Sentenza n. 38 del 1964
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SENTENZA N. 38

ANNO 1964

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. GASPARE AMBROSINI, Presidente

Prof. GIUSEPPE CASTELLI AVOLIO

Prof. ANTONINO PAPALDO

Prof. NICOLA JAEGER

Prof. GIOVANNI CASSANDRO

Dott. ANTONIO MANCA

Prof. ALDO SANDULLI

Prof. GIUSEPPE BRANCA

Prof. MICHELE FRAGALI

Prof. COSTANTINO MORTATI

Prof. GIUSEPPE CHIARELLI

Dott. GIUSEPPE VERZÌ

Dott. GIOVANNI BATTISTA BENEDETTI

Prof. FRANCESCO PAOLO BONIFACIO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 27 dicembre 1952, n. 3829, promosso con ordinanza emessa il 30 maggio 1963 dal Tribunale di Pisa nel procedimento civile vertente tra Paltrinieri Malaspina Antonio, Luciano e Vittorio, e l'Ente per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale, iscritta al n. 177 del Registro ordinanze 1963 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 281 del 26 ottobre 1963.

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Paltrinieri Malaspina Antonio, Luciano e Vittorio, e dell'Ente per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale;

udita nell'udienza pubblica del 4 marzo 1964 la relazione del Giudice Costantino Mortati;

uditi l'avv. Angiolo Adorni Braccesi, per i Paltrinieri Malaspina, e l'avv. Guido Astuti, per l'Ente Maremma.

 

Ritenuto in fatto

 

Il Tribunale di Pisa, adito dai signori Paltrinieri Malaspina Antonio ed altri per rivendicare, nei confronti dell'Ente per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale l'intera superficie dei terreni già di loro proprietà e ad essi espropriati in favore dell'Ente stesso con D.P.R. 27 dicembre 1952, n. 3829, ha ritenuto rilevante ai fini della definizione del giudizio, e non manifestamente infondata l'eccezione sollevata dagli attori, di illegittimità costituzionale del decreto ora citato, per eccesso della delega, sulla base della quale questo é stato emesso, in violazione dello art. 76 della Costituzione. Eccesso che si concreta, in primo luogo, nel fatto che la espropriazione é stata disposta in contrasto con l'art. 4 della legge n. 841 del 1950 e con l'art. 8 della legge 18 maggio 1951, n. 333, in quanto non si é provveduto alla previa pubblicazione del piano particolareggiato intestato ai singoli proprietari espropriandi (essendosi invece la pubblicazione effettuata con intestazione alla società in nome collettivo fratelli Paltrinieri), irregolarità che non può venir meno in base alla considerazione che, mancando la società in nome collettivo di personalità giuridica, l'esproprio disposto nei suoi confronti avrebbe dovuto intendersi riferito a carico dei singoli soci in proporzione delle rispettive quote, e ciò perché il piano, se riguardante costoro, si sarebbe dovuto riferire, ai fini del coacervo, alla situazione patrimoniale di ciascun soggetto nell'intero territorio nazionale.

In secondo luogo, altro eccesso é configurabile pel fatto che il decreto stesso si é riferito, al fine dell'applicazione della tabella di scorporo annessa alla predetta legge n. 841 del 1950, ai dati del nuovo catasto vigente al tempo dell'esproprio e non a quello del vecchio, qual era in vigore alla data del 15 novembre 1949. Pertanto, il Tribunale stesso, con ordinanza del 30 maggio 1963, ha disposto il rinvio degli atti alla Corte costituzionale, previa sospensione del giudizio in corso.

L'ordinanza debitamente notificata e comunicata é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 26 ottobre 1963, n. 281. Dinanzi alla Corte si sono costituiti i signori Paltrinieri con l'assistenza degli avvocati Adorni Braccesi e Celso Tabet, nonché l'Ente per la colonizzazione della Maremma tosco-laziale, rappresentata e difesa dall'avv. Guido Astuti.

La difesa dei Paltrinieri, con deduzioni depositate il 15 novembre 1963, ha fatto richiamo, per quanto riguarda la seconda eccezione sollevata dall'ordinanza, alla costante giurisprudenza di questa Corte, che ha affermato l'esigenza di determinare la quota di scorporo sulla base delle risultanze catastali alla data del 15 novembre 1949. Anche in ordine all'altra eccezione invoca le sentenze nn. 10 del 1959 e 39 del 1962, dalle quali risulterebbe che, a tenore della legge delegante, deve prendersi in considerazione, al fine del calcolo delle quote espropriabili, il complesso dei beni appartenenti ad ogni soggetto, e che ogni violazione di legge incorsa nella formazione del piano si ripercuote automaticamente sull'atto delegato. Contro le obiezioni dei resistenti fa osservare che la violazione rilevabile nella specie non é da considerare quale mero errore di calcolo, consistendo invece nell'applicazione di criteri giuridici diversi da quelli di legge, che ha avuto come conseguenza l'erronea individuazione del soggetto espropriando, e che pertanto la correzione dell'errore incorso non poteva dispensare dalla nuova pubblicazione del piano, dato che si é in realtà proceduto ad una modificazione sostanziale di quello originario. Conclude chiedendo che sia dichiarata la illegittimità costituzionale del decreto impugnato.

La difesa dell'Ente resistente conviene nel ritenere fondata la censura di eccesso basata sull'erroneo riferimento a dati catastali diversi da quelli risultanti al 15 novembre 1949, ma sostiene invece la infondatezza dell'altra questione.

Fa all'uopo rilevare come, una volta operatasi la rettifica dei dati relativi alle quote da espropriare relative a ciascuno dei comproprietari, ed intestato il decreto di esproprio ai singoli condomini, non possono venire in considerazione, nella presente sede di controllo di costituzionalità ed ai fini dell'accertamento dell'eccesso di delega, le attività preliminari al decreto stesso, che costituiscono fasi interne del procedimento, non suscettibili di per sé di ledere diritti o interessi, come é stato anche riconosciuto dalla Cassazione e dal Consiglio di Stato. Una nuova pubblicazione del piano non può ritenersi richiesta dall'art. 8 della legge n. 333 del 1951 che prevede l'espropriazione di una quota di terreno indivisa, e solo rispetto a detta ipotesi prescrive che il piano debba essere intestato al singolo condomino, mentre nulla da tali norme é argomentabile per la diversa ipotesi di cui nella specie. Risolvendosi la società in nome collettivo fra i fratelli Paltrinieri in una comunione, la sostituzione del nome dei singoli a quello della società non ha determinato alcun cambiamento sostanziale, ed ai sensi dell'art. 8 citato, null'altro si sarebbe potuto esigere, se non il computo separato delle diverse quote di scorporo, previa commassazione dei beni dei singoli partecipanti alla comunione; non mai l'emanazione di tanti decreti quanti sono i soggetti colpiti dall'esproprio. Si osserva altresì che un obbligo in tal senso non si desume neanche dall'art. 2 della legge 2 aprile 1952, n. 339, che conferisce solo facoltà agli Enti di pubblicare nuovi piani oltre il termine prima fissato e fino al 30 settembre 1952, ed esclusivamente nei casi ivi contemplati: di estensione dell'espropriazione a nuovi terreni, o a ditte non comprese nei piani o di sostituzione di alcuni terreni con altri, mentre nella specie si rese necessaria la sola riduzione delle quote di scorporo.

Anche gli artt. 3, 4, 5 della legge n. 230 del 1950 escludono che vi sia obbligo di ripubblicazione dei piani a seguito di rettifica di eventuali errori prima intercorsi, appunto perché non é richiesta, ai fini della costituzionalità dei decreti di esproprio, che vi sia piena corrispondenza di questi con i precedenti piani.

Si aggiunge che la necessità di una ripubblicazione si sarebbe potuta riconoscere se l'erronea intestazione avesse impedito la esatta identificazione del fondo minacciato da esproprio da parte dei legittimi proprietari, oppure quando la rettifica del piano avesse importato l'espropriazione di particelle non elencate regolarmente in esso. Ciò non si é verificato nella specie perché, da una parte, l'errore materiale di intestazione non impedì ai sigg. Paltrinieri di riconoscersi come soggetti passivi dell'esproprio, così da poter proporre tempestivo reclamo, che venne accolto, e dalla altra, sotto l'aspetto obiettivo, l'unica modifica apportata e consistita nella riduzione della superficie espropriata. Sicché non essendosi prodotta nessuna lesione giuridica a carico degli istanti, ed avendo l'atto impugnato raggiunto lo scopo cui era rivolto, non potrebbe dichiararsene la nullità, secondo un principio generale, che ha avuto una specifica consacrazione legislativa nell'art. 156 del Cod. proc. civile.

Si aggiunge che, se pure dovesse essere comprovato un errore nel computo delle quote di scorporo dovute dagli istanti, tale errore non potrebbe altro comportare, nella presente sede, se non una ipotetica declaratoria di incostituzionalità, per la sola parte che risultasse espropriata in eccesso, non già per la totalità del decreto impugnato.

Conclude chiedendo che sia dichiarata infondata la prima delle questioni proposte con l'ordinanza del Tribunale di Pisa.

Con memoria depositata il 20 febbraio 1964 la difesa dei ricorrenti ha ribadito le considerazioni esposte nelle deduzioni, assumendo in particolare, come, contrariamente all'assunto della controparte, l'irregolare procedimento di formazione dell'atto di esproprio determina la sua invalidità, non diversamente da quanto accade, in ipotesi analoga, per la legge. Aggiunge che non può farsi valere quale mero errore materiale l'errore di diritto nella formazione del piano, che si é verificato con la formazione di un piano unico in confronto a terreni posseduti in comunione, e che il richiamo fatto dall'Ente resistente all'art. 2 della legge n. 339 del 1952, lungi dal condurre ad escludere, come si assume, l'obbligo di ripubblicazione del piano, può essere invocato in senso contrario. Infatti, se tale obbligo si fa valere nell'ipotesi di mutamenti puramente numerici o qualitativi, con più forte ragione deve ricorrere quando si adottino nuovi criteri suscettibili di determinare un'assoluta discrepanza fra piano originario e decreto. Se é vero che nel decreto di esproprio sono inclusi beni i quali già erano compresi nel piano intestato alla società in nome collettivo, é vero altresì che per potere giungere a tale risultato si é dovuto procedere al coammasso con altri beni non valutati, nonché all'esclusione di una parte di quelli della comunione, per la determinazione del terzo residuo. Allo stesso modo, se é vero che i piani consistono solo in un elenco di particelle e della loro qualifica e reddito, senza altra elaborazione, é vero d'altra parte, che da questi elementi gli interessati hanno modo di conoscere l'esatta individuazione dei terreni e l'esatta loro qualifica e reddito, cosicché, sottraendo alla conoscenza dei proprietari espropriati le nuove operazioni eseguite ed i criteri che le hanno dirette, si é tolto loro la possibilità di fare gli opportuni controlli e rilievi, in ordine sia alla individuazione ed attribuzione dei terreni, sia alla qualifica e reddito loro assegnato, mentre nessun rilievo può conferirsi al fatto della riduzione che si é venuta ad operare della proprietà espropriata. Tanto più che dalla perizia di parte é risultato che la proprietà di uno dei tre condomini non avrebbe dovuto essere oggetto di esproprio, e quella degli altri due esservi assoggettata in misura minore di quanto disposto.

La difesa stessa conclude insistendo nel chiedere la dichiarazione di totale illegittimità del decreto di esproprio.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il primo dei motivi di eccesso di delega proposti dalla ordinanza del Tribunale di Pisa solleva la questione relativa all'obbligo dell'Ente espropriante di procedere ad una nuova pubblicazione dei piani particolareggiati di espropriazione allorché esso abbia (in seguito a richiesta dei proprietari interessati, formulata ai sensi dell'art. 4 della legge n. 230 del 1950, onde ottenere la rettifica di errori in essa incorsi) provveduto ad operare un nuovo computo del reddito dominicale ed emesso il decreto di espropriazione sulla base di tale diversa valutazione.

É anzitutto da mettere in rilievo come la denuncia da parte degli interessati, ed ugualmente la censura di cui all'ordinanza, non riguardavano tanto l'erronea determinazione del soggetto colpito dalla espropriazione (poiché il piano, pur facendo menzione della società agricola in nome collettivo "Fratelli Paltrinieri", non la considerava quale entità fornita di propria personalità giuridica, ma, con specifica menzione dei singoli partecipanti, determinava la misura degli espropri facendo riferimento alle quote di ciascuno di essi ed in proporzione alle medesime), quanto l'errore sull'oggetto, pel fatto di avere trascurato di procedere al coacervo dei vari beni appartenenti ai predetti, come sarebbe stato necessario in applicazione dell'art. 4 della legge n. 841 del 1950 (interpretato dall'articolo unico legge 16 agosto 1952, n. 1206), secondo cui la determinazione della quota da espropriare é da compiere in base al reddito dominicale dell'intera proprietà. La correzione dell'errore incorso ha reso necessaria una radicale modifica del piano particolareggiato originario, con la conseguenza di sostituire alla espropriazione della superficie catastale di Ha. 469,12,41, prima stabilita, una diversa per un'estensione molto minore, di Ha. 299,49,15.

La Corte ha già in precedenti pronunce (e specie nelle sentenze nn. 33 del 1961, 39 del 1962,126 del 1963) ripetutamente affermato il principio della necessità della corrispondenza fra le risultanze dei piani particolareggiati e le statuizioni dei decreti d'esproprio, e quindi dell'esigenza di procedere a nuova pubblicazione dei piani stessi allorché si accerti nei medesimi la sussistenza di errori che non siano meramente materiali.

I motivi ora dedotti dalla difesa dell'Ente Maremma non contengono argomenti che inducano a dare diversa interpretazione alle norme in materia. Non é da accogliere infatti l'opinione secondo cui ogni giudizio sulla sussistenza dell'obbligo di ripubblicazione dei piani e sulla sua osservanza dovrebbe rimanere sottratto al sindacato di costituzionalità, essendo questo limitato all'accertamento della rispondenza dei decreti di esproprio alla legge delegante, senza estendersi agli atti preparatori, che, per il loro carattere meramente interno, sarebbero da equiparare ai progetti di legge. A smentire la esattezza di tale tesi (e pure a prescindere da ogni considerazione di carattere generale sul punto relativo alla sindacabilità in questa sede degli atti o attività che concorrono alla formazione della legge quando questa assuma carattere di legge-provvedimento) basta considerare che la rilevanza dei piani di esproprio verso l'esterno, cioè nei confronti dei proprietari minacciati di esproprio nonché dei terzi interessati, risulta in modo testuale dall'obbligo di pubblicazione imposto dall'art. 4 della legge n. 230, che ovviamente assume la funzione di consentire la conoscenza della legalità del procedimento prescritto per la determinazione delle quote di scorporo, e di conseguenza rendere possibile l'esperimento dei rimedi rivolti ad ottenere la eliminazione di eventuali violazioni delle norme stesse, a preventiva tutela, in via amministrativa, dei diritti ed interessi pregiudicati dai piani. Sicché, costituendo i piani stessi elemento essenziale per la regolarità della formazione dei decreti di esproprio (secondo é altresì comprovato dall'obbligo della loro menzione nelle premesse di questi ultimi), deve escludersi l'asserita discrezionalità del legislatore delegato di discostarsi dalle risultanze dei medesimi, e negarsi altresì che possa sfuggire al sindacato di costituzionalità l'accertamento dell'osservanza delle modalità relative alla loro formazione. Proprio il richiamo che il resistente fa alle decisioni del Consiglio di Stato e della Cassazione, che hanno escluso la sottoposizione dei piani al sindacato delle giurisdizioni ordinaria ed amministrativa, in quanto ritenuti parti integranti dei decreti legislativi di esproprio, giova a riaffermare l'infondatezza della tesi sostenuta.

Né vale eccepire che l'art. 4 predetto non prescrive alcuna nuova pubblicazione nell'ipotesi prevista dall'ultimo comma, di rettifica di errori incorsi: ciò perché un'esigenza in questo senso discende dalla già rilevata funzione assegnata ai piani, di consentire fin dalla fase formativa dei decreti una difesa di fronte a lesioni lamentate dagli interessati, lesioni che ove si verifichino anche nelle operazioni rivolte alla correzione dei piani originari, rimarrebbero prive dei rimedi preventivi voluti assicurare ove si escludesse la necessità di rendere note le risultanze del nuovo procedimento esperito.

Argomento in contrario non può ricavarsi neppure dall'art. 2 della legge 2 aprile 1952, n. 339, poiché questo, come la stessa difesa del resistente rileva, conferisce solo una facoltà agli Enti di riforma di prolungare il termine utile, già fissato al 31 dicembre 1951, per la ripubblicazione dei piani particolareggiati, onde consentir loro il perseguimento dell'interesse pubblico affidato alla loro cura procedendo ad un tardivo accertamento delle consistenze patrimoniali, nell'eventualità che l'originaria determinazione delle quote espropriate fosse risultata inadeguata all'effettiva consistenza patrimoniale dei soggetti cui i precedenti piani si riferivano, e si fosse quindi presentata l'esigenza di una integrazione delle quote stesse. Si tratta in sostanza di una estensione nel tempo dei poteri discrezionali propri degli Enti, che nulla ha a che fare con l'obbligo che sorge nel caso, inverso a quello considerato nell'art. 2, di piani includenti beni non suscettibili di espropriazione o eccedenti le quote espropriabili.

Deve pertanto riaffermarsi il principio secondo cui la corrispondenza fra il contenuto del piano e quello del decreto di esproprio sia da richiedere almeno per la parte che assume rilievo sostanziale, e che di conseguenza una nuova pubblicazione si rende necessaria allorché vengano assunti elementi di giudizio prima trascurati o non esattamente valutati, e siano adottati criteri ed applicate norme diverse da quelle prima tenute presenti, così da pervenire ad una nuova e diversa determinazione delle quote da espropriare.

Che quest'ultima ipotesi si sia verificata nella specie risulta dalla precedente esposizione, senza che nulla possa opporsi in contrario pel fatto che i nuovi accertamenti abbiano condotto alla riduzione delle precedenti quote di scorporo, e che l'esproprio disposto non comprenda particelle diverse da quelle già considerate nel piano pubblicato nel dicembre 1961. Poiché, come si é ricordato, le doglianze mosse avverso quest'ultimo traevano ragione dalla mancata osservanza dell'art. 4 della legge stralcio e dell'articolo unico della legge n. 1206 del 1952, incombeva all'Ente (una volta accertato l'errore verificatosi) l'obbligo di rendere note le modalità seguite per la determinazione del reddito dominicale della intera proprietà di ognuno dei condomini, al fine di stabilire se e quale quota dei terreni siti in zona di riforma fosse suscettibile di esproprio a carico di ciascuno dei condomini, e così consentire agli interessati di far valere i loro rilievi.

2. - Quanto al secondo motivo di incostituzionalità con cui si denuncia l'avvenuta assunzione, ai fini della quota di scorporo, di dati catastali diversi da quelli risultanti alla data del 15 novembre 1949 (motivo che anche la difesa dell'Ente ritiene fondato), non vi é luogo a deliberare, rimanendo esso assorbito dall'accoglimento del precedente;

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale del D.P.R. 27 dicembre 1952, n. 3829 (pubblicato nel supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale, n. 16 del 21 gennaio 1953), in relazione all'art. 4 della legge n. 230 del 1950 e all'art. 4 della legge n. 841 del 1950, e con riferimento agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 maggio 1964.

Gaspare AMBROSINI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI – Giuseppe VERZì - Giovanni Battista BENEDETTI -  Francesco Paolo BONIFACIO.

 

Depositata in Cancelleria il 23 maggio 1964.