Sentenza n. 118 del 1972

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 SENTENZA N. 118

ANNO 1972

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 composta dai signori:

Prof. Giuseppe CHIARELLI, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI, Giudici,

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica 27 dicembre 1952, nn. 3462, 3463, 3464 e 3465 (riforma fondiaria), promossi con quattro ordinanze emesse l'11 febbraio 1970 dalla Corte d'appello di Bari in altrettanti procedimenti civili vertenti tra Di Miscio Antonio, Nicola, Francesco e Gerardo, e la Sezione speciale per la riforma fondiaria in Puglia e Lucania iscritte ai nn. 191, 192, 193 e 194 del registro ordinanze 1970 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 dell'8 luglio 1970.

Visti gli atti di costituzione della Sezione speciale per la riforma fondiaria in Puglia e Lucania;

udito nell'udienza pubblica del 12 aprile 1972 il Giudice relatore Costantino Mortati;

udito il vice avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per l'Ente di riforma.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso dei procedimenti civili promossi dai signori Antonio, Nicola, Francesco e Gerardo Di Miscio contro la Sezione speciale di riforma fondiaria in Puglia, per ottenere una somma corrispondente al valore d’alcuni fondi che assumevano essere stati illegittimamente espropriati, oltre ai frutti ed al risarcimento del danno, la Corte d’appello di Bari sollevava questione di legittimità costituzionale dei provvedimenti di scorporo contenuti nei d.P.R. 27 dicembre 1952, nn. 3462, 3463, 3464 e 3465, con quattro ordinanze, identicamente motivate, emesse l'11 febbraio 1970.

Dopo aver respinto un'eccezione d’irrilevanza della questione, sollevata dal convenuto e basata sulla considerazione che il diritto degli attori si sarebbe estinto per intervenuta prescrizione, la Corte d'appello osservava che i decreti denunziati sembravano viziati in riferimento all'art. 76 della Costituzione per non aver rispettato i limiti della delegazione legislativa contenuti nell'art. 4 della legge n. 841 del 1950. In particolare rilevava che i decreti in parola erano stati emanati, a seguito dell'opposizione degli attori al piano particolareggiato d’esproprio, senza che fosse stato pubblicato un nuovo piano particolareggiato; che, secondo le risultanze della consulenza tecnica esperita e degli atti processuali, a base del calcolo della proprietà degli attori era stata posta non la consistenza terriera rilevata sul reddito dominicale al 15 novembre 1949, bensì quella in aumento risultante dalle variazioni di detto reddito, scaturite da verifiche disposte dall'U.t.e., all'epoca non ancora definitive; infine che, sempre secondo le risultanze anzidette, era stato erroneamente conteggiato, ai fini della rilevanza della consistenza terriera al 15 novembre 1949, il reddito dominicale d’alcuni fondi che apparivano intestati a ciascuno degli attori, ma che in realtà all'epoca appartenevano agli eredi riservatari di Di Miscio Gerardo fu Francesco. Tale errore poteva rilevarsi dalle aggiornate certificazioni catastali. Infatti il certificato relativo alla partita 2334 indicava (oltre alla provenienza dei terreni di quella partita dalla precedente ditta Sanfelice Giuseppe) che i terreni stessi erano stati trasferiti in parte agli eredi riservatari a seguito di transazione contenuta nell'atto 20 luglio 1950 per notaio De Benedictis. É pur vero - si aggiungeva - che la transazione era intervenuta in data successiva a quella fissata dalla legge per lo scorporo, ma la realtà confermava che, a seguito dell'apertura della successione di Di Miscio Gerardo da cui derivava il diritto dei riservatari sulla stessa, i beni poi trasferiti con transazione a questi ultimi non appartenevano ai singoli appellanti Di Miscio sin dall'apertura della successione, anteriore alla data fissata dalla legge per lo scorporo.

Per effetto di tale errore, a Francesco Di Miscio era stata espropriata in eccedenza una quota di terreno pari al reddito dominicale di lire 1.354,51; a Gerardo una quota pari al r.d. di lire 3.921,44; a Nicola una quota pari al r.d. di lire 3.663,25. Antonio Di Miscio, infine, non avrebbe dovuto subire alcuno scorporo in quanto proprietario, al 15 novembre 1949, di terreni aventi un reddito dominicale complessivo inferiore a lire 30.000 con reddito medio per Ha. di lire 151.663.

Le ordinanze, regolarmente comunicate e notificate, venivano pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 170 dell'8 luglio 1970. Nei termini prescritti si costituiva dinanzi alla Corte costituzionale la Sezione speciale della riforma fondiaria dell'Ente di sviluppo irrigazione e trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania, rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato, per svolgere le seguenti deduzioni.

In primo luogo, pur riconoscendo che dinanzi alla Corte costituzionale non poteva risollevarsi l'eccezione relativa alla prescrizione, sia pure ai fini della rilevanza, domandava che l'emananda sentenza della Corte costituzionale facesse salvo il punto, con la consueta formula "in quanto" o simile.

Negava poi la fondatezza della questione relativa all'omessa pubblicazione del piano particolareggiato, poiché (come la Corte costituzionale aveva ritenuto con la sentenza n. 133 del 1967) la nuova pubblicazione del piano emendato non é necessaria quando non ricorrano le ipotesi di cui all'art. 2 della legge 2 aprile 1952, n. 339, tanto più quando la variante introdotta sia, conformemente alla richiesta degli espropriati, in diminuzione e non in aumento rispetto alla previsione originaria.

Relativamente al punto della consistenza del reddito dominicale valutata in base a dati non definitivi, l'Avvocatura osservava che, se é vero che le risultanze catastali 1949 debbono costituire un punto di riferimento indefettibile, é pure vero che tali dati debbono riflettere la reale situazione dei fondi.

Ora nell'ordinanza di rinvio non v'era cenno ad un'indagine in tal senso, limitandosi questa ad un’esemplificazione circa singole particelle senza minimamente occuparsi se nell'insieme del piano si fosse verificata una variazione in eccesso a danno degli espropriati.

Inoltre, come ammesso da costoro e come documentalmente comprovato all'udienza del 13 dicembre 1968, l'Ente accolse tutte le osservazioni degli interessati e modificò l'esproprio nei termini dai medesimi indicati.

Sarebbe stata, quindi, configurabile un'acquiescenza all'esproprio che può determinare la dichiarazione di manifesta infondatezza della questione, o - quanto meno - una riserva circa l'entità del torto che gli espropriati assumono di aver subito, spettando, in ogni caso, al giudice a quo la pronuncia sull'eventuale eccesso rispetto ai limiti di legge.

Comunque, a dire dell'Avvocatura, e ciò riguardava sia il secondo che il terzo profilo, la Corte d’appello aveva recepito dati non rispondenti alla realtà. Infatti, benché l'ordinanza faccia espresso riferimento alla transazione De Benedictis, si basa tuttavia implicitamente sulle conclusioni della consulenza tecnica d'ufficio in cui non si prese in considerazione tale atto, con il quale furono definite le vicende patrimoniali degli appellanti e degli eredi riservatari di Gerardo Di Miscio.

La consulenza tecnica, in realtà, tiene conto, ai fini della valutazione della consistenza terriera, di un acquisto da tal Giuseppe Sanfelice, della donazione fatta da Gerardo Di Miscio agli appellanti e della successiva divisione per notar Locurcio del 9 giugno 1946, del testamento di Gerardo Di Miscio del 30 agosto 1948 e infine di una successiva divisione fra gli appellanti di cui non precisa gli estremi. Non considera invece che il testamento venne impugnato dagli eredi riservatari e che fra questi e gli appellanti si addivenne al menzionato atto di transazione per notar De Benedictis 20 luglio 1950, n. 2680. Per contro l'Ente espropriante, a seguito del ricorso avverso il piano d’esproprio, aveva preso in considerazione l'atto transattivo e, ritenendo che i rapporti ereditari con esso definiti retroagissero al momento della successione, avvenuta il 30 marzo 1949, aveva aggiornato i dati secondo le richieste degli appellanti. In tal modo costoro, antecedentemente al novembre del 1949, a quella data e successivamente, risultavano proprietari delle partite computate ai fini dell'espropriazione, dalle quali erano state escluse quelle effettivamente appartenenti agli eredi riservatari di Gerardo Di Miscio.

L'Avvocatura conclude chiedendo che la questione venga dichiarata infondata e che comunque sia preso atto delle riserve formulate.

 

Considerato in diritto

 

1. - Con le quattro ordinanze in esame la Corte d’appello di Bari denuncia la violazione dell'art. 76 della Costituzione, in cui sarebbero incorsi i d.P.R. 27 dicembre 1952, nn. 3462, 3463, 3464, 3465, contenenti provvedimenti di scorporo di proprietà fondiaria nei confronti rispettivamente dei signori Antonio, Francesco, Gerardo e Nicola Di Miscio, in applicazione della legge stralcio 21 ottobre 1950, n. 841, perché, eccedendo dalla delega conferita all'art. 1 di questa: a) hanno proceduto ad esproprio dopo che l'Ente di riforma aveva effettuato sostanziali modifiche dei piani originari d’esproprio, senza avere curato la ripubblicazione dei piani stessi; b) hanno determinato la consistenza terriera sulla base di variazioni di reddito in corso d’accertamento da parte dell'ufficio tecnico ercourier newe ma non ancora definite al 15 novembre 1949; c) hanno valutato la consistenza stessa conteggiando il reddito dominicale di terreni intestati ai proprietari espropriati ma in realtà appartenenti a terzi eredi riservatari di Di Miscio Gerardo.

2. - In ordine al primo dei motivi riferiti, risulta dagli atti che i piani originari, i quali prevedevano a carico di Antonio Di Miscio lo scorporo di Ha. 25.60.21 col complessivo reddito dominicale di lire 984,81, di Francesco lo scorporo di Ha. 29.14.70 col complessivo r.d. di lire 15.882,94, a carico di Gerardo lo scorporo di Ha. 31.24.69 col r.d. di lire 10.373,65, a carico di Nicola lo scorporo di Ha. 33.46.81 col r.d. di lire 15.921,20, sono stati successivamente modificati in seguito a ricorso degli interessati nel senso di ridurre le quote di esproprio rispettivamente a Ha. 19.20.42 con r.d. di lire 7.489,63, a Ha. 10.66.43 con r.d. di lire 5.717,38, a Ha. 22.90.23 con r.d. di lire 5.784,22, a Ha. 15.34.61 con r.d. di lire 5.954,12.

La Corte in precedenti pronunce ha affermato il principio secondo cui la necessità di una nuova pubblicazione dei piani si verifica (pur se sia stata apportata una riduzione dell'entità dello scorporo quale risultava dal piano originario) allorché il nuovo piano abbia attuato sostanziali modifiche, come sono quelle che conseguano da un mutamento dei criteri giuridici che erano stati in precedenza posti a base del medesimo (sent. n. 39 del 1962; n. 38 del 1964; n. 133 del 1967). Con una più recente sentenza (n. 133 del 1969) é stato precisato che, allorché le modifiche non si sostanziano nell'aggiunzione di nuovi terreni o nuove ditte, deve ritenersi irrilevante la mancanza di pubblicazione del piano modificato allorché sia esclusa l'esistenza a carico dei soggetti espropriati di un danno diverso da quello eliminabile solo attraverso il particolare rimedio di cui all'art. 4, comma secondo, della legge n. 230 del 1950, ed invece riparabile con la denuncia di illegittimità costituzionale del decreto di esproprio. Ora nella specie risulta che le modificazioni apportate si riferiscono a terreni già compresi nel piano prima pubblicato, e sono consistite nella riduzione della loro estensione rispetto a quella che era stata considerata, sicché la preventiva conoscenza del nuovo piano nessun'altra tutela avrebbe potuto assicurare agli espropriati diversa da quella effettivamente ottenuta con il promuovimento del controllo della legittimità costituzionale del decreto.

3. - Nei riguardi del secondo motivo é da osservare che la Corte ha costantemente affermato il principio secondo cui, in conformità a quanto dispone l'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, a base dei provvedimenti di esproprio sono da assumere, per quanto riguarda la classe dei terreni e le valutazioni di estimo catastale, solo elementi definitivamente acquisiti al catasto alla data del 15 novembre 1949; mentre per l’estensione dei terreni espropriabili si deve accertare dal giudice a quo la corrispondenza dei dati del vecchio catasto alla situazione di fatto esistente alla data predetta, facendo prevalere questa a quelli (v. sent. n. 28, 84, 98, 99 del 1966, n. 133 del 1967, n. 43 del 1968, n. 143 del 1970). Se pertanto si é nella specie tenuto conto di mutamenti nello stato e nella classificazione delle culture ricavabili da accertamenti catastali che, se pure in corso al 15 novembre 1949, sono tuttavia divenuti definitivi successivamente, se ne deve far derivare la conseguenza della illegittimità costituzionale di questa parte del decreto.

4. - Sul terzo motivo dell'allegato eccesso di delega la questione si incentra sulla efficacia da attribuire, ai fini della valutazione della consistenza della proprietà appartenente agli espropriati alla data del 15 novembre 1949, alla transazione stipulata per atto del notaio De Benedictis in data 20 luglio 1950, a quanto pare a conclusione di una lite promossa dagli eredi riservatari di Di Miscio Gerardo, deceduto nel marzo del 1949, contro gli altri eredi a cui favore costui aveva disposto con suo testamento del 1948.

La Corte di appello osserva che, dovendosi tener conto della reale consistenza della proprietà ai fini dello scorporo, non può non aversi riguardo agli effetti su di essa della transazione stessa, pur se successiva al 1949: effetti che sarebbero consistiti nel trasferimento ai riservatari di terreni prima appartenenti ai ricorrenti, con conseguente riduzione delle quote espropriabili, secondo risulta anche dalla relazione della consulenza tecnica disposta dalla stessa Corte di appello. L'Avvocatura dello Stato contesta l'esattezza dei computi assunti a base dell'ordinanza, cui imputa di avere recepito dati non corrispondenti alla realtà. Il che sarebbe avvenuto, in primo luogo, perché la Corte non tenne presente che della regolamentazione dei rapporti ereditari risultanti da detta transazione era stato tenuto effettivamente conto dall'Ente di riforma, nella considerazione dell'efficacia retroattiva da assegnare ad essa, con il risultato di ridurre le quote di scorporo determinate con il piano; in secondo luogo perché venne trascurato di includere nella proprietà dei ricorrenti i terreni che erano loro pervenuti prima della morte del padre, con atto di divisione 9 giugno 1946 per notar Lo Curcio. Aggiunge l'Avvocatura che la perizia di ufficio ha determinato la consistenza dei beni prendendo anche in considerazione una divisione che sarebbe avvenuta fra i quattro fratelli, ma che non é in atti, e di cui il perito non precisa gli estremi.

In questa situazione non é dato alla Corte, secondo la sua costante giurisprudenza, procedere ad un esame del merito delle deduzioni del consulente tecnico, né di quelle dell'Avvocatura, sicché la sua pronuncia circa l'asserito eccesso di delega non può altrimenti esprimersi se non con la formula "in quanto", con cui si vuole far salvo il giudizio definitivo del giudice di merito, che dovrà accertare l'influenza da assegnare agli atti di transazione e di divisione che si sono ricordati, al fine della determinazione della effettiva consistenza dei beni di proprietà dei ricorrenti al 15 novembre 1949.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica 27 dicembre 1952, nn. 3462, 3463, 3464 e 3465, in quanto risulti che, nella determinazione delle quote di scorporo, si sia tenuto conto: a) dello stato delle culture non corrispondenti ai dati del catasto alla data del 15 novembre 1949; b) di beni che a questa data avevano legalmente cessato di far parte della proprietà degli espropriati fratelli Di Miscio perché appartenenti a terzi, eredi riservatari di Di Miscio Gerardo.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 giugno 1972.

Giuseppe CHIARELLI - Costantino MORTATI

Depositata in cancelleria il 6 luglio 1972.