Sentenza n. 39 del 1962
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SENTENZA N. 39

ANNO 1962

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Avv. Giuseppe CAPPI, Presidente

Prof. Gaspare AMBROSINI

Dott. Mario COSATTI

Prof. Francesco Pantaleo GABRIELI

Prof. Giuseppe CASTELLI AVOLIO

Prof. Antonino PAPALDO

Prof. Nicola JAEGER

Prof. Giovanni CASSANDRO

Prof. Biagio PETROCELLI

Dott. Antonio MANCA

Prof. Aldo SANDULLI

Prof. Giuseppe BRANCA

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI,

ha pronunciato la seguente   

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale del D.P.R. 29 novembre 1952, n. 3052, promosso con ordinanza emessa il 16 febbraio 1961 dal Tribunale di Melfi nel procedimento civile tra Tufaroli Luciano e l'Ente per lo sviluppo della irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania - Sezione speciale per la riforma fondiaria -, iscritta al n. 66 del Registro ordinanze 1961 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 124 del 20 maggio 1961.

Vista la dichiarazione di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri;

udita nell'udienza pubblica del 21 marzo 1962 la relazione del Giudice Francesco Pantaleo Gabrieli:

uditi l'avv. Antonio Sorrentino, per Tufaroli Luciano, e il sostituto avvocato generale dello Stato Francesco Agrò, per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per l'Ente riforma.  

Ritenuto in fatto 

Più che dall'ordinanza 16 febbraio 1961 del Tribunale di Melfi - della quale é a rilevare la scarsa chiarezza - i fatti di causa si desumono, come qui di seguito sintetizzati, dai fascicoli del giudizio di merito.

L'Ente per lo sviluppo della irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania - Sezione speciale per la riforma fondiaria - nel piano particolareggiato di esproprio n. 38, pubblicato il 15 ottobre 1951, aveva calcolato la proprietà terriera di Tufaroli Luciano, al netto delle vendite effettuate prima del 28 ottobre 1950 ai sensi del D.L. 24 febbraio 1948, n. 114 (piccola proprietà contadina), in ha. 370.23.05, reddito dominicale 33.332.41. Dalla consistenza patrimoniale così determinata aveva detratto i terreni oggetto di quelle vendite, tra le sopraccennate, effettuate nel primo anno di applicazione del decreto legislativo n. 114; e cioè complessivi ha. 26.57.93, reddito dominicale 2.994.61. Aveva stabilito, così la base di scorporo in ha. 343.65.12, reddito dominicale 30.387.43 e su di essa aveva calcolato la quota da scorporare in ha. 83.04.85, reddito dominicale 7.271.46.

Avverso tale piano proponeva reclamo il Tufaroli rappresentando, tra l'altro, che con atto notar Proto del 1 novembre 1949, ha. 4.27.70, reddito dominicale 470.26, erano stati venduti ad Altamura Donato, e che con altro atto dello stesso notaio del 14 dicembre 1949 ha. 5.46.91, reddito dominicale 610.60, erano stati venduti a Romanelli Domenico, ai sensi del ripetuto decreto n. 114. Onde, computando tali alienazioni - che, invece, erano state erroneamente omesse dall'Ente - il patrimonio risultava di reddito dominicale inferiore al limite legale di assoggettamento allo scorporo, fissato in lire 30 mila dalla tabella allegata alla legge 21 ottobre 1950, n. 841. L'Ente accoglieva il reclamo limitatamente alla vendita effettuata al Romanelli e con il D.P.R. 29 novembre 1952, n. 3052, senza alcuna preventiva ripubblicazione del piano di scorporo, disponeva ugualmente il medesimo per ha. 67.59.31, reddito dominicale 5.966.95.

Convenuto in giudizio, l'Ente chiariva il proprio operato facendo presente di aver modificato l'originario piano di esproprio avendo rilevato - esaminando il reclamo del Tufaroli - di essere incorso in un errore. E cioè, i terreni per complessivi ha. 26.57.93, reddito dominicale 2.994.61 - non comprensivi del terreno di ha. 4.27.7, reddito dominicale 470.26, venduto all'Altamura dopo il primo anno di applicazione del decreto legislativo n. 114 - erano stati detratti due volte dall'intero patrimonio. Invece, la prima volta dovevano essere detratti da esso, insieme ai terreni alienati successivamente a detto anno e, quindi, insieme al terreno alienato all'Altamura, per determinare la consistenza patrimoniale al 15 novembre 1949. La seconda volta dovevano essere detratti dalla quota scorporabile soltanto gli ha. 26.75.93. E ciò ai sensi degli artt. 20 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e 11 del D.L. 24 febbraio 1948, n. 114.

Di conseguenza, effettuato nuovamente il computo con siffatto criterio - cioè detraendo dall'intero patrimonio tutti i terreni venduti ai sensi del ripetuto decreto n. 114 entro il 28 ottobre 1950, ivi compreso, quindi, quello alienato all'Altamura e quello alienato al Romanelli (erroneamente omesso in precedenza) - aveva determinato in ha. 364.76.17, reddito dominicale 32.730.81, il patrimonio del Tufaroli e, quindi, lo aveva sottoposto a scorporo, siccome di reddito dominicale superiore alle lire 30.000. Detratti, poi, dalla quota da espropriare i terreni venduti con i benefici del ridetto decreto n. 114 entro il primo anno di applicazione di esso - e, quindi, esclusi quelli alienati all'Altamura e al Romanelli perché ceduti dopo tale anno - aveva ridotto la quota stessa ad ha. 67.59.31, reddito dominicale 5.966.95.

Eccepiva allora il Tufaroli la illegittimità costituzionale del decreto di esproprio per avere disposto il medesimo senza la preventiva ripubblicazione del relativo piano particolareggiato, ripubblicazione nella specie necessaria in quanto al piano pubblicato precedentemente, ma riconosciuto errato, erano state apportate profonde e sostanziali modifiche; ed inoltre, per aver detratto il reddito dei terreni alienati con i benefici della piccola proprietà contadina da quello della quota di scorporo, invece che dal reddito complessivo dei terreni, ai fini della costituzione della base di scorporo.

Il Tribunale di Melfi, con l'ordinanza avanti indicata, riconosciuta la rilevanza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tufaroli e ritenuta la non manifesta infondatezza di essa, ha sospeso il giudizio ed ha inviato gli atti a questa Corte per decidere se la legge - provvedimento di scorporo emanata dal Presidente della Repubblica con decreto 29 novembre 1952, n. 3052, sia viziata di illegittimità costituzionale in relazione alle leggi 12 maggio 1950, n. 230 (artt. 3, 4 e 5); 21 ottobre 1950, n. 841 (articoli 4 e 20); decreto legislativo 24 febbraio 1948, n. 114, ratificato con la legge 22 marzo 1950, n. 144 (art. 11), e legge 18 maggio 1951, n. 333 (art. 4), e in riferimento all'art. 76 della Costituzione.

L'ordinanza del Tribunale di Melfi, ritualmente notificata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 124 del 20 maggio 1961.

Nel presente giudizio si sono costituiti, mediante deposito in cancelleria delle proprie deduzioni, sia il Tufaroli che l'Ente riforma. É intervenuto, altresì, il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Il Tufaroli, rappresentato e difeso dall'avv. Antonio Sorrentino, con elezione di domicilio in Roma, presso lo studio di questo ultimo in Lungotevere delle Navi, 30, nelle cennate deduzioni rileva quanto segue:

il piano particolareggiato é un elemento tassativo del procedimento dettato dalla legge e, quindi, condizione della legittimità del decreto di scorporo.

Pertanto, una sostanziale modifica apportata a quello già pubblicato a seguito della adozione di criteri di computo diversi, esige la ripubblicazione di esso; altrimenti l'esproprio é da considerarsi disposto sulla base di un piano diverso da quello pubblicato.

Tale esigenza risulta implicitamente dalla disposizione dello art. 2 della legge 2 aprile 1952, n. 339. La proroga dei termini accordata in questo articolo sarebbe stata superflua se si fosse potuto espropriare in base ad un piano particolareggiato sostanzialmente modificato dopo la pubblicazione.

Per quanto attiene alla seconda questione, si rileva che il limite menzionato nell'art. 11 del decreto n. 114, sia fisso come nella legge - Sila, ovvero coordinato col reddito imponibile, come nella legge - stralcio, va riferito sempre al patrimonio e non già alla quota da scorporare; altrimenti si altera il sistema del cennato decreto. In questo, il rapporto tra proprietà venduta e proprietà assoggettabile a scorporo é posto in termini di superficie. Senonché, avendo la legge - stralcio adottato il criterio del reddito imponibile, l'Ente ha calcolato quel rapporto detraendo il reddito dei terreni venduti dal reddito dei terreni scorporati.

Il criterio del reddito, però, vale soltanto per determinare la quota scorporabile, cioé per stabilire in primo luogo se la proprietà é o meno soggetta a scorporo e, in caso affermativo, in quale misura deve essere scorporata. Il reddito, pertanto, rimane un fattore dell'operazione aritmetica, onde il risultato, cioè la quota scorporabile, é espressa in superficie. Di conseguenza, la detrazione del reddito dei terreni venduti non può avvenire che in sede di determinazione della quota espropriabile e non quando essa é stata già determinata nella sua estensione.

L'Ente di riforma, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, osserva che nella specie il piano particolareggiato fu rettificato dall'Ente a seguito:

a) dell'accoglimento di un motivo di ricorso del Tufaroli, inteso ad ottenere la detrazione dalla consistenza patrimoniale di un fondo di ha. 5.46.91, alienato in data 14 dicembre 1949 ai sensi delle leggi sulla piccola proprietà contadina;

b) della rettifica d'ufficio dell'errore commesso nell'operare la detrazione prevista dall'art. 11 del decreto legislativo n. 114 di ha. 26.57.93, reddito dominicale 2.944.61. E per effetto di tale rettifica i terreni compresi nel piano si ridussero da ha. 83.04.85 ad ha. 67.59.31. Ne deriva che non era necessaria la pubblicazione di un nuovo piano, neppure ai fini di tutela di eventuali diritti di terzi, in quanto non venne operata sostituzione o inclusione di ulteriori terreni, ma, anzi, la riduzione di quelli già indicati nel piano particolareggiato precedentemente pubblicato. Non si era cioè verificata l'ipotesi preveduta dall'art. 2 della legge 2 aprile 1952, n. 339, per far luogo alla pubblicazione di un nuovo piano particolareggiato.

Per le alienazioni effettuate ai sensi dell'art. 11 del decreto legislativo 24 febbraio 1948, n. 114, l'Ente rileva, poi, che bisogna distinguere tra quelle compiute nel periodo che intercorre tra l'entrata in vigore di esso ed il 15 novembre 1949 e quelle posteriori al 15 novembre 1949 e sino al 28 ottobre 1950.

Per queste ultime non opera la sanzione di inefficacia di cui all'art. 20 della legge 21 ottobre 1950, n. 841 (legge stralcio).

Per le alienazioni poste in essere tra il febbraio 1948 ed il 15 novembre 1949 occorre distinguere ancora tra legge - Sila e legge - stralcio.

Per la prima, il limite dei 300 ettari si aumenta di una superficie pari a quella venduta in periodo non colpito dalla inefficacia.

Per la legge stralcio, che non conosce un limite fisso e che dispone non già in termini di superficie, ma in termini di reddito dominicale, occorre esaminare come la previsione del decreto del 1948 deve adattarsi alla nuova situazione, in modo che possa considerarsi adempiuta la promessa del legislatore e cioè che il limite di proprietà consentito sia maggiorato di una quantità di terreno pari a quello alienato.

Questo limite é dato conoscere esclusivamente dopo aver calcolato la quota da scorporare, poiché é costituito da quanto residua dal patrimonio dopo aver detratto tale quota. A questo residuo va poi aggiunta, in esenzione, una quantità di reddito dominicale pari a quello relativo alla proprietà ceduta ai sensi del decreto del 1948.

Operandosi diversamente, e cioè in fase di calcolo di scorporo, non si adempie al decreto suddetto. E ciò, tra l'altro, perché detraendo dalla consistenza complessiva soggetta ad espropriazione, non sempre consegue che il limite di proprietà privata sia aumentato esattamente della quantità di reddito dominicale equivalente alle superfici cedute. Anzi, é probabile che, tenuto conto delle condizioni medie delle zone di riforma, si tratti di un reddito alquanto inferiore.

In sintesi:

a) il reddito dei terreni alienati dopo il 15 novembre 1949, deve essere detratto dalla consistenza complessiva del patrimonio per effetto della inapplicabilità della inefficacia di cui all'art. 20 della legge 21 ottobre 1950, n. 841;

b) il reddito dei terreni, alienati prima del 15 novembre 1949, deve essere portato in aumento del limite di proprietà che deve rimanere inespropriato.

il Presidente del Consiglio dei Ministri ha osservato che la procedura di esproprio prevede (art. 4 della legge Sila) la pubblicazione di piani particolareggiati al fine di consentire agli interessati di richiedere la rettifica di eventuali errori materiali, ma non prescrive che ad ogni successiva rettifica del piano originario debba farsi luogo ad una nuova pubblicazione.

Una volta che l'espropriando sia stato messo in condizione di far valere le proprie ragioni in relazione a quei determinati terreni inclusi nel piano, ogni adempimento degli enti di riforma ai fini della pubblicità deve ritenersi esaurito.

Che nel sistema della legislazione della riforma fondiaria ad ogni rettifica di piano particolareggiato non debba seguire necessariamente la ripubblicazione, é dimostrato - continua l'Avvocatura - dall'art. 2 della legge 2 aprile 1952 che consentiva agli enti di riforma di pubblicare piani particolareggiati di espropriazione oltre i termini precedentemente fissati, soltanto nei casi in cui i piani originari dovessero essere modificati con la inclusione di altri terreni, diversi da quelli compresi nei piani espropriativi pubblicati nei termini. Il che significa che il legislatore ha ritenuto necessaria la ripubblicazione del piano; ed a tal fine ha prorogato i termini, nelle sole ipotesi riconducibili ad un mutamento dell'oggetto concreto dello scorporo.

Nella specie, l'Ente espropriante, dopo la pubblicazione del piano originario, aveva, sia pure soltanto in parte, accolto le deduzioni dell'interessato e ridotto di conseguenza la quota di scorporo da ha. 83.04.85 ad ha. 67.59.31. Una nuova pubblicazione del piano particolareggiato in siffatta situazione sarebbe stata, quindi, superflua.

Sulla seconda questione si rileva che per il combinato disposto delle norme contenute nell'art. 11 del decreto legislativo n. 114 e nell'art. 20 della legge stralcio il legislatore, allo scopo di sollecitare lo spontaneo sviluppo della proprietà contadina, ha inteso usare un trattamento di favore alle alienazioni poste in essere a tal fine entro il 28 ottobre 1950 (art. 4 della legge 18 maggio 1951, n. 333), sottraendole alla regola di inefficacia dettata per tutti gli altri atti a titolo oneroso. Cioè i terreni oggetto di tali alienazioni non devono essere considerati nel patrimonio dell'alienante.

Diversa é la disciplina per le alienazioni poste in essere prima del 15 novembre 1949, cioè non dichiarate inefficaci dal citato art. 20 della legge stralcio.

Rispetto ad esse l'impegno assunto dal legislatore del 1948 nell'art. 11 del decreto n. 114 viene mantenuto determinando, prima, di quanto il soggetto dovrà essere scorporato e reintegrando, quindi, il residuo di una quantità di reddito pari a quello alienato.

Pertanto, non sulla consistenza complessiva di base, ma sulla quota di scorporo deve operarsi la reintegrazione della superficie (o - come qui accade - del reddito) oggetto di alienazione. Si riduce la quota da scorporare proprio per aumentare il residuo "limite", secondo la terminologia della legge del 1948.

Ai sensi dell'art. 10 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, sia il Tufaroli che l'Ente di riforma, nonché il Presidente del Consiglio dei Ministri hanno presentato memorie illustrative.

L'Avvocatura dello Stato in un'unica, breve memoria prodotta nell'interesse sia dell'Ente, sia del Presidente del Consiglio dei Ministri, ribadisce quanto già esposto nelle deduzioni.

Il Tufaroli, sulla prima questione rileva preliminarmente che ove fosse dimostrato che la pubblicazione del nuovo piano di esproprio era necessaria, si sarebbe indubbiamente in presenza di un vizio di legittimità costituzionale del decreto legislativo di esproprio, in quanto la puntuale osservanza del procedimento prescritto dalla legge delegante condiziona la costituzionalità della legge delegata.

L'art. 2 della legge 2 aprile 1952, n. 339, ha il solo scopo di prorogare i termini per la pubblicazione dei piani nei casi particolari in essa indicati. Conferisce, cioè, una facoltà al Governo in determinate ipotesi.

Pertanto, non sta a significare che soltanto in quelle ipotesi é obbligatoria la pubblicazione del nuovo piano.

La questione va, quindi, risolta in base ai principi generali delle leggi di riforma fondiaria. Nel sistema delle quali il piano particolareggiato costituisce il fondamento dell'attività legislativa delegata al Governo.

Né giova indagare lo scopo pratico delle pubblicazioni dei piani particolareggiati, in quanto in un procedimento rigorosamente ordinato, quale é quello della delega legislativa, anche l'osservanza delle forme ha importanza sostanziale.

La legge ammette contro i piani particolareggiati il reclamo soltanto per le rettifiche di errori materiali. Di conseguenza questo ambito nel quale é circoscritto il reclamo delimita altresì la potestà di rettifica spettante all'autorità amministrativa. Il che vuol dire che se il piano é radicalmente modificato, se poggia su basi, su principi giuridici, su norme diverse, si ha un nuovo piano, non una rettifica del piano precedente. In tal caso l'Ente, se é in termini per la pubblicazione del nuovo piano, potrà mutarlo: se questi siano scaduti sarà vincolato da quello già predisposto.

Le limitazioni che derivano dal carattere rigorosamente predeterminato dei procedimenti per l'esercizio della delega legislativa non giocano in una direzione sola, non vincolano soltanto l'espropriando, ma anche l'espropriante.

Sulla seconda questione il Tufaroli premette che con l'art. 20 della legge stralcio sono stati accordati due benefici: vengono esercitati dalla dichiarazione di inefficacia i trasferimenti in favore della piccola proprietà contadina ancorché posti in essere dopo il 15 novembre 1949; non si tiene conto "del limite" previsto dalle disposizioni limitatrici della proprietà fondiaria di "una superficie pari" a quella dei terreni venduti o ceduti in enfiteusi.

Precisato che circa le modalità di applicazione del primo beneficio non sorgono divergenze, il Tufaroli asserisce che per ottenere il secondo beneficio occorre interpretare rettamente l'art. 11 del D.L. n. 114 del 1948.

Questo prescrive che se interverranno "disposizioni limitatrici della proprietà fondiaria", non si deve tener conto "nella applicazione del limite" di una superficie pari a quella dei terreni venduti o ceduti in enfiteusi. La sua formulazione letterale, cioè, é inequivoca e chiarissima: una superficie pari a quella venduta o ceduta in enfiteusi deve essere esclusa dal limite posto dalle leggi sulla riforma fondiaria e non dalla entità espropriata.

Non viene contestato - continua il Tufaroli - che questo sia il modo di applicare la norma dove sia fissata come limite la sola superficie; così per la legge Sila, un proprietario che ad es. possieda trecentodieci ettari non sarà passibile di espropriazione se ha venduto o ceduto a piccoli coltivatori più di dieci ettari; se poi egli é comunque soggetto a scorporo, non potrà essere lasciato con una proprietà inferiore a 300 ettari, aumentati dalla superficie come sopra venduta o ceduta. Ma anche se il limite della proprietà fondiaria esente da scorporo é stabilito in relazione al reddito dominicale, come accade per la legge stralcio, non vi é una impossibilità , pratica o giuridica, ad applicare la norma con lo stesso criterio anziché trasferire il beneficio sulla quota scorporata. All'uopo occorre sottrarre dal patrimonio dell'espropriando una superficie pari a quella dei terreni venduti o "ceduti in enfiteusi ai sensi del decreto legislativo del 1948". La sola differenza consiste in ciò: che la esclusione della superficie importa anche la esclusione dei redditi corrispondenti. Il fatto che ai fini della legge stralcio non ci sia un limite di esenzione dallo scorporo di portata generale, ma che questo vari, considerando i due elementi - superficie e reddito - non importa già che non vi sia un limite.

Nel caso presente si tratta, peraltro di quel limite minimo (imponibile di lire 30.000), che é fisso ed invariabile, il che basterebbe a superare ogni difficoltà.

Con il sistema adottato dall'Ente - argomenta poi il Tufaroli - si finisce per abbandonare ogni riferimento "alla superficie" dei terreni venduti o ceduti in enfiteusi. Ed invero, determinata la quota di scorporo, si prende in considerazione il solo reddito dominicale dei terreni venduti o ceduti in enfiteusi e questo poi si converte in "superficie" senza alcuna corrispondenza effettiva con la "superficie" alienata ai sensi della legge sulla piccola proprietà contadina.

Osserva ancora il Tufaroli che il concetto di "limite" precede in ordine, sia logico, sia temporale, quello di scorporo. Il limite attiene alla determinazione dei beni che sono assoggettabili alla legge futura. Superato il limite si potrà parlare di scorporo.

La lettera della norma, inoltre, sarebbe confermata dalla ratio di essa. E all'uopo nella memoria si fa presente quanto segue:

il decreto del 1948 fu emanato avendo presente l'art. 44 della Costituzione nel quale si afferma che la legge "impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera" e "fissa limiti, alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie". Il limite cui si riferisce la legge del 1948 non può essere perciò altro che quello della proprietà privata destinata a restare esente dalle future leggi di riforma, emanate in applicazione del precetto costituzionale.

La legge Sila, la quale fra le due leggi di riforma é la più vicina al decreto del 1948, é appunto basata su un "limite" di estensione della proprietà privata. Ma anche la legge - stralcio ha un limite, al di sotto del quale la proprietà non é espropriabile.

L'Ente di riforma ha detratto il reddito dei terreni venduti dal reddito dei terreni scorporati: senonché detta legge ha posto il criterio del reddito "soltanto per determinare la quota scorporabile", cioè per stabilire in primo luogo se la proprietà é o meno soggetta a scorporo e in caso affermativo in quale misura deve essere scorporata.

Determinata la quota scorporabile, questa non é più identificata in base al reddito, ma in base alla superficie: si espropriano cioè tanti ettari di terreno.

Pertanto, avendo il legislatore impostata la nuova legge di riforma su un rapporto fra reddito complessivo e reddito medio imponibile, l'operazione di detrazione dei terreni venduti in applicazione del decreto del 1948 non può essere effettuata altro che nella sede in cui si prendono in esame i redditi dei terreni; e cioè in sede di determinazione della quota espropriabile - a termini dell'art. 2 della legge stralcio - non già quando la quota soggetta a scorporo é già stata determinata, e l'elemento reddito non ha più alcun rilievo.

Il criterio, poi, della conversione della superficie venduta in reddito dominicale e di questo di nuovo in superficie, importa che dalla quota da scorporare non si sottrae nemmeno una superficie eguale, come vuole la legge, bensì una superficie diversa; e cioè inferiore o superiore a seconda che i terreni venduti fossero di più basso o di più alto reddito dominicale; con il rischio di escludere dall'esproprio forse tutta la quota, se i terreni alienati ai piccoli coltivatori diretti fossero stati i migliori e, quindi, i più fortemente tassati.

Nella udienza del 21 marzo 1962 la difesa delle parti ha illustrato ulteriormente le precedenti deduzioni insistendo nelle già prese conclusioni.  

Considerato in diritto

 1. - La difesa del Tufaroli deduce col primo motivo la illegittimità costituzionale del D.P.R. 29 novembre 1952, n. 3052, col quale si dispone la espropriazione nei confronti del Tufaroli di ha. 67.59.31 (reddito dominicale 5.966.95). Secondo la difesa, avendo il piano particolareggiato di scorporo n. 38, pubblicato il 15 ottobre 1951, subito, in seguito ad opposizione dello espropriando, modifiche sostanziali, sarebbe stata necessaria la pubblicazione di un nuovo piano.

La censura va accolta.

Risulta dagli atti del procedimento davanti al Tribunale di Melfi che l'Ente riforma, ai fini di determinare l'assoggettabilità del Tufaroli allo scorporo, dalla sua consistenza patrimoniale detrasse due volte l'ammontare delle vendite effettuate dallo stesso Tufaroli a favore della piccola proprietà contadina entro il 28 ottobre 1950, ritenendo di dovere in tale modo applicare gli artt. 11 del D.L. 24 febbraio 1948, n. 114 (ratificato dalla legge 22 marzo 1950, n. 144), 20, parte ultima, della legge - stralcio 21 ottobre 1950, n. 841, e 4, secondo comma, della legge 18 maggio 1951, n. 333.

In base a questo calcolo la consistenza patrimoniale fu stabilita in ha. 343.65.12 (reddito dominicale 30.387.40) e la quantità da scorporare in ha. 83.04.85 (reddito dominicale 7.271.46) e in data 15 ottobre 1951 fu pubblicato il relativo piano particolareggiato n. 38.

2. - Fece opposizione il Tufaroli, rilevando che nel computo della consistenza patrimoniale, l'Ente riforma non aveva tenuto conto delle vendite Romanelli (ha. 5.46.91 - reddito dominicale 610.60 - rogito 14 dicembre 1949) e Altamura (ha. 4.27.70 - reddito dominicale 470.26) - effettuate entrambe a favore della piccola proprietà contadina prima del 20 ottobre 1950.

L'Ente, riconoscendo tra l'altro che la seconda detrazione doveva essere effettuata non, come erroneamente era stato fatto, dall'intera consistenza patrimoniale, ma dalla quota di scorporo e limitatamente alle vendite a favore della piccola proprietà contadina stipulate entro il 20 marzo 1949 (ex art. 11 cit. legge n. 114), ridusse in conseguenza la consistenza patrimoniale ad ha. 364.76.17 (reddito dominicale 32.730.81) e la quota da scorporare da ha. 83.04.85 (reddito dominicale 7.271.46) ad ha. 67.59.31 (reddito dominicale 5.966.95). In base a queste modificazioni al piano originario n. 38 e senza la pubblicazione di un nuovo piano, fu emanato il D.P.R. n. 3052 di espropriazione la cui legittimità costituzionale é contestata.

3. - Nel sistema delle leggi di riforma agraria, la pubblicazione del piano particolareggiato di espropriazione deve indicare il soggetto nei cui confronti si deve eseguire lo scorporo e l'oggetto, cioè i terreni da scorporare. Esso, costituendo la base dell'attività legislativa delegata al Governo (ex artt. 3 e 4, primo comma, della legge 12 maggio 1950, n. 230; 1 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e 1 della legge 18 maggio 1951, n. 333), é necessariamente collegato col contenuto del provvedimento - legge nel cui processo formativo si inserisce come elemento essenziale, condizionando la legittimità costituzionale dell'atto delegato. La norma che impone la osservanza della pubblicazione del piano particolareggiato nelle forme prescritte é inderogabile, mentre la pubblicazione é destinata a tutelare i diritti dell'espropriando e dei terzi.

La mancata pubblicazione del piano particolareggiato, come la sua sostanziale modificazione non seguita dalla pubblicazione di un nuovo piano, darebbero luogo ad un vizio di legittimità costituzionale del decreto di espropriazione.

4. - Nella specie, l'Ente riforma, in seguito alla opposizione del Tufaroli, apportò sostanziali modifiche al piano originario, impostando la base della espropriazione su criteri giuridici diversi da quelli accolti nella compilazione del piano precedente. Infatti, l'Ente in un primo tempo detrasse le vendite effettuate a favore della piccola proprietà contadina due volte dalla consistenza patrimoniale dell'espropriando, stabilendo la quota di scorporo in ha. 83.04.85; successivamente, e con diversa interpretazione delle norme che regolano i benefici accordati alle dette vendite, limitò la seconda detrazione alle vendite effettuate entro il 20 marzo 1949, operandola sulla quota da scorporare, che determinò in ha. 67.59.31 (reddito dominicale 5.966.95).

In tal modo l'Ente ha posto in esecuzione un piano diverso da quello pubblicato, sicché al decreto di espropriazione é venuto a mancare il piano particolareggiato, che ne doveva costituire il fondamento.

5. - L'Avvocatura dello Stato per la tesi contraria richiama l'art. 2 della legge 2 aprile 1952, n. 339, assumendo che la ripubblicazione del piano é prescritta nelle sole ipotesi ivi contemplate, riconducibili ad un mutamento del soggetto o dell'oggetto dello scorporo, e non nel caso di pura e semplice riduzione di superficie di terreni già inclusi nel piano originario.

Ma é a rilevare che non a proposito si invoca l'art. 2 il quale, disponendo una proroga per la pubblicazione del piano particolareggiato in casi tassativamente indicati, non modifica il sistema secondo il quale il piano originario deve essere ripubblicato, quando per successivi eventi vi siano apportate modificazioni tali da renderlo non più rispondente al decreto di esproprio. Ed é irrilevante che, nella specie, le cennate modificazioni abbiano ridotto la quota di esproprio da ha. 83.04.85 ad ha. 67.59.31; giacché la differente impostazione data alla base dello scorporo ha creato una nuova situazione giuridica, che esigeva un nuovo piano regolarmente pubblicato.

Infine, il ricorso circoscritto alla rettifica di eventuali errori materiali contenuti nel piano pubblico (art. 4, secondo comma, della legge 12 maggio 1950, n. 230), delimitando il potere correttivo dell'Ente riforma, non può avere per oggetto nessuna delle ipotesi che, mutando sostanzialmente il piano pubblicato, lo trasformano in un piano diverso (sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 3 marzo 1959).

6. - Il secondo motivo con cui si censura l'Ente riforma per avere - ai fini di precisare la base dello scorporo - detratto il reddito dei terreni alienati con i benefici della piccola proprietà contadina dal reddito della quota di scorporo anziché dal reddito complessivo dei terreni, rimane assorbito.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara la illegittimità costituzionale del D.P.R. 29 novembre 1952, n. 3052 (pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9 del 13 gennaio 1953), in relazione agli artt. 1 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, e 3 della legge 12 maggio 1950, n. 230, e con riferimento alle norme contenute negli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione.

 Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 aprile 1962.

Giuseppe CAPPI - Gaspare AMBROSINI - Mario COSATTI - Francesco Pantaleo GABRIELI - Giuseppe CASTELLI AVOLIO - Antonino PAPALDO - Nicola JAEGER - Giovanni CASSANDRO - Biagio PETROCELLI - Antonio MANCA - Aldo SANDULLI - Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI

 

Depositata in cancelleria il 26 aprile 1962.