della norma impugnata in riferimento all'art. 3 Cost., in quanto per il reato da essa previsto é sufficiente il dolo generico, mentre per l'aggiotaggio comune, previsto dall'art. 501 cod. penale, é richiesto quello specifico.

In proposito, va però osservato come rientra nel potere discrezionale del legislatore ordinario il valutare se, per la concreta efficacia di una norma incriminatrice, debba richiedersi il dolo generico ovvero quello specifico. Trattasi di un problema di politica criminale che, come tale, sfugge al controllo di legittimità costituzionale, pur se tra le varie norme incriminatrici, che diversamente dispongono, possa riscontrarsi una certa affinità di materia. Infatti, anche quando ciò avvenga, é pur sempre in gioco una valutazione di merito che esorbita dall'ambito del giudizio di legittimità costituzionale.

Peraltro é da osservare come non sia sicura la premessa da cui muove il giudice a quo e cioè che per l'aggiotaggio comune sia richiesto un dolo specifico. Invero é stato osservato da autorevole dottrina (sul punto non risultano pronunce giurisprudenziali) come l'autore di tale reato si propone in realtà di trarre un illecito profitto mediante l'aumento o la diminuzione dei prezzi, mentre il turbamento del mercato, che secondo il dato letterale della formula legislativa dovrebbe integrare il fine del colpevole, non rappresenta altro che la necessaria conseguenza della sua condotta. In base a ciò- osserva la stessa dottrina - l'elemento psicologico si esaurisce nel dolo generico, consistente nel volere l'aumento o la diminuzione suddetti, sicché solo in apparenza sarebbe richiesto per l'aggiotaggio comune il dolo specifico, essendo invece sufficiente anche per esso quello generico (il quale analogamente é sufficiente per la terza figura di aggiotaggio conosciuta dal nostro ordinamento e cioè per il c.d. aggiotaggio societario previsto dall'art. 2628 cod. civile).

5. - Conclusivamente deve dirsi che, non potendosi condividere la prospettazione del giudice a quo sotto nessuno dei due profili dedotti, la su indicata questione risulta infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 98 l. 7 marzo 1938 n. 141, di conversione in legge del d.l. 12 marzo 1936 n. 375 (c.d. aggiotaggio bancario), sollevata dal Tribunale di Macerata in riferimento agli artt. 3 e 21 della Costituzione con l'ordinanza sopra indicata.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 marzo 1983.

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO – Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO - Ettore GALLO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 23 marzo 1983.