Sentenza n. 123 del 1976
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SENTENZA N. 123

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 501 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 28 gennaio 1974 dal tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Zanetti Livio, iscritta al n. 80 del registro ordinanze 1974 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 82 del 27 marzo 1974.

Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 febbraio 1976 il Giudice relatore Nicola Reale;

udito il sostituto avvocato generale dello Stato Giorgio Azzariti, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

Nel corso di procedimento penale a carico di Zanetti Livio (imputato, quale direttore responsabile del periodico l'"Espresso", del delitto di cui all'art. 501 cod. pen. per aver fatto pubblicare sul medesimo un articolo, senza firma, dal titolo "Il bruciamiliardi" concernente la gestione della società Montedison) il tribunale di Roma ha sollevato, d'ufficio, in riferimento all'art. 21 Cost. questione di legittimità costituzionale del predetto art. 501, cod. pen., che punisce chiunque, al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci, pubblica o altrimenti divulga notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifizi atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci, ovvero dei valori ammessi alle liste di borsa o negoziabili nel pubblico mercato.

Nel giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Considerato in diritto

1. - L'art. 501 cod. pen., sotto la rubrica "Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi nel pubblico mercato o nelle borse di commercio" punisce chiunque "al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci pubblica o altrimenti divulga notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifizi atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci, ovvero dei valori ammessi nelle liste di borsa o negoziabili nel pubblico mercato".

Si tratta del reato di aggiotaggio e il tribunale di Roma (chiamato a giudicare il direttore responsabile di un periodico, imputato di aver pubblicato, al fine di turbare il mercato interno dei valori, un articolo di autore ignoto contenente notizie false, esagerate e tendenziose riguardanti una società commerciale e atte a determinare una diminuzione dei valori ammessi nelle liste di borsa) ha impugnato la norma suddetta in riferimento all'art. 21, primo comma, della Costituzione. La questione, com'è esattamente rilevato dall'Avvocatura dello Stato, non investe la disposizione citata nella sua totalità ma solo nella parte che riguarda la pubblicazione o diffusione di notizie, senza estendersi agli altri "artifizi" atti a cagionare variazioni nel prezzo delle merci: in questo ultimo caso, ovviamente, si é al di fuori delle previsioni dell'art. 21 della Costituzione.

L'ordinanza di rimessione muove dall'assunto che l'interesse al buon andamento dell'economia nazionale, tutelato dall'art. 501 cod. pen. sopra richiamato, non rivesta rilievo costituzionale e non sia pertanto idoneo a giustificare l'imposizione di limiti al diritto di manifestare il proprio pensiero, dal momento che limitazioni al libero esercizio del medesimo possono derivare solo dalla necessità di tutelare beni garantiti esplicitamente o implicitamente dalla Costituzione: il che nella fattispecie in esame sarebbe da escludersi.

Si afferma ancora nell'ordinanza che il limite alla libertà di che trattasi non troverebbe riscontro nemmeno nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (approvata il 10 dicembre 1948 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite) né nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (approvata il 14 novembre 1950 dai Governi membri del Consiglio d'Europa e dall'Italia ratificata con legge 4 agosto 1950, n. 848), le cui norme, si aggiunge, secondo autorevole opinione, avrebbero posizione e rango costituzionale.

2. - La questione non é fondata.

L'aggiotaggio é un delitto di frode, per la cui sussistenza non sono necessari la produzione di un danno e il conseguimento di un profitto ma che sicuramente richiede nel soggetto attivo oltre che la consapevolezza del carattere falso, esagerato o tendenzioso delle notizie e la volontà di divulgarle, anche la volontà diretta al fine di cagionare un turbamento del pubblico mercato dei valori o delle merci.

Orbene non può certo condividersi l'opinione, espressa nell'ordinanza di rinvio, secondo cui l'interesse tutelato dalla norma impugnata non abbia nella Costituzione puntuale riscontro e riconoscimento.

Come più volte é stato ribadito da questa Corte la libertà di manifestazione del pensiero trova i suoi limiti non solo nella tutela del buon costume ma anche nella necessità di proteggere altri beni aventi rilievo costituzionale (cfr. sent. nn. 19 del 1962; 25 del 1965; 87 e 100 del 1966; 199 del 1972; 15, 16 e 133 del 1973; 20 del 1974).

La tutela penale tende a che non sia compromesso, mediante una determinazione fraudolenta dei prezzi o delle quotazioni, l'interesse economico legato alla circolazione e allo scambio delle merci o dei valori; si tratta non tanto degli interessi dei singoli operatori economici, bensì dell'interesse pubblico a che i prezzi di mercato si formino per il naturale giuoco delle forze economiche o per il legittimo intervento delle pubbliche autorità, l'uno e l'altro non dolosamente falsati.

Entra così in giuoco l'economia pubblica la cui tutela non può dirsi estranea al contenuto e allo spirito della Costituzione.

Invero, l'art. 41 pur riconoscendo la libertà di iniziativa economica privata stabilisce che essa non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale, la quale ha anche un contenuto economico (sent. nn. 5 e 54 del 1962 e 30 del 1965).

Aggiungasi che l'art. 501 trova riscontro anche nell'art. 47 Cost. nelle parti in cui si pongono fra i fini della Repubblica l'incoraggiamento e la tutela del risparmio; la disciplina, il coordinamento e il controllo dell'esercizio del credito, il favore per il diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.

Assolutamente fuori luogo sono, infine, i richiami alla libertà di opinione e di espressione di cui all'art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo e all'art. 10 della Convenzione per la salvaguardia di tali diritti, essendo intuitivo che questi testi non giustificano in alcun modo attentati contro la pubblica economia, comunque perpetrati.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 501 del codice penale, sollevata, in riferimento all'art. 21 della Costituzione, dal tribunale di Roma con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 20 maggio 1976.