Sentenza n. 221 del 2010

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 221

ANNO 2010

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-   Francesco               AMIRANTE                                         Presidente

-   Ugo                        DE SIERVO                                           Giudice

-   Paolo                      MADDALENA                                           ”

-   Alfio                        FINOCCHIARO                                         ”

-   Alfonso                   QUARANTA                                              ”

-   Franco                    GALLO                                                       ”

-   Luigi                        MAZZELLA                                                ”

-   Gaetano                  SILVESTRI                                                 ”

-   Sabino                    CASSESE                                                   ”

-   Maria Rita               SAULLE                                                     ”

-   Giuseppe                 TESAURO                                                  ”

-   Paolo Maria            NAPOLITANO                                          ”

-   Giuseppe                 FRIGO                                                        ”

-   Alessandro              CRISCUOLO                                             ”

-   Paolo                      GROSSI                                                      ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 5, lettere a), b), c) e k), e 7, comma 9, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 4 giugno 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sviluppo economico regionale, sostegno al reddito dei lavoratori e delle famiglie, accelerazione di lavori pubblici), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 5-10 agosto 2009, depositato in cancelleria il 7 agosto 2009 ed iscritto al n. 53 del registro ricorsi 2009.

Visto l’atto di costituzione della Regione Friuli-Venezia Giulia;

udito nell’udienza pubblica dell’11 maggio 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta;

udito l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Giandomenico Falcon per la Regione Friuli-Venezia Giulia.

Ritenuto in fatto

1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 5 agosto 2009 e depositato il successivo giorno 7, ha impugnato l’art. 1, comma 5, lettere a), b), c) e k), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 4 giugno 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sviluppo economico regionale, sostegno al reddito dei lavoratori e delle famiglie, accelerazione di lavori pubblici), per asserita violazione dell’art. 4, primo comma, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia) «in relazione all’art. 117, secondo comma, lettere e) e l)» della Costituzione.

Con il ricorso è stato, inoltre, impugnato l’art. 7, comma 9, della predetta legge regionale n. 11 del 2009 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

1.2.— Il ricorrente sottolinea come la Regione, pur avendo una potestà legislativa primaria in materia di lavori pubblici di interesse regionale ai sensi dell’art. 4, primo comma, n. 9), della legge costituzionale n. 1 del 1963, deve tuttavia rispettare i vincoli posti dalla stesso art. 4, primo comma, tra i quali quelli risultanti dalle norme fondamentali di riforma economico-sociale. Si rileva, inoltre, come la Corte costituzionale abbia già avuto modo di stabilire che lo Stato conserva, nelle materie di sua competenza ex art. 117 Cost., il potere di introdurre norme volte a garantire standard minimi ed uniformi ed introdurre limiti unificanti, con prevalenza sulla competenza primaria regionale. Ciò varrebbe, in particolare, per la materia della tutela della concorrenza nel settore dei contratti pubblici (si citano le sentenze n. 160 del 2009, n. 411 del 2008 e n. 401 del 2007), come risulterebbe dalle regole poste dall’art. 4 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE).

Avuto riguardo a questi principi, sarebbero contrarie agli indicati parametri costituzionali le suddette norme come di seguito riportate.

1.3.— L’art. 1, comma 5, lettera a), ha modificato l’art. 8, comma 8, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31 maggio 2002, n. 14 (Disciplina organica dei lavori pubblici), stabilendo che «per i lavori di minore complessità, la cui progettazione non richieda fasi autonome di approfondimento, il progetto definitivo e quello esecutivo sono sviluppati in un unico elaborato tecnico, salvo diversa indicazione del responsabile unico del procedimento. Per i suddetti lavori, di importo inferiore a 200.000 euro e per i quali sia allegata una relazione descrittiva dell’intervento, l’approvazione dell’elenco annuale dei lavori di cui all’articolo 7 sostituisce l’approvazione del progetto preliminare». Il richiamato art. 7 prevede che l’attività di realizzazione dei lavori pubblici di interesse regionale si svolga sulla base di un programma triennale e dei suoi aggiornamenti annuali. Il programma è predisposto, in particolare, dalle amministrazioni aggiudicatrici nel rispetto dei documenti programmatori, previsti dalla normativa vigente, ivi compresa la normativa urbanistica, unitamente all’elenco dei lavori da realizzare nell’anno di riferimento. Il programma e l’elenco dei lavori, continua sempre il ricorrente, sono poi approvati unitamente al bilancio preventivo, di cui costituiscono parte integrante; l’individuazione nel programma dell’intervento costituisce presupposto per l’avvio delle fasi di progettazione definitiva ed esecutiva.

Con la disposizione censurata si «rende superflua (…) la fase della progettazione preliminare e della sua approvazione».

Tale norma contrasterebbe con gli artt. 93 e 128 del d.lgs. n. 163 del 2006. Dalla lettura, in combinato disposto, delle predette disposizioni, risulterebbe che il progetto preliminare e l’elenco annuale sono strumenti eterogenei «volti l’uno alla programmazione della singola opera e l’altro alla programmazione generale annuale», contenendo elementi non sovrapponibili. A conferma di tale assunto il ricorrente richiama il contenuto del comma 7, primo periodo, del citato art. 128, il quale prevede che «un lavoro può essere inserito nell’elenco annuale, limitatamente ad uno o più lotti, purché con riferimento all’intero lavoro sia stata elaborata la progettazione almeno preliminare e siano state quantificate le complessive risorse finanziare necessarie per la realizzazione dell’intero lavoro».

Il ricorrente sottolinea che «il progetto preliminare definisce, in particolare, le caratteristiche qualitative e funzionali dei lavori, il quadro delle esigenze da soddisfare e delle specifiche prestazioni da fornire e consiste in una relazione illustrativa delle ragioni della scelta della soluzione prospettata in base alla valutazione delle eventuali soluzioni possibili, anche con riferimento ai profili ambientali e all’utilizzo dei materiali provenienti dalle attività di riuso e riciclaggio, della sua fattibilità amministrativa e tecnica, accertata attraverso le indispensabili indagini di prima approssimazione, dei costi, da determinare in relazione ai benefici previsti, nonché in schemi grafici per l’individuazione delle caratteristiche dimensionali, volumetriche, tipologiche, funzionali e tecnologiche dei lavori da realizzare».

Si tratta, si puntualizza nel ricorso, di una scelta già effettuata dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), la quale prevedeva che l’attività di progettazione fosse articolata in tre fasi, rappresentate dall’approvazione del progetto preliminare, di quello definitivo e infine di quello esecutivo. La ricorrente rileva come ai principi della predetta legge n. 109 del 1994, l’art. 1, comma 2, della legge stessa attribuiva natura di «norme fondamentali di riforma economico-sociale» e di «principi della legislazione dello Stato ai sensi degli statuti delle Regioni a statuto speciale, anche per il rispetto degli obblighi internazionali».

Il ricorrente conclude affermando come sia «da escludere che le informazioni contenute nell’elenco annuale, ancorché integrate dalla “relazione descrittiva” che la disposizione censurata prescrive, possano efficacemente surrogare quelle richieste ai fini del progetto preliminare o, comunque, soddisfare le esigenze ad esso sottese». Deve, inoltre, escludersi che «la normativa statale consenta di prescindere dalla fase della progettazione preliminare».

Sotto altro aspetto, si assume che la norma in esame invade anche la competenza statale in materia di tutela della concorrenza.

1.3.1.— L’art. 1, comma 5, lettere b) e c), modificando gli artt. 9 e 17 della legge regionale n. 14 del 2002, introduce una preferenza per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nel caso di aggiudicazione degli incarichi di progettazione. Tale criterio preferenziale si risolve in un obbligo di specifica e adeguata motivazione nel caso in cui la stazione appaltante decida di ricorrere al criterio del prezzo più basso.

Tale disposizione contrasterebbe con gli artt. 91, comma 2, e 57, comma 6, del Codice dei contratti pubblici, i quali stabiliscono che «la stazione appaltante sceglie l’operatore economico che ha offerto le condizioni più vantaggiose, secondo il criterio del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa». Da qui la violazione della competenza statale in materia di tutela della concorrenza.

1.3.2.— L’art. 1, comma 5, lettera k), prevede che gli oneri per spese tecniche generali e di collaudo sono commisurati alle aliquote determinate dal Presidente della Regione.

Tale disposizione, sottolinea il ricorrente, «non è in linea con l’art. 92, comma 2, del Codice dei contratti pubblici», il quale attribuisce ad un decreto del Ministro della giustizia, di concerto con quello delle infrastrutture e dei trasporti, la determinazione di dette aliquote. Si assume, pertanto, la violazione della competenza statale in materia di ordinamento civile.

1.4.— Infine, si censura l’art. 7, comma 9, della medesima legge regionale, il quale prevede una riduzione alla metà dei termini stabiliti per l’approvazione dei progetti (preliminari e definitivi) di opere nel settore delle infrastrutture di trasporto, della mobilità e della logistica. Tale riduzione contrasterebbe con quanto disposto dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), il quale sancisce, per le opere soggette a valutazione di impatto ambientale (v.i.a.), «una precisa scansione temporale per l’espletamento del procedimento di compatibilità ambientale, fissando all’art. 26, comma 1, il termine di conclusione del procedimento (150 giorni elevati a 210 nel caso di progetti di particolare complessità)».

La disposizione censurata ostacolerebbe, poi, il rispetto dei tempi stabiliti dalla norma nazionale per la consultazione del pubblico (art. 20, comma 3, in tema di “verifica di assoggettabilità”: 45 giorni; art. 24, comma 4, in tema di “consultazione”: 60 giorni), ponendosi così in contrasto con i principi di partecipazione sanciti dalla normativa comunitaria (direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, n. 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, art. 6).

Inoltre, la impugnata normativa regionale interferirebbe con i termini sostanziali e di consultazione del pubblico previsti (si citano gli art. 12 e 14) con riferimento al procedimento di rilascio della valutazione ambientale strategica (v.a.s.).

Per le ragioni sin qui esposte la norma violerebbe la competenza statale in materia di tutela dell’ambiente ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2.— Si è costituita in giudizio la Regione Friuli-Venezia Giulia, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile o infondato.

2.1.— Con riferimento all’impugnazione dell’art. 1, comma 5, lettera a), si sottolinea, in via preliminare, come, avendo lo Stato fatto riferimento sia a parametri costituzionali contenuti nella parte seconda del titolo V della Costituzione sia a parametri statutari, occorre avere riguardo soltanto a questi ultimi. Infatti, la Regione ha una competenza primaria in materia di lavori pubblici di interesse regionale, con la conseguenza che non sarebbe ipotizzabile, perché non maggiormente ampliativa dei margini di autonomia ex art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, un’applicazione delle norme contenute nel suddetto titolo V.

Chiarito ciò, si chiede che la questione venga dichiarata inammissibile per genericità, atteso che non si argomenta perché la previsione del progetto preliminare costituisca uno di quei principi della disciplina statale che costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale. Inoltre, sempre sul piano dell’ammissibilità, si sottolinea come il ricorrente evochi, quale parametro interposto, una norma, l’art. 1, comma 2, della legge n. 109 del 1994, non più in vigore a seguito dell’emanazione del d.lgs. n. 163 del 2006.

Nel merito, la questione, sempre nella prospettiva della difesa regionale, non sarebbe fondata.

In primo luogo, perché la presenza del progetto preliminare non sarebbe un requisito inderogabile nell’ambito della disciplina statale, non integrando gli estremi di un “nucleo essenziale” della disciplina stessa. A tale proposito, si richiama quanto affermato nella sentenza di questa Corte n. 482 del 1995, che avrebbe attribuito la predetta valenza soltanto alla progettazione esecutiva.

In secondo luogo, si deduce come, in ogni caso, l’art. 7 della legge regionale n. 14 del 2002 stabilisca che l’approvazione del programma triennale e dell’elenco annuale presuppone l’esistenza «di una relazione illustrativa, dell’inquadramento territoriale di massima, di uno studio di fattibilità tecnico-amministrativa e di identificazione e quantificazione dei bisogni con particolare riferimento al bacino di utenza, di un preventivo di spesa e della individuazione dei presumibili tempi di attuazione» (comma 4). Inoltre, l’elenco annuale dei lavori «deve contenere l’indicazione dei mezzi finanziari stanziati sullo stato di previsione o sul proprio bilancio, ovvero disponibili in base a contribuiti o risorse comunitarie, statali, regionali o di altri enti pubblici, nonché quelli comunque acquisibili» (comma 6). Si aggiunge che il comma impugnato puntualizza che «l’approvazione dell’elenco annuale dei lavori» sostituisce «l’approvazione del progetto preliminare» soltanto quando «sia allegata una relazione descrittiva dell’intervento».

Da quanto esposto conseguirebbe che tutti i contenuti della progettazione preliminare, contemplati dal comma 3 dell’art. 93 del Codice degli appalti pubblici, sarebbero rinvenibili anche nella legislazione regionale.

In terzo luogo, si rileva come il campo di applicazione della norma impugnata sarebbe alquanto limitato, riguardando soltanto i lavori di importo inferiore a 200.000 euro. Inoltre, lo stesso Codice prevede diversi casi in cui l’inclusione di un lavoro nell’elenco annuale non è subordinata alla previa approvazione della progettazione preliminare. Né a sostegno della censura si potrebbe invocare l’art. 128, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, «sia perché esso riguarda il caso specifico dell’inserimento di un lavoro nell’elenco annuale limitatamente ad uno o più lotti, sia perché l’art. 128 regola i procedimenti che attengono alle materia di competenza concorrente (…) mentre i lavori pubblici di interesse locale e regionale rientrano nella potestà primaria della Regione Friuli-Venezia Giulia».

Infine, non sarebbe conferente neanche il richiamo all’art. 4 del Codice dei contratti pubblici, in quanto tale norma si rivolge alle Regioni a statuto ordinario.

2.2.— Con riferimento alle censure che hanno investito l’art. 1, comma 5, lettere b) e c) della legge n. 11 del 2009, che hanno modificato l’art. 9, commi 9-ter e 9-quater, e l’art. 17, comma 1, lettera b), della precedente legge regionale n. 14 del 2002, si deduce la inammissibilità, da un lato, della censura formulata con riferimento all’art. 117, secondo comma, Cost., perchè tale norma non si applicherebbe, per le ragioni esposte, alla Regione resistente, dall’altro, della doglianza prospettata in relazione alle norme statutarie, in quanto non si indicano le ragioni per le quali le disposizioni impugnate dovrebbero essere considerate norme fondamentali di grande riforma economico-sociale.

Sotto un diverso profilo, si deduce la inammissibilità della censura per incertezza in ordine all’oggetto della questione per le seguenti ragioni: le norme censurate riguardano l’affidamento degli incarichi di progettazione (art. 9, commi 9-ter e 9-quater) e l’aggiudicazione degli appalti (art. 17, comma 1), ma l’Avvocatura generale dello Stato «lamenta solo l’introduzione di preferenza per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nel caso dell’aggiudicazione degli incarichi di progettazione».

Le norme interposte evocate nel ricorso riguardano, inoltre, sia l’affidamento degli incarichi di progettazione (art. 91, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006), sia l’aggiudicazione del lavoro mediante «procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando» (art. 57, comma 6).

Nel merito, la censura non sarebbe fondata, in quanto la norma impugnata si spiegherebbe in ragione della «essenziale rilevanza dell’elemento qualitativo negli affidamenti in questione»; elemento che «è meglio tutelato dal criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa rispetto a quello del prezzo più basso, che si mostra invece maggiormente idoneo quando i profili qualitativi possono essere esauriti in modo oggettivo dal bando di gara». Ciò spiegherebbe il motivo per il quale la preferenza espressa dalla legge è solo tendenziale ed è superabile in casi specifici, sulla base di elementi concreti. Sul punto, si conclude affermando che «non si vorrà certo sostenere che un’autonomia assoluta della stazione appaltante è un principio di grande riforma della legislazione statale».

2.3.— Con riferimento alle censure relative all’art. 1, comma 5, lettera k), della legge n. 11 del 2001, che ha apportato modifiche all’art. 56, comma 2, della precedente legge n. 14 del 2002, si deduce anche in questo caso la inammissibilità della doglianza, in quanto non si motiverebbe «né per quale ragione la norma statale invocata sarebbe di grande riforma né per quale ragione la norma impugnata invaderebbe la materia dell’ordinamento civile».

Inoltre, si afferma come la censura sia il «frutto di un equivoco». La norma impugnata «regola la concessione del finanziamento a enti pubblici per la realizzazione di lavori pubblici e il comma 2 definisce il modo in cui si deve quantificare il contributo regionale relativo agli oneri per spese tecniche gestionali e di collaudo». Il decreto ministeriale di cui all’art. 92, commi 2 e 3, non disciplinerebbe questo aspetto, occupandosi soltanto del modo in cui si determinano i «corrispettivi delle attività di progettazione». In altri termini, «mentre l’art. 56 regola il rapporto fra Regione ed ente pubblico beneficiario del contributo, l’art. 92 del Codice regola il rapporto fra amministrazione aggiudicatrice e professionista progettista». In questa prospettiva, la norma impugnata non escluderebbe affatto l’applicazione del decreto ministeriale di cui all’art. 92, «che dovrà esser rispettato dall’amministrazione aggiudicatrice», ma definirebbe la misura del contributo regionale per le spese tecniche generali e di collaudo.

Infine, si sottolinea come la norma censurata fosse già presente nel testo originario della legge regionale n. 14 del 2002 e che l’unica novità sarebbe consistita nella previsione del decreto del Presidente della Regione, mentre la disposizione precedente rinviava ad un generico «decreto del Presidente della Regione, previa deliberazione della Giunta regionale».

2.4.— Con riferimento all’impugnazione dell’art. 7, comma 9, della legge regionale n. 11 del 2009, si deduce, in via preliminare, la inammissibilità della relativa censura in ragione del fatto che il ricorrente ha fatto esclusivo riferimento al secondo comma dell’art. 117 Cost., senza argomentare in ordine alla violazione dei parametri statutari.

Nel merito, si sottolinea come la norma impugnata riguardi procedimenti di competenza regionale e degli enti locali, per i quali lo stesso Codice dell’ambiente ammetterebbe una competenza regionale (si cita l’art. 7, commi 2, 4, 6 e 7 del d.lgs. n. 152 del 2006).

In relazione all’art. 26, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, si osserva che «la lesione della competenza statale in materia di tutela dell’ambiente ci sarebbe se il decorso del termine abbreviato dalla norma regionale implicasse v.i.a favorevole, ma l’art. 26, comma 2, del Codice dell’ambiente non prevede affatto che l’inutile decorso del termine produca questo esito».

In relazione all’art. 12 dello stesso d.lgs. n. 152 del 2006, si sottolinea che anch’esso «non prevede che l’inutile decorso del termine implichi l’esclusione del piano dalla v.a.s.».

Per le ragioni sin qui esposte, si conclude affermando che «la legge regionale non compromette in alcuna misura la tutela ambientale e corrisponde invece ad una ragionevole esigenza di accelerazione delle opere individuate come strategiche».

3.— Nell’imminenza dell’udienza pubblica la Regione Friuli-Venezia Giulia ha depositato una memoria, con la quale ha richiamato il contenuto della sentenza di questa Corte n. 45 del 2010, che ha ricostruito il riparto di competenze tra Stato ed enti ad autonomia speciale, riconoscendo a questi ultimi uno spazio di intervento, nel settore dei contratti pubblici, più ampio rispetto a quello che il titolo V della parte seconda della Costituzione riconosce alle Regioni a statuto ordinario.

La difesa della Regione richiama anche quanto affermato, alla luce della citata sentenza n. 45 del 2010, dal Consiglio di Stato con il parere della Sezione consultiva per gli atti normativi del 24 febbraio 2010.

Alla luce delle suindicate indicazioni giurisprudenziali, risulterebbero ulteriormente confermate le argomentazioni già contenute nell’atto di costituzione e volte a dimostrare la infondatezza delle censure formulate con il ricorso.

Considerato in diritto

1.— Il Presidente del Consiglio dei ministri ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, lettere a), b), c) e k), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 4 giugno 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sviluppo economico regionale, sostegno al reddito dei lavoratori e delle famiglie, accelerazione di lavori pubblici), per asserita violazione dell’art. 4, primo comma, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), in relazione all’art. 117, secondo comma, lettere e) e l). È stato, inoltre, impugnato l’art. 7, comma 9, della predetta legge regionale per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

2.— Prima di esaminare le singole censure proposte è opportuno delineare – alla luce di quanto già affermato da questa Corte con la sentenza n. 45 del 2010 – le linee fondamentali del riparto delle competenze legislative nel settore degli appalti pubblici tra Stato ed enti ad autonomia differenziata.

L’art. 4 della citata legge costituzionale n. 1 del 1963 attribuisce alla Regione Friuli-Venezia Giulia competenza legislativa primaria in materie specificamente enumerate, tra le quali rientra anche quella dei «lavori pubblici di interesse regionale» (n. 9).

In presenza di tale specifica attribuzione, deve ritenersi che, non contemplando il novellato titolo V della parte seconda della Costituzione la materia “lavori pubblici”, trova applicazione – secondo quanto previsto dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione» – la previsione statutaria sopra indicata.

Quanto esposto non significa che – in relazione alla disciplina dei contratti di appalto che incidono nel territorio della Regione – la legislazione regionale sia libera di esplicarsi senza alcun vincolo e che non possano trovare applicazione le disposizioni di principio contenute nel decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE). Il medesimo art. 4 sopra citato prevede, infatti, che la potestà legislativa primaria regionale deve essere esercitata «in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato (...)».

In questa prospettiva vengono in rilievo, in primo luogo, i limiti derivanti dal rispetto dei principi della tutela della concorrenza, strumentali ad assicurare le libertà comunitarie, e dunque le disposizioni contenute nel Codice degli appalti pubblici, che costituiscono diretta attuazione delle prescrizioni poste a livello europeo. In tale ambito, la disciplina regionale non può avere un contenuto difforme da quella prevista, in attuazione delle norme comunitarie, dal legislatore nazionale e, quindi, non può alterare negativamente il livello di tutela assicurato dalla normativa statale.

In secondo luogo, il legislatore regionale deve osservare i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, tra i quali sono ricompresi anche quelli afferenti la disciplina di istituti e rapporti privatistici relativi, soprattutto, alla fase di conclusione ed esecuzione del contratto di appalto, che deve essere uniforme sull’intero territorio nazionale, in ragione della esigenza di assicurare il rispetto del principio di uguaglianza. A ciò è da aggiungere che nella suindicata fase di conclusione ed esecuzione del rapporto contrattuale si collocano anche istituti che rispondono ad interessi unitari e che − implicando valutazioni e riflessi finanziari, che non tollerano discipline differenziate nel territorio dello Stato − possono ritenersi espressione del limite rappresentato dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali.

Alla luce di quanto sopra, prima di esaminare le singole censure proposte, occorre chiarire – avendo riguardo alle eccezioni sollevate dalla difesa regionale e al fine dell’esatta individuazione del thema decidendum – che la risoluzione delle questioni di costituzionalità deve essere svolta alla luce delle disposizioni statutarie evocate dal ricorrente.

3.— Si può passare, dunque, all’esame delle singole censure proposte.

Lo Stato ha, innanzitutto, impugnato l’art. 1, comma 5, lettera a), della legge regionale n. 11 del 2009 – che ha modificato l’art. 8, comma 8, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 31 maggio 2002, n. 14 (Disciplina organica dei lavori pubblici) – nella parte in cui stabilisce che «per i lavori di minore complessità, la cui progettazione non richieda fasi autonome di approfondimento, il progetto definitivo e quello esecutivo sono sviluppati in un unico elaborato tecnico, salvo diversa indicazione del responsabile unico del procedimento. Per i suddetti lavori, di importo inferiore a 200.000 euro e per i quali sia allegata una relazione descrittiva dell’intervento, l’approvazione dell’elenco annuale dei lavori di cui all’articolo 7 sostituisce l’approvazione del progetto preliminare».

Tale norma violerebbe l’art. 4, primo comma, della legge costituzionale n. 1 del 1963, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettere e) e l), Cost. che attribuiscono alla competenza esclusiva statale la materia della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile. In particolare, sarebbero violati gli artt. 93 e 128 del d.lgs. n. 163 del 2006, i quali configurano il progetto preliminare e l’elenco annuale come strumenti eterogenei «volti l’uno alla programmazione della singola opera e l’altro alla programmazione generale annuale», contenendo, quindi, elementi non sovrapponibili.

3.1.— Al riguardo, deve essere preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità della questione, per genericità della relativa censura, sollevata dalla difesa regionale. Dall’esame del ricorso dello Stato, infatti, emerge, con sufficiente specificità, il contenuto della doglianza proposta, la quale si basa sulla deduzione del contrasto tra la norma regionale e un principio fondamentale di riforma economico-sociale desumibile dalla legislazione dello Stato in materia.

3.2.— Nel merito, la questione è fondata.

L’art. 93 del d.lgs. n. 163 del 2006 prevede che «la progettazione in materia di lavori pubblici si articola, nel rispetto dei vincoli esistenti, preventivamente accertati, laddove possibile fin dal documento preliminare, e dei limiti di spesa prestabiliti, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici, in preliminare, definitiva ed esecutiva». Tale articolazione persegue il fine di assicurare la qualità dell’opera e la rispondenza alle finalità relative alla conformità alle norme ambientali e urbanistiche, nonché il soddisfacimento dei requisiti essenziali, definiti dal quadro normativo nazionale e comunitario.

Questa Corte, con la sentenza n. 401 del 2007 (punto 6.9 del Considerato in diritto), ha già avuto modo di chiarire che la progettazione non costituisce una materia, ma un momento del complesso iter procedimentale preordinato alla realizzazione dell’opera pubblica. Ed ha anche precisato che, ai fini del rispetto del principio di libera concorrenza, vengono in rilievo esclusivamente i criteri che presiedono allo svolgimento dell’attività di progettazione.

Inoltre, la Corte, con la sentenza n. 482 del 1995, richiamata dalla predetta sentenza n. 401, ha affermato – in relazione all’art. 16, comma 1, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 (Legge quadro in materia di lavori pubblici), il cui contenuto è stato sostanzialmente recepito dal riportato art. 93, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006 – che l’aspetto qualificante dell’attività di progettazione è dato dal fatto che essa deve svolgersi secondo la suindicata articolazione, essendo questa essenziale «per assicurare, con il progetto esecutivo, l’eseguibilità dell’opera» e «indispensabile per rendere certi i tempi e i costi di realizzazione» dell’opera stessa. Sulla base di tale premessa, la Corte ha ritenuto che la norma statale costituisca «elemento coessenziale alla riforma economico-sociale», con la conseguenza che essa opera come limite all’attività legislativa regionale.

Nel caso in esame, tale limite non è stato osservato, atteso che la disposizione impugnata prevede la non essenzialità della progettazione preliminare, considerandola assorbita nell’approvazione dell’elenco annuale dei lavori. Né può ritenersi, come sostenuto dalla difesa della Regione, che tale approvazione consenta di assicurare le medesime finalità che connotano l’attività di progettazione. Ciò in quanto, a prescindere da ogni altra valutazione, la programmazione dei lavori ha una valenza, appunto, programmatoria di carattere generale, rispondente a scopi diversi e più ampi. Tale diversità è confermata dallo stesso art. 128 del d.lgs. n. 163 del 2006 il quale, al comma 7, stabilisce che «un lavoro può essere inserito nell’elenco annuale, limitatamente ad uno o più lotti, purché con riferimento all’intero lavoro sia stata elaborata la progettazione almeno preliminare (…)».

Sulla base delle suindicate considerazioni, deve essere, dunque, dichiarata la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, lettera a), della legge regionale n. 11 del 2009, che ha modificato l’art. 8, comma 8, della legge regionale n. 14 del 2002.

4.— Lo Stato, inoltre, ha impugnato l’art. 1, comma 5, lettere b) e c), della predetta legge regionale n. 11 del 2009 che, modificando gli artt. 9 e 17 della legge regionale n. 14 del 2002, ha stabilito una preferenza per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nel caso di aggiudicazione degli incarichi di progettazione.

Tale norma sarebbe in contrasto con l’art. 4, primo comma, della legge costituzionale n. 1 del 1963, in relazione all’art. 117, secondo comma, lettere e) e l), che attribuiscono alla competenza esclusiva statale le materie della tutela della concorrenza e dell’ordinamento civile; e in particolare, con gli artt. 91, comma 2, e 57, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006, i quali stabiliscono che «la stazione appaltante sceglie l’operatore economico, che ha offerto le condizioni più vantaggiose, secondo il criterio del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa».

4.1.— La questione non è fondata.

Innanzi tutto, in via preliminare, la censura proposta dallo Stato deve ritenersi ammissibile, in quanto il ricorso specifica, nella parte introduttiva, le ragioni per le quali le disposizioni del Codice degli appalti pubblici, prese in considerazione, possono essere qualificate come espressione di principi fondamentali di riforma economico-sociale, nonché le ragioni per cui è ammissibile il riferimento anche alle disposizioni del novellato titolo V della parte seconda della Costituzione.

Quanto al merito, deve osservarsi che il Codice degli appalti pubblici prevede che gli incarichi di progettazione devono essere affidati utilizzando, ai fini dell’aggiudicazione, «il criterio del prezzo più basso o dell’offerta economicamente più vantaggiosa». Il legislatore regionale ha, invece, previsto che le stazioni appaltanti debbano optare “preferibilmente” per quest’ultimo criterio.

Tale rilevata diversità di regolamentazione non è suscettibile di alterare le regole di funzionamento del mercato e, pertanto, non è idonea ad alterare i livelli di tutela della concorrenza fissati dalla legislazione nazionale.

Il legislatore regionale, con la impugnata disposizione, non ha escluso, in via aprioristica e astratta, uno dei due possibili criteri di aggiudicazione, ma ha soltanto indicato un ordine di priorità nella scelta, che non elimina il potere discrezionale della stazione appaltante di ricorrere all’altro criterio, cioè a quello del prezzo più basso. Al fine di evitare possibili dubbi interpretativi, l’art. 1, comma 5, lettera b), della legge impugnata ha introdotto il comma 9-quater all’art. 9 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 14 del 2002, il quale chiarisce espressamente che gli incarichi in esame «possono essere affidati con il criterio del prezzo più basso ove ritenuto motivatamente più adeguato dalla stazione appaltante» rispetto all’altro criterio previsto dalla disposizione censurata.

Ne consegue che la normativa regionale, rispetto a quella statale, si limita ad imporre un obbligo di motivazione – in linea, tra l’altro, con il principio generale consacrato dall’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) – qualora l’amministrazione decida di ricorrere al criterio del prezzo più basso. Tale diversità, come già sottolineato, non è suscettibile di ridurre la partecipazione degli operatori economici alle procedure di gara, non avendo alcuna capacità di recare un vulnus, in particolare, ai principi della libera circolazione delle persone e delle merci.

5.— Lo Stato ha anche impugnato l’art. 1, comma 5, lettera k), della predetta legge regionale n. 11 del 2009, nella parte in cui, modificando l’art. 56, comma 2, della precedente legge n. 14 del 2002, prevede che gli oneri per spese tecniche generali e di collaudo sono commisurati alle aliquote determinate dal Presidente della Regione. In particolare, si assume che tale disposizione violerebbe la competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza e di ordinamento civile, ponendosi in contrasto con l’art. 92, comma 2, del d.lgs. n. 163 del 2006, il quale attribuisce ad un decreto del Ministro della giustizia, di concerto con quello delle infrastrutture, la determinazione di dette aliquote.

5.1.— La questione è inammissibile.

La norma impugnata ha modificato il comma 2 dell’art. 56 della citata legge regionale, n. 14 del 2002.

Tale articolo, nell’insieme, disciplina le modalità di concessione dei finanziamenti regionali alle amministrazioni aggiudicatrici, in relazione a specifici lavori individuati dalla Giunta regionale. Nel contesto dell’intero articolo, il comma 2 attribuisce al Presidente della Regione il compito di fissare le aliquote per la determinazione degli oneri per spese tecniche generali e di collaudo.

La norma statale, evocata dal ricorrente come parametro interposto, riguarda invece le modalità di determinazione delle tabelle dei corrispettivi delle attività relative alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva di lavori, nonché alla direzione dei lavori e agli incarichi di supporto tecnico-amministrativo alle attività del responsabile del procedimento e del dirigente competente alla formazione del programma triennale dei lavori pubblici espletate dai soggetti specificamente indicati al comma 1 dell’art. 90 del d.lgs. n. 163 del 2006. In particolare, si prevede che detta determinazione debba essere effettuata con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro delle infrastrutture.

Dal contenuto delle richiamate norme risulta che la disposizione regionale impugnata – riguardando le modalità di determinazione dell’importo dei finanziamenti che possono essere concessi dalla Regione alle amministrazioni aggiudicatrici – attiene ai rapporti “esterni” tra queste ultime e la Regione stessa. La norma statale, invece, è relativa ai criteri di fissazione dei compensi spettanti ai soggetti che prestino la loro attività nel corso della realizzazione dell’opera a partire dalla procedura di gara, sicché essa incide sui rapporti “interni” tra tali soggetti e la stazione appaltante. In definitiva, la disposizione statale, avendo un differente ambito applicativo rispetto a quella regionale, non può essere utilmente evocata quale limite alla competenza statutaria della Regione in materia. Deve, pertanto, ritenersi che la erronea indicazione del parametro interposto impedisca, nella specie, la disamina nel merito della questione proposta (da ultimo, sentenza n. 45 del 2010).

6.— Lo Stato, infine, ha impugnato l’art. 7, comma 9, della predetta legge regionale n. 11 del 2009, il quale prevede che, «fermo restando le disposizioni normative a tutela della concorrenza, sono ridotti del 50 per cento i termini previsti dai singoli procedimenti di competenza della Regione e degli enti locali correlati alla realizzazione» di opere nel settore delle infrastrutture di trasporto, della mobilità e della logistica.

Secondo il ricorrente, tale norma violerebbe la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di tutela ambientale, ponendosi in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., e in particolare con il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), il quale prevede, per le opere soggette a valutazione di impatto ambientale (v.i.a.), «una precisa scansione temporale per l’espletamento del procedimento di compatibilità ambientale, fissando all’art. 26, comma 1, il termine di conclusione del procedimento (150 giorni elevati a 210 nel caso di progetti di particolare complessità)». La disposizione regionale censurata ostacolerebbe, poi, il rispetto dei tempi stabiliti dalla normativa nazionale per la consultazione del pubblico (art. 20, comma 3, in tema di “verifica di assoggettabilità”: 45 giorni; art. 24, comma 4, in tema di “consultazione”: 60 giorni), violando in tal modo i principi di partecipazione sanciti dalle disposizioni comunitarie (direttiva del Consiglio 27 giugno 1985, n. 85/337/CEE, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, art. 6). Inoltre, la normativa regionale interferirebbe con i termini sostanziali e di consultazione del pubblico previsti (si citano, al riguardo, gli artt. 12 e 14 della normativa nazionale) con riferimento al procedimento di valutazione ambientale strategica (v.a.s.).

6.1.— Anche tale questione va esaminata nel merito, non essendo sorretta da valide argomentazioni la preliminare eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa regionale, e non è fondata.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che la procedura di valutazione di impatto ambientale è autonoma, ancorché connessa, rispetto al procedimento amministrativo nell’ambito del quale si colloca. La sua funzione prevalente è quella di tutela dell’ambiente (sentenza n. 234 del 2009). Analogamente è a dirsi per la procedura di valutazione ambientale strategica.

La norma regionale impugnata – inserendosi in una più ampia disposizione che, con contenuto articolato e complesso, disciplina le modalità di realizzazione delle opere nel settore delle infrastrutture di trasporto, della mobilità e della logistica – non reca alcun vulnus, per il suo contenuto precettivo, alla suddetta competenza statale in materia di tutela dell’ambiente.

D’altronde, se il legislatore regionale, per fini di accelerazione e semplificazione procedurale nei particolari settori sopra indicati, ha ridotto la durata dei procedimenti amministrativi, deve ritenersi che abbia in tal modo responsabilmente valutato, nell’esercizio della sua discrezionalità, che nel suddetto arco temporale sia possibile effettuare tutti gli adempimenti, compresi quelli relativi alla consultazione del pubblico, contemplati a livello nazionale. In altri termini, non è da ravvisare alcuna interrelazione tra la riduzione della durata dei procedimenti e la violazione dei precetti contenuti nelle norme statali evocate dal ricorrente: norme che la Regione e le amministrazioni aggiudicatrici sono comunque tenute ad osservare.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara la illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, lettera a), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 4 giugno 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sviluppo economico regionale, sostegno al reddito dei lavoratori e delle famiglie, accelerazione di lavori pubblici);

b) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, lettere b), c), e dell’art. 7, comma 9, della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2009, proposte in riferimento all’art. 4, primo comma, della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), «in relazione all’art. 117, secondo comma, lettere e) e l)», nonché in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., con il ricorso indicato in epigrafe;

c) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 5, lettera k), della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia n. 11 del 2009, proposta in riferimento all’art. 4, primo comma, della legge costituzionale n. 1 del 1963 «in relazione all’art. 117, secondo comma, lettere e) e l)», con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2010.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Alfonso QUARANTA , Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2010.