SENTENZA N. 92
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco GALLO Presidente
- Luigi MAZZELLA Giudice
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo
Maria NAPOLITANO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario
Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale
dell’articolo 38, commi 2, 4, 6 e 10, del decreto- legge 30 settembre 2003, n.
269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge
24 novembre 2003, n. 326, promosso dalla Corte d’appello di Torino nel
procedimento vertente tra Catalano Salvatore, nella qualità di titolare
dell’Autocarrozzeria SAGI, ed altri e il Ministero dell’interno ed altri, con
ordinanza del 13 dicembre 2011, iscritta al n. 133 del registro ordinanze 2012
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie
speciale, dell’anno 2012.
Visti l’atto di
costituzione di Catalano Salvatore, nella qualità di
titolare dell’Autocarrozzeria SAGI, e della ASSI (Associazione soccorritori
stradali italiani), nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 10 aprile 2013 il Giudice relatore Paolo
Grossi;
uditi l’avvocato Fulvio Lorenzo Monti per Catalano Salvatore, nella qualità di
titolare dell’Autocarrozzeria SAGI, e per la ASSI e l’avvocato dello Stato
Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei
ministri.
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 13 dicembre 2011,
la Corte d’appello di Torino ha sollevato, in
riferimento agli articoli 3, 41, 42 e 117 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 38, commi 2, 4, 6 e
10, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per
favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici),
convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2003, n. 326, «nella parte
in cui riconosce al custode, con effetto retroattivo, compensi inferiori
rispetto a quelli previgenti».
Premette il giudice rimettente di essere
stato investito a seguito di appello proposto dalla Autocarrozzeria
SAGI avverso la sentenza n. 6945, pronunciata il 22 ottobre 2008 dal Tribunale
di Torino, con la quale era stata respinta la domanda avanzata dal titolare
della stessa autocarrozzeria intesa ad ottenere, da parte del Ministero
dell’interno, della Agenzia del demanio, del Comune di Torino e del Comune di
Settimo Torinese, la liquidazione del compenso per il servizio di custodia di
veicoli sottoposti a sequestro, fermo amministrativo e confisca, secondo le
tariffe concordate con la Prefettura di Torino e per gli importi quantificati
dalla parte attrice e non riconosciuti, con conseguente asserita violazione
degli accordi tariffari.
Aveva, al riguardo, stabilito il primo
giudice che la posizione assunta dalla Prefettura di Torino doveva ritenersi
corretta, in quanto in linea con il disposto dell’art.
38 del d.l. n. 269 del 2003, la cui ratio era quella
di smaltire le giacenze di veicoli di epoca più risalente e di contenere i
costi a carico degli enti pubblici, attraverso una particolare procedura di
alienazione forzata in capo al depositario, anche ai fini della rottamazione,
dei veicoli in custodia. Disciplina, questa, della quale univoci indici
normativi contrassegnavano la efficacia retroattiva
rispetto ai rapporti non esauriti.
A fronte di tale pronuncia, l’appellante
deduceva la illegittimità costituzionale dell’art. 38,
comma 6, del citato d.l. n. 269 del 2003, sul rilievo che la relativa
disciplina avrebbe introdotto un’irragionevole disparità di trattamento tra
coloro che avevano già conseguito la liquidazione dei compensi in data
antecedente alla entrata in vigore di tale disposizione o avevano ricevuto in
affidamento veicoli in data successiva al 30 settembre 2001, per i quali
trovava applicazione la previgente disciplina dettata dal d.P.R.
29 luglio 1982, n. 571 (Norme per l’attuazione degli articoli 15, ultimo comma,
e 17, penultimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, concernente
modifiche al sistema penale).
In punto di rilevanza, il giudice a quo
segnala come la controversia non possa essere risolta se non attraverso
l’applicazione delle norme denunciate e, in particolare, del comma 6 del medesimo art. 38. Risulterebbe, infatti, pacifico tra
le parti che la domanda abbia ad oggetto il
riconoscimento del compenso spettante per rapporti di custodia in corso alla
data di entrata in vigore della nuova disciplina e relativi a veicoli che
rientrano nella previsione dettata dal comma 2. Del pari incontroversa sarebbe
la circostanza che, per i rapporti di custodia oggetto di causa, sussistano i
presupposti per dar corso alla procedura straordinaria di alienazione dei
veicoli, anche ai soli fini della rottamazione, ai titolari del deposito. Si
tratterebbe, infatti di una situazione che si iscrive
nella “finestra” temporale determinata, da un lato, dai rapporti esauriti e
liquidati prima della entrata in vigore della norma e, dall’altro, dai rapporti
iniziati dopo il 1° ottobre 2001, ovvero concernenti veicoli privi degli
indicati requisiti di vetustà, per i quali operano le vecchie tariffe.
In punto di non manifesta infondatezza,
il giudice rimettente sottolinea come non sia
revocabile in dubbio la portata retroattiva della disposizione oggetto di
censura: essa è stata, infatti, introdotta espressamente “in deroga” rispetto
alla previgente disciplina; comporta una decurtazione annua del 20% del
compenso, necessariamente riferito alle annualità maturate alla data di entrata
in vigore della novella; opera per i rapporti di custodia iniziati prima del 1°
ottobre 2001 ed è in connessione con le procedure di alienazione o rottamazione
straordinaria già avviate dalle Prefetture, ma non ancora concluse alla data di
entrata in vigore del decreto-legge. Tutto ciò sarebbe, d’altra parte, in linea
con la ratio del provvedimento di urgenza, destinato
a ridurre, non solo per il futuro, gli ingenti oneri di custodia per veicoli
privi di valore commerciale residuo.
Al lume della consistente giurisprudenza
costituzionale in tema di limiti della retroattività, sopra i quali l’ordinanza
diffusamente si sofferma, occorrerebbe interrogarsi – ad avviso del rimettente
– su quali siano, nel caso di specie, gli interessi di rilevanza costituzionale
o di particolare pregnanza tali da giustificare l’efficacia retroattiva della
disposizione denunciata.
Sul punto, non potrebbero soccorrere le
semplici esigenze di contenimento della spesa pubblica: per un verso, infatti, si inciderebbe su diritti già maturati e, sotto altro
profilo, il sacrificio connesso al ripianamento finanziario dovrebbe essere
fatto gravare su tutti i consociati e non su una piccola porzione – tra gli
stessi custodi – individuati secondo parametri casuali: ciò che genererebbe
effetti discriminatori anche sul versante della stessa portata retroattiva.
Inoltre, l’emergenza, cui la norma avrebbe inteso porre rimedio, non sarebbe
imputabile ai custodi ma, semmai, alla inerzia della
amministrazione, che non avrebbe dato tempestivo corso alle procedure di
vendita o di rottamazione dei veicoli, con evidente pregiudizio
dell’affidamento circa il riconoscimento delle tariffe inizialmente pattuite.
Né, a fronte di tutto ciò, potrebbe obiettarsi che la contropartita per i
custodi sia rappresentata dalla contestuale
alienazione forzosa in loro favore dei veicoli, trattandosi di beni
sostanzialmente privi di valore economico.
Le considerazioni, poi, che potrebbero
svolgersi in ordine al principio di buon andamento
della pubblica amministrazione e di tutela dell’ambiente, in ragione della
natura inquinante dei materiali custoditi, avrebbero dovuto formare oggetto di
una disciplina a regime.
Si denuncia, infine, un contrasto anche
con l’art. 117 [verosimilmente primo comma] Cost., in
riferimento all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale della CEDU, in quanto
la norma censurata vulnererebbe il diritto di non essere privati della
proprietà se non per causa di pubblica utilità ed alle condizioni previste
dalla legge nazionale e dai princìpi generali di
diritto internazionale. Il tutto secondo la interpretazione
data a questo principio dalla Corte di Strasburgo, attenta a rimarcare la
necessità, oltre che della certezza del diritto e della prevedibilità del
quadro normativo, di «trovare un giusto equilibrio tra le esigenze di interesse
generale della comunità e le esigenze individuali di tutela dei diritti
fondamentali» nonché di individuare «un ragionevole rapporto di proporzionalità
tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito dalle misure restrittive della
proprietà».
2. – Si sono costituite in giudizio la
parte privata Autocarrozzeria SAGI e l’interveniente Associazione Soccorritori
Stradali Italiani (ASSI), chiedendo una declaratoria di illegittimità
costituzionale della norma censurata.
3. – È intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo dichiararsi manifestamente infondata la
proposta questione.
Reputa l’Avvocatura che la disciplina in
questione rinvenga una ragionevole causa giustificatrice
nella esigenza di risanamento dei conti pubblici determinata dalla protrazione,
di lunga durata, dei rapporti di custodia di veicoli oggetto di sequestro
amministrativo, nonché nella ugualmente fondamentale esigenza di eliminare, nei
tempi più rapidi, e comunque non differibili, i veicoli sequestrati da lunga
durata, perché dannosi per la salubrità dell’ambiente e, talora, per la salute
collettiva.
D’altra parte, la questione sarebbe già
stata esaminata e risolta dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 5306 del
2007, che ha ritenuto la normativa in esame frutto di scelte discrezionali del
legislatore, giustificate dalle esigenze innanzi descritte.
4. – In prossimità dell’udienza, la SAGI
Autocarrozzeria ha insistito, con una memoria, nelle già rassegnate
conclusioni.
Le esigenze di contenimento della spesa
pubblica, poste a fondamento della normativa censurata, sarebbero state nella
specie accollate esclusivamente all’incolpevole custode e a suo detrimento,
senza la previsione di altrettanto eccezionali e derogatori poteri di
riscossione per sanzioni e spese di trasporto-custodia nei confronti dei
trasgressori.
Nella normativa a regime si inciderebbe,
poi, sul piano strutturale, prendendo in considerazione una nuova categoria di
soggetti “custodi-acquirenti”, diversa dai custodi di cui al d.P.R. n. 571 del 1982, destinati ad
essere «individuati con procedure di evidenza pubblica ed a cui saranno note ex
ante le condizioni, i ricavi per le prestazioni e che godranno infine di un
termine garantito di vigenza del contratto».
La vecchia normativa, d’altra parte, non
è stata soppressa ed anzi essa è oggetto di perdurante
applicazione per i veicoli presi in custodia dal 1° ottobre 2001 e almeno sino
a tutto il gennaio-febbraio 2010. Si determinerebbe, quindi, una
ingiustificata disparità di trattamento tra quanti abbiano ricevuto la
liquidazione del compenso in data antecedente all’entrata in vigore del
provvedimento in questione o abbiano ricevuto in affidamento i veicoli in data
successiva al 30 settembre 2001.
L’intervento legislativo in esame non
sarebbe destinato a incidere sul potere dispositivo di beni o su attività
economiche per finalità di ordine generale ovvero ad
eliminare o ridurre normative di privilegio: al contrario, la portata retroattiva
della norma modificherebbe un rapporto contrattuale per la gestione di un
servizio pubblico esercitato tramite privati e, per di più, a fronte di
inadempienze palesi della pubblica amministrazione. Ne risulterebbe, pertanto,
violato il principio di affidamento, messo in evidenza in più pronunce di
questa Corte.
Sottolineato, poi, come il principio di
irretroattività della legge in riferimento ai rapporti di durata sia stato più
volte affermato anche dalla giurisprudenza di legittimità, la memoria evidenzia
che l’effetto pratico conseguente alla nuova disciplina consisterebbe nella
possibile diversità in ordine ai trattamenti sanzionatori di identiche
violazioni, oltre che nel possibile “indebito arricchimento” da parte dello
Stato ai danni del custode. Né, d’altra parte, potrebbe addursi a
giustificazione l’attuale condizione di «dissesto finanziario dello Stato»,
risalendo la norma al 2003.
Si sottolinea,
inoltre, il contrasto della disposizione denunciata con il concetto di “alienazione”
«quale attività contrattuale diretta a modificare un rapporto giuridico»:
travisando «la natura stessa del negozio giuridico», sarebbe previsto non di
espropriare qualcosa per finalità di interesse pubblico ma, addirittura, di
vendere forzosamente un bene «che il privato non vuole acquistare né per cui ha
mai assunto alcun obbligo in tal senso»; risultando, peraltro, indubitabile
che, «nel nostro regime giuridico, non si possano imporre scelte contrattuali
con un provvedimento amministrativo», fra l’altro modificando in ipotesi
pregressi accordi negoziali.
Sussisterebbe, infine, violazione
dell’art. 117, primo comma, Cost., per lesione del diritto di proprietà, alla
luce di varie pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte
di giustizia, secondo gli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale in ordine al valore di tali pronunce.
Considerato in diritto
1. – Chiamata a pronunciarsi in sede di
appello – proposto avverso la sentenza con la quale, in applicazione della disciplina
introdotta dall’art. 38 del decreto-legge 30 settembre
2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione
dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge
24 novembre 2003, n. 326, il giudice di primo grado aveva respinto la domanda
formulata dal gestore di una autocarrozzeria diretta a ottenere la liquidazione
del compenso per un servizio di custodia di veicoli sottoposti a sequestro,
fermo amministrativo e confisca in conformità alle tariffe concordate con la
Prefettura di Torino –, la Corte d’appello di Torino ha sollevato, in
riferimento agli articoli 3, 41, 42 e 117 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale del combinato disposto del medesimo art. 38, commi
2, 4, 6 e 10, del predetto decreto-legge n. 269 del 2003, «nella parte in cui
riconosce al custode, con effetto retroattivo, compensi inferiori rispetto a
quelli previgenti».
Innovando, infatti, profondamente la
disciplina previgente in materia di compensi da riconoscere ai custodi di
veicoli sequestrati, l’art. 38 denunciato stabilisce,
al comma 2, che i veicoli giacenti presso le depositerie
autorizzate a seguito di sequestro e sanzioni accessorie previste dal codice
della strada, o quelli non alienati per mancanza di acquirenti, «purché
immatricolati per la prima volta da oltre cinque anni e privi di interesse
storico e collezionistico, comunque custoditi da oltre due anni alla data del
30 settembre 2003, anche se non confiscati, sono alienati, anche ai soli fini della
rottamazione, mediante cessione al soggetto titolare del deposito.». Quanto al
corrispettivo dell’alienazione, il comma 4 prevede che esso sia determinato
«dalle Amministrazioni procedenti in modo cumulativo per il totale dei veicoli
che ne sono oggetto», tenuto conto di una serie di elementi e sulla base di un
computo delle somme dovute secondo i criteri di cui al successivo comma 6, «in
relazione alle spese di custodia, nonché degli eventuali oneri di rottamazione
che possono gravare sul medesimo depositario-acquirente». A proposito di
compensi, il comma 6 stabilisce che, in deroga al
previgente sistema tariffario, al custode viene riconosciuto «un importo
complessivo forfettario, comprensivo del trasporto, calcolato, per ciascuno
degli ultimi dodici mesi di custodia in euro 6,00 per i motoveicoli ed i
ciclomotori, in euro 24,00 per gli autoveicoli ed i rimorchi di massa
complessiva inferiore a 3,5 tonnellate, nonché per le macchine agricole ed
operatrici, ed in euro 30,00 per gli autoveicoli ed i rimorchi di massa
complessiva superiore a 3,5 tonnellate. Gli importi sono progressivamente
ridotti del venti per cento per ogni ulteriore anno, o
frazione di esso, di custodia del veicolo, salva l’eventuale intervenuta
prescrizione delle somme dovute.». Il comma 10 del medesimo articolo ne
estende, poi, la relativa disciplina anche alle procedure di alienazione o
rottamazione straordinaria che, alla data di entrata in vigore del decreto
siano state avviate dalle singole prefetture-uffici territoriali del Governo,
ove non ancora concluse, prevedendo che i compensi dei custodi siano
determinati ai sensi del comma 6, «salvo che a livello locale siano state
individuate condizioni di pagamento meno onerose per l’erario».
A parere del giudice a quo, la
disciplina impugnata, nella parte in cui determina effetti retroattivi in peius circa il regime dei compensi spettanti ai custodi, si
porrebbe in contrasto con gli artt. 3, 41 e 42 Cost.,
in quanto l’emanazione di norme retroattive per il contenimento della spesa
pubblica non può incidere sui diritti acquisiti, specie quando, come nella
specie, il sacrificio economico non sia imposto a tutti i consociati, ma ad una
sola categoria (i custodi giudiziari), per la quale, fra l’altro, la
decurtazione del compenso di custodia incide solo su una ristretta cerchia,
individuata secondo parametri casuali, quali la titolarità del rapporto di
custodia da almeno due anni prima della entrata in vigore della norma e
relativo a veicoli immatricolati da più di cinque anni.
Si appaleserebbe, inoltre, un contrasto
con l’art. 117 [verosimilmente primo comma] Cost., in
riferimento all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale della CEDU, dal momento
che tale disposizione interposta espressamente riconosce il diritto di ogni
persona fisica o giuridica al rispetto dei propri beni ed il diritto, in
particolare, di non essere privata della proprietà se non a causa di pubblica
utilità ed alle condizioni previste dalla legge nazionale e dai principi
generali di diritto internazionale. Diritto che, nella specie, la portata
retroattiva della norma violerebbe, in quanto sarebbe
compromesso il principio di certezza e prevedibilità del quadro normativo e non
raggiunto l’obiettivo di «trovare un giusto equilibrio tra le esigenze di
interesse generale della comunità e le esigenze individuali di tutela dei
diritti fondamentali», individuando «un ragionevole rapporto di proporzionalità
tra i mezzi impiegati e lo scopo perseguito dalle misure restrittive della
proprietà».
2. – La questione è fondata.
3. – La ratio
ispiratrice della disciplina – come si è già accennato, profondamente
innovativa – introdotta dal decreto-legge n. 269 del 2003
risulta dichiaratamente informata all’esigenza – di primario risalto, in
considerazione degli elevati oneri per l’erario dello Stato – del contenimento
delle spese di custodia per i veicoli assoggettati a misure di fermo o
sequestro e successivamente a confisca, a seguito di infrazioni al codice della
strada. L’obiettivo perseguito è stato quello di ridurre al minimo la protrazione
della custodia onerosa presso terzi dei veicoli sottoposti a misura di fermo o
di sequestro amministrativo: obiettivo che – come puntualizza la relazione
illustrativa del disegno di legge di conversione – prevede, a regime, due linee
di intervento concorrenti, entrambe innovative
rispetto alla disciplina previgente.
Da un lato, infatti, viene
introdotto, a carico dei trasgressori o dei proprietari dei veicoli sequestrati
o fermati, uno specifico obbligo di diretta custodia del veicolo, prevedendo,
nei confronti dei soggetti che non prestino ottemperanza, una elevata sanzione
amministrativa pecuniaria e la sanzione amministrativa accessoria della
sospensione della patente di guida. Attraverso la “traslazione”, in capo allo
stesso contravventore, dell’obbligo di custodia della
vettura sottoposta a fermo o sequestro, il legislatore si è chiaramente posto
in una prospettiva tendenzialmente “soppressiva”
della figura dei “semplici” custodi amministrativi, giacché l'intervento di
questi è previsto solo come ipotesi alternativa e residuale.
Dall’altro lato, è previsto, per i casi
di rifiuto di assunzione della custodia del veicolo da
parte del proprietario o del trasgressore, un meccanismo di alienazione
coattivo del mezzo, in favore del soggetto terzo (il depositario), al quale lo
stesso deve essere affidato in custodia. «La ragione di tale intervento –
precisa ancora la relazione – è data dalla necessità di predisporre un rimedio
strutturale ed efficace alle conseguenze derivanti dalla lunga permanenza dei veicoli
in giacenza presso le depositerie, che si risolve per
lo Stato in un’abnorme moltiplicazione dei costi connessi alla loro gestione».
4. – Le innovazioni che hanno
contrassegnato tanto i soggetti chiamati a svolgere la funzione di custode dei
veicoli sottoposti a provvedimenti amministrativi di fermo, sequestro e poi di
confisca, quanto il peculiare regime che caratterizza lo specifico ruolo dei
“custodi-acquirenti” (la cui individuazione, diritti e attività hanno formato
oggetto di analitica disciplina da parte dell’art. 214-bis del nuovo codice
della strada, parimenti introdotto dalla disposizione oggetto di impugnativa), devono, dunque, essere tenute presenti agli
effetti dell’odierno scrutinio, in una con il segnalato e rilevante intento
economico perseguito dal legislatore, per misurare se e “quanto” di tale ratio normativa possa essere pertinentemente
evocato per giustificare la particolare disposizione intertemporale oggetto di
censura.
Ebbene, dalla normativa denunciata si
evince che: 1) i veicoli giacenti presso le depositerie
o quelli non alienati per mancanza di acquirenti – purché a) immatricolati per
la prima volta da oltre cinque anni e privi di interesse
storico e collezionistico e b) comunque custoditi da oltre due anni alla data
del 30 settembre 2003, anche se non confiscati – sono alienati, anche ai soli
fini della rottamazione, mediante cessione al soggetto titolare del deposito;
2) il corrispettivo della alienazione è determinato dalla amministrazione – in
deroga alle tariffe di cui all’art. 12 del d.P.R. 29
luglio 1982, n. 571 (Norme per l’attuazione degli articoli 15, ultimo comma, e
17, penultimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, concernente
modifiche al sistema penale), decreto emanato per l’attuazione della legge 24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) – sulla base dei criteri
stabiliti dal comma 6 in relazione alle spese di custodia nonché agli oneri di
rottamazione, che possono gravare sul depositario-acquirente; 3) le procedure
di alienazione o rottamazione che, alla data di entrata in vigore del decreto,
non fossero ancora concluse, sono assoggettate alla relativa disciplina,
mentre, quanto ai compensi da riconoscere ai custodi e non ancora liquidati, si
applicano i criteri sanciti dal comma 6 dell’art. 38, «salvo che a livello
locale siano state individuate condizioni di pagamento meno onerose per
l’erario».
Quelli che vengono qui
in discorso sono, dunque, rapporti di custodia che, come puntualizza il giudice
a quo, risultano ratione temporis
iscritti in un «regime “intermedio”, perché ricompresi nella “finestra”
temporale rappresentata, da un lato, dai rapporti già esauriti ed eventualmente
non ancora liquidati (sulla base delle vecchie tariffe) all’entrata in vigore
delle modificazioni apportate dall’art. 38 citato; e, dall’altro, dai rapporti
(a loro volta pendenti alla data di entrata in vigore della legge di riforma)
aventi ad oggetto custodie iniziate dopo il 1° ottobre 2001, ovvero concernenti
veicoli privi dei suddetti requisiti di vetustà (assoggettati anch’essi alle
vecchie tariffe)».
5. – È noto come la giurisprudenza di
questa Corte si sia più volte soffermata sulla legittimità delle norme
retroattive, in genere, e di quelle destinate ad
incidere sui rapporti di durata, in specie; affermando, in sintesi, che non può
ritenersi interdetto al legislatore di emanare disposizioni modificative in
senso sfavorevole, anche se l’oggetto dei rapporti di durata sia costituito da
diritti soggettivi “perfetti”: ciò, peraltro, alla condizione che tali disposizioni
non trasmodino in un regolamento irragionevole, frustrando, con riguardo a
situazioni sostanziali fondate su disposizioni di leggi precedenti,
l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale
elemento fondamentale dello Stato di diritto (ex multis,
sentenza n. 166
del 2012).
Il profilo che qui, tuttavia, viene in
risalto è rappresentato non soltanto da un “generico” affidamento in un quadro
normativo dal quale scaturiscano determinati diritti, ma da quello “specifico”
affidamento in un fascio di situazioni (giuridiche ed economiche) iscritte in
un rapporto convenzionale regolato iure privatorum
tra pubblica amministrazione e titolari di aziende di deposito di vetture, secondo una specifica disciplina in ossequio
alla quale le parti (entrambe le parti) hanno raggiunto l’accordo e assunto le
rispettive obbligazioni.
L’affidamento appare qui, in altri
termini, rivolto non tanto alle astratte norme regolative del rapporto, o alla relativa loro “sicurezza”, quanto, piuttosto, al concreto
contenuto dell’accordo e dei reciproci e specifici impegni assunti dalle parti
al momento della stipula della convenzione di deposito: impegni sulla cui
falsariga, come accade in ogni ordinaria dinamica contrattuale, si sono venuti
a calibrare i rispettivi oneri di ordine anche economico, oltre che le
corrispondenti aspettative.
È del tutto evidente, infatti, che altro
sono la natura e le dimensioni, anche finanziarie, delle attività che il
custode deve espletare per prelevare e custodire i
veicoli assoggettati a misure di fermo, sequestro o confisca (e rispetto alle
quali ha informato dimensioni, investimenti e in genere l’organizzazione della
propria impresa); altro è l’attività connessa all’automatico acquisto (per di
più, a prezzo unilateralmente “imposto”) dei veicoli ed alla relativa rivendita
o rottamazione.
Più che sul piano di una “astratta”
ragionevolezza della volontà normativa, deve, dunque, ragionarsi, ai fini
dell’odierno sindacato, sul terreno della ragionevolezza “complessiva” della
“trasformazione” alla quale sono stati assoggettati i rapporti negoziali di cui
alla disposizione intertemporale denunciata. Ed appare
ovvio che tale ragionevolezza “complessiva” dovrà, a sua volta, essere
apprezzata nel quadro di un altrettanto ragionevole contemperamento degli
interessi – tutti di rango costituzionale, comunque ancorabili al parametro di
cui all’art. 3 Cost. – che risultano nella specie coinvolti: ad evitare che una
generalizzata esigenza di contenimento della finanza pubblica possa risultare,
sempre e comunque, e quasi pregiudizialmente, legittimata a determinare la
compromissione di diritti maturati o la lesione di consolidate sfere di
interessi, sia individuali, sia anche collettivi.
6. – Su basi come queste, la disciplina
denunciata ha finito per generare una sorta di novazione, sotto più di un
profilo, del rapporto intercorrente tra le parti: da un lato, il custode, o depositario, del veicolo è divenuto un acquirente ex lege del medesimo, con nuovi e diversi obblighi;
dall’altro, l’originaria liquidazione delle somme dovute al custode, secondo le
tariffe previste dall’art. 12 del d.P.R. n. 571 del
1982 (con rinvio anche agli usi locali), è stata sostituita con il riconoscimento
di «un importo complessivo forfettario», determinato, espressamente «in
deroga», secondo i criteri indicati.
Il rapporto tra depositario e
amministrazione è risultato, così, in itinere, stravolto in alcuni dei suoi
elementi essenziali, al di fuori, peraltro, della previsione di qualsiasi
meccanismo di concertazione o di accordo e, anzi, con l’imposizione di oneri
non previsti né prevedibili, né all’origine né in costanza del rapporto
medesimo; al punto da potersi escludere che, al di là delle
reali intenzioni del legislatore, sia stato operato un effettivo e adeguato
bilanciamento tra le esigenze contrapposte.
Né può trascurarsi di sottolineare
la portata discriminatoria della norma denunciata anche nel quadro dei rapporti
non definiti, posto che restano assoggettate al previgente sistema (anche
tariffario) situazioni di custodia di veicoli immatricolati in tempi più
recenti o custoditi da meno tempo, mentre vengono, invece, sottoposti al nuovo
regime rapporti di custodia già esauriti ma non ancora liquidati.
7. – Ebbene, la disposizione
retroattiva, specie quando determini effetti pregiudizievoli rispetto a diritti
soggettivi “perfetti” che trovino la loro base in rapporti di durata di natura
contrattuale o convenzionale – pubbliche o private che siano le parti
contraenti – deve dunque essere assistita da una “causa” normativa adeguata:
intendendosi per tale una funzione della norma che renda “accettabilmente”
penalizzata la posizione del titolare del diritto compromesso, attraverso
“contropartite” intrinseche allo stesso disegno normativo e che valgano a
bilanciare le posizioni delle parti.
Il che non pare
affatto essersi realizzato nel caso di specie, dal momento che gli
interessi dei custodi – assoggettati, ratione temporis, al nuovo e, per i profili denunciati,
pregiudizievole, regime di rapporti e di determinazione dei relativi compensi –
risultano esser stati compromessi in favore della controparte pubblica, senza
alcun meccanismo di riequilibrio ed in ragione, esclusivamente, di un risparmio
per l’erario, che non può certo assumere connotati irragionevolmente, lato sensu, “espropriativi”.
La riscontrata violazione dell’art. 3
Cost. assorbe gli ulteriori profili di illegittimità
costituzionale denunciati.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 38, commi 2,
4, 6 e 10, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti
per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti
pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 maggio
2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Paolo GROSSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 22 maggio
2013.