Sentenza n. 124 del 1991

 

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SENTENZA N. 124

 

ANNO 1991

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Prof. Ettore GALLO                                                   Presidente

Dott. Aldo CORASANITI                                         Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO                                       “

Dott. Francesco GRECO                                                 “

Prof. Gabriele PESCATORE                                           “

Avv. Ugo SPAGNOLI                                                    “

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA                               “

Prof. Antonio BALDASSARRE                                     “

Prof. Vincenzo CAIANIELLO                                       “

Avv. Mauro FERRI                                                         “

Prof. Luigi MENGONI                                                    “

Prof. Enzo CHELI                                                           “

Dott. Renato GRANATA                                                “

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 2 del d.l. 1° febbraio 1977, n. 12, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1977, n. 91 (Norme per l'applicazione dell'indennità di contingenza), promossi con n. 21 ordinanze emesse il 16 e 24 maggio 1990 dal Tribunale di Milano, iscritte ai nn. 620, 621, 622, 623, 624, 625, 631, 632, 633, 638, 639, 640, 641, 642, 643, 644, 645, 651, 652, 731, 732 del registro ordinanze 1990 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 40, 41, 43 e 50, prima serie speciale, dell'anno 1990;

 

Visti gli atti di costituzione di Ghiroldi Fulvio ed altra, Paradiso Nicola, D'Avolio Antonio, Lupino Mariuccia, Mangone Marino Gilberto e della S.p.A. Esselunga nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Udito nella udienza pubblica del 12 febbraio 1991 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

 

Uditi gli avvocati Luciano Ventura e Piergiovanni Alleva per Ghiroldi Fulvio ed altra, Paradiso Nicola e D'Avolio Antonio, l'avvocato Luciano Crugnola per Lupino Mariuccia e Mangone Marino Gilberto, gli avvocati Manfredo Lavizzari ed Enrico Biamonti per S.p.A. Esselunga, e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri;

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

1. - Con ventuno ordinanze del medesimo tenore, in data 16 o 24 maggio 1990, il Tribunale di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 2 del d.l. 1° febbraio 1977, n. 12, convertito con modificazioni nella legge 31 marzo 1977, n. 91, "nella parte in cui esclude, senza limiti temporali, la computabilità dell'indennità di contingenza sulla quattordicesima mensilità del settore del commercio".

 

La questione nasce da una domanda riconvenzionale proposta dai datori di lavoro convenuti in giudizio, i quali, invocando la nullità, ex art. 4 del decreto citato, delle clausole dei contratti collettivi del settore terziario prevedenti il calcolo dell'indennità di contingenza anche sulla quattordicesima mensilità, pretendono la restituzione delle somme pagate a questo titolo per la parte corrispondente agli scatti di contingenza maturati dopo il 1° febbraio 1977.

 

Il divieto di computo di questi incrementi è argomentato dal giudice a quo sul duplice rilievo, da un lato, che l'indennità di contingenza è una delle forme di indicizzazione i cui effetti non possono essere calcolati con modalità e su elementi retributivi diversi da quelli previsti dalla contrattazione collettiva prevalente nel settore dell'industria, dall'altro che da tale contrattazione non è prevista la quattordicesima mensilità.

 

Così interpretata, la norma è sospettata di contrarietà all'art. 36 Cost. perché, escludendo indefinitamente nel tempo l'incidenza degli aumenti dell'indennità di contingenza su un elemento della retribuzione, ne impedisce l'adeguamento alle variazioni del costo della vita pur dopo la cessazione dell'emergenza che giustificava in via eccezionale l'intervento restrittivo del legislatore.

 

Sarebbe violato anche il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) perché, mentre per i lavoratori dell'industria l'indicizzazione opera su tutta la retribuzione ordinaria, ripartita in tredici mensilità, la retribuzione dei lavoratori del commercio, ripartita in quattordici mensilità, è coperta solo parzialmente.

 

2. - Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituiti con due atti distinti, successivamente integrati da ampie memorie, gli appellati Marino Gilberto Mangone e Fulvio Ghiroldi e altri.

 

Sia l'uno che gli altri concludono per la fondatezza della questione, ma il primo, a differenza dei secondi, formula tale domanda subordinatamente al non accoglimento di una interpretazione della norma impugnata diversa da quella seguita dal giudice remittente. Quest'ultima non sarebbe ius receptum: da essa divergono alcune sentenze recenti della Corte di cassazione, secondo le quali l'art. 2 del d.l. n. 12 del 1977 non impedirebbe che gli scatti di contingenza maturati dopo il 1° febbraio 1977 siano computati sulla quattordicesima mensilità, ma vieterebbe soltanto il computo secondo sistemi di indicizzazione diversi da quello del settore industriale.

 

In punto di fondatezza l'argomento centrale sviluppato dal patrocinio dei lavoratori è quello medesimo dell'ordinanza di rimessione, cioè il travalicamento del limite temporale della situazione di emergenza in vista della quale il provvedimento del 1977 fu emanato. Si sostiene che la mancata fissazione di un termine, quale previsto dall'art. 5 del decreto-legge, poi soppresso in sede di conversione, costituisce un vizio originario di legittimità costituzionale. In subordine si indicano come termini iniziali di illegittimità sopravvenuta o il 31 maggio 1982, data di entrata in vigore della legge n. 297 del 1982 che ha riformato l'istituto dell'indennità di anzianità ripristinando il computo dell'indennità di contingenza nel nuovo trattamento di fine rapporto, oppure il 22 gennaio 1983, data di sottoscrizione dell'accordo interconfederale che ha portato significative modificazioni alla struttura della contrattazione collettiva incidendo sulla stessa dinamica dell'indennità di contingenza.

 

Delle imprese appellanti si è costituita in giudizio la Società EsselungaS.p.a. chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

 

Premesso che unica interpretazione corretta della norma impugnata è quella accolta dal giudice a quo, la Societàdeducente osserva che il principio costituzionale dell'art. 36 non esige che l'adeguamento della retribuzione alle esigenze di vita libera e dignitosa sia assicurato da meccanismi di indicizzazione automatica. Limitando l'operatività di tali meccanismi l'art. 2 del d.l. n. 12 del 1977 concede più ampi spazi all'attuazione del principio costituzionale mediante la contrattazione collettiva, ai fini di una gestione dei processi inflattivi concordata tra le parti sociali e il Governo.

 

Quanto alla pretesa violazione dell'art. 3, è vero esattamente il contrario: i provvedimenti del 1977 hanno adempiuto una funzione perequativa del trattamento dei lavoratori in materia di automatismi salariali.

 

3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

 

Anche l'Avvocatura sottolinea che il principio costituzionale del salario equo e sufficiente non implica necessariamente l'adozione di meccanismi di indicizzazione automatica. L'art. 36 lascia liberi il legislatore e la contrattazione collettiva di scegliere tra questi meccanismi e il sistema di revisione periodica contrattata dei trattamenti minimi dei lavoratori, oppure di adottare un sistema misto con opportuno dosaggio dei due strumenti. La norma denunciata si è limitata a modificare il dosaggio, allargando l'area della contrattazione collettiva. Si osserva inoltre che, secondo un canone metodologico affermato da questa Corte (sentenze nn. 141 del 1979 e 229 del 1983), il giudizio di conformità all'art. 36 deve fare riferimento al trattamento economico del lavoratore nella sua globalità e non limitarsi a un singolo elemento.

 

Quanto alla pretesa mancanza di carattere temporaneo richiesto dall'eccezionalità della situazione nella quale è intervenuta, l'Avvocatura obietta che l'art. 2 del d.l. n. 12 del 1977 è stato abrogato dalla legge 26 febbraio 1986, n. 38, anche nella parte investita dall'incidente di costituzionalità di cui è causa.

 

Infine, in relazione all'art. 3 Cost., sono richiamate le sentenze nn. 142 del 1980 e 697 del 1988, che hanno riconosciuto la correttezza del provvedimento sotto il profilo dell'esigenza di rimedio alle disparità esistenti tra i vari settori produttivi in ordine alla scala mobile e agli elementi indicizzati della retribuzione.

 

 

Considerato in diritto

 

 

1. - La questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, del d.l. 1° febbraio 1977, n. 12, convertito in legge 31 marzo 1977, n. 91, già esaminata da questa Corte e dichiarata non fondata con la sentenza n. 697 del 1988 in riferimento all'art. 39, quarto comma, della Costituzione, viene ora proposta, in riferimento a parametri costituzionali diversi, dal Tribunale di Milano con ventuno ordinanze in data 16 e 24 maggio 1990.

 

Ad avviso del giudice a quo, nella parte in cui dispone che "gli effetti delle variazioni del costo della vita o di altra forma di indicizzazione su qualsiasi elemento della retribuzione non possono essere computati in difformità della normativa prevalente prevista dagli anzidetti accordi interconfederali (sc. gli accordi 15 gennaio 1957 e 25 gennaio 1975 operanti nel settore dell'industria) e dai contratti del detto settore per i corrispondenti elementi retributivi e limitatamente a tali elementi", la norma denunciata, a cagione del prolungarsi della sua efficacia oltre il limite temporale segnato dal suo carattere eccezionale, è divenuta incompatibile col principio del salario sufficiente garantito dall'art. 36 Cost., e anche col principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) perché perpetua una disparità di trattamento tra i lavoratori dell'industria e i lavoratori del commercio in ordine alla misura di indicizzazione della retribuzione.

 

2. - I giudizi promossi dalle ordinanze del Tribunale di Milano hanno per oggetto la medesima questione e quindi se ne deve disporre la riunione affinché siano decisi con unica sentenza.

 

3. - Diversamente dalla precedente ordinanza, introduttiva del giudizio definito dalla sentenza n. 697 del 1988, che aveva impugnato l'art. 2 del d.l. n. 12 del 1977 unitamente all'art. 4, il petitum oggetto del presente giudizio è limitato all'art. 2, sebbene tragga origine da una domanda fondata sul combinato disposto dell'art. 2, primo comma, e dell'art. 4, secondo comma, del decreto. Tuttavia l'omissione dell'art. 4 non incide sull'ammissibilità della questione. L'art. 2 prescrive all'autonomia privata limiti massimi di trattamento dei lavoratori per quanto concerne l'indennità di contingenza e qualsiasi altra forma di indicizzazione della retribuzione, limiti individuati per relationem alla disciplina collettiva interconfederale e categoriale prevalente nel settore dell'industria. Perciò l'art. 4, secondo comma, che dichiara nulle le clausole contrattuali, individuali o collettive, portanti deroghe alla disciplina legale in senso più favorevole ai lavoratori, non è che l'esplicitazione di una sanzione già implicita nell'art. 2, in relazione all'art. 1418, primo comma, cod. civ., di guisa che l'uno sta o cade con l'altro.

 

In ragione della nullità delle dette clausole il giudice a quo ritiene ripetibile ai sensi dell'art. 2033 cod. civ. la parte delle somme erogate dai datori di lavoro corrispondente agli incrementi di contingenza maturati dopo il 1° febbraio 1977: tanto basta ai fini della rilevanza della questione di costituzionalità, senza escludere peraltro che possano emergere in prosieguo ragioni tali da spostare la qualificazione giuridica sotto una fattispecie diversa dal pagamento dell'indebito.

 

4. - La Corte non ha ragione di discostarsi dall'interpretazione della disposizione impugnata assunta dal giudice remittente in conformità della citata sentenza n. 697 del 1988. La difesa dei prestatori di lavoro, in particolare il patrocinio di Marino Gilberto Mangone, ha prospettato una diversa interpretazione secondo cui l'ultimo periodo dell'art. 2, primo comma, non vieterebbe il calcolo dell'indennità di contingenza anche sulla quattordicesima mensilità, ma soltanto l'applicazione al calcolo di sistemi di indicizzazione diversi da quello del settore industriale e più onerosi per il costo del lavoro. A conforto di siffatta interpretazione, che vanifica l'ultimo inciso della disposizione ("e limitatamente a tali elementi") riducendola a mera ripetizione della normativa contenuta nella prima parte del comma, si richiamano alcune sentenze della Corte di cassazione, nessuna delle quali afferente alla quattordicesima mensilità del settore terziario. In verità, stando alle precisazioni offerte dalle sentenze nn. 3698 e 6776 del 1987, questo filone giurisprudenziale concerne non tanto il diritto sostanziale quanto il diritto probatorio, statuendo che l'indennità di contingenza continua a calcolarsi su tutti gli elementi accessori della retribuzione (nella specie, l'indennità di trasferta e l'indennità di concorso pasti), i quali - secondo il contratto collettivo applicabile - utilizzino l'indennità per la determinazione del loro ammontare, se e in quanto il datore non provi la difformità di tale disciplina dalle previsioni della contrattazione collettiva prevalente nel settore dell'industria.

 

5. - In relazione al principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) la questione non è fondata.

 

La norma in esame non crea sperequazioni di trattamento, ma al contrario, come ha riconosciuto la sentenza n. 697 del 1988, è ispirata da finalità di "perequazione e riconduzione ad uniformità delle varie previsioni contrattuali per i diversi settori", e quindi "costituisce attuazione dell'art. 3 della Costituzione". Sotto questo aspetto la legge n. 91 del 1977 non ha una valenza meramente congiunturale, ma stabilisce "il principio per cui il trattamento di contingenza deve essere, in linea di massima, comune per tutti i lavoratori interessati e comunque contenuto entro certi limiti" (cfr. sentenze nn. 45 del 1978 e 219 del 1984).

 

Il giudice remittente osserva che, per effetto della norma denunciata, la retribuzione dei lavoratori del commercio, ripartita in quattordici mensilità, è garantita solo parzialmente dal meccanismo di indicizzazione, mentre per i lavoratori dell'industria l'indicizzazione opera su tutta la retribuzione, ripartita in tredici mensilità. L'argomento trascura che pure nell'industria è solitamente previsto un elemento aggiuntivo, oltre le tredici mensilità, costituito da un premio di produzione non indicizzato al costo della vita.

 

6. - La questione è fondata in relazione all'art. 36 Cost., nel limite appresso precisato.

 

Per escludere il contrasto con questo parametro la difesa della Società Esselunga e l'Avvocatura dello Stato rilevano che l'art. 2 del d.l. n. 12 del 1977 non impedisce l'adeguamento della retribuzione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta in guisa da salvaguardare i minimi richiesti dall'art. 36, ma piuttosto promuove il principio per cui le conseguenze dell'inflazione in termini di aumento dei salari nominali non possono, oltre una certa misura, essere automatiche, ma devono essere periodicamente negoziate dalle parti sociali.

 

Il rilievo è esatto, ma non decisivo. È vero che l'indicizzazione non è "l'unico mezzo atto a soddisfare le esigenze indicate nell'ultima parte dell'art. 36, primo comma, bensì uno tra i vari strumenti possibili, il cui funzionamento può essere desensibilizzato o rallentato senza per questo violare la Costituzione" (sentenze nn. 34 del 1985 e 43 del 1980); ma occorre rammentare altresì che, prima dalla giurisprudenza, poi dallo stesso legislatore con la legge 14 luglio 1959, n. 741, è stata riconosciuta alla contrattazione collettiva, nel settore privato e più tardi anche in quello pubblico, la funzione di fonte regolatrice dei modi di attuazione della garanzia costituzionale del salario sufficiente (v. pure l'ultimo comma, aggiunto dalla legge 19 dicembre 1979, n. 649, dell'art. 325 cod. nav.). Si è così determinata, in ordine alla quantificazione dei trattamenti retributivi minimi dei lavoratori, una stretta connessione dell'art. 36 con l'art. 39, primo comma, per cui le limitazioni legali della libertà di scelta tra meccanismi automatici di indicizzazione dei salari o negoziazione periodica degli adeguamenti alle variazioni del costo della vita sono rilevanti anche nell'ambito normativo dell'art. 36.

 

Certo l'autonomia collettiva non è immune da limiti legali. Il legislatore può stabilire criteri direttivi, quali gli accennati principi di uniformità del sistema di indicizzazione per le varie categorie e di limitazione di esso a una parte della retribuzione, o vincoli di compatibilità con obiettivi generali di politica economica, individuati nel quadro dei programmi e controlli previsti dall'art. 41, terzo comma, Cost. Ma, entro le linee-guida tracciate dalla legge, le parti sociali devono essere lasciate libere di determinare la misura dell'indicizzazione e gli elementi retributivi sui quali incide. Compressioni legali di questa libertà, nella forma di massimi contrattuali, sono giustificabili solo in situazioni eccezionali, a salvaguardia di superiori interessi generali, e quindi con carattere di transitorietà, senza peraltro che la durata del provvedimento debba necessariamente essere predeterminata con l'indicazione di una precisa scadenza. Cessata l'emergenza che lo legittimava, la conservazione del provvedimento si pone in contrasto non solo con l'art. 39 Cost. (non richiamato nell'ordinanza di rimessione), ma anche con l'art. 36, del quale la contrattazione collettiva, secondo una interpretazione costituzionale consolidata, è lo strumento di attuazione.

 

Giustamente, pertanto, il giudice remittente ritiene che la perdita di attualità (già rilevata da questa Corte nella sentenza n. 697 del 1988) delle "ragioni economiche che mossero il legislatore a bloccare l'indennità di contingenza sulla quattordicesima mensilità ha provocato la sopravvenuta incompatibilità dell'art.d 2 del d.l. n. 12 del 1977 (nella parte denunciata dall'ordinanza) con l'art. 36 Cost.".

 

Il patrocinio dell'impresa costituita in giudizio e l'Avvocatura dello Stato oppongono che il requisito di temporaneità del provvedimento è stato rispettato, dovendo la norma impugnata ritenersi abrogata dalla legge n. 38 del 1986. Ma questa interpretazione della disposizione abrogatrice di cui all'art. 1, terzo comma, della legge del 1986, non confortata da alcuna pronuncia giurisprudenziale, non è condivisibile. La disposizione citata abroga la precedente disciplina dell'indennità di contingenza contenuta nella prima parte dell'art. 2, primo comma, del d.l. n. 12 del 1977, in quanto diretta a vietare i sistemi di scala mobile a percentuale, e perciò superata dalla nuova normativa, che ha introdotto un sistema di questo tipo. Ma, pur dopo la legge del 1986, retribuzione tabellare e indennità di contingenza rimangono elementi distinti, e quindi è rimasta in vigore la disciplina degli effetti riflessi dell'indennità sugli altri istituti retributivi dettata nell'ultimo periodo dell'art. 2, primo comma, del decreto del 1977.

 

7. - Quanto alla data alla quale devono farsi risalire gli effetti della dichiarazione di illegittimità costituzionale, non può essere accolta la proposta di parte privata, che ha indicato la data di entrata in vigore della legge 29 maggio 1982, n. 297 (1° giugno 1982) o, in subordine, la data di sottoscrizione dell'accordo interconfederale 22 gennaio 1983.

 

Lo scongelamento dell'indennità di contingenza nel calcolo del trattamento di fine rapporto fu deciso, nel 1982, nel quadro di una riforma radicale che ha privato l'istituto dell'efficacia di automatismo salariale caratteristica dell'indennità di anzianità, in guisa da renderlo compatibile con la continuazione della politica economica di lotta all'inflazione e alla disoccupazione. Poiché la legge, se non formalmente contrattata, è stata approvata dal Parlamento dopo una serie di incontri tra il Governo e le organizzazioni sindacali, l'abrogazione espressa dei soli artt. 1 e 1- bis del decreto n. 12 del 1977, disposta dall'art. 4, nono comma, lascia arguire che le stesse organizzazioni sindacali dei lavoratori riconobbero la necessità di mantenere in vigore le disposizioni dell'art. 2.

 

L'accordo trilaterale sul costo del lavoro del 22 gennaio 1983, che si apre con una dichiarazione che considera il rientro dall'inflazione una meta ancora lontana, non ha riformato l'indennità di contingenza, ma ha realizzato un compromesso per cui, fermo il punto unico, si è riportato a 100 l'indice del costo della vita, operando poi un taglio del 15% sul valore corrispondente del punto, senza tuttavia riuscire a normalizzare l'andamento dell'indennità, talché il Governo è dovuto intervenire nel 1984 con un nuovo provvedimento di raffreddamento (d.l. 17 aprile 1984, n. 70, convertito in legge 12 giugno 1984, n. 219).

 

L'inversione di tendenza, nel senso del superamento della situazione di emergenza che aveva giustificato gli interventi del 1977 e del 1984, è sopraggiunta negli anni 1985-1986. La riforma strutturale dell'indennità di contingenza per il settore privato, attuata dalla legge 26 febbraio 1986, n. 38, sullo stampo della nuova disciplina dell'indennità integrativa speciale nel settore pubblico (d.P.R. 1° febbraio 1986, n. 13), ha introdotto il sistema del punto in percentuale e ha conservato al nuovo meccanismo valore di limite massimo solo nei confronti dei contratti collettivi "vigenti", mentre per il futuro esso costituisce una norma-standard, alla quale i datori di lavoro dovranno attenersi fino a quando non interverranno nuovi accordi collettivi che prevedano una disciplina diversa, eventualmente più favorevole ai lavoratori (da stipularsi a livello interconfederale, dispone l'art. 1, secondo comma, della legge 13 luglio 1990, n. 1991, a tutela del principio di uniformità più volte ricordato).

 

Si può aggiungere che la giustificazione della norma denunciata è cessata non solo dal punto di vista dell'art. 36 Cost., ma anche, per i rilievi appena esposti, dal punto di vista dell'art. 3 sotto il profilo del principio di ragionevolezza. Il mantenimento dei vincoli dell'autonomia collettiva in ordine agli effetti indiretti delle variazioni del costo della vita sulla retribuzione, sebbene non possa dirsi contraddittorio sul piano della logica formale, sul piano della razionalità pratica appare incoerente con la restituzione (argomentabile dall'art. 1, secondo comma, della legge n. 38 del 1986) alle parti sociali del potere di modificare, anche in senso più favorevole ai lavoratori, la disciplina legale degli effetti diretti stabilita nel primo comma.

 

La data di entrata in vigore della legge n. 38 del 1986 (28 febbraio 1986) deve perciò ritenersi il termine più sicuro di riferimento del giudizio di sopravvenuta illegittimità costituzionale della norma in esame.

 

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

Riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale, sopravvenuta dal 28 febbraio 1986, dell'art. 2, primo comma, del d.l. 1° febbraio 1977, n. 12, convertito nella legge 31 marzo 1977, n. 91 ("Norme per l'applicazione dell'indennità di contingenza"), nella parte in cui non consente la computabilità dell'indennità di contingenza su elementi retributivi diversi da quelli previsti dalla contrattazione collettiva prevalente nel settore dell'industria.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 marzo 1991.

 

 

Ettore GALLO - Aldo CORASANITI - Giuseppe BORZELLINO - Francesco GRECO - Gabriele PESCATORE - Ugo SPAGNOLI - Francesco Paolo CASAVOLA - Antonio BALDASSARRE - Vincenzo CAIANIELLO - Mauro FERRI - Luigi MENGONI - Enzo CHELI - Renato GRANATA.

 

 

Depositata in cancelleria il 26 marzo 1991.