SENTENZA N. 219
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai signori:
- Sabino CASSESE Presidente
- Giuseppe TESAURO Giudice
- Paolo NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 9,
comma 23, e 12, comma 10, del decreto-legge
31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010,
n. 122, promosso dal Tribunale ordinario
di Roma, in funzione di giudice del lavoro, nel
procedimento vertente tra D.T.C. ed altri e il Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca, con ordinanza
del 9 maggio 2012, iscritta al n. 148 del registro ordinanze 2012 e pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale,
dell’anno 2012.
Visto l’atto di costituzione di D.T.C.
ed altri;
udito nell’udienza pubblica dell’8 luglio 2014 il Giudice
relatore Giancarlo Coraggio;
udito l’avvocato Sandro Campilongo per
D.T.C. ed altri.
Ritenuto in
fatto
1.− Il Tribunale ordinario di
Roma, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 9 maggio 2012,
iscritta al n. 148 del registro ordinanze 2012, ha sollevato questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 23, del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di
competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010,
n. 122, in riferimento agli artt. 2, 3, 35, 36, 39, 42, 53 e 97 della Costituzione,
e dell’art. 12, comma 10, del medesimo d.l. n. 78 del 2010, in riferimento agli
artt. 3 e 36 Cost.
2.− Il rimettente espone di essere
stato adìto da docenti e insegnanti in servizio
presso istituti scolastici ricompresi nell’ambito della propria competenza
territoriale, i quali chiedevano, da un lato,
dichiararsi l’illegittimità della sospensione delle posizioni stipendiali e dei
relativi incrementi economici disposta dal comma 23 dell’art. 9 del d.l. n. 78
del 2010, con il conseguente riconoscimento del diritto al trattamento giuridico
e retributivo spettante in virtù delle previsioni contrattuali vigenti, senza
tener conto delle contestate riduzioni, a tal fine prospettando violazione di
legge e sollevando dubbi di legittimità costituzionale della suddetta
disposizione, in riferimento agli artt. 2, 3, 35, 36, 39, 41, 42, 53, 97 e 98
Cost.; dall’altro, accertare l’avvenuta abrogazione della disciplina
sull’indennità di buonuscita a decorrere dal 1° gennaio 2011, per effetto del
comma 10 dell’art. 12 del d.l. n. 78 del 2010, con conseguente declaratoria di
illegittimità del perdurante prelievo del 2,50 per cento sull’80 per cento
della retribuzione – operato a titolo di rivalsa sull’accantonamento per
l’indennità di buonuscita – e domanda di restituzione degli accantonamenti
eseguiti, prospettando, in via subordinata, questione di legittimità
costituzionale per la disparità di trattamento a carico dei lavoratori
dipendenti del settore pubblico rispetto ai lavoratori privati, non
assoggettati ad alcun prelievo in relazione all’accantonamento del trattamento
di fine rapporto da parte del datore di lavoro.
3.− Tanto premesso, il Tribunale,
richiamato il contenuto dell’art. 9, comma 23, del
d.l. 78 del 2010, come convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge n. 122 del 2010, che prevede: «Per il
personale docente, Amministrativo, Tecnico ed Ausiliario (A.T.A.) della Scuola,
gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della maturazione delle
posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici previsti dalle disposizioni
contrattuali vigenti. È fatto salvo quanto previsto dall’articolo 8, comma 14», ha sollevato questioni di
legittimità costituzionale in riferimento a diversi parametri in ragione delle
seguenti motivazioni.
3.1.− La norma impugnata
violerebbe l’art. 53 Cost., in quanto non si sarebbe
in presenza di mere riduzioni della spesa pubblica, ma la disposizione in esame
istituirebbe veri e propri tributi, che dovrebbero rispettare i principi di
universalità, capacità contributiva e progressività di cui al suddetto
parametro costituzionale.
Diversamente, la norma impugnata
colpirebbe solo il personale della scuola all’interno di un’amplissima
categoria di cittadini e di lavoratori, senza considerare la progressività e la
capacità contributiva, penalizzando quello con minore anzianità di servizio,
così dando luogo anche alla violazione dell’art. 3 Cost.
3.2.− Sarebbe, altresì, violato
l’art. 2 Cost., in relazione all’art. 3 Cost., venendo
lesi i principi di uguaglianza, ragionevolezza legislativa e solidarietà
sociale, politica ed economica. L’onere connesso alla riduzione della spesa,
determinato dalla eccezionalità della situazione
economica internazionale, avrebbe dovuto essere posto a carico non solo di una
parte dei cittadini e dei dipendenti pubblici, ma della collettività.
3.3.− Il Tribunale censura l’art.
9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010, anche per la
violazione degli artt. 42 e 97 Cost., in riferimento all’art. 3 Cost. Ed infatti la disposizione in esame si porrebbe come norma provvedimentale che determinerebbe nei confronti dei
soggetti interessati un effetto ablatorio di diritti di contenuto economico,
già acquisiti nella sfera del dipendente pubblico in virtù di vigenti
disposizioni contrattuali, alterando il sinallagma contrattuale del rapporto di
durata senza prevedere alcuna misura compensativa o indennitaria, neppure sul
piano della fruibilità del rapporto complessivo (orario, ferie ed altro).
Inoltre, la norma in questione avrebbe inciso sulle aspettative
e sull’affidamento dei dipendenti del settore scolastico al di fuori dei canoni
di uguaglianza e ragionevolezza, avuto riguardo sia al sacrificio
unilateralmente imposto a tale categoria a fronte di una situazione contingente
di crisi che avrebbe dovuto interessare l’intera comunità, sia al carattere non
transitorio della misura non essendo previsto diritto a recupero della disposta
sospensione degli scatti di anzianità e stipendiali.
3.4.− Infine, la norma è
sottoposta al vaglio di questa Corte per l’asserita violazione degli artt. 35 e
39 Cost., nonché dell’art. 36 Cost.
Si determinerebbe, infatti, un’anomala
interruzione dell’efficacia delle disposizioni contrattuali vigenti e, quindi,
dell’autonomia negoziale riservata alle parti, nell’ambito della contrattazione
collettiva, in virtù della esclusiva posizione dello
Stato-datore di lavoro. Sarebbe, inoltre, leso, il rispetto del principio della
proporzionalità della retribuzione affidato allo
strumento del contratto collettivo.
4.− Il Tribunale rimettente
sospetta dell’illegittimità costituzionale l’art. 12, comma 10,
del d.l. n. 78 del 2010.
La norma stabilisce: «Con effetto sulle
anzianità contributive maturate a decorrere dal 1° gennaio 2011, per i
lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche inserite nel conto
economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate
dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, per
i quali il computo dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, in
riferimento alle predette anzianità contributive non è già regolato in base a
quanto previsto dall’articolo 2120 del codice civile in materia di trattamento
di fine rapporto, il computo dei predetti trattamenti di fine servizio si
effettua secondo le regole di cui al citato articolo 2120 del codice civile,
con applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento».
Assume il rimettente che la
disposizione censurata, a fronte dell’estensione del regime di cui all’art.
2120 cod. civ. (ai fini del computo dei trattamenti di
fine rapporto) sulle anzianità contributive maturate a fare tempo dal 1º
gennaio 2011, determina l’applicazione dell’aliquota del 6,91 per cento
sull’intera retribuzione, senza escludere nel contempo la vigenza della
trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50 per cento della base
contributiva della buonuscita, operata a titolo di rivalsa sull’accantonamento
per l’indennità di buonuscita, in combinato con l’art. 37 del d.P.R. 29
dicembre 1973, n. 1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle
prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello
Stato), così violando gli artt. 3 e 36 Cost.
Ed infatti, vi sarebbe una irragionevole disparità di
trattamento nei confronti dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati che
non subiscono tale rivalsa ed una illegittima riduzione della retribuzione, in
vista dell’accantonamento finalizzato al trattamento di fine rapporto.
5.− Con atto di costituzione del 7
settembre 2012, sono intervenuti i ricorrenti nel giudizio a quo, deducendo la fondatezza delle questioni sollevate dal
Tribunale ordinario di Roma e riservandosi più ampie deduzioni.
6.− Con memoria del 4 settembre
2013, gli interventori hanno rilevato, dato atto
della sentenza
di questa Corte n. 223 del 2012, l’intervenuta abrogazione, a decorrere dal
1° gennaio 2011, dell’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, ad opera
dell’art. 1, comma 98, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di
stabilità 2013), e hanno chiesto che questa Corte
dichiari cessata la materia del contendere.
Gli stessi, in riferimento
all’art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010, prospettano, altresì, la
violazione anche degli artt. 41 (libertà di concorrenza) e 97 Cost., in quanto
il rapporto di lavoro pubblico, per effetto della norma censurata, diventerà
automaticamente meno conveniente di quello privato, con la conseguenza che
l’offerta di lavoro del settore pubblico potrebbe divenire meno competitiva di
quella del settore privato, con conseguente depauperamento dell’efficienza
della pubblica amministrazione.
In particolare, gli interventori,
nell’aderire alla prospettazione del rimettente, deducono la sussistenza della
violazione degli artt. 35 e 39 Cost., quale lesione
del principio di tutela degli accordi collettivi e della funzione sindacale. Vi
sarebbe, infatti, un completo azzeramento dell’autonomia negoziale riservata
alle parti nell’ambito della contrattazione collettiva, posto che lo stipendio viene determinato contrattualmente e non per legge.
Considerato
in diritto
1.− Il Tribunale ordinario di
Roma, in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 9 maggio 2012,
iscritta al n. 148 del registro ordinanze 2012, ha sollevato questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 23, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione
finanziaria e di competitività economica) convertito, con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010,
n. 122, in riferimento agli artt. 2, 3, 35, 36, 39, 42, 53 e 97 della
Costituzione, e dell’art. 12, comma 10, del medesimo d.l. n. 78 del 2010, in
riferimento agli artt. 3 e 36 Cost.
2.− In via preliminare, vanno
dichiarate inammissibili le deduzioni articolate dalla parte privata, volte ad
estendere il thema decidendum
fissato nell’ordinanza di rimessione (ex multis, sentenza n. 275 del
2013).
Non può, quindi, trovare ingresso la
censura di violazione degli artt. 41 e 97 Cost.
3.− In ordine alla impugnazione
dell’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010, occorre rilevare che con la sentenza n. 223 del
2012 ne è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale e il legislatore
ha dato attuazione alla sentenza abrogando la disposizione prima con l’art. 1,
comma 1, del decreto-legge 29 ottobre 2012, n. 185 (Disposizioni urgenti in
materia di trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici), non
convertito, e poi, definitivamente, con il successivo art. 1, comma 98, della
legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilità 2013).
Ne consegue che la questione di
legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 10, del d.l. n. 78 del 2010,
dopo la sentenza
n. 223 del 2012, è divenuta priva di oggetto e va, quindi, dichiarata
manifestamente inammissibile.
4.− Il Tribunale ha impugnato
anche l’art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010,
secondo cui per il personale docente, amministrativo, tecnico ed ausiliario
(A.T.A.) della scuola, gli anni 2010, 2011 e 2012 non sono utili ai fini della
maturazione delle posizioni stipendiali e dei relativi incrementi economici
previsti dalle disposizioni contrattuali vigenti. È fatto salvo quanto previsto
dall’art. 8, comma 14, del medesimo decreto-legge.
4.1.− Va ricordato che la
disposizione in esame ha contenuto analogo all’art. 9, comma 21, dello stesso
decreto-legge avente natura di principio di coordinamento della finanza
pubblica (sentenza
n. 181 del 2014), che ha previsto, per il personale cosiddetto non
contrattualizzato di cui all’art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.
165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche), tra l’altro, il blocco per il triennio 2011-2013
dei meccanismi di adeguamento retributivo previsti, degli automatismi
stipendiali (classi e scatti) correlati all’anzianità di servizio, relativi
allo stesso periodo, di ogni effetto economico delle progressioni in carriera,
comunque denominate. E al riguardo questa Corte, con le sentenze n. 154 del
2014, n. 310
e n. 304 del
2013, ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art.
9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, sollevate da più Tribunali amministrativi
regionali, in riferimento, nel complesso, agli artt. 2, 3, 9, 33, 34, 36, 37,
42, 53, 77 e 97 Cost.
4.2.− Le censure prospettate dal
Tribunale ordinario di Roma in relazione agli artt. 2, 3, 36, 42, 53 e 97 Cost.
coincidono, in particolare, con quelle decise con le sentenze n. 310
e n. 304 del
2013. La questione non è fondata.
5.− Alla disposizione in esame
anzitutto non può riconoscersi natura tributaria, atteso che non dà luogo ad una prestazione patrimoniale imposta, realizzata
attraverso un atto autoritativo di carattere ablatorio, destinata a reperire
risorse per l’erario.
La giurisprudenza di questa Corte, da
ultimo (sentenze
n. 310 del 2013 e n. 223 del 2012),
ha precisato che gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono
tre: la disciplina legale deve essere diretta in via prevalente a procurare una
definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione
non deve comportare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse
derivanti, che devono essere connesse ad un presupposto economicamente
rilevante, vanno destinate a «sovvenire» le pubbliche spese. Tali condizioni
non ricorrono nel caso di specie.
5.1.− Quanto alla prospettata
lesione degli artt. 42 e 97 Cost., per il carattere provvedimentale della norma impugnata, anch’essa non
sussiste. La disposizione, infatti, specifica le misure di contenimento della
spesa pubblica da adottare con riguardo al pubblico impiego, rispetto alle
peculiarità che connotano il rapporto di lavoro contrattualizzato del personale
docente e A.T.A., e quindi non è destinata ad incidere
su un numero determinato e molto limitato di destinatari, né ha un contenuto
particolare e concreto.
5.2.− Per le censure relative agli
artt. 2 e 3 Cost., valgono, anche nel caso di specie, le considerazioni di
questa Corte, che ha ritenuto l’intervento in esame giustificato, nel suo
complesso, dalle notorie esigenze di contenimento della spesa pubblica, in
presenza del carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo
allo scopo prefissato, nonché temporalmente limitato dei sacrifici richiesti (sentenza n. 310 del
2013, nonché sentenze
n. 166 del 2012, n. 302 del 2010,
n. 236 e n. 206 del 2009).
5.3.− Questa Corte ha inoltre
negato che sia ravvisabile una lesione dell’affidamento del cittadino nella
sicurezza giuridica, posto che «il legislatore può anche emanare disposizioni
che modifichino in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata,
anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti,
sempre che tali disposizioni “non trasmodino in un regolamento irrazionale,
frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi
precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da
intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto”» (sentenza n. 310 del
2013).
5.4.− Con riferimento all’art. 36
Cost., poi, questa Corte è ferma nel ritenere che il giudizio sulla conformità
a tale parametro costituzionale non può essere svolto per singoli istituti, né
giorno per giorno, ma occorre valutare l’insieme delle voci che compongono il
trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche
significativa ampiezza (sentenze n. 310
e n. 304 del
2013, n. 366
e n. 287 del
2006).
5.5.− Quanto alla
intervenuta proroga della misura in questione al 31 dicembre 2013, per
effetto del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma
1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, e del d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122
(Regolamento in materia di proroga del blocco della contrattazione e degli
automatismi stipendiali per i pubblici dipendenti, a norma dell’articolo 16,
commi 1, 2 e 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con
modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111), questa Corte ha già
chiarito, rispetto ad analoga fattispecie, che il contenimento e la
razionalizzazione della spesa pubblica, attraverso cui può attuarsi una
politica di riequilibrio del bilancio, implicano sacrifici gravosi, quali
quelli in esame, che trovano giustificazione nella situazione di crisi
economica. In particolare, in ragione delle necessarie attuali prospettive
pluriennali del ciclo di bilancio, tali sacrifici non possono non interessare
periodi, certo definiti, ma più lunghi rispetto a quelli presi in
considerazione dalle richiamate sentenze di questa Corte, pronunciate con
riguardo alla manovra economica del 1992 (sentenza n. 310 del
2013).
6.− Le norme impugnate, dunque,
superano il vaglio di ragionevolezza, in quanto mirate
ad un risparmio di spesa che opera riguardo a tutto il comparto del pubblico
impiego, in una dimensione solidaristica − sia pure con le
differenziazioni rese necessarie dai diversi statuti professionali delle
categorie che vi appartengono − e per un periodo di tempo limitato, che
comprende più anni in considerazione della programmazione pluriennale delle
politiche di bilancio.
7.− Il Tribunale ordinario di Roma
sospetta altresì di illegittimità costituzionale
l’art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010, prospettando la lesione degli
artt. 35, 36 e 39 Cost.
In particolare, il Tribunale assume che
sarebbe violata l’autonomia negoziale riservata alle parti nell’ambito della
contrattazione collettiva, con la conseguente lesione del principio della
proporzionalità della retribuzione affidato allo
strumento del contratto collettivo.
8.− La questione non è fondata.
8.1.− Vengono in rilievo al
riguardo le relazioni tra la legge e i contratti espressione dell’autonomia
collettiva, poiché il rapporto di lavoro pubblico privatizzato – al quale
appartengono i lavoratori della scuola che sono parti nel giudizio a quo – è disciplinato in sede di
contrattazione collettiva (sentenze n. 36 del
2013 e n.
290 del 2012); e in particolare in tale sede è disciplinato il trattamento
economico (art. 45, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001).
Tuttavia questo
assetto, che trova la sua legittimazione costituzionale nell’art. 39 Cost., e
quindi nei due principi della libertà sindacale e dell’autonomia collettiva,
non esclude la possibilità di intervento del legislatore.
8.2.− In linea generale questa
Corte ha più volte affermato che l’autonomia collettiva può venire compressa o,
addirittura, annullata nei suoi esiti concreti; e ciò non solo quando introduca
un trattamento deteriore rispetto a quanto previsto dalla legge, ma anche
quando sussista l’esigenza di salvaguardia di superiori interessi generali (sentenze 40 del
2007, n. 393
del 2000, n.
143 del 1998, n.
124 del 1991 e n. 34 del 1985).
Ebbene, così come l’art. 9, comma 21,
del d.l. n. 78 del 2010, la norma oggetto di censura ha come finalità il
contenimento e la razionalizzazione della spesa per il settore del pubblico
impiego, finalità questa che, imposta dall’art. 2, comma 1, della legge 23
ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione
delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di
finanza territoriale), è ribadita dall’art. 1, comma 1, lettera b), del
d.lgs. n. 165 del 2001 (sentenza n. 146 del
2008), il quale individua tra gli scopi della normativa, l’esigenza di
«razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva
per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica».
8.3.− Più in particolare, secondo
questa Corte (sentenza
n. 215 del 2012), la circostanza che il trattamento economico sia materia
di contrattazione collettiva non esclude che quest’ultima si debba svolgere
entro limiti generali di compatibilità con le finanze pubbliche legittimamente
fissati dal legislatore; come, di fatto, avviene sempre, poiché è la legge che
ogni volta individua le risorse destinate a finanziare i rinnovi contrattuali
nell’impiego pubblico.
E dunque, l’art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010,
fissando esclusivamente un limite agli incrementi economici, in relazione alla
maturazione delle posizioni stipendiali, che possono essere disposti dai
contratti collettivi, definisce appunto il confine entro il quale può svolgersi
l’attività negoziale delle parti.
9.− La questione di legittimità
costituzionale dell’art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni,
dall’art. 1, comma 1, della legge n. 122 del 2010,
sollevata in riferimento agli artt. 35, 36 e 39 Cost., deve essere dichiarata
non fondata.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
1) dichiara
la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 12, comma 10, del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di
stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30
luglio 2010, n. 122, sollevata, in riferimento artt. 3 e 36 della Costituzione,
dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice del lavoro, con
l’ordinanza indicata in epigrafe;
2) dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 23, del d.l. n. 78 del 2010,
convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge n. 122 del 2010, sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 35, 36,
39, 42, 53 e 97 Cost., dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice
del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio
2014.
F.to:
Sabino CASSESE, Presidente
Giancarlo CORAGGIO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 luglio
2014.