SENTENZA N. 16
ANNO 2021
Commento alla decisione di
Agatino Cariola
Quale
spazio per la normazione siciliana in materia di lavori pubblici?
per g.c. di Ambiente e Diritto
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA
CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
Presidente: Giancarlo CORAGGIO;
Giudici: Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON,
Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,
Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela
NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4, commi 1 e 2, e 13
della legge
della Regione Siciliana 19 luglio 2019, n. 13 (Collegato al DDL n. 476
‘Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità
regionale’), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso
notificato a mezzo di posta elettronica certificata il 23 settembre 2019,
depositato in cancelleria il 25 settembre 2019, iscritto al n. 99 del registro
ricorsi 2019 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44,
prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visti l’atto di costituzione della Regione Siciliana e l’atto di intervento
dell’associazione ANCE Sicilia – Collegio regionale dei Costruttori Edili
Siciliani;
udito nell’udienza pubblica del 26 gennaio 2021 il giudice relatore Nicolò
Zanon;
uditi l’avvocato Silvano Martella per l’associazione ANCE Sicilia –
Collegio regionale dei Costruttori Edili Siciliani, in collegamento da remoto,
ai sensi del punto 1) del decreto del Presidente della Corte del 30 ottobre
2020, l’avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per
il Presidente del Consiglio dei ministri, l’avvocato Giuseppa Mistretta per la
Regione Siciliana, in collegamento da remoto, ai sensi del punto 1) del decreto
del Presidente della Corte del 30 ottobre 2020;
deliberato nella camera di consiglio del 26 gennaio 2021.
1.– Con ricorso notificato a mezzo di posta elettronica certificata (di
seguito: PEC) in data 23 settembre 2019 e depositato il successivo 25
settembre, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato, tra gli altri, gli artt. 4,
commi 1 e 2, e 13 della legge della Regione Siciliana 19 luglio 2019, n. 13
(Collegato al DDL n. 476 ‘Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno
2019. Legge di stabilità regionale’).
Secondo il ricorrente, l’art. 4, comma 1, primo periodo, della citata legge
regionale violerebbe l’art.
117, secondo comma, lettera e), della Costituzione, poiché, stabilendo
l’obbligo per le stazioni appaltanti di utilizzare il criterio del minor prezzo
per gli appalti di lavoro d’importo pari o inferiore alla soglia comunitaria,
quando l’affidamento degli stessi avviene con procedure ordinarie sulla base
del progetto esecutivo, si porrebbe in contrasto con gli artt. 36 e 95 del decreto
legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), che
demanderebbero invece alle singole stazioni appaltanti l’individuazione del
criterio da utilizzare.
Inoltre, lamenta il ricorrente che il medesimo parametro
costituzionale sarebbe violato anche dall’art. 4, «ai commi 1, dal secondo
periodo in poi, e comma 2», incidendo su un ambito di competenza esclusiva
dello Stato. La disciplina regionale individuerebbe infatti, in presenza del
criterio di aggiudicazione del minor prezzo, un metodo di calcolo della soglia
di anomalia delle offerte diverso da quello dettato dall’art. 97, commi 2,
2-bis e 2-ter del d.
lgs. n. 50 del 2016 (di seguito: codice dei contratti pubblici). Il comma
da ultimo citato, in particolare, attribuisce al Ministero delle infrastrutture
e dei trasporti la facoltà di procedere con decreto alla rideterminazione dei
criteri per l’individuazione delle soglie di anomalia, allo scopo di «non
rendere nel tempo predeterminabili dagli offerenti i parametri di riferimento
per il calcolo» delle soglie stesse.
Poiché la normativa statale relativa alle procedure di selezione e
aggiudicazione delle gare sarebbe strumentale a garantire la tutela della
concorrenza (sono citate le sentenze di questa Corte n. 221, n. 186 e n. 45 del 2010,
n. 320 del 2008
e n. 401 del
2007), e poiché si sarebbe in presenza di una materia di competenza
esclusiva statale, anche alle autonomie speciali titolari di competenza
legislativa primaria in materia di lavori pubblici sarebbe preclusa la
possibilità di dettare discipline suscettibili di alterare le regole di
funzionamento del mercato. In particolare, la potestà legislativa esclusiva
della Regione Siciliana in materia di «lavori pubblici, eccettuate le grandi
opere pubbliche di interesse prevalentemente nazionale» affermata dall’art. 14,
primo comma, lettera g), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455
(Approvazione dello statuto della Regione siciliana), convertito in legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, dovrebbe comunque esercitarsi «nei
limiti delle leggi costituzionali dello Stato».
Ciò varrebbe anche con riferimento alle modalità di valutazione delle
offerte anomale relative agli appalti sotto la soglia di rilevanza comunitaria,
per i quali ugualmente rileverebbe la finalità di tutela della concorrenza
(viene richiamata la sentenza di questa Corte n. 160 del 2009).
Secondo l’Avvocatura generale, la disciplina contenuta nell’art. 4, commi 1
e 2, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019 sarebbe inoltre simile a quella
già precedentemente dettata dall’art. 1 della legge della Regione Siciliana 10
luglio 2015, n. 14 (Modifiche all’articolo 19 della legge regionale 12 luglio
2011, n. 12), che pure è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con la
sentenza n. 263
del 2016.
2.– Il ricorrente impugna anche l’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13
del 2019, ritenendo che tale previsione violi l’art. 117, primo e
secondo comma, lettera e), Cost., e l’art. 17, lettera a), dello statuto
reg. Siciliana. La disposizione censurata, differendo di un triennio la
durata delle concessioni dei servizi di trasporto pubblico locale in essere al
momento dell’entrata in vigore della stessa legge regionale, si porrebbe in
contrasto con quanto statuito dall’art. 8, paragrafo 2, del regolamento
(CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007,
relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per
ferrovia e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n.
1107/70.
Tale previsione avrebbe infatti individuato nella data del 3 dicembre 2019
il termine ultimo accordato agli Stati membri per conformarsi alle disposizioni
dettate dall’art. 5, paragrafo 3, dello stesso regolamento, secondo cui
l’aggiudicazione dei contratti di trasporto locale avviene con una procedura di
gara equa, aperta a tutti gli operatori e nel rispetto dei principi di
trasparenza e di non discriminazione. La proroga disposta dal legislatore
regionale violerebbe pertanto gli obblighi affermati dalla disciplina europea.
Secondo l’Avvocatura, ciò sarebbe noto anche allo stesso legislatore
siciliano, che aveva già approvato in passato una proroga delle concessioni in
essere, indicando però quale termine ultimo per la scadenza delle stesse
proprio quello «previsto dall’articolo 8, paragrafo 2, del Regolamento (CE) 23
ottobre 2007, n. 1370/2007» (art. 15 della legge della Regione Siciliana 9
maggio 2017, n. 8, recante «Disposizioni programmatiche e correttive per l’anno
2017. Legge di stabilità regionale»).
Ritiene il ricorrente che, nel presente caso, una proroga non sarebbe
giustificata neppure in ragione di quanto stabilito dall’art. 5, paragrafo 5,
del citato regolamento, che pure prevede la possibilità di disporre
provvedimenti di urgenza anche sotto forma di «proroga consensuale di un
contratto di servizio pubblico». Tali proroghe non potrebbero comunque essere
superiori a due anni, e potrebbero disporsi solo in eccezionali ipotesi – da
configurare alla stregua di fatti straordinari e non preventivabili – di interruzione
del servizio o di pericolo imminente di interruzione. Ipotesi che nella vicenda
in esame non ricorrerebbero e che, in ogni caso, non giustificherebbero una
proroga triennale.
L’evidenziata difformità rispetto a quanto previsto dalla normativa europea
integrerebbe così la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
Inoltre, secondo il ricorrente, la mancata indizione di regolari gare
d’appalto violerebbe anche l’art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost. A supporto di tale tesi vengono citate la sentenza n. 2 del
2014 e l’ordinanza
n. 304 del 2008.
Con la prima, la Corte costituzionale, in continuità con altri precedenti (sentenze n. 123
e n. 80 del 2011),
ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una previsione regionale avente
ad oggetto la proroga di contratti di concessione relativi al trasporto
pubblico locale, in quanto provvedimenti di proroga che alterano il corretto
svolgimento della concorrenza, «determinando una disparità di trattamento tra
operatori economici ed invadendo la competenza esclusiva del legislatore
statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.».
Con l’ordinanza
n. 304 del 2008, la Corte costituzionale ha dichiarato la cessazione della
materia del contendere sul ricorso promosso dallo Stato nei confronti di una
delibera legislativa approvata dall’Assemblea regionale siciliana – poi
ritirata proprio a seguito dell’impugnazione statale – che disponeva la proroga
dei contratti di trasporto pubblico fino al 3 dicembre 2019 senza che venissero
espletate procedure di evidenza pubblica.
Da ultimo, le disposizioni impugnate violerebbero l’art. 17, lettera a),
dello statuto
reg. Siciliana, eccedendo dalle competenze che tale previsione attribuisce
alla Regione in materia di «trasporti regionali».
Non avrebbe rilievo quanto affermato dalla Corte
di giustizia dell’Unione europea, sentenza 21 marzo 2019, nelle cause riunite C‑350/17
e C‑351/17, Mobit Soc.
cons. arl e altri. Secondo il ricorrente,
infatti, con tale pronuncia la CGUE avrebbe sì affermato l’applicabilità degli
artt. 5 e 8, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1370/2007 solo a far data dal
3 dicembre 2019, ma unicamente per quelle «fattispecie nelle quali si sia
pervenuti ad una aggiudicazione dei servizi in questione a conclusione “di una
procedura di gara”».
In ogni caso, «in attesa che il predetto Regolamento spieghi completamente
i suoi effetti», l’Avvocatura generale ribadisce che la materia
dell’affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale rientrerebbe nella
sfera di competenza esclusiva statale relativa alla tutela della concorrenza. A
sostegno di tale tesi vengono riportati ampi stralci della già citata sentenza
della Corte costituzionale n. 2 del 2014.
3.– Si è costituita in giudizio, con atto depositato il 28 ottobre 2019, la
Regione Siciliana, la quale si è limitata a eccepire l’inammissibilità del
ricorso per un vizio relativo alla notifica dello stesso, effettuata
esclusivamente a mezzo PEC.
Secondo la resistente, «in ragione della sua inapplicabilità nei giudizi di
legittimità costituzionale in via principale, la notifica telematica effettuata
al Presidente della Regione risulta tamquam non esset e, quindi, essendosi consumato il termine perentorio
di legge, la Presidenza del Consiglio dei Ministri è irrimediabilmente decaduta
dal potere di impugnativa delle norme regionali».
A sostegno di tale eccezione, la Regione Siciliana richiama la sentenza n. 200 del
2019, nella quale la Corte costituzionale ha affermato che, «[a]ttesa la specialità dei giudizi innanzi a questa Corte, la
modalità della notifica mediante PEC non può, allo stato, ritenersi compatibile
– né è stata sin qui mai utilizzata – per la notifica dei ricorsi in via
principale o per conflitto di attribuzione».
4.– Con atto depositato il 15 novembre 2019, l’associazione ANCE Sicilia –
Collegio regionale dei Costruttori Edili Siciliani (di seguito: ANCE Sicilia),
ha spiegato atto di intervento ad opponendum, con
riferimento alle censure mosse nei confronti dell’art. 4 della legge reg.
Siciliana impugnata.
5.– Con memoria depositata via PEC in data 5 ottobre 2020, il ricorrente ha
dedotto l’inammissibilità dell’intervento di ANCE Sicilia, in quanto soggetto
privo di potestà legislativa.
L’Avvocatura si è soffermata, inoltre, sul merito delle censure, ribadendo
quanto evidenziato nell’atto introduttivo del giudizio: la materia della
contrattualistica pubblica attinente alle procedure concorsuali rientrerebbe
«esclusivamente nell’ambito delle prerogative legislative statuali, sicché le
Regioni anche a Statuto Speciale [sarebbero] del tutto sprovviste di potestà
legislativa» (vengono richiamate le sentenze di questa Corte n. 263 del 2016
e n. 259 del
2013).
Anche rispetto alla censura relativa all’art. 13 della legge reg. Siciliana
n. 13 del 2019, l’Avvocatura sottolinea come si tratterebbe di «tema attinente
alla materia della concorrenza la cui disciplina è costituzionalmente riservata
al legislatore statale» (viene citata la sentenza di questa Corte n. 1 del 2019).
6.– Con ordinanza
n. 242 del 2020, questa Corte ha valutato, rigettandola, la sola eccezione
di inammissibilità del ricorso formulata dalla Regione Siciliana, affermando
che la notifica dei ricorsi introduttivi dei giudizi di legittimità
costituzionale in via principale può essere validamente effettuata mediante
PEC. Con la medesima ordinanza, la causa è stata rinviata a nuovo ruolo al fine
di consentire alle parti di depositare eventuali memorie illustrative e di
discutere il merito del ricorso in una successiva udienza pubblica. Si è
altresì precisato che restava comunque «impregiudicata ogni altra valutazione»,
sia sull’ammissibilità dell’atto d’intervento di ANCE Sicilia, «sia su ogni
eventuale, ulteriore profilo di ammissibilità delle censure sollevate».
7.– In data 4 gennaio 2021, ANCE Sicilia ha depositato una «richiesta di
accesso agli atti del fascicolo e memoria a supporto dell’atto di intervento ad
opponendum».
8.– Con memoria depositata l’11 gennaio 2021, la Regione Siciliana ha
chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili e/o infondate.
Con riferimento alle prime due questioni, la resistente ha sottolineato che
l’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019 non sarebbe lesivo della
concorrenza, in quanto non altererebbe «la disciplina codicistica relativa alle
procedure di selezione e ai criteri di aggiudicazione».
In particolare, per quanto attiene alla questione relativa all’obbligo per
le stazioni appaltanti di utilizzare il criterio del minor prezzo nei casi in
cui l’affidamento degli appalti di lavori d’importo pari o inferiore alla
soglia comunitaria avvenga con procedure ordinarie sulla base del progetto
esecutivo, il comma 1 dell’art. 4 impugnato riprodurrebbe il contenuto
dell’art. 95, comma 4, lettera a), del codice dei contratti pubblici, nella
formulazione antecedente alla riforma operata dal decreto-legge 18 aprile 2019,
n. 32 (Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei contratti pubblici,
per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di rigenerazione urbana
e di ricostruzione a seguito di eventi sismici), convertito, con modificazioni,
in legge 14 giugno 2019, n. 55. La previsione regionale non avrebbe modificato
«né le modalità di gara, né i criteri di aggiudicazione», ma si sarebbe
limitata «ad incidere sulla scelta delle stazioni appaltanti». In ogni caso, la
previsione contenuta nell’art. 36 del codice dei contratti pubblici, a seguito
della modifica apportata dal d.l. n. 32 del 2019, come convertito, non
precluderebbe il ricorso all’utilizzo del criterio del minor prezzo.
8.1.– In relazione alla seconda questione – concernente l’introduzione di
un metodo di calcolo della soglia di anomalia diverso da quello previsto dal
codice dei contratti pubblici – la Regione Siciliana evidenzia che le
previsioni impugnate ricalcherebbero quanto previsto dall’art. 97 del medesimo
codice. Inoltre, si tratterebbe di una disciplina relativa alla «fase esecutiva
dei contratti», riconducibile alla competenza esclusiva della Regione in materia
di lavori pubblici ai sensi dell’art. 14, lettera g), dello statuto reg.
Siciliana, nonché del successivo art. 17, lettere h) e i), che attribuiscono
alla competenza concorrente la materia «dell’assunzione di pubblici servizi» e
«tutte le altre materie che implicano servizi di prevalente interesse generale,
dizione nella quale va ricompreso il concetto di forniture alla pubblica
amministrazione».
In ogni caso, la disposizione censurata sarebbe «strutturata in aderenza
all’orientamento giurisprudenziale-interpretativo sviluppatosi nella materia,
con riguardo alla natura tecnico-discrezionale propri[a] di tale fase». A
supporto della propria affermazione, la resistente richiama la sentenza del
Consiglio di Stato, sezione quinta, 23 gennaio 2018, n. 435, dalla quale si
desumerebbe che il metodo di calcolo delle soglie di anomalie, prescelto dalle
disposizioni impugnate, sarebbe di fatto in linea con quello indicato dal
giudice amministrativo nello sciogliere un contrasto preesistente a proposito
dell’art. 97 del codice dei contratti pubblici, e cioè che occorre individuare
la media aritmetica e il fattore di correzione «sulla base della platea dei
concorrenti al netto del c.d. taglio delle ali». In «continuità normativa» con
tale orientamento, dunque, la Regione Siciliana avrebbe correttamente previsto
che «per il calcolo della media aritmetica non vanno considerate le offerte
previamente escluse in virtù del taglio delle ali» (viene citata anche la
sentenza del Consiglio di Stato, sezione sesta, 17 ottobre 2017, n. 4803).
La resistente evidenzia che l’obiettivo perseguito dalle previsioni statali
in materia di aggiudicazione degli appalti sarebbe quello «di favorire la
competizione tra le imprese in un virtuoso rapporto di concorrenzialità»,
garantendo così un risparmio alla pubblica amministrazione. Inoltre, si
dovrebbe evitare il rischio che il «“principio” del massimo risparmio»
sacrifichi la qualità dell’opera. A fronte di tale obiettivo, però, non
sarebbero seguiti i risultati sperati: le regole statali avrebbero portato, «in
Sicilia, a parità di condizioni, [a] una tendenza all’aumento della media dei
ribassi offerti rispetto alle restanti regioni italiane, atteso l’elevato
numero di partecipanti alle gare». La crescita esponenziale dei ribassi offerti
sarebbe dovuta «alla grande concentrazione di imprese edili sul territorio
regionale ed al fatto che il numero medio di partecipanti alle procedure di
affidamento di appalti di lavori pubblici» sarebbe «uno dei più elevati
d’Italia».
Di conseguenza, la normativa regionale introdurrebbe un correttivo al
metodo di calcolo volto ad «aggiudicare le gare di appalto a fronte di soglie
di ribasso “sostenibili” rispetto a quanto, invece, avvenuto in costanza
dell’applicazione della norma statale».
8.2.– Per quanto concerne, infine, la terza questione, relativa alla
proroga dei contratti di affidamento dei servizi di trasporto pubblico locale,
la resistente richiama la già
citata sentenza resa dalla CGUE nella causa Mobit Soc. cons. arl e altri. A
dire della Regione Siciliana, con tale decisione il giudice europeo avrebbe
interpretato l’art. 8 del regolamento (CE) n. 1370/2007 in modo diverso
rispetto a quanto asserito dal ricorrente. In particolare, la CGUE non avrebbe
imposto lo svolgimento delle procedure di gara per l’aggiudicazione dei
contratti di concessione del servizio pubblico di trasporto durante il periodo
transitorio che precede l’entrata in vigore dell’obbligo di conformarsi a
quanto prescritto dall’art. 5 dello stesso regolamento.
Inoltre, secondo la difesa regionale – che richiama altresì le attribuzioni
riconosciute alla Regione in materia di trasporti pubblici dal decreto
legislativo 11 settembre 2000, n. 296 (Norme di attuazione dello statuto
speciale della regione siciliana recanti modifiche ed integrazioni al decreto
del Presidente della Repubblica 17 dicembre 1953, n. 1113, in materia di
comunicazioni e trasporti), nonché dal decreto legislativo 19 novembre 1997, n.
422 (Conferimento alle regioni ed agli enti locali di funzioni e compiti in
materia di trasporto pubblico locale, a norma dell’articolo 4, comma 4, della
legge 15 marzo 1997, n. 59) – quella disposta dall’art. 13 della legge
regionale impugnata sarebbe «una proroga dell’aggiudicazione già posta in
essere».
Già l’art. 27 della legge della Regione Siciliana 22 dicembre 2005, n. 19
(Misure finanziarie urgenti e variazioni al bilancio della Regione per
l’esercizio finanziario 2005. Disposizioni varie) avrebbe, infatti, sancito la
necessità di procedere all’adozione del piano per il riassetto del trasporto
pubblico locale, dettando altresì la disciplina transitoria medio tempore
applicabile. Nel frattempo, la resistente segnala che è stato approvato il
cosiddetto piano integrato delle infrastrutture e della mobilità; che sono
state delineate le modalità procedimentali per la determinazione dei servizi
minimi che costituiranno oggetto della procedura aperta di cui all’art. 5 del
regolamento comunitario; che il 21 dicembre 2020 è stato pubblicato sulla
Gazzetta Ufficiale l’avviso di preinformazione per
l’affidamento di tali servizi.
Ciò dimostrerebbe che, in «conformità alle prescrizioni contenute all’art.
8.2» del regolamento (CE) n. 1370/2007, la Regione avrebbe gradualmente
«intrapreso il percorso finalizzato all’indizione delle procedure concorsuali
[…] per i nuovi affidamenti».
In definitiva, la proroga oggetto del ricorso sarebbe necessaria «per
evitare l’interruzione del servizio o il pericolo imminente di una tale
situazione con gravi ripercussioni sull’utenza».
La Regione richiama infine quanto recentemente disposto dall’art. 92, comma
4-ter, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio
sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese
connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con
modificazioni, in legge 24 aprile 2020, n. 27. Tale previsione dispone infatti
che, «[f]ino al termine delle misure di contenimento del virus COVID-19, tutte
le procedure in corso, relative agli affidamenti dei servizi di trasporto
pubblico locale, possono essere sospese, con facoltà di proroga degli
affidamenti in atto al 23 febbraio 2020 fino a dodici mesi successivi alla
dichiarazione di conclusione dell’emergenza».
9.– Con ordinanza
n. 8 del 2021, questa Corte ha dichiarato inammissibile, in quanto tardiva,
l’istanza di accesso agli atti del fascicolo di causa avanzata da ANCE Sicilia,
lasciando impregiudicata ogni valutazione sull’ammissibilità dell’intervento in
giudizio, il cui scrutinio è stato rinviato «alla ordinaria sede di cognizione
del merito del giudizio».
1.– Nel presente giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, impugna, tra gli
altri, l’art. 4, comma 1, primo periodo, della legge della Regione Siciliana 19
luglio 2019, n. 13 (Collegato al DDL n. 476 ‘Disposizioni programmatiche e
correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale’), nella parte in cui
stabilisce l’obbligo per le stazioni appaltanti di utilizzare il criterio del
minor prezzo nei casi in cui l’affidamento degli appalti di lavori d’importo
pari o inferiore alla soglia comunitaria avvenga con procedure ordinarie sulla
base del progetto esecutivo.
Tale disposizione violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e), della
Costituzione, poiché interverrebbe in materia di procedure, selezione e criteri
di aggiudicazione di gare pubbliche e si porrebbe in contrasto con quanto
previsto dagli artt. 95 e 36 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50
(Codice dei contratti pubblici), che demanderebbero alle singole stazioni
appaltanti l’individuazione del criterio da utilizzare.
È impugnato anche l’art. 4, comma 1, a partire dal secondo periodo, e comma
2 della medesima legge reg. Siciliana n. 13 del 2019, nella parte in cui
prescriverebbe le modalità di calcolo della soglia di anomalia delle offerte.
Tale porzione normativa violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost., poiché a sua volta interverrebbe in materia di procedure, selezione e
criteri di aggiudicazione di gare pubbliche, dettando una disciplina diversa da
quella contenuta nell’art. 97, commi 2, 2-bis e 2-ter, del d.lgs. n. 50 del
2016 (di seguito: codice dei contratti pubblici).
È infine censurato anche l’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del
2019, nella parte in cui proroga di 36 mesi i contratti di affidamento
provvisorio dei servizi di trasporto pubblico locale di cui all’art. 27 della
legge della Regione Siciliana 22 dicembre 2005, n. 19 (Misure finanziarie
urgenti e variazioni al bilancio della Regione per l’esercizio finanziario
2005. Disposizioni varie). Così disponendo, la norma regionale violerebbe
l’art. 117, primo comma, Cost., poiché introdurrebbe una disciplina in
contrasto con quanto sancito dagli artt. 5 e 8 del regolamento (CE) n.
1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007 relativo
ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che
abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n. 1107/70.
Tale disposizione sarebbe altresì in contrasto con l’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost., che attribuisce alla competenza esclusiva statale la
materia della tutela della concorrenza, poiché, a causa della prevista proroga,
la disposizione non contemplerebbe l’indizione di regolari gare d’appalto per
la concessione dei servizi di trasporto pubblico locale, come invece
richiederebbe la vigente disciplina in materia.
Infine, l’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019 violerebbe
anche l’art. 17, lettera a), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n.
455 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana), convertito in legge
costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, poiché eccederebbe dalle competenze
attribuite alla Regione Siciliana in materia di «trasporti regionali».
2.– Resta riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori
questioni di legittimità costituzionale promosse con lo stesso ricorso.
3.– In via preliminare, deve essere confermata l’ordinanza
dibattimentale, allegata alla presente sentenza, con cui è stato dichiarato
inammissibile l’intervento in giudizio spiegato dall’associazione ANCE Sicilia
– Collegio regionale dei Costruttori Edili Siciliani.
4.– Passando al merito, è fondata, in primo luogo, la questione relativa
all’art. 4, comma 1, primo periodo, della legge della Regione Siciliana n. 13
del 2019, a tenore del quale, nel territorio regionale «le stazioni appaltanti
sono tenute ad utilizzare il criterio del minor prezzo, per gli appalti di
lavori d’importo pari o inferiore alla soglia comunitaria, quando l’affidamento
degli stessi avviene con procedure ordinarie sulla base del progetto
esecutivo».
Per l’aggiudicazione degli appalti di lavori, la disposizione regionale
introduce, in capo alle stazioni appaltanti, un vero e proprio vincolo
all’utilizzo del criterio del minor prezzo.
Già durante i lavori preparatori della legge regionale ora impugnata, in
più occasioni, nell’Assemblea regionale siciliana, sono stati sollevati dubbi
sulla conformità a Costituzione della previsione che sarebbe poi divenuta,
all’esito dell’approvazione, l’art. 4 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019
(sedute del 19 giugno e del 10 luglio 2019).
In effetti, tale previsione statuisce in difformità da quanto prevede il
codice dei contratti pubblici, che demanda alle singole stazioni appaltanti
l’individuazione del criterio da utilizzare. Nel disciplinare l’aggiudicazione
dei contratti sotto soglia, il suddetto codice, a seguito delle modifiche
apportate dal decreto-legge cosiddetto “sblocca cantieri”– decreto-legge 18
aprile 2019, n. 32 (Disposizioni urgenti per il rilancio del settore dei
contratti pubblici, per l’accelerazione degli interventi infrastrutturali, di
rigenerazione urbana e di ricostruzione a seguito di eventi sismici), convertito,
con modificazioni, in legge 14 giugno 2019, n. 55 – prevede attualmente,
all’art. 36, comma 9-bis, che, «[f]atto salvo quanto previsto all’articolo 95,
comma 3, le stazioni appaltanti procedono all’aggiudicazione dei contratti di
cui al presente articolo sulla base del criterio del minor prezzo ovvero sulla
base del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa».
Anche l’art. 95, comma 2, del medesimo codice prevede che «le stazioni
appaltanti […] procedono all’aggiudicazione degli appalti […] sulla base del
criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del
miglior rapporto qualità/prezzo o sulla base dell’elemento prezzo o del costo,
seguendo un criterio di comparazione costo/efficacia quale il costo del ciclo
di vita, conformemente all’articolo 96».
Ne risulta che, per gli appalti di lavori, dopo l’entrata in vigore del
d.l. n. 32 del 2019, i due criteri (quello dell’offerta più vantaggiosa e
quello del minor prezzo) sono alternativi senza vincoli, e la scelta è appunto
rimessa alla stazione appaltante, fatti salvi casi specifici in cui è mantenuto
il primato del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Non coglie perciò nel segno l’argomento della Regione Siciliana, secondo
cui il comma 1 dell’art. 4 impugnato riprodurrebbe il contenuto dell’art. 95,
comma 4, lettera a), del codice dei contratti pubblici, nella formulazione
antecedente alla riforma operata dal d.l. n. 32 del 2019.
In disparte l’osservazione che si tratterebbe di una novazione della fonte,
comunque preclusa al legislatore regionale in un ambito materiale di competenza
esclusiva statale – e dovendosi sottolineare, in ogni caso, che la previsione
regionale non è esattamente riproduttiva di quella statale precedente – questa
Corte deve evidentemente condurre il raffronto con la normativa statale
vigente, che tale era, del resto, quando è stata approvata la legge regionale
in esame: ed è la stessa difesa regionale a riconoscere che la previsione
censurata incide «sulla scelta delle stazioni appaltanti».
Questa circostanza è sufficiente a determinare il contrasto con la
disciplina statale, contrasto che non vien meno pur se si ammetta – secondo
quanto sottolinea la Regione – che l’art. 36 del codice dei contratti pubblici
attualmente vigente non preclude il ricorso all’utilizzo del criterio del minor
prezzo: come è ovvio che sia, giacché la disciplina statale, a differenza di
quella regionale, affida e non impone alle stazioni appaltanti la scelta del
criterio da utilizzare.
In tema di aggiudicazione di lavori pubblici, il legislatore regionale ha
pertanto introdotto una normativa che invade la sfera di competenza esclusiva
statale in materia di «tutela della concorrenza», adottando previsioni in
contrasto con quelle del codice dei contratti pubblici.
È, in definitiva, palese la violazione dell’art. 117, secondo comma,
lettera e), Cost.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, «le disposizioni del
codice dei contratti pubblici [...] regolanti le procedure di gara sono
riconducibili alla materia della tutela della concorrenza, e [...] le Regioni,
anche ad autonomia speciale, non possono dettare una disciplina da esse
difforme (tra le tante, sentenze n. 263 del
2016, n. 36
del 2013, n.
328 del 2011, n.
411 e n. 322
del 2008)» (di recente, sentenze n. 98
e n. 39 del 2020).
Infine, questo orientamento vale «anche per le disposizioni relative ai
contratti sotto soglia (sentenze n. 263 del
2016, n. 184
del 2011, n.
283 e n. 160
del 2009, n.
401 del 2007)» (così, ancora, sentenze n. 98
e n. 39 del 2020).
5.– Per le stesse ragioni ora evidenziate, è fondata anche la seconda
censura che l’Avvocatura generale dello Stato muove all’art. 4, comma 1 (dal
secondo periodo in poi), e comma 2, della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019.
Essa si appunta su quello che il ricorrente definisce un metodo di calcolo
della soglia di «anomalia» delle offerte difforme da quello previsto dal codice
dei contratti pubblici, con conseguente invasione dell’ambito riservato alla
competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza.
Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, tali previsioni
detterebbero, infatti, una «disciplina del metodo di calcolo della soglia di
anomalia delle offerte contrastante con la disciplina di cui all’articolo 97,
commi 2 e 2-bis, e 2-ter del d.lgs. n. 50/2016». In particolare, l’Avvocatura
evidenzia come il comma 2-ter del citato art. 97 attribuisca allo
«Stato-Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la facoltà di “procedere
con decreto alla rideterminazione delle modalità di calcolo per
l’individuazione della soglia di anomalia”, al fine di non rendere nel tempo
predeterminabili dagli offerenti i parametri di riferimento per il calcolo»
della soglia stessa.
In effetti, nel codice dei contratti pubblici, l’art. 97 è dedicato alle
«offerte […] anormalmente basse», ovvero a quelle offerte che, non garantendo
un profitto adeguato all’imprenditore, si presume conducano all’esecuzione non
corretta dei lavori appaltati. La disposizione detta diverse modalità di
calcolo di tale soglia, a seconda che il numero delle offerte sia pari o
superiore a quindici (comma 2), o inferiore a quindici (comma 2-bis). Vi è poi
una norma di chiusura secondo cui, «[a]l fine di non rendere nel tempo
predeterminabili dagli offerenti i parametri di riferimento per il calcolo
della soglia di anomalia, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti può
procedere con decreto alla rideterminazione delle modalità di calcolo per
l’individuazione della soglia di anomalia» (comma 2-ter).
Per vero, rispetto al contenuto delle censure, è da precisare che le
previsioni regionali disegnano solo indirettamente una «soglia di anomalia»,
attraverso un peculiare meccanismo, per cui la gara deve essere aggiudicata
all’offerta che eguaglia la soglia – calcolata secondo le regole introdotte
dalle stesse disposizioni impugnate – o che più vi si avvicina per difetto.
Secondo quanto si legge nei lavori preparatori (seduta dell’Assemblea regionale
siciliana dell’11 giugno 2019) e negli stessi atti difensivi regionali, le
previsioni censurate perseguirebbero l’analogo scopo delle (peraltro difformi)
previsioni statali, e sarebbero pertanto volte a evitare il verificarsi di ribassi
eccessivi.
Conta, in ogni caso, che le prime delineano un meccanismo di individuazione
della soglia, nonché di calcolo ed esclusione delle offerte anomale, diverso da
quello previsto nel codice dei contratti pubblici. Quest’ultimo dispone
infatti, all’art. 97, commi 2 e 2-bis, che, quando il criterio di
aggiudicazione è quello del prezzo più basso, al fine di valutare la congruità
delle offerte, la soglia di anomalia sia determinata con modalità di calcolo
che variano a seconda che il numero delle offerte ammesse sia superiore (o
pari) o inferiore a quindici; e prevede, altresì, che in presenza di offerte
contenenti un ribasso pari o superiore alla citata soglia le stazioni
appaltanti ne chiedano e ottengano giustificazione da parte degli operatori economici.
Qualora tale giustificazione non sia sufficiente a spiegare «il basso livello
di prezzi o di costi proposti», l’offerta anomala deve essere esclusa.
In definitiva, rileva qui che il legislatore siciliano – come del resto si
evince dagli stessi argomenti addotti dalla difesa regionale, che ragiona
espressamente della disposizione in esame come di un «correttivo» alla norma
statale – abbia adottato previsioni che introducono un criterio alternativo di
aggiudicazione dei lavori sotto soglia, nonché di verifica della anomalia delle
offerte.
Ciò, all’evidenza, alla luce della giurisprudenza costituzionale più sopra
richiamata, determina la violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e),
Cost.
6.– È, infine, fondata anche la terza censura, relativa all’art. 13 della
legge reg. Siciliana n. 13 del 2019.
Tale disposizione, al fine di garantire la continuità dei servizi di
trasporto pubblico locale di passeggeri su strade di interesse regionale e
locale, dispone al comma 1 la proroga per un triennio dei contratti di
affidamento relativi ai servizi in parola e stabilisce, al comma 2, che il
Dipartimento regionale delle infrastrutture, della mobilità e dei trasporti
apporti le conseguenti modifiche ai contratti in essere, allo scopo di
adeguarne gli importi ai corrispondenti stanziamenti di bilancio.
Anche la norma in esame viola l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.,
in quanto, non contemplando l’indizione di regolari gare d’appalto per la
concessione dei servizi di trasporto pubblico locale, si pone in contrasto con
la disciplina statale vigente nella materia «tutela della concorrenza».
La giurisprudenza costituzionale ha infatti sempre ascritto a tale materia
qualunque intervento normativo di proroga delle concessioni dei servizi di
trasporto pubblico locale già in essere, tenuto conto della diretta incidenza
sul mercato di riferimento delle discipline di tal fatta. Non è pertanto
consentito al legislatore regionale stabilire il rinnovo o la proroga
automatica alla scadenza di concessioni di servizio di trasporto pubblico, in
contrasto con i principi di temporaneità delle concessioni stesse e di apertura
del mercato alla concorrenza. Le proroghe dettano infatti vincoli all’entrata e
incidono sullo svolgersi della concorrenza nel settore del trasporto pubblico
locale, determinando una potenziale disparità di trattamento tra operatori
economici. Se disposte dal legislatore regionale, esse invadono perciò la
competenza esclusiva del legislatore statale (sentenze n. 2 del
2014, n. 123
del 2011 e n.
80 del 2006).
Anche per le concessioni relative alla gestione dei servizi pubblici locali
vale, dunque, quanto questa Corte, da ultimo con la sentenza n. 10 del
2021, ha più volte stabilito in tema di concessioni di beni demaniali, e
cioè che «discipline regionali che preved[ono] meccanismi di proroga o rinnovo automatico delle
concessioni» sono da ritenersi invasive della competenza esclusiva statale di
cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., che «rappresenta sotto
questo profilo un limite insuperabile alle pur concorrenti competenze
regionali».
D’altronde l’art. 17, comma 1, lettera a), dello statuto della regione
Siciliana, le attribuisce la competenza legislativa concorrente in materia di
«comunicazioni e trasporti regionali di qualsiasi genere» nel rispetto «dei
principi ed interessi generali cui si informa la legislazione dello Stato».
Infatti, la riconducibilità delle disposizioni che prorogano i servizi di
trasporto pubblico locale alla materia di competenza esclusiva statale della
«tutela della concorrenza» comporta – in ragione della natura trasversale della
stessa (ex plurimis, sentenza n. 109 del
2018) – che in tale ambito le Regioni, anche a statuto speciale, non
abbiano spazio di intervento.
D’altra parte, anche l’art. 7 del decreto legislativo 11 settembre 2000, n.
296 (Norme di attuazione dello statuto speciale della regione siciliana recanti
modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 17
dicembre 1953, n. 1113, in materia di comunicazioni e trasporti) – pure
richiamato dalla difesa della Regione – che ha introdotto un nuovo art. 4-ter
nel decreto del Presidente della Repubblica 17 dicembre 1953, n. 1113 (Norme di
attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia di comunicazioni e
trasporti), sancisce che «[l]a scelta del gestore del servizio di trasporto
pubblico di interesse regionale e locale avviene mediante il ricorso alle
procedure concorsuali in conformità alla normativa comunitaria e nazionale
sugli appalti pubblici di servizi».
Né, infine, sposta i termini della questione l’entrata in vigore dell’art.
92, comma 4-ter, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (Misure di
potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per
famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da
COVID-19), convertito, con modificazioni, in legge 24 aprile 2020, n. 27,
anch’esso richiamato dalla difesa regionale. Tale disposizione ha previsto che,
«[f]ino al termine delle misure di contenimento del virus COVID-19, tutte le
procedure in corso, relative agli affidamenti dei servizi di trasporto pubblico
locale, possono essere sospese, con facoltà di proroga degli affidamenti in
atto al 23 febbraio 2020 fino a dodici mesi successivi alla dichiarazione di
conclusione dell’emergenza».
L’entrata in vigore di questa disciplina, lungi dal recar vantaggio alla
tesi della non fondatezza della censura ora in esame, dimostra, semmai, come
sia solo il legislatore statale ad avere – in conformità all’art. 117, secondo
comma, lettera e), Cost. – la competenza ad adottare misure di proroga delle
concessioni dei servizi di trasporto pubblico.
Parimenti coinvolto dalla pronuncia di illegittimità costituzionale è,
infine, il comma 2 dell’art. 13, pure impugnato, che, in connessione al
contenuto del comma 1, si limita ad autorizzare il Dipartimento regionale delle
infrastrutture, della mobilità e dei trasporti ad apportare le opportune
modifiche ai contratti già in essere.
Sono assorbite le censure relative alla violazione dell’art. 117, primo
comma, Cost.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riservata a separata pronuncia la decisione delle ulteriori questioni di
legittimità costituzionale promosse con il ricorso indicato in epigrafe;
1) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 4, commi 1 e 2, della legge della Regione Siciliana 19
luglio 2019, n. 13 (Collegato al DDL n. 476 ‘Disposizioni programmatiche e
correttive per l’anno 2019. Legge di stabilità regionale’);
2) dichiara l’illegittimità
costituzionale dell’art. 13 della legge reg. Siciliana n. 13 del 2019.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 26 gennaio 2021.
F.to:
Giancarlo CORAGGIO, Presidente
Nicolò ZANON, Redattore
Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria
Depositata in Cancelleria l'11 febbraio 2021.
Allegato: