Sentenza n. 143 del 1970
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SENTENZA N. 143

ANNO 1970

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE 

composta dai signori giudici:

Prof. Giuseppe BRANCA, Presidente

Prof. Michele FRAGALI

Prof. Costantino MORTATI

Prof. Giuseppe CHIARELLI

Dott. Giuseppe VERZÌ

Dott. Giovanni Battista BENEDETTI

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Prof. Paolo ROSSI,

ha pronunciato la seguente  

SENTENZA 

nel giudizio di legittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica 29 novembre 1952, nn. 2778 e 2779, 27 dicembre 1952, n. 3882, e 3 gennaio 1958, promosso con ordinanza emessa il 15 ottobre 1968 dalla Corte d'appello di Firenze nel procedimento civile vertente tra Galli Tassi Bardini Annamaria e l'Ente per la colonizzazione della Maremma tosco - laziale, iscritta al n. 254 del registro ordinanze 1968 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6 dell'8 gennaio 1969.

Visti gli atti di costituzione di Galli Tassi Bardini Annamaria e dell'Ente per la colonizzazione della Maremma toscolaziale;

udito nell'udienza pubblica del 17 giugno 1970 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

udito l'avv. Guido Astuti, per l'Ente Maremma.  

Ritenuto in fatto 

Galli Tassi Bardini Annamaria citava in giudizio avanti al tribunale di Pisa l'Ente per la colonizzazione della Maremma tosco - laziale per ottenere la restituzione dei terreni che assumeva illegittimamente espropriatile con i decreti presidenziali 29 novembre 1952, nn.2778 e 2779, per ha. 153,06,60 in comune di Volterra e per ha. 95,65 in comune di Pomarance, nonché con D.P. 3 gennaio 1958 (Gazz. Uff. n. 74 del 26 marzo 1958) per ha. 33,24,05 nello stesso comune di Pomarance, e costituenti questi ultimi la metà del terzo residuo sottoposto a vincolo di indisponibilità a norma dell'art. 9 della legge n. 841 del 1950, con il D.P. 27 dicembre 1952, n. 3882.

In difetto, chiedeva il risarcimento dei danni relativi.

Secondo l'attrice l'illegittimità dell'esproprio dipendeva dal fatto che l'Ente aveva tenuto presenti, nel calcolo delle quote di scorporo, i dati risultanti dal nuovo catasto entrato in vigore nella zona il 10 settembre 1951, anziché quelli del vecchio catasto vigente al 15 novembre 1949, come prescritto dall'art. 4 della legge di delega 21 ottobre 1950, n. 841, ed aveva così in realtà espropriato una superficie maggiore di quella consentita, in violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Inoltre i decreti presidenziali suddetti sarebbero stati illegittimi anche perché l'Ente ai fini della determinazione della superficie espropriabile avrebbe proceduto al calcolo del reddito medio per ettaro ivi comprendendo terreni aventi reddito inferiore a quello degli incolti produttivi e dei boschi, i quali ultimi sono invece entrambi espressamente esclusi dal computo a norma del citato art. 4 della legge n. 841 del 1950.

L'Ente resisteva in giudizio ammettendo che la quota espropriata era stata effettivamente calcolata in base ai dati del nuovo catasto, ma osservando che la superficie espropriata non sarebbe stata comunque superiore a quella soggetta ad esproprio in base al vecchio catasto, per cui l'errore meramente formale di riferimento così commesso non avrebbe inciso sulla legittimità dei menzionati decreti. Ed in proposito osservava che, sia attraverso il raffronto fra i redditi imponibili rispettivamente risultanti al vecchio ed al nuovo catasto e le relative quote di scorporo calcolate in base ai criteri di cui al ripetuto art. 4 della legge n. 841 del 1950; sia attraverso il raffronto fra le incidenze percentuali delle quote di scorporo, in tal modo calcolate, sull'intero reddito risultante rispettivamente al vecchio ed al nuovo catasto, sarebbe risultato addirittura che l'attrice era stata espropriata di una quota minore di quella dovuta.

Inoltre, anche tenendo presente la qualità e la cultura effettivamente esistenti alla data del 15 novembre 1949, indipendentemente dai dati catastali allora in vigore, ed applicando i redditi dominicali risultanti dal vecchio catasto, si sarebbe sì ottenuta una differenza a danno della attrice, ma talmente lieve da non essere suscettibile di considerazione. Infatti la quota espropriabile avrebbe dovuto ragguagliarsi, secondo questo calcolo, a lire 20.154,38 di reddito dominicale, mentre quella effettivamente espropriata, secondo il nuovo catasto, rifletteva un reddito di lire 21.775,49, per cui, calcolando l'incidenza percentuale della quota espropriata sul reddito risultante dal nuovo catasto si otterrebbe la cifra del 34,29%, mentre l'incidenza della quota espropriabile sopra indicata sarebbe stata del 33,56%, con una differenza a sfavore della ditta espropriata appena apprezzabile e comunque di trascurabile valore economico.

Espletata consulenza tecnica, con sentenza del 20 marzo 1967 il tribunale, nella motivazione, riteneva irrilevante la dedotta questione di legittimità costituzionale in forza di considerazioni analoghe a quelle svolte dall'Ente, ma, nel dispositivo, la dichiarava manifestamente infondata, respingendo nel merito la domanda. E ciò senza prendere posizione riguardo alla adozione dell'uno o dell'altro dei metodi di calcolo indicati dall'Ente, ma limitandosi ad affermare che essi avrebbero condotto a ritenere o che la ditta era stata espropriata in meno del dovuto o, comunque, in più, ma "per una lievissima differenza traducibile in due o tre ettari di terreno" quantità da considerarsi "irrilevante sotto l'aspetto economico e tale da non potere assurgere a danno degno di considerazione e di risarcimento".

Contro questa sentenza proponeva appello la Galli Tassi Bardini impugnando le conclusioni del tribunale quanto alla determinazione della superficie espropriabile, che assumeva ora essere inferiore a quella effettivamente espropriata di circa 40 ettari, e precisava che, anche adottando le cifre di lire 21.775,49 di reddito effettivamente espropriato e di lire 20.154,28 espropriabili, così come indicate dallo stesso Ente nelle sue difese, si sarebbe dovuto dedurne che erano stati espropriati in più tanti terreni aventi un reddito di lire 1.621,11, che corrisponderebbero, secondo un calcolo effettuato da essa deducente, a ben ha. 12,52,07.

Contestava comunque anche l'affermata irrilevanza del danno subito secondo il calcolo cui si era riferito il tribunale nella sua sentenza.

L'Ente resisteva all'appello tornando ad eccepire l'inesattezza del calcolo della superficie espropriabile effettuato dalla appellante e riproponendo le deduzioni già svolte circa l'irrilevanza della differenza percentuale fra la quota espropriabile e quella effettivamente espropriata.

Con ordinanza del 15 ottobre 1968 la Corte di appello di Firenze riconosceva espressamente l'interesse dell'appellante alla risoluzione della questione "in quanto sostiene e fondatamente deduce in giudizio di essere stata espropriata in misura non consentita" e, dato atto che i piani particolareggiati di esproprio erano stati redatti tenendo presenti le risultanze del nuovo catasto anziché di quello in vigore al 15 novembre 1949, rimetteva gli atti a questa Corte per la risoluzione della questione di legittimità costituzionale dei menzionati decreti emessi in base a tale erronea procedura.

Nel presente giudizio si é costituita la parte privata, rappresentata e difesa dagli avvocati Celso Tabet e Angelo Adorni Braccesi i quali, con deduzioni tempestivamente depositate, hanno fatte proprie le conclusioni dell'ordinanza di rinvio, insistendo per la dichiarazione di illegittimità dei decreti impugnati.

Si é anche costituito l'Ente Maremma, in persona del presidente pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati prof. Guido Astuti e Guido Ruo.

La difesa dell'Ente, con deduzioni depositate nei termini, torna ad ammettere la lamentata violazione dell'art. 4 della legge n. 841 del 1950 ed il conseguente eccesso dai limiti della delega, ma insiste nel sostenere l'irrilevanza nella specie, riportandosi alle conclusioni contenute al riguardo nella sentenza del tribunale di Pisa e contestando, comunque, l'esattezza dei calcoli effettuati dall'appellante per determinare la estensione della superficie che assume esserle stata espropriata in eccesso. In proposito la difesa dell'Ente ribadisce le argomentazioni sostenute avanti alla Corte d'appello, ed osserva che l'ordinanza di rinvio non avrebbe tenuto il debito conto delle risultanze del giudizio di primo grado, "non contestate né modificate da accertamenti di secondo grado".

Infine, pur dando atto che il motivo di illegittimità concernente l'inclusione nel calcolo dell'imponibile medio per ettaro anche di terreni che avrebbero dovuto esserne esclusi non risulta espressamente riprodotto nell'ordinanza di rinvio, ne contesta nel merito la fondatezza osservando che la "ratio" della esclusione non risiederebbe nel basso reddito dei boschi ed incolti produttivi, bensì nella inopportunità di una loro trasformazione, come sarebbe confermato dal fatto che il legislatore ha espressamente escluso dal computo gli "incolti produttivi" e non invece gli "incolti sterili". Comunque la equiparazione di altre voci catastali a quelle espressamente menzionate nella legge ai fini dell'esclusione dal computo richiederebbe quelle valutazioni estimative che sono rimesse dall'art. 6 della legge n. 841 del 1950 allo speciale procedimento amministrativo ivi previsto, onde la questione rimarrebbe senza base su tale punto.  

Considerato in diritto 

1. - L'ordinanza di rimessione della Corte di appello di Firenze, dopo avere chiaramente motivato sulla rilevanza della proposta questione ai fini del giudizio di merito, concentra la questione stessa in termini precisi: se, cioè, i tre decreti del Presidente della Repubblica dianzi indicati, essendo basati su piani particolareggiati di espropriazione, redatti in base alle risultanze del nuovo catasto terreni in vigore nella zona territoriale - de qua - dal 1 settembre 1951 anziché in base alla consistenza della proprietà terriera dell'esproprianda alla data del 15 novembre 1949 siano da considerarsi costituzionalmente illegittimi, con riferimento agli artt. 76 e 77 della Costituzione, per eccesso di delega rispetto all'art. 4 della legge 21 ottobre 1950, n. 841, che pone la data del novembre 1949 come punto esclusivo di riferimento per determinare la quota da espropriare.

La questione così delimitata ed esclusi, quindi, gli altri profili che non risultano dedotti nell'ordinanza di rinvio ma sono stati accennati nelle difese, ha indubbio fondamento.

2. - Sulla base dei dati di fatto, costituenti premessa dell'ordinanza di rimessione, la conseguenza non può essere che conforme a quanto costantemente deciso da questa Corte, nel senso che la violazione dell'art. 4 della legge n. 841 del 1950 ha, come effetto immediato, per la mancata corrispondenza alla delega, l'illegittimità costituzionale dei consecutivi decreti presidenziali (sentenze n. 99 del 1966; nn. 6, 21, 133 del 1967; n. 43 del 1968).

Questa statuizione, che si adegua al contenuto della ordinanza di rimessione, consente, tuttavia, di aggiungere (come già rilevato nelle precitate sentenze) che il giudice di merito dovrà, sempre tenendo ferma la data del 15 novembre 1949, avere riguardo alla reale situazione di fatto circa la consistenza effettiva della proprietà, e non già alla situazione, eventualmente diversa, risultante dal catasto allora in conservazione: ciò anche utilizzando, se del caso, dal nuovo catasto i dati di estensione più precisi.  

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE 

dichiara l'illegittimità costituzionale dei decreti del Presidente della Repubblica 29 novembre 1952, nn. 2778 e 2779; 27 dicembre 1952, n. 3882, e 3 gennaio 1958 (pubblicato per estratto nella Gazzetta Ufficiale n. 74 del 26 marzo 1958) in quanto per la formazione del piano di espropriazione fu tenuto conto dei dati del nuovo catasto entrato in attuazione, nella zona, successivamente al 15 novembre 1949 ed in quanto risulti dagli ulteriori accertamenti, che, rispetto alla effettiva consistenza al 15 novembre 1949, vi sia stato eccesso di espropriazione.  

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1970.

Giuseppe BRANCA - Michele FRAGALI - Costantino MORTATI - Giuseppe CHIARELLI - Giuseppe VERZÌ - Giovanni Battista BENEDETTI - Francesco Paolo BONIFACIO - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI

 

Depositata in cancelleria il 16 luglio 1970.