Sentenza n. 7 del 2020

CONSULTA ONLINE 

 

SENTENZA N. 7

ANNO 2020

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente: Aldo CAROSI;

 

Giudici: Marta CARTABIA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI,

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, della legge della Regione Calabria 16 gennaio 1985, n. 4 (Istituzione del difensore civico presso la Regione Calabria), come sostituito dall’art. 1 della legge della Regione Calabria 6 aprile 2011, n. 13 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 16 gennaio 1985, n. 4), promosso dal Tribunale ordinario di Catanzaro, nel procedimento vertente tra Maria Emilia Intrieri e la Regione Calabria, con ordinanza del 18 gennaio 2018, iscritta al n. 195 del registro ordinanze 2018 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2019.

 

Visti gli atti di costituzione di Maria Emilia Intrieri e della Regione Calabria;

 

udito nell’udienza pubblica del 3 dicembre 2019 il Giudice relatore Marta Cartabia;

 

uditi gli avvocati Michele Filippelli per Maria Emilia Intrieri e Graziano Pungì per la Regione Calabria.

 

Ritenuto in fatto

 

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale ordinario di Catanzaro ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, della legge della Regione Calabria 16 gennaio 1985, n. 4 (Istituzione del difensore civico presso la Regione Calabria), richiamato dall’art. 3, comma 5, della legge della Regione Calabria 12 novembre 2004, n. 28 (Garante per l’infanzia e l’adolescenza), come sostituito dall’art. 1 della legge della Regione Calabria 6 aprile 2011, n. 13 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 16 gennaio 1985, n. 4), ritenendolo in contrasto con gli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848.

 

Il rimettente premette di essere stato adito da Maria Emilia Intrieri per la condanna della Regione Calabria alla corresponsione dell’indennità prevista per il Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza (carica ricoperta dalla ricorrente negli anni 2011-2015) calcolata nella misura stabilita dall’art. 9, comma 1, della legge reg. Calabria n. 4 del 1985 nella versione antecedente alle modifiche apportate dalla legge reg. Calabria n. 13 del 2011.

 

Il giudice a quo evidenzia come la decisione della controversia richieda l’applicazione dell’art. 9 citato in quanto richiamato dall’art. 3, comma 5, della legge reg. Calabria n. 28 del 2004, ai sensi del quale «[al] garante per l’infanzia e l’adolescenza spettano indennità di funzione, il rimborso spese ed il trattamento di missione nella misura prevista per il difensore civico, dall’art. 9 della legge regionale 16 gennaio 1985, n. 4: “Istituzione del difensore civico presso la Regione Calabria”».

 

L’art. 9 della legge reg. Calabria n. 4 del 1985, nel testo originario vigente al momento del conferimento dell’incarico in questione, stabiliva che «[al] difensore civico spetta la indennità di funzione nella misura stabilita per i consiglieri regionali». A seguito dell’intervento legislativo avvenuto con legge reg. Calabria n. 13 del 2011, tale disposizione ha poi previsto che al difensore civico spetti un’indennità pari al 25 per cento di quella fissa di funzione stabilita per i consiglieri regionali.

 

Pertanto, a decorrere dal 14 aprile 2011 – data di entrata in vigore della novella legislativa ai sensi dell’art. 2 della legge reg. Calabria n. 13 del 2011 – l’indennità di funzione del Garante ha subito una riduzione del 75 per cento rispetto a quanto prima previsto, passando da un importo originariamente pari a 9.362,91 euro mensili a quello di 2.087,00 euro.

 

Nel ricostruire la fattispecie, il rimettente espone che la ricorrente era stata nominata Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Calabria con decreto del Presidente del Consiglio regionale n. 46 del 22 dicembre 2010 e che la stessa aveva accettato l’incarico il 7 gennaio 2011 (fino al 21 maggio 2015, data di scadenza della legislatura). Tuttavia, la Regione aveva sospeso la corresponsione della relativa indennità in ragione di una situazione di incompatibilità sussistente in capo alla Intrieri con un altro diverso incarico da questa ricoperto, dal quale la stessa aveva poi rassegnato le dimissioni in data 24 marzo 2011.

 

Nel marzo 2012, la Regione aveva corrisposto quindi all’interessata un’indennità annuale (per il periodo marzo 2011 – marzo 2012), pari a 28.712,92 euro, calcolata sulla base alla normativa medio tempore intervenuta.

 

Successivamente, a decorrere dal 1° gennaio 2013, per effetto di una diminuzione dell’importo dell’indennità dei consiglieri regionali ad opera della legge della Regione Calabria 10 gennaio 2013, n. 1, recante «Disposizioni di adeguamento all’articolo 2 – riduzione dei costi della politica – del decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174 (Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012) convertito con modifiche con legge 7 dicembre 2012, n. 213», l’indennità mensile del Garante era stata conseguentemente e proporzionalmente ridotta a 1.275,00 euro.

 

La ricorrente dunque, contestando l’importo del trattamento economico corrispostole dalla Regione resistente, sull’asserito presupposto che le modifiche legislative, in particolare quella della legge reg. Calabria n. 13 del 2011 incidente sull’indennità del difensore civico, dovessero riguardare solo gli incarichi conferiti successivamente all’entrata in vigore di detta legge, chiedeva la condanna dell’ente alla corresponsione del compenso rideterminato secondo l’importo originariamente previsto.

 

Diversamente dalla tesi di parte, il giudice a quo ritiene che la norma censurata dovrebbe invece applicarsi alla fattispecie in esame nella sua nuova e attuale formulazione, trattandosi a suo avviso di un caso di «retroattività soltanto apparente», ossia di una «ipotesi di applicazione immediata della legge nuova agli effetti di un rapporto non esaurito».

 

In punto di rilevanza, il tribunale rimettente osserva in particolare che, «[i]n ragione della norma oggetto dei dubbi di legittimità, allora, si dovrebbe ritenere che, a partire dall’entrata in vigore della normativa sopravvenuta, all’attrice Intrieri spettasse il trattamento indennitario ridotto ut supra; pertanto, la domanda giudiziale proposta dalla medesima, di condanna della Regione Calabria alla corresponsione del trattamento nella misura prevista dall’art. 9 L.R. n. 4/1985 nella formulazione vigente all’atto della nomina, dovrebbe essere inesorabilmente rigettata. Al contrario, laddove la norma venisse dichiarata illegittima, si applicherebbe al caso di specie la normativa precedente per cui la domanda non potrebbe che trovare accoglimento».

 

In merito alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice sostiene che l’applicazione della normativa sopravvenuta, per le modalità con cui è stato operato in concreto l’intervento legislativo, «frustr[i] […] il legittimo affidamento riposto dal soggetto interessato dalla modifica nella continuità del precedente trattamento indennitario».

 

A tal fine, il rimettente ripercorre la giurisprudenza costituzionale (con qualche breve riferimento anche a quella della Corte di giustizia dell’Unione europea, in particolare, alle sentenze CGE 29 aprile 2004, in cause riunite C-487/01 e C-7/02; 15 luglio 2004, in cause riunite C-37/02 e C-38/02; 4 ottobre 2007, in causa C-217/06; 14 giugno 2011, in causa C-360/09) sul legittimo affidamento e sulle condizioni che devono ricorrere perché possa effettivamente riscontrarsi una lesione di detto principio, evidenziando, in sintesi, come la verifica della ragionevolezza del regime giuridico sopravvenuto debba fondarsi per la Corte su tre elementi: «la prevedibilità della modifica peggiorativa imposta, la proporzionalità con cui essa incide sulle posizioni giuridiche preesistenti e la previsione di norme transitorie, che rendano meno traumatico il passaggio dalla precedente normativa a quella nuova, così consentendo ai soggetti interessati di adeguarsi allo ius superveniens senza subirne un pregiudizio eccessivo» (sono riportate, in particolare, l'ordinanza n. 274 del 2015 e le sentenze n. 272, n. 260, n. 216, n. 192, n. 127, n. 71, n. 56 e n. 23 del 2015; n. 310 e n. 92 del 2013; n. 166 del 2012; n. 1 del 2011; n. 302 e n. 209 del 2010; n. 74 del 2008; n. 234 del 2007; n. 264 del 2005; n. 416 del 1999; n. 155 del 1990; n. 349 del 1985).

 

Il giudice richiama altresì la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sul medesimo principio, relativamente ai casi di interventi legislativi comportanti conseguenze negative di carattere patrimoniale in violazione dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, evidenziando come, secondo la Corte EDU, «l’ingerenza nel diritto al rispetto dei beni deve garantire un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale della comunità e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo e che deve esistere un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito da qualsiasi misura privativa della proprietà».

 

Alla luce del quadro giurisprudenziale variamente ripercorso dal rimettente, questi assume dunque che la norma censurata violerebbe in uno con l’art. 3 Cost. anche l’art. 117, primo comma, Cost. e il parametro interposto dell’art. 1 Prot. addiz. CEDU, atteso che nella fattispecie in esame «non appaiono rispettate le condizioni e le modalità attraverso cui il legislatore può correttamente operare le modifiche in senso peggiorativo dell’ordinamento e appare conseguentemente lesa la posizione dell’affidamento dell’attrice».

 

Il giudice a quo sottolinea invero che, quanto al contesto normativo, sin dal 2004 – anno di istituzione della figura del Garante – il relativo trattamento indennitario sarebbe rimasto «immutatamente» parametrato a quello previsto per il difensore civico, a sua volta parametrato, per oltre un venticinquennio, a quello previsto per i consiglieri regionali. Pertanto, seppure di poco successiva al conferimento dell’incarico, la modifica normativa sarebbe stata «inaspettata» perché l’attrice avrebbe nutrito comunque, al momento dell’accettazione, una ragionevole fiducia nella permanenza nel tempo di quel consolidato assetto.

 

In secondo luogo, ad avviso del tribunale, l’applicazione immediata della riduzione dell’indennità sarebbe frutto di una decisione improvvisa e imprevedibile, non giustificabile alla luce della sola esigenza di contenimento della finanza pubblica.

 

L’intervento inoltre risulterebbe assolutamente sproporzionato, considerata la mancata previsione di una disciplina transitoria e l’eccessività del sacrificio, non solo in termini economici, ma anche in ragione delle circostanze di fatto e delle limitazioni concretamente sussistenti per lo svolgimento dell’incarico in questione, in forza del regime di incompatibilità assoluta con qualsiasi altro incarico e/o attività lavorativa (allora) previsto dalla disciplina sul Garante.

 

2.– Con atto del 29 gennaio 2019, si è costituita in giudizio la Regione Calabria argomentando per l’infondatezza della questione sollevata.

 

La Regione ha in particolare evidenziato come la persona investita dell’incarico di Garante per l’infanzia, come pure quello di difensore civico, sia titolare di un rapporto onorario, non di pubblico impiego, e dunque il compenso non rappresenterebbe una retribuzione con finalità di sostentamento della persona, bensì un’indennità, corrisposta mensilmente, che ben potrebbe risentire di eventuali modifiche legislative intervenute durante la durata dell’incarico. Al riguardo, la difesa regionale rappresenta pure come in altre Regioni l’indennità spettante al Garante sia prevista addirittura in percentuali più basse rispetto al 25 per cento applicato dalla Calabria, fino addirittura a prevedere la gratuità dell’incarico.

 

La Regione sottolinea inoltre come sulla misura del trattamento in questione abbia in realtà inciso non la legge di modifica contestata, bensì due riduzioni intervenute successivamente sull’indennità di consigliere regionale, una a decorrere dal 1° gennaio 2012, l’altra dal 1° gennaio 2013, realizzate in adeguamento alle disposizioni normative emanate dal legislatore nazionale con lo specifico obiettivo del contenimento della spesa e della razionalizzazione finanziaria.

 

3.– Con atto depositato in data 11 febbraio 2019, si è infine costituita Maria Emilia Intrieri, insistendo per la declaratoria di incostituzionalità della norma censurata.

 

4.– In prossimità dell’udienza, la parte privata ha depositato memoria in cui ha ribadito gli argomenti a favore della fondatezza delle questioni sollevate.

 

Considerato in diritto

 

1.– Il Tribunale ordinario di Catanzaro dubita della legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, della legge della Regione Calabria 16 gennaio 1985, n. 4 (Istituzione del difensore civico presso la Regione Calabria), richiamato dall’art. 3, comma 5, della legge della Regione Calabria 12 novembre 2004, n. 28 (Garante per l’infanzia e l’adolescenza), come sostituito dall’art. 1 della legge della Regione Calabria 6 aprile 2011, n. 13 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 16 gennaio 1985, n. 4), per contrasto con gli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848.

 

Il rimettente evidenzia come la decisione del giudizio principale, avente a oggetto la determinazione dell’indennità spettante al Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza – incarico attribuito alla parte ricorrente nel giudizio a quo per gli anni 2011-2015 – richieda l’applicazione della norma censurata richiamata dall’art. 3, comma 5, della legge reg. Calabria n. 28 del 2004, ai sensi del quale «[al] garante per l’infanzia e l’adolescenza spettano indennità di funzione, il rimborso spese ed il trattamento di missione nella misura prevista per il difensore civico, dall’art. 9 della legge regionale 16 gennaio 1985, n. 4: “Istituzione del difensore civico presso la Regione Calabria”».

 

L’art. 9 della legge reg. Calabria n. 4 del 1985, nel testo originario vigente al momento del conferimento dell’incarico in questione, a sua volta stabiliva che «[al] difensore civico spetta la indennità di funzione nella misura stabilita per i consiglieri regionali».

 

A seguito delle modifiche apportate con legge reg. Calabria n. 13 del 2011 al predetto art. 9, l’indennità del difensore civico è stata ridotta alla misura del 25 per cento di quella fissa di funzione stabilita per i consiglieri regionali e, conseguentemente, anche il trattamento economico del Garante ha subito la medesima decurtazione.

 

Ad avviso del rimettente, la norma censurata, nel diminuire in maniera improvvisa e imprevedibile, nonché in misura eccessiva e sproporzionata, senza un’inderogabile esigenza, la misura del trattamento economico spettante al difensore civico regionale – costituente parametro di riferimento per l’indennità del Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza – avrebbe violato il legittimo affidamento riposto dal Garante «interessato dalla modifica […] nella continuità del precedente trattamento indennitario».

 

2.– Per com’è formulata nell’ordinanza di rimessione, la questione di legittimità costituzionale presenta diversi aspetti di incertezza, che ne impediscono l’esame nel merito.

 

3.– Anzitutto, fra la motivazione e l’oggetto della questione, come delineato nell’ordinanza, sussistono incongruità sotto due profili, riguardanti rispettivamente la normativa censurata e il tipo di intervento richiesto a questa Corte.

 

3.1.– Per quanto riguarda il primo profilo, il tribunale rimettente censura l’art. 9, comma 1, della legge reg. Calabria n. 4 del 1985, relativo all’indennità spettante al difensore civico regionale, ma incentra tutte le argomentazioni sulla figura del Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza, rilevante nel giudizio a quo, della quale sottolinea tra l’altro lo stretto regime di incompatibilità con qualsiasi altro incarico o attività lavorativa.

 

Ben vero che il trattamento indennitario del Garante per l’infanzia è regolato dall’art. 3, comma 5, della legge reg. Calabria n. 28 del 2004, il quale contiene un rinvio – evidentemente ritenuto mobile, ma senza compiute argomentazioni a riguardo – alla disposizione impugnata per la determinazione della misura dell’indennità, del rimborso spese e del trattamento di missione. Tuttavia, la dichiarazione di incostituzionalità auspicata finirebbe per travolgere unitamente all’indennità del Garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza anche quella del difensore civico regionale.

 

3.2.– Neppure è chiaro, dal tenore dell’ordinanza, se sia richiesto a questa Corte di intervenire con una dichiarazione di illegittimità costituzionale pura e semplice, oppure con una pronuncia di tipo manipolativo – la quale, in ipotesi, comporterebbe il problema aggiuntivo di confrontarsi con gli eventuali ambiti di discrezionalità riservati al legislatore.

 

Da un lato, in un inciso della motivazione, il Tribunale sembra concentrare i propri dubbi sulla normativa in questione «nella parte in cui si applichi anche ai rapporti in corso alla data della sua entrata in vigore». Dall’altro, però, questo inciso non è sviluppato coerentemente nel resto dell’ordinanza, ivi comprese le conclusioni, formulate in termini puramente e semplicemente caducatori.

 

Per costante giurisprudenza costituzionale, l’ambiguità e l’indeterminatezza del petitum, così come pure l’incertezza circa l’intervento richiesto, costituiscono motivi di inammissibilità, segnatamente quando si solleciti una pronuncia manipolativa senza indicare punti di riferimento o soluzioni, ancorché non costituzionalmente obbligati, già rinvenibili nell’ordinamento, i quali consentano a questa Corte di intervenire nel senso richiesto (da ultimo, sentenza n. 239 del 2019).

 

3.2.1.– Tale incertezza emerge anche da un altro punto di vista.

 

Nell’ordinanza si legge che, «laddove la norma venisse dichiarata illegittima, si applicherebbe al caso di specie la normativa precedente». In tal modo, si dà per scontato che alla caducazione dell’art. 9, comma 1, della legge reg. Calabria n. 4 del 1985, come modificato dall’art. 1 della legge reg. Calabria n. 13 del 2011, conseguirebbe la reviviscenza del citato art. 9, comma 1, nella versione originaria, automaticamente (e a prescindere da interventi manipolativi di questa Corte).

 

Ciò non può essere condiviso.

 

Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, il fenomeno della reviviscenza di norme abrogate «non opera in via generale e automatica e può essere ammesso soltanto in ipotesi tipiche e molto limitate» (sentenza n. 13 del 2012), alle quali non può essere ricondotto il caso in esame. In particolare, l’ipotesi della declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma che sia meramente abrogativa di una norma precedente, la quale torna per ciò stesso a rivivere (sentenze n. 255 del 2019; n. 10 del 2018; n. 218 del 2015), non ricorre nel caso oggetto del presente giudizio, atteso il carattere non meramente abrogativo della disposizione censurata, la quale ha invece un contenuto normativo più ampio e sostitutivo di quella previgente.

 

La mera declaratoria di incostituzionalità creerebbe solo un vuoto normativo e non sarebbe in grado di ripristinare, di per sé sola, il trattamento economico vigente al momento dell’accettazione dell’incarico.

 

4.– Sussistono anche alcune carenze e incertezze argomentative in punto di non manifesta infondatezza, le quali sono a loro volta per giurisprudenza costante di questa Corte causa di inammissibilità (ex plurimis, sentenze n. 37 e n. 33 del 2019; n. 9 del 2018; n. 214 del 2017; n. 276 e n. 219 del 2016; n. 223 e n. 120 del 2015).

 

Nel censurare la riduzione dell’indennità spettante al Garante dell’infanzia, gli argomenti addotti dall’ordinanza di rimessione oscillano tra piani diversi: talora, si appuntano sulla “retroattività” (impropria) della nuova disciplina dell’indennità, o meglio sulla sua applicabilità immediata al Garante in carica; talaltra, riguardano la misura della riduzione, ritenuta sproporzionata ed eccessiva; talaltra ancora, insistono sulle modalità della riduzione medesima, vale a dire sul carattere improvviso e imprevedibile dell’intervento legislativo regionale, da cui conseguirebbe la lesione del legittimo affidamento. Si tratta di prospettive variegate, peraltro non indifferenti anche ai fini dell’individuazione degli interventi necessari a rimediare all’asserita illegittimità costituzionale.

 

Né giovano a chiarire i termini della questione i richiami, contenuti nell’ordinanza di rimessione, alla ricca, diversa e molteplice giurisprudenza, tanto di questa Corte, quanto di quelle europee, in materia di legittimo affidamento. Le pronunce delle varie Corti riguardano casi tra loro eterogenei e non omologabili a quello in esame, sicché le citazioni rendono ulteriormente confusa l’identificazione dello specifico vulnus denunciato.

 

5.– Alla luce delle ragioni che precedono, nei termini in cui è stata formulata, la questione va dichiarata inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, della legge della Regione Calabria 16 gennaio 1985, n. 4 (Istituzione del difensore civico presso la Regione Calabria), come sostituito dall’art. 1 della legge della Regione Calabria 6 aprile 2011, n. 13 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 16 gennaio 1985, n. 4), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ratificato e reso esecutivo con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Tribunale ordinario di Catanzaro con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2019.

 

F.to:

 

Aldo CAROSI, Presidente

 

Marta CARTABIA, Redattore

 

Roberto MILANA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 31 gennaio 2020.